TO PLAY
Life is a game, three-sided football is serious
Appunti su una partita di calcio a tre porte
di Saverio Verini

Danilo Correale, The Game, XIV edizione Premio Ermanno Casoli. Ph.: Amedeo Benestante

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«Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci»1. Le parole con le quali Pier Paolo Pasolini equipara il calcio a un rito sono talmente citate da rappresentare ormai un topos letterario, ai limiti del cliché. Ma si tratta di frasi che, a distanza di quarantatré anni, suonano incredibilmente illuminanti, lucide, vere. È proprio la dimensione sacrale a rendere il calcio una religione: da una parte rito collettivo (esistono milioni – miliardi – di persone che, in televisione e allo stadio, vanno in estasi di fronte a una finale dei Mondiali, così come esistono milioni di persone che seguono le uscite pubbliche del Papa, si bagnano nel fiume Gange o vanno in pellegrinaggio a La Mecca); dall’altra celebrazione intima (basti pensare alle scaramanzie nascoste, alle pratiche domestiche di preparazione alle partite, a come la giornata – talvolta la vita – di un tifoso possa essere segnata da vittorie o sconfitte della propria squadra). Certo, a differenza dei dibattiti e delle dispute sulla religione, il gioco del pallone è ancora lontano dal condizionare in maniera incisiva il corso degli eventi, ma calcio e storia – almeno quella recente – si sono sempre guardati faccia a faccia, spesso rispecchiandosi. Come ricorda Daniele Camilli nell’introduzione al suo pamphlet Contropiede. Breve discorso sopra il metodo del calcio, «analizzando la storia dei Mondiali notiamo una certa correlazione tra la squadra vincente e la situazione sociale e politica caratterizzante il suo paese di appartenenza»2; addirittura, il calcio sarebbe «capace di proporre sul terreno di gioco i modi di produrre del sistema capitalistico e il modo di essere della società che esprime»3. «Il mondo è tutto ciò che accade», scriveva Ludwig Wittgenstein, e, dunque, il calcio non può esserne escluso. Di certo, non può lasciare indifferenti: non solo per le vicende che riguardano il campo di gioco o le questioni legate al tifo, ma anche per la sua portata sociale, politica ed economica.

Il calcio è, dunque, un fenomeno di massa, uno strumento per misurare la “temperatura” di un determinato periodo storico, ma anche uno sport capace di farsi racconto, dotato di una poetica interna degna d’essere rappresentata. A unire arte visiva e calcio è di nuovo la componente “rituale”: la prima vi affonda le proprie radici, il secondo – come ricordava anche Pasolini – è finito per diventare rito a pieno titolo. Gli artisti lo hanno capito bene, attingendo a più riprese da questo sport e mettendone in evidenza, di volta in volta, aspetti peculiari diversi. Già a partire dai primi del ‘900, la figura del calciatore è stata oggetto delle attenzioni delle avanguardie storiche (si prendano Umberto Boccioni con Dinamismo di un calciatore e Kazimir Malevič con Realismo pittorico di un giocatore di football), ma è solo diversi decenni più tardi, con l’ingresso negli anni Novanta che il calcio inizia a essere analizzato e rappresentato in una prospettiva sociale. Nel 1991 Maurizio Cattelan ha formato una vera squadra di calcio composta da lavoratori senegalesi residenti in Italia, la Forniture Sud (da cui il nome del progetto artistico), che ha partecipato ad alcuni campionati regionali; lo sponsor, riportato sulle magliette, riportava lo slogan nazista “Rauss”, riflessione ironicamente amara sul tema dell’integrazione. Nel 1997 l’artista kosovaro Sislej Xhafa percorse i giardini della Biennale di Venezia vestito con il completo della nazionale albanese e con un pallone in mano: si trattava di Padiglione clandestino, azione realizzata nel tentativo d’instaurare una relazione simbolica con la gente attraverso il gioco del calcio, un vero e proprio padiglione ambulante costituito da una persona alla ricerca di un riconoscimento da parte del paese ospitante. Il video You’ll never walk alone (1999) mostrava l’artista Elisabetta Benassi impegnata in una partita “onirica” con un sosia di Pier Paolo Pasolini; un “uno contro uno” a campo aperto che emancipava il calcio dal culto dell’atletismo, accostandolo a un territorio magico nel quale far “rivivere” uno dei più influenti intellettuali italiani del ‘900. Altra sfida paradossale è quella ideata da Gianni Piacentini, che, con La partita bianca (2010), ha proposto un incontro di calcio tra due squadre indistinguibili: 22 giocatori in campo con la stessa maglia, di colore bianco, in antitesi all’agonismo esasperato e alle discriminazioni che spesso accompagnano il tifo. In tempi più recenti, altri artisti si sono misurati con il mondo del calcio. Sempre nel 2010 il centro espositivo B.P.S.22 di Charleroi, in Belgio, ha organizzato One Shot! Football et art contemporain4, con la partecipazione di autori quali Pascale Marthine Tayou, Kendell Geers, Douglas Gordon e Philippe Parreno, Paolo Canevari, Andrea Mastrovito, forse una delle mostre più complete sul tema. Proprio Mastrovito è stato protagonista di una performance in collaborazione dei ragazzi di un istituto scolastico di New York, all’interno del progetto Kickstarting (2014): l’artista, insieme a un centinaio di bambini di Bushwick (Brooklyn) ha creato un gigantesco murale prendendo letteralmente a pallonate il cortile della Saint Joseph Patron Parish, segnando le pareti con l’impronta della sfera di cuoio impregnata di grafite, in un gesto creativo liberatorio e potenzialmente alla portata di tutti.

