ENGAGEMENT AND CONFLICT
Questioni di identità. Intervista al Direttore dell’Accademia Tedesca Roma Villa Massimo, Joachim Blüher e al Direttore dell'Accademia di Francia - Villa Medici, Éric de Chassey
a cura di Silvia Calvarese

L’intervista che segue è stata pensata per essere rivolta ai Direttori delle Accademie straniere presenti a Roma; mi sono interrogata su parole come rappresentanza, senso di appartenenza, nazione, e sulle relazioni tra luogo, identità e cultura.
Sono arrivata all’idea (personale) che l’identità sia sempre parziale, in tutte le sue manifestazioni, che non sia mai finita o intera, ma sia semplicemente lì, in quel momento e in quel posto, capace di congiungersi con altre, ma senza bisogno di essere altro. Per questo penso sia utile individuare la posizione del soggetto non nell’identità, ma in quel determinato posto, tempo e posizione, come mi propongo di fare in questo dialogo. Mettendo da parte la pretesa di conservare intatte le appartenenze linguistiche e culturali senza andare a incidere sui valori fondamentali.

Hanno risposto per roots§routes il Direttore dell’Accademia Tedesca Roma Villa Massimo, Joachim Blüher e il Direttore dell’Accademia di Francia – Villa Medici, Éric de Chassey.
Ad entrambi un ringraziamento speciale per la loro generosità intellettuale.

Delle risposte di Joachim Blüher è stata pubblicata anche la versione in tedesco, su gentile richiesta del Direttore, che troverete in fondo alla pagina.

Un dialogo può diventare un’occasione unica di produzione di esperienza, in cui un luogo e alcuni interlocutori si dimostrano decisivi nella definizione di un’occasione culturale.

Silvia Calvarese

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1. Le chiedo di presentarsi. Dove è nato, la sua formazione, da quanto tempo vive in Italia, e quali sono state le circostanze che l’hanno portata a essere nominato direttore della sua Accademia o del suo Istituto.

Joachim Blüher: Sono Joachim Blüher e sono nato nei pressi di Amburgo nel 1953. Villa Massimo non vive in un contesto diplomatico o universitario come la maggior parte della altre accademie a Roma. È piuttosto un caso a sé, la donazione di un importante mecenate di religione ebraica, Eduard Arnhold, all’Imperatore tedesco nel 1910. Per tale motivo oggi apparteniamo alla Cancelleria Federale. Alla posizione che ricopro attualmente ci si poteva candidare, poteva candidarsi chiunque potesse provare di aver lavorato in campo culturale con incarichi direttivi, di conoscere l’italiano e di aver conseguito un dottorato di ricerca.

Éric de Chassey: Sono nato nel 1965 a Pittsburgh (Stati Uniti). Direttore dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici da settembre 2009, vivo a Roma da quasi quattro anni. Sono inoltre professore di Storia dell’Arte (distaccato) all’École Normale Supérieure di Lyon. Ex allievo dell’École Normale Supérieure (1986), i miei studi di filosofia, storia dell’arte e scienze politiche mi hanno condotto al dottorato (1994) e poi all’abilitazione (1999) in Storia dell’Arte all’Università Paris IV-Sorbonne.

Sono stato professore di Storia dell’Arte all’Università François-Rabelais di Tours dal 1999 al 2012. Dopo i primi lavori, la mia attività scientifica ha privilegiato un’area culturale – gli Stati Uniti – ed una tematica – l’arte astratta. Ho pubblicato libri e saggi sull’arte del XX e XXI secolo, curato numerose mostre accompagnate da pubblicazioni e organizzato numerosi convegni internazionali.

Per quanto riguarda la mia nomina, questa è avvenuta per circostanze del tutto indipendenti dalla mia volontà, ero nella giuria del concorso per i nuovi borsisti del 2009, e l’allora direttore Frédéric Mitterrand ha potuto rendersi conto di come percepivo la vita e le attività dell’Accademia di Francia a Roma.  E’ senza dubbio per questo che una volta divenuto Ministro della Cultura, ha pensato di proporre il mio nome all’allora Presidente della Repubblica.

