INVISIBILE
Bestiario. La struttura ibrida dell’invisibile
di VVVB

Tecnica mista su cartoncino; 10×15, 2012; Courtesy VVVB

I Dispositivi giuridici hanno formulato complessi meccanismi nei quali il termine manipolazione è stato connotato come valore persuasivo e come strumento negativo di ibridazione. Ribaltare questo aspetto negativo significa formulare un dispositivo in cui l’ibrido rispecchia il continuo mutare delle società.
L’ibrido è un paradosso ontologico che apre a una ‘natura terza’ lì dove sono presenti confini e barriere nette.
Crediamo sia importante recuperare la metodologia del bestiario antico per rovesciare la stessa metodologia e dimostrare come sia stata usata per collocare simbolicamente nella zoosfera tutti quegli atti di ibridazione morfologica e culturale, presenti nell’antroposfera e ritenuti negativi.
La classificazione strumentale del visibile, che cristallizza una physis e caratterizza l’ibridazione come fatto deprecabile, corrisponde al potere di costruire stereotipi che agiscono nell’immaginario con forze invisibili ma presenti. La forza di rappresentazione che parte da un dato visibile sconfina in dati invisibili che tornano attraverso l’immaginazione nella sfera del visibile; questa corrispondenza è il frutto di una forza parallela che controbilancia fatti culturali tangibili. Al posto di una classificazione del ‘reale’ proponiamo dunque un bestiario mobile, una meta riflessione destinata a porsi come punto di indagine tra l’immaginario e la materia, l’invisibile e il linguaggio, la fisica e l’antimateria.
Quattro ‘bestie’ e quattro testi, tratti dal nostro bestiario, in una sorta di ecfrasis che connette l’immagine visibile/ inverosimile/ immaginaria con diverse metodologie di scrittura.

Matita su carta, 10×15, 2012; Courtesy VVVB.

Matita e inchiostro su carta, 10×15, 2012, Courtesy VVVB.

Coniglio Sparatore

Nei moderni nostri tempi
modernar si deve anche il bisogno.
E come al razzo s’arrivò dalla macchina a vapore,
oggi mutò la bestia in cacciatore.

Sia posto ivi il caso mio
di sparator coniglio
che di fiere e di trofei la tana ho adorna,
poiché più non mi scontorna lo periglio.

Tanto men radice o tubero m’assilla
da quando fui padron di tecnica e di fuoco.
Col piombo nutro l’armi mie
e col selvàme sazio la papilla.

Assunto tal percorso d’avanguardia
il ferin senso m’abbandona mano a mano,
e per stanar gustose belve, dunque, m’ausilio
non di levrier, né bracco, ma di nano.

“Nano da punta fidelissimo,
esemplar di razza acuta!”
rumorava lodi lo mercante, di quell’infima creatura
dopo avermela venduta.

Non tardo si rivela futile l’acquisto
dell’umano puntator torpido e fiacco
di leve corte a guisa d’inseguir manicaretti,
immobili pietanze e cose morte.

E quando fiuta cosa viva, meraviglia!
Ma poi speranza vana e più maggior fastidio,
punta una nana!
E a me contraria il nanicidio.

Ma nei moderni nostri tempi
modernar si deve l’appetito.
E al nano imbelle e guasto è garantito
che sarà lui il mio pasto.

Biro e matita su carta, 10×15, 2012, Courtesy VVVB.