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Il camper nel quale si sono tenuti gli incontri con i dipendenti delle aziende. Ph.: Francesco Ciavaglioli

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The Game, il progetto ideato da Danilo Correale per la XIV edizione del Premio Ermanno Casoli, a cura di Marcello Smarrelli, sembra aver portato alle estreme conseguenze il rapporto tra arte visiva e calcio, presentando punti di contatto rispetto ai lavori analizzati in precedenza, per giungere tuttavia a esiti completamente inediti e autonomi. L’idea nasce agli esordi del 2013, quando il comitato che sostiene la candidatura di Siena a Capitale Europea della Cultura 2019 decide di invitare la Fondazione Ermanno Casoli – da anni impegnata in progetti di contaminazione tra arte contemporanea e mondo dell’impresa – a realizzare un lavoro artistico con il coinvolgimento dei dipendenti di tre aziende del territorio senese: ColleVilca di Colle Val d’Elsa, PR Industrial di Casole d’Elsa, Trigano di Poggibonsi. Tre eccellenze aziendali nei rispettivi settori, tre realtà fortemente ancorate al territorio, ma toccate in maniera altrettanto dura dalla crisi economica. Partendo da questo elemento, in grado di accomunare drammaticamente le tre aziende, Danilo Correale si è interrogato su cosa un artista potesse offrire ai lavoratori, su cosa potesse unirli, al di là della precarietà legata al momento storico. La risposta si trovava in uno dei punti di intersezione più originali mai elaborati nel rapporto tra arte visiva e sport: il calcio a tre porte. Pratica ideata dal situazionista danese Asger Jorn a cavallo tra anni Sessanta e Settanta, questa disciplina – basata su regole distinte dal calcio tradizionale: terreno di gioco esagonale; tre squadre contemporaneamente in campo; partita divisa in tre tempi; gol valido solo se le due squadre che attaccano la terza effettuano almeno un passaggio tra loro; vince chi subisce meno reti  – si è rivelata da subito funzionale agli obiettivi del progetto: far interagire i dipendenti; unirli in un contesto capace di valorizzare la capacità di allearsi e mediare, al di là dell’agonismo; incoraggiare la libera espressione dei lavoratori attraverso un gioco che potesse caricarsi di metafore in grado di veicolare istanze politiche e sociali. Correale è così entrato nel cuore delle diverse realtà aziendali: a bordo di un camper allestito a “ufficio mobile”, fornito da una delle aziende coinvolte, l’artista ha incontrato nelle diverse sedi delle società le rappresentanze dei dipendenti, innescando un dialogo intenso e serrato durato alcune settimane.

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I dipendenti di Trigano durante le fasi di preparazione alla partita. Ph.: Maurizio Esposito

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Diffidenza, stupore, infine fiducia: questi i diversi atteggiamenti dei dipendenti nel corso degli incontri nel camper, dedicati in particolar modo a rimuovere la patina di “evento aziendale” attorno al progetto. The Game doveva essere il momento di autorappresentazione dei lavoratori. Così, gradualmente, si è partiti dalla scelta dei nomi delle squadre (rigorosamente miste), passando ai colori delle maglie, alla creazione dei loghi, all’organizzazione delle rispettive tifoserie; il tutto mediato dallo sguardo dell’artista, con l’intenzione di «presentare idee politiche senza compromettere la funzione estetica dell’arte»5.

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Gli ultrà della squadra Esuberanti 301. Ph.: Amedeo Benestante