C’era senza dubbio l’idea di scegliere qualcuno per la direzione con un profilo tecnico, un profilo legato alla storia del luogo. Immagino che ciò che abbia colpito sia stato il fatto che sono effettivamente un universitario ma con una lunga esperienza di collaborazioni con istituzioni culturali e musei; che anche se Francese, ho l’abitudine di lavorare all’estero e con istituzioni internazionali e soprattutto che ho un rapporto molto stretto con la storia, ma anche con la creazione contemporanea.

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2. Quali sono gli obiettivi che la sua istituzione si pone nel nostro territorio, quale il rapporto tra questa e il Paese che rappresenta, e quale il suo ruolo all’interno della stessa.

Joachim Blüher: Il nostro compito consiste nel dare ogni anno ospitalità a Roma a dieci nuovi borsisti delle discipline dell’arte visiva, della composizione, della letteratura e dell’architettura nonché a creare per loro contatti con Roma e l’Italia.

Éric de Chassey: Villa Medici accoglie da più di due secoli l’Accademia di Francia a Roma, che ha come missione principale quella di ospitare artisti, compositori, scrittori, cineasti, ricercatori, storici dell’arte, architetti, fotografi, designer, di tutte le nazionalità. Apre le porte a tutte le discipline artistiche e scientifiche,  ed è il riflesso del pensiero e dell’arte dall’antichità fino ai nostri giorni. L’Accademia di Francia a Roma oggi, partecipa inoltre a scambi culturali ed artistici, organizza mostre, concerti, convegni e seminari su temi relativi alle arti, alle lettere e alla loro storia. Concepita dal decreto del 1971 come luogo ideale di incontri italo-francesi, Villa Medici riveste un ruolo decisivo nella vita culturale romana ed europea. Non è né un museo, né un semplice luogo di esposizioni, ma un laboratorio che pullula di attività.

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3. La relazione tra luogo, identità e cultura è fondamentale. Le persone hanno un proprio bagaglio culturale, determinato dalla storia del paese in cui sono nati, dall’insieme dialettico di conoscenze, credenze, ideologie, simboli, norme della società, dalla formazione personale, dalle esperienze avute precedentemente; ma allo stesso tempo si autodefiniscono e si ridefiniscono ogni qualvolta si trovano a lavorare in un determinato posto, poiché subentrano altri e nuovi fattori. Questa è la situazione di chi come Lei si trova a dover lavorare in un altro paese e, in più, a dover mettere in relazione due culture, con la necessità di tradurre la propria in modo tale che sia conosciuta in luoghi lontani da casa, valorizzandone le differenze e trovando tra queste dei punti di contatto. Come riesce lei a connettere i contenuti al nuovo contenitore? Come riesce a far dialogare i due mondi? Con quali pratiche?

Joachim Blüher: Lei mi interroga sul mio ruolo di “traduttore” fra le culture, di colui che mette in relazione le culture tra di loro.

Ebbene, la situazione è la seguente: un artista giunge a Roma dalla Germania (e qui può tranquillamente indicare qualsiasi altra nazione) e si trova innanzitutto in paradiso, nell’Accademia e ancor più al di fuori di essa. Ha davanti a sé un anno che il riconoscimento ricevuto carica di stress ad altissimo livello: riuscirò a fare ciò che questo premio pretende da me (da noi non pretende proprio nulla, ma questo non conta), sarò all’altezza delle mie aspettative, sarò all’altezza degli altri nove artisti? Già solo questo impedisce l’incontro con i borsisti di altre nazioni, si è fin troppo occupati con se stessi. E poi anche una relazione con Roma, con gli artisti italiani? Ciò è particolarmente difficile, almeno all’inizio. Il proprio lavoro non offre inizialmente né spazio né tempo per questo.