Fungoronte

Sebbene molti etologi in passato l’abbiano considerato come un anello di congiunzione tra il regno dei funghi e il regno animale, oggi, grazie a nuovi studi di biologia e ricerche sul campo, possiamo affermare che il fungoronte è piuttosto un “incidente” genetico. Si tratta propriamente di un’incidenza, di una corrispondenza tra generi e non di una tappa evolutiva intermedia.
Più spesso di quanto siamo abituati a credere, la Natura non agisce per gradini, ma preferisce procedere per libere associazioni. Di ciò il fungoronte ne è un esempio lampante.
Questo strano quadrupede è solitamente di dimensioni contenute, la sua piccola taglia corrisponde all’incirca a quella del suo lontano parente, il gesuitopotamo australe, anche se in alcune zone interne del continente si dice siano stati avvistati degli esemplari della grandezza di un capibara. Il fungoronte abita prevalentemente i boschi di conifere e latifoglie e ne esistono infinite sottospecie e varietà, della cui catalogazione gli studiosi si stanno occupando ormai da diversi anni. Questo animale presenta numerose peculiarità, come facilmente lascia intendere la sua natura ibrida. Ad esempio, il suo unico senso è la percezione della temperatura. Il fungoronte è del tutto privo di vista, udito, gusto o olfatto. Persino il tatto viene percepito da questa specie come un aumento della temperatura sulla superficie del suo corpo. Caratteristiche principali del nostro animale sono la forte attrazione verso le alte temperature e la totale repulsione per il freddo. Non di rado, infatti, è possibile trovare decine di carcasse carbonizzate di fungoronti, tutt’attorno ai residui di falò accesi da ignari turisti, o addirittura diverse centinaia nelle aree colpite da incendi. Nonostante tali immagini possano apparire catastrofiche agli occhi dei più inesperti, in realtà questo animale trae un enorme piacere sessuale dal contatto col calore del fuoco, tanto da godere intensamente persino della sua morte. L’unico senso termico che possiede gli impedisce di provare qualsiasi forma di dolore. Sulla natura di questo comportamento si sono interrogati per anni i più grandi luminari della biologia contemporanea, ma solo oggi la comunità scientifica ha potuto formulare delle teorie plausibili. La svolta è stata scoprire che la testa di fungo di questo animale è anche il suo organo genitale. Ciò ha portato a pensare che il calore, facendo aumentare l’intensità dell’energia elettrica che arriva al cervello, favorisca così la produzione di spore. In questo modo è possibile spiegare l’eccitazione del fungoronte in presenza di un aumento di temperatura. Non solo il fuoco, infatti, ma anche un urto, una mutilazione (anche mortale), un qualsiasi contatto, persino il semplice camminare stimola in questo singolarissimo animale il rilascio di una proporzionale quantità di spore. Si può dire che esso si riproduca continuamente e che il suo massimo godimento sia il proprio decesso.
Non avviene lo stesso però quando la temperatura attorno al fungoronte si abbassa. E’ letteralmente terrorizzato dal freddo e se ne tiene sempre alla larga. Non lo si troverà mai nei pressi di un corso d’acqua o a quote troppo elevate. Se riguardo all’attrazione verso il calore siamo riusciti a dare una spiegazione , quest’ultima attitudine invece rimane pressoché misteriosa. D’altronde è un dato assolutamente rilevante, alla luce del fatto che ogni inverno, in massa, i fungoronti muoiono dalla paura a causa del clima rigido. Si potrebbe quasi parlare di estinzione improvvisa, se la morte per loro non fosse l’ennesima occasione per riprodursi e depositare le proprie spore nel terreno. Eppure, da un punto di vista fisico, il freddo non rappresenterebbe alcun problema per questi animali, peraltro dotati di pelliccia. Sembra strano, ma proprio per questo motivo non siamo in grado di stabilire quale sia l’età media dei fungoronti, giacché il loro è sempre un decesso prematuro, rispetto ai tempi biologici. Dobbiamo accontentarci di dire che vivono soltanto durante la stagione autunnale, dal momento che in inverno, in primavera e in estate le spore trascorrono, protette dal terreno, tutta la fase di sviluppo che le porterà alla loro forma definitiva. Alcuni studiosi credono che questa specie percepisca il freddo come un immenso vuoto, un vero e proprio oblio. Per adesso questo aspetto rimarrà un grosso punto interrogativo.

