SPACE IS A DOUBT
DESIDERIO D’INFINITO: Atlante di Luigi Ghirri
di Davide Tranchina

…La mia idea della fotografia, come inesauribile possibilità di espressione, ha cercato nella realtà mondi e modi di rappresentarli… La fotografia, al di là di tutte le spiegazioni critiche e intellettuali, al di là di tutti gli aspetti negativi che pure possiede, penso sia un formidabile linguaggio visivo per poter incrementare questo desiderio di infinito che è in ognuno di noi.

Luigi Ghirri

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L’idea di scrivere su un lavoro così importante come Atlante di Luigi Ghirri mi ha immediatamente entusiasmato anche se, dopo una successiva riflessione, ho compreso che il mio contributo poteva essere tale solo se l’avessi inteso per ciò che ha significato per me e per il mio percorso.

Lo sguardo che riesco a gettare su questo ciclo memorabile è quello di una persona che occupandosi di creare immagini fotografiche ha verificato in modo tangibile il portato di quest’opera all’interno della propria ricerca.

Nel corso degli ultimi vent’anni ho sentito raccontare storie che riguardavano Luigi, attraverso testimonianze di famigliari, amici comuni, persone con cui ha collaborato, e ho approfondito altri aspetti attraverso scritti, documentari e film. Non avere incontrato Ghirri di persona, se da un certo punto di vista è stato un rammarico, dall’altro è una coincidenza che assume un significato particolare. Non ho mai avuto una conoscenza diretta di ciò che era, e l’ho sempre visto con gli occhi di altri, quindi per me rimane una figura legata all’evocazione. Analogamente in Atlante l’aspetto di negazione dell’esperienza diretta e quello del ricordo assumono un’importanza fondamentale.

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Luigi Ghirri, Modena 1973. Copyright: Eredi di Luigi Ghirri

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Nel 1973, un anno dopo il suo esordio modenese avvenuto con la mostra in una sala dell’Hotel Canalgrande, accompagnata da un testo di Franco Vaccari, Ghirri inizia un lavoro sul viaggio. Lo spostamento fisico sarà sacrificato a favore di quello interiore, visibile attraverso una serie di fotografie tratte dalle pagine di un atlante. Questo contenitore raccoglie i segni culturali che descrivono tutti gli spazi esistenti che vengono incessantemente esplorati da ognuno di noi come una delle pratiche mentali più naturali. Il processo è tanto più affascinante e seduttivo perché inafferrabile, non verificabile nella sua presenza ottica e reale. La riduzione dello spazio cartografico costituisce uno scarto rispetto alla visione analogica del mondo, non è un’immagine eloquente come l’impronta della realtà ottenuta con la fotografia. E’ in questa mancata coincidenza con il visibile, che si colloca la forza rivoluzionaria della ricerca. La copia fotografica della mappa in cui compare la scritta DESERT diventa il pretesto ideale per la divagazione. Attraverso l’atto dell’evocare ognuno di noi davanti a quella stessa fotografia, per un istintivo gioco di associazioni, vedrà comparire un “suo” deserto. Per questo motivo sento l’esperienza di Atlante più vicina alla dimensione letteraria e musicale, in cui i rispettivi linguaggi (la scrittura e la partitura) richiedono una traduzione del codice per liberare infinite immagini possibili. Scegliere un linguaggio visivo per attivare questo tipo di processo è davvero un controsenso sorprendente, e lo diventa ancora di più perché la fotografia diviene testimonianza che il viaggio immaginario dell’autore è realmente avvenuto.

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Luigi Ghirri, Modena 1973. Copyright: Eredi di Luigi Ghirri

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L’attitudine ghirriana di descrivere questa molteplicità di sapere che compone “il geroglifico-totale”, è presente fin dagli esordi della sua carriera e lo accompagnerà sempre. Nella prefazione di Kodachrome, uno dei suoi libri più importanti, Ghirri racconta del 1969 quando sui giornali viene pubblicata la foto della terra scattata dalla navicella spaziale Apollo 11 in viaggio verso la luna. “Non era soltanto l’immagine del mondo, ma l’immagine che conteneva tutte le immagini del mondo: graffiti, affreschi, dipinti, stampe, scritture, fotografie, libri, films”.

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Luigi Ghirri, Modena 1973. Copyright: Eredi di Luigi Ghirri

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Cerco di immaginare che cosa potesse significare nel 1973 rivolgere il mezzo fotografico verso un nuovo orizzonte fatto di segni, parole, immagini, invece che orientare semplicemente il proprio sguardo al paesaggio reale. Nella fotografia contemporanea queste sono modalità ampiamente sedimentate sia da un punto di vista teorico che operativo; c’è un’intera generazione di autori che ha diretto in modo sistematico la propria attenzione verso la rappresentazione dello spazio immateriale dei simulacri e dei codici che hanno sostituito o ricoperto (per dirla alla Baudrillard) la realtà fisica del mondo. Ma all’inizio degli anni ’7O arrivare a concepire una ricerca visiva in questa direzione rimane un’impresa epica.

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Luigi Ghirri, Modena 1973. Copyright: Eredi di Luigi Ghirri

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Sicuramente Ghirri era a contatto con amici artisti di area concettuale come Franco Vaccari, Franco Guerzoni e Claudio Parmiggiani, (solo per citarne alcuni) che hanno favorito in quest’uomo di formazione geometra, la presa di conoscenza di concetti fondamentali dell’arte contemporanea. Questo non è sufficiente a spiegare quella che dal mio punto di vista, è l’opera fotografica più importante mai compiuta sul tema del paesaggio. C’è il fatto, che per altro non posso dimostrare non avendolo conosciuto, che Luigi Ghirri era dotato di una sensibilità originalissima, tanto che attraverso le sue innumerevoli fotografie e riflessioni teoriche ha contribuito a cambiare radicalmente la cultura fotografica, soprattutto in Italia.

Permettendomi di interpretare l’iter successivo ad Atlante, mi sembra che Luigi sia entrato in quello spazio che fino ad un momento prima aveva osservato e fotografato dall’alto. E abbia iniziato un lungo vagabondaggio attraverso il mondo, come se avesse sostituito uno dei due protagonisti del film Nel corso del tempo di Wim Wenders. Sempre alla ricerca di quelle figure e di quegli scenari evocati da Dylan in canzoni come Desolation Row, da fermare con la fotografia.

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Luigi Ghirri, Modena 1973. Copyright: Eredi di Luigi Ghirri

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Me lo immagino con la sua fotocamera montata sul cavalletto davanti a luogo qualsiasi intento a inquadrare quella porzione di spazio dove s’intersecano mondo concreto e mondo delle rappresentazioni. Riuscendo infine a individuare un interstizio tra queste due dimensioni da cui s’intravede lo spazio infinito della complessità.

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Davide Tranchina è nato a Bologna nel 1972. A partire dal 1999 espone in gallerie d’arte contemporanea e spazi pubblici in Italia e all’estero. Le sue immagini sono presenti in pubblicazioni sulla fotografia contemporanea italiana e internazionale. E’ uno dei vincitori dell’edizione 2010 del Premio Terna O3 per l’arte contemporanea. Dal 2006 tiene il corso di Direzione della Fotografia presso il Biennio Specialistico di Fotografia dell’Accademia di Brera a Milano. Dal 2009 insegna Fotografia all’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo. Vive e lavora tra Bologna, Milano e Bergamo.