Che cosa facciamo dunque? Facciamo conoscere Roma ai nostri borsisti, come si fa con i turisti. Soltanto che i borsisti dopo l’escursione non vanno in albergo e nemmeno tornano a casa dopo una settimana, loro rimangono. Questa è la grande differenza e la qualità delle nostre visite guidate così come i luoghi che selezioniamo non hanno certamente nulla a che vedere con i soliti viaggi organizzati. Cionondimeno, pur imparando a conoscere l’Italia, i borsisti alla fine rimangono immutabilmente tedeschi. E così avviene anche con Villa Massimo. L’Accademia Tedesca è tedesca fino alle fondamenta, io sono tedesco e rappresento la Germania dall’alba a notte fonda.

Nella mia vita sono stato anche a lungo commerciante d’arte. So che le specificità identificabili – e la nazionalità lo è – devono anche esser rese evidenti, altrimenti si perdono o, come direbbe un commerciante, la merce rimane giacente. Ebbene, a Villa Massimo la merce chiaramente non rimane giacente. Naturalmente invito sempre artisti italiani, ma qui non giochiamo allo “scambio culturale”. No, da noi c’è concorrenza, competizione, come nel vero mondo dell’arte: ognuno vuole aver dipinto il quadro più bello. Come lo sprinter nella gara dei 100 m. A volte si vince, spesso si perde, questo è il gioco. Questo gioco si ripete in molte delle nostre manifestazioni e ci ha portato un grande pubblico variegato, per il 98% italiano. Si è sentito dire che qui si svolgono molti eventi, che sono diversi, che hanno origine in Germania ed è proprio questo che si vuole vedere. Così come accade a Villa Medici con i francesi e al Gianicolo con gli spagnoli e gli americani.

Ma noi siamo andati anche oltre. Alcuni anni fa abbiamo introdotto le cosiddette “borse di studio delle arti pratiche”, ossia rivolte a persone dei settori “applicati” dell’arte. Perché io concepisco quest’Accademia di artisti non tanto come un luogo di intellettuali, bensì di pratici. Nel frattempo sono venute da noi personalità di fama internazionale come la coreografa Sasha Waltz, l’attore Otto Sander, il cameraman Michael Ballhaus, il trombettista Till Brönner, il designer Konstantin Grcic e tanti altri ancora… e? Un fornaio di Monaco e uno scalpellino del Duomo di Colonia. Da nessuna parte le differenze culturali si notano così rapidamente e facilmente come negli artigiani.

Questi sono, grossomodo, i miei metodi. Dialogo, dunque? No, contraddizione e rimanere straniero.

Éric de Chassey: Il mio progetto alla direzione di questa istituzione,  riposa sull’identità del luogo. Sia simbolicamente che concretamente, gran parte dell’identità del luogo risiede in un rapporto estremamente forte con il passato e la creazione attuale. Villa Medici rappresenta un simbolo per la città di Roma. Il fatto che Villa Medici sia situata al sud dell’Europa è un fattore fondamentale, che denota un’attenzione particolare, al Sud in generale, da parte della Francia. Inoltre Villa Medici è un luogo al di fuori del territorio nazionale che conserva allo stesso tempo, dei legami forti con la Francia, in una città dove il locale e il globale si amalgamano in permanenza (visto che Roma è sia una città di taglia media che la capitale del cattolicesimo).
Partendo da tutto questo, il mio progetto consiste nel dare il massimo della visibilità e dell’attenzione alle due principali missioni dell’Accademia di Francia a Roma: la missione Colbert, che consiste nell’accogliere i borsisti ed è la prima missione storicamente fondatrice, e la missione Malraux che consiste nel dare il massimo risalto alla cultura, insistendo sul fatto che non si tratta della propagazione della concezione francese ma della diffusione della concezione francese della cultura francese. Senza dimenticare poi la terza missione, quella patrimoniale, che bisogna preservare a tutti i costi in un’istituzione come questa. Villa Medici rappresenta un patrimonio eccezionale, e non solo per ciò che risale all’antichità o al Rinascimento,  ma anche per ciò che rinvia alla lunga storia di occupazione dell’Accademia di Francia a Roma che vi si è istallata dal 1803, e all’impronta lasciata da Balthus. Per far conoscere l’importanza di tale patrimonio, ho intensificato una politica di apertura cercando di trovare il giusto equilibrio tra le tre missioni.