Come abbiamo visto in precedenza, nel fungoronte uno stesso organo può svolgere contemporaneamente funzioni diverse e talvolta antitetiche. E’ il caso del loro sistema nutrizionale. L’alimentazione dei fungoronti è costituita principalmente da sali minerali e vari composti chimici presenti nel terreno, come acidi e sostanze alcaline. Tuttavia, la particolarità sta nel fatto che questi quadrupedi si nutrono attraverso l’ano. L’incredulità, nonché l’imbarazzo degli studiosi che per primi si occuparono delle abitudini alimentari di questo animale, dovette presto lasciar spazio alla meraviglia e all’ammirazione. Quando osserviamo il funzionamento dell’apparato digerente di questa specie, ci troviamo davanti a un vero e proprio capolavoro della natura, un esempio perfetto della coesistenza di caratteristiche micotiche e animali in un’unica creatura. Infatti, il fungoronte, pur avendo la postura orizzontale dei quadrupedi, mantiene la verticalità tipica delle funzioni biologiche dei funghi. Per questo motivo la nutrizione e l’espulsione delle tossine avvengono contemporaneamente quando l’animale, adagiato sulle due zampe posteriori, mette in contatto il suo sfintere anale, unico orifizio del suo corpo, col terreno. A questo punto si aziona il potentissimo metabolismo del fungoronte che, non appena estratte le sostanze nutritive dal terreno, quasi istantaneamente separa gli elementi utili al proprio organismo da quelli inutili o nocivi, rigettandoli nel suolo. E’ un processo di sintesi complicatissimo, che avviene in poche decine di secondi per tre o quattro volte al giorno.
Un altro aspetto che merita di essere esaminato, se si vuole capire meglio la vita di questo prodigioso animale, è quello della socialità. La vita sociale dei fungoronti praticamente non esiste. Questo perché, come sappiamo, il fungoronte è in grado di percepire solo le temperature, dunque gli è impossibile instaurare un qualsiasi contatto con altri esemplari della sua specie, sia di natura visiva, che olfattiva o uditiva. L’unico incontro tra due animali è possibile per via tattile, ma abbiamo visto che anche il tatto viene percepito come variazione di temperatura. Per fortuna ciò non comporta alcun problema dal punto di vista della riproduzione, poiché il fungoronte è un animale sessualmente autonomo.
Tutto questo non può che portarci a sostenere la seguente tesi: il fungoronte, non solo non è un animale sociale, ma è l’unica specie che può fare totalmente a meno dei propri simili, dal momento che per lui semplicemente non esistono. Questo animale, dunque, conduce un’esistenza tanto sessualmente appagante, quanto sostanzialmente isolata. Ed ecco che inevitabilmente dobbiamo imbatterci nella domanda forse più importante di tutte, il quesito che ogni volta accende gli animi degli studiosi, durante i più importanti convegni internazionali sull’argomento. Se il fungoronte non può giungere a una percezione di sé per mezzo di dinamiche di identificazione/distinzione nei confronti di altri esemplari della medesima razza, come avviene in lui tale consapevolezza?
Secondo la scuola di pensiero occidentale, il fungoronte ha una percezione binaria della realtà, in cui esiste esclusivamente un interno ed un esterno, ovvero se stesso e poi, genericamente, il mondo. Questo rapporto sarebbe definito soltanto dalla ricezione dello stimolo termico, necessariamente “esterno” all’animale. Benché questa teoria abbia per molti anni trovato ampio sostegno da parte della comunità scientifica, recentemente diverse ipotesi alternative stanno riscontrando sempre più consensi. La più autorevole di queste, meglio nota come Interpretazione Orientale, sostiene che il fungoronte abbia una percezione totalizzante, dal momento che l’animale potrebbe sentire le temperature, non come stimolo esterno, ma come impulso interno. Se così fosse, nella percezione del fungoronte il sé e il mondo coinciderebbero, e di conseguenza, forse, si potrebbero diradare le incertezze riguardo all’inspiegabile paura del freddo. Per ora il dibattito resta aperto.

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Biro su carta, 10×15, 2012, Courtesy VVVB

Troncocervo

Del troncocervo nulla si sa
se non che è tronco
e anche cervo.