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Ne sono nate tre squadre, Real Cristal, GladiaTori ed Esuberanti 301, tre nomi che raccontano storie diverse: il primo, scelto dai dipendenti di ColleVilca, manifesta il loro attaccamento al materiale così prezioso che si trovano a plasmare quotidianamente, eccellenza del territorio di Colle Val d’Elsa; il secondo, pensato dai lavoratori di PR Industrial, richiama alla figura quasi epica del gladiatore e, al tempo stesso, allude – con il suffisso “-tori” – ai prodotti realizzati in azienda (generatori e sollevatori); Esuberanti 301, infine, non fa riferimento soltanto a una qualità caratteriale, ma anche alla situazione di precarietà che i dipendenti si trovano a vivere, passati da 500 a 301, con 199 esuberi. In un atto di solidarietà, anche i 301 rimasti si sono dichiarati “esuberanti”, dimostrando come The Game sia stata un’occasione propizia per presentare istanze sociali e politiche, al di là dell’aspetto ludico. Il passaggio dalla teoria alla pratica è avvenuto grazie a delle sessioni di allenamento specifiche, nelle quali le tre rappresentative si sono incontrate per la prima volta tutte assieme, cercando di amalgamarsi, di prendere confidenza con le regole del calcio a tre porte e, contemporaneamente, di prepararsi alla componente più insolita e stravagante del match: il terzo tempo, concepito per dar spazio alla libera espressione delle squadre una volta sul terreno di gioco.

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Un’azione di gioco tra le tre squadre in campo. Ph.: Amedeo Benestante

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Il giorno della partita, la tracciatura del perimetro del campo esagonale – simile all’atto fondativo di una comunità – e l’allestimento degli striscioni – molti dei quali riferiti alla crisi delle aziende – hanno subito dato forma a un disegno considerato fino ad allora ai limiti dell’inverosimile. L’arrivo in tribuna delle tifoserie – colorate, rumorose, festanti –, le fasi di riscaldamento precedenti il fischio d’inizio, la lettura delle formazioni, l’ingresso in campo delle squadre agli ordini dell’arbitro (interpretato dall’artista Cristian Chironi) hanno definitivamente spazzato ogni dubbio: quel che stava per accadere – una partita di calcio a tre porte disputata da squadre miste in rappresentanza di tre aziende – era reale. Il campo di gioco, le squadre, gli allenatori, l’arbitro, le tifoserie, gli striscioni: tutti gli elementi di una partita di calcio “vera” erano al loro posto, ma tutto risultava spiazzante, destrutturato, paradossale. The Game, in effetti, è stato anche il ready-made di una partita di calcio, piegata dall’artista a fini diversi da quelli unicamente sportivi: un dispositivo complesso caratterizzato da approccio ludico e rivendicazioni sociali, animato dall’obiettivo di riflettere sull’identità dei lavoratori – sulle loro istanze – attraverso il filtro di un gioco pienamente presente nell’immaginario collettivo; un progetto partecipativo e relazionale, performativo e temporaneo, frutto di una collaborazione autentica e sentita tra i dipendenti e l’artista, il quale – rinunciando a una rigida autorialità – ha saputo liberare la propria opera «dal giudizio freddo di uno spettatore non coinvolto»6. Il terzo tempo, con il quale si è chiusa la partita-performance, ha restituito il senso ultimo di The Game: offrire ai dipendenti delle aziende uno spazio interstiziale tra ambiente di lavoro e tempo libero, momento extra-ordinario di aggregazione, partecipazione, gioco, riflessione.

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Il 3° tempo interpretato dagli Esuberanti 301. Ph.: Amedeo Benestante

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«Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?»7. Le domande di un imprenditore lungimirante come Adriano Olivetti sembrano spingere i dipendenti delle tre aziende a dare continuità a quella tensione che li ha tenuti uniti in occasione di The Game, un progetto calcistico al di là del calcio, capace di “sfruttare” in termini anti-spettacolari uno dei più grandi spettacoli della contemporaneità, dando vita a un momento di arte, aggregazione, presa di coscienza.

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La premiazione dei GladiaTori. Ph.: Amedeo Benestante

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1 P. P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte, Vol. II, Meridiani Mondadori, Milano 1999, p. 278
2 D. Camilli, Contropiede. Breve discorso sopra il metodo del calcio, Nottetempo, Roma 2007, p. 15
3 Ibidem, p. 14
5 S. O’ Reilly, Il corpo nell’arte contemporanea, Einaudi, Torino 2011, p. 82
6 B. Groys, Going Public. Scrivere d’arte in chiave non estetica, Postmedia, Milano 2014, p. 30
7 A. Olivetti, Ai Lavoratori, Comunità Editrice, Roma/Ivrea 2013, p. 28

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Saverio Verini (1985) si laurea nel 2009 in Storia dell’Arte Contemporanea presso l’università “La Sapienza” di Roma. Dal 2011 al 2012 è nello staff del MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma e dal 2013 assistente curatore della Fondazione Ermanno Casoli di Fabriano. È curatore della sezione di arti visive di Kilowatt Festival (Sansepolcro, Arezzo) e membro fondatore del collettivo curatoriale Sguardo Contemporaneo, con cui ha realizzato il progetto Nuova Gestione (2012 e 2014), basato su interventi artistici site-specific in spazi commerciali sfitti dei quartieri Quadraro e Casal Bertone, a Roma. Collabora con il magazine online“Artribune” e con la rivista “Lettera Internazionale”, per la quale recensisce libri di arte ed estetica.