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4. La nazione, elemento alla base del nostro discorso per esserne l’oggetto (o meglio il soggetto) da rappresentare e promuovere, è spesso il concetto attraverso il quale si rivendica un proprio senso di appartenenza e territorialità, delimitando porzioni di spazio che permettono di identificarci rispetto agli altri, di aggrapparci con forza, a idee di luogo e di patria, all’interno delle quali “vive” una comunità esclusiva, che ha bisogno di un territorio esclusivo, costituito da attributi fisici reali. Le mura degli Istituti di cultura presenti a Roma, in un certo senso, delimitano questo spazio; chi si trova all’interno costruisce in questi il proprio senso di luogo, di casa.

C’è forse il rischio che questi luoghi, così fortemente strutturati, per la loro identità, specificità e logica interna, costruiscano con l’esterno un dialogo troppo “formale”, limitandosi a sviluppare un rapporto tra cultura (propria) e ambiente circostante, e non a un rapporto tra culture?

Joachim Blüher: Sì, l’Accademia è circondata da mura, non particolarmente alte peraltro, ma coronate da un filo spinato tedesco, un tempo marziale. Le specificità alla fine sono state dimenticate, adesso il filo spinato non è più marziale, non è neanche più tedesco, ma serve ancora contro i malviventi. Abbiamo bisogno dell’„hortus conclusus“. Roma è una città faticosa, soprattutto per gli stranieri. Questo è quindi un rifugio. Qui però si vive anche in modo diverso, così come si usa da noi al nord. Soltanto il tempo è migliore e non si getta nemmeno ogni cartaccia per terra. Quando apriamo le porte dell’Accademia, quando i nostri borsisti mostrano le loro opere, come ho già detto non avviene uno scambio culturale con il pubblico italiano, bensì noi diamo ospitalità e riceviamo ospiti. Che ci incontriamo con cordialità e interesse è ovvio. Tuttavia il luogo rimane tedesco e si mangiano anche pietanze tedesche (che con nostra grande sorpresa vengono molto apprezzate). Quindi nessun nazionalismo, nessun patriottismo – soltanto ospitalità. E se avrà occasione di assistere ad una di queste manifestazioni, lo vedrà: nessuno qui è solo e isolato.

Éric de Chassey: Oggi le identità non sono più stabili, si incrociano. Sia quelle individuali che quelle dei mezzi artistici. È un fenomeno contemporaneo con radici storiche. Esplorarlo ci permette di comprendere e di trasformare il passato in qualcosa di attuale.

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5. Parliamo di Lei. Come ha affrontato all’inizio questo incarico? Differenza implica preliminarmente un punto di partenza individuale. Lei arrivava portando con sé cultura e formazioni particolari; nel corso del tempo si è trovato nella condizione di doversi ri-raccontare e ri-definire, di mettere in discussione certezze che sembravano acquisite o scontate? Ha mai pensato, in questo processo, di tradire affetti, cause o valori legati al senso di appartenenza al suo paese?

Joachim Blüher: Al principio avevo, come sempre accade, tante idee folli, ma anche alcune chiare. E non avevo soldi! Ho iniziato con un budget annuo per gli eventi di 25.000 euro. Sono quindi stato costretto al „piccolo formato“, a piccole accurate manifestazioni come „Soltanto un quadro al massimo“. Che hanno avuto però un grandissimo successo e che pertanto non ho mai cambiato. Solo il budget totale della Villa ho più che raddoppiato negli ultimi dieci anni. E questo denaro va ora per lo più a beneficio dei nostri borsisti e del loro lavoro. Io non ne ho bisogno.

Cos’è cambiato per me in questi dieci anni in Italia? Io sono venuto qui da Colonia, ero quindi già sulla strada giusta, dato che là i tedeschi sono addirittura latini. Sicuramente qui sono diventato ancora un po’ più flessibile, inoltre peso 20 chili di più a causa del cibo indubbiamente squisito. Ma altrimenti? Qui sono diventato tedesco, prima ero semplicemente io. Questo è il risultato del confronto e non si attenua. Ogni anno in più che trascorro in Italia mi rendo conto che provengo dal nord e che nel mio intimo rimarrò sempre straniero. Il fatto che io stia qui volentieri non cambia nulla.

Éric de Chassey: Ho cercato di difendere sin dall’inizio una certa concezione francese della cultura che va di pari passo con la nozione di servizio pubblico e si oppone ad una completa nazionalizzazione del settore.
Poi ho provato a riflettere ad una programmazione coerente durante tutto il mio mandato, non ho mai separato storia e presente, arti visive e altre arti, come letteratura, cinema, architettura. Ibridazione e circolazione, poiché la storia dell’arte è un tutt’uno tra antico e contemporaneo.

In Europa c’è un’ibridazione continua, specie con i paesi del Mediterraneo. Il mio compito è che gli artisti possano porre le domande giuste ed essere visibili.

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6. Nella società di oggi è il concetto stesso di comunità che cambia, divenendo mobile e generando una serie di connessioni sociali che mutano in continuazione, rendendo l’appartenenza a esse momentanea. Lei oggi si sente di dire che appartiene a più di un mondo, che abita più di un’identità, senza avere la sensazione di perdersi in questa interdipendenza?

Joachim Blüher: Come già menzionato, le identità permangono anche in un mondo globalizzato. Io dalla mia posizione faccio di tutto per rafforzarle. Giacché la nostra ricchezza sta nella diversità.

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7. Esiste sempre una differenza tra ciò che uno afferma di essere e la posizione che occupa all’interno di una società. Lei riesce a mediare tra le regole sociali che il suo ruolo le impone, tra i codici di giusta condotta e la contestazione, la decostruzione e costruzione appassionata di pratiche sociali e culturali, le connessioni e lo scambio dei punti di vista?

Joachim Blüher: Se ho imparato una cosa qui, è che praticamente non si fanno critiche, si apprezzano invece i complimenti. Al nord siamo diversi, non solo noi tedeschi, tutti. Se sei straniero impara dunque a trattenerti, il che soprattutto a uno come me risulta molto, molto difficile. Ma sono più gentile e cordiale di prima. Non è niente?

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German version _______________________________________

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1. Ich bin Joachim Blüher, geboren in der Nähe von Hamburg, 1953. Die Villa Massimo lebt nicht in einem diplomatischen oder universitären Kontext wie die meisten anderen Akademien in Rom. Sie ist vielmehr ein Solitär, die Stiftung eines bedeutenden Mäzens jüdischen Glaubens, Eduard Arnhold, an den deutschen Kaiser im Jahr 1910. Deshalb gehören wir heute zum Bundeskanzleramt. Auf den Posten, den ich momentan innehabe, konnte man sich bewerben, jeder konnte sich bewerben, der nachweisen konnte, auf kulturellem Gebiet leitend gearbeitet zu haben, Italienisch zu können und promoviert zu sein.

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2. Unsere Aufgabe ist es, zehn jedes Jahr neu nach Rom kommende Stipendiaten aus den Bereichen Bildende Kunst, Komposition, Literatur und Architektur Herberge zu geben und Kontakte zu Rom und Italien für sie herzustellen.

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3. Sie fragen nach meiner Rolle als „Übersetzer“ zwischen den Kulturen, als jemand der die Kulturen in Beziehung zueinander setzt.

Nun, die Situation ist doch die folgende: ein Künstler kommt aus Deutschland (und hier können Sie getrost jede andere Nation einsetzen) nach Rom und sieht vor sich erst einmal das Paradies, in der Akademie und erst recht außerhalb. Vor ihm liegt ein Jahr, das durch die Auszeichnung hochgradig mit Stress belegt ist: werde ich es schaffen, was verlangt die Auszeichnung von mir (bei uns verlangt sie gar nichts, aber das zählt nicht), werde ich vor mir selbst bestehen, werde ich vor den anderen neun Künstlern bestehen? Dies allein verhindert es schon, daß man mit den Stipendiaten anderer Nationen zusammenkommt, man ist viel zu sehr mit sich selbst beschäftigt. Und dann noch eine Beziehung zu Rom, zu italienischen Künstlern? Das ist zumindest am Anfang ausgesprochen schwierig. Dafür gibt es zunächst weder Platz noch Zeit im Schaffen.

Was machen wir also? Wir bringen unseren Stipendiaten Rom nahe, wie sonst Touristen. Nur, daß die Stipendiaten nach der Exkursion nicht ins Hotel gehen und nach einer Woche auch nicht mehr nach Hause fahren, sondern sie bleiben. Das macht einen großen Unterschied, und die Qualität unserer Führungen wie die Auswahl der Orte hat sicherlich nichts mit den üblichen Reiseveranstaltungen zu tun. Was nichts daran ändert, daß die Stipendiaten von Italien lernen, aber letztlich unwandelbar Deutsche bleiben. Und so verhält es sich auch mit der Villa Massimo. Die Deutsche Akademie ist deutsch bis in ihre Fundamente, ich bin deutsch, und ich spiele Deutschland vom frühen Morgen bis zum späten Abend.

Ich war in meinem Leben auch lange Kunsthändler. Ich weiß, daß identifizierbare Eigenschaften – und die Nationalität ist so eine – auch deutlich gemacht werden müssen, sonst geht der Gegenstand unter oder, wie ein Händler es sagen würde, die Ware bleibt liegen. Nun, in der Villa Massimo bleibt die Ware offensichtlich nicht liegen. Natürlich lade ich immer italienische Künstler ein, aber wir spielen hier nicht das Spiel vom „Kulturaustausch“. Nein, bei uns gibt es Konkurrenz, Wettstreit, so wie in der richtigen Welt der Kunst: jeder will das beste Bild gemalt haben. Wie beim 100-m-Lauf der Sprinter. Manchmal gewinnt man, oft verliert man, das ist das Spiel. Dieses Spiel zieht sich durch viele unserer Veranstaltungen, und es hat uns ein großes, gemischtes, zu 98% italienisches Publikum eingebracht. Man hat gehört, daß hier viel passiert, das irgendwie anders ist, das aus Deutschland kommt, und genau das will man sehen. So, wie es in der Villa Medici mit den Franzosen und auf dem Gianicolo mit den Spaniern und Amerikanern ist.

Aber wir sind noch darüber hinausgegangen. Vor einigen Jahren haben wir die so genannten „Praxisstipendien“ eingeführt, das bedeutet Personen aus den „angewandten“ Bereichen der Kunst. Weil ich diese Akademie der Künstler nicht als einen Ort der Intellektuellen, sondern der Praktiker sehe. Gekommen sind mittlerweile internationale Größen wie die Choreographin Sasha Waltz, der Schauspieler Otto Sander, der Kameramann Michael Ballhaus, der Trompeter Till Brönner, der Designer Konstantin Grcic und, und, und – und? Ein Bäcker aus München und ein Steinmetz vom Kölner Dom. Nirgends bemerken Sie die Kulturunterschiede so schnell, so leicht, wie bei den Handwerkern.

Dies sind, ganz grob gesprochen, meine Techniken. Dialog also? Nein, Widerspruch und Fremder bleiben.

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4. Ja, die Akademie ist von einer Mauer umgeben, im übrigen nicht besonders hoch, aber von einem einst martialischen, deutschen Stacheldraht gekrönt. Die Eigenschaften wurden irgendwann vergessen, jetzt ist er nicht mehr martialisch, auch nicht mehr deutsch, aber er hilft immer noch gegen Einbrecher. Der „hortus conclusus“ wird gebraucht. Rom ist eine anstrengende Stadt, besonders für Fremde. Hier ist ein Refugium. Hier herrscht aber auch ein anderes Leben, eines, wie es bei uns im Norden üblich ist. Nur das Wetter ist besser, und man schmeißt auch nicht jedes beliebige Papier auf den Boden. Wenn wir das Haus öffnen, wenn unsere Stipendiaten ihre Arbeiten zeigen, dann ist das, wie gesagt, kein Kulturaustausch mit dem italienischen Publikum, sondern wir sind Gastgeber und wir empfangen Gäste. Daß wir uns in Freundlichkeit und mit Interesse begegnen, ist selbstverständlich. Nur, der Ort bleibt deutsch, und man ißt auch deutsch (was zu unserem Erstaunen sehr geschätzt wird). Also: kein Nationalismus, kein Patriotismus – nur Gastgeber. Und wenn Sie so eine Veranstaltung einmal besuchen, sehen Sie: isoliert und alleine ist hier niemand.

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5. Am Anfang hatte ich, wie das so ist, eine Menge verrückter Ideen, aber auch manche klare. Und ich hatte kein Geld! Mit 25.000 Euro Jahresetat für Events habe ich begonnen. Das hat mich ins „kleine Format“ gezwungen, kleine präzise Veranstaltungen wie „Soltanto un quadro al massimo“. Das sind aber höchst erfolgreiche Formate geworden, die ich deswegen auch nie verändert habe. Nur das Gesamtbudget der Villa habe ich in den letzten zehn Jahren mehr als verdoppelt. Und dieses Geld kommt jetzt zum größten Teil unseren Stipendiaten und ihrer Arbeit zu gute. Ich brauche es nicht.

Was sich für mich in zehn Jahren Italien verändert hat? Nun, ich bin aus Köln hierher gekommen, da war ich schon auf dem richtigen Weg, dort sind die Deutschen geradezu lateinisch. Sicher bin ich hier noch etwas flexibler geworden, außerdem wiege ich wegen des unabweisbar guten Essens 20 Kilo mehr als am Anfang. Aber sonst? Hier bin ich Deutscher geworden, vorher war ich einfach nur ich. Aus dem Gegensatz heraus hat sich das ergeben, und es schwächt sich nicht ab. Mit jedem Jahr mehr in Italien merke ich, daß ich aus dem Norden komme und in meinem Innersten immer Fremder bleiben werde. Daß ich gerne hier bin, daran ändert das nichts.

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6. Wie gesagt, die Identitäten bleiben auch in einer globalisierten Welt bestehen. Ich tue alles, um das von meiner Warte aus zu verstärken. Denn in unserer Unterschiedlichkeit liegt unser Reichtum.

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7. Wenn ich eines gelernt habe hier, ist es, daß man praktisch nicht kritisiert, viel mehr die Komplimente schätzt. Im Norden sind wir anders, nicht nur die Deutschen, alle. Also lernen Sie als Ausländer, sich zurück zu halten, was besonders einem wie mir sehr, sehr schwer fällt. Aber ich bin höflicher und freundlicher als früher. Ist das nichts?

Joachim Blüher
Direktor der Deutschen Akademie Rom Villa Masimo