Molto si dice sul suo conto,
molto ancora verrà detto,
ma di nulla veramente si è certi.

Persino il troncocervo medesimo
nulla di sé conosce, se non che è tronco
ma anche cervo.

Che mistero
un siffatto animale
che insieme è e non è!

Cosa mangerà?
In che modo ama?
Cosa sogna?

Potremmo immaginare
che, in quanto tronco e anche cervo,
si nutra dei suoi muschi e dei suoi licheni,

e che magari questi crescano
ovunque sul suo corpo,
poiché il troncocervo è sempre a nord di se stesso.

E che in amore soffra tanto
perché non amato
né dai tronchi, né dai cervi.
Può darsi che esso ami
altrettanto tronchi e cervi
d’ogni razza e specie.

E forse nei suoi sogni
sogna tronchicerve e licheni saporiti,
oppure sogna d’essere solo tronco o solo cervo.

Si riproduce,
nasce, muore,
come tutti? Chi può dirlo?

Che sia immortale?
E se dalle sue corna
germogliassero frutti?

Quale prodigioso animale sarebbe questo
che bruca se stesso
e, solitario, da se stesso nasce…

A lungo potremmo fantasticare,
ma nulla sapremo mai del troncocervo,
se non che è tronco e anche cervo.

Matita su carta, 10×15, 2012, Courtesy VVVB

Lapiscaria Cacciatrice.

Oh, leggitor di quoqua funa, velar non potti, al solco punto, il peggior conto d’onimale di tutto il nimaliere. Mi dispienta di vocarti un sì malstizio patio, ma coscienziare devi  che gli onimali non son di tutti rosei e fiordi, ben solunque anche nimalo di cupezza e mattatoio.
E in espicace fatto ti recenso la più sangularia delle bestie, la lapiscaria cacciatrice.
Il solinomio ti ghisa l’umor negli scoletti! Oleastra, borbaginosa creatura. Immonda si slevra gli sparugli e fetulanti crocchi si enfiano losi dalle nuspule. Né lumi v’espano, né globuli. Nel brumo scolorar dello sceano ella s’accucchia, strovìna e fornicola mille altre e similarie figlie. E cosa assai più trama è che non tonni, né pèscioli o folpetti si mastisce. No, è l’òmino il suo panzo prefolito! Ora, taluno può arguziare che vasterebbe tenersi adornati dallo sceano  per protelare le cutenda. Ornò, responso, poi che la lapiscaria ben s’acciabatta sul seccume. Niuno uomano pote scapolare! Ella ti noschia fin da trigliaia, forse frilioni di paschi, ti scuffia e ti sconza nell’accucchio, ove che sia.
A chel ponzio, leggitore, t’ho lacrimato assai, perché lapiscarie l’òmino spanzano ancora vivio e calumante! Ella, avanzi, ti sbigola l’ortatura, melzo dopo melzo. Seguitando, principia a crapolare lo stivame con orrenda festizia, e ti costringe a lumirare, poi che sei brancolato e nulla puoi. E allora recide pestilente ad arognarti tutto, e tu stipiti, stipiti e ti rimesti nel tuo mermo. Ti tramena il mollume fino a farti decretare dallo spaurame.
Sei un fordello di cagni ormai, untuoso del tuo stesso lerfo, ma puoi per giunco coscienziare talquando! Lei, però, non ha finizio. Ti caverà le numazioni, ancona e ancona e, dopo averti vermato lo sfinterno, si masserà, cafra, sulle tue rimanenze.
Ouàddati, òmino, dalla lapiscaria.

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VVVB nasce a Bologna nel 2011 come gruppo di artisti anonimi. Alla base di quest’idea vi è la necessità di creare un sodalizio intellettuale, senza una connotazione ideologica specifica, tra persone che lavorano nel campo dell’arte. Di conseguenza VVVB è un gruppo aperto, che accoglie di volta in volta le proposte e i progetti di diversi artisti e curatori. Questo modus operandi consente, sia di rispettare le personali ricerche artistiche di chi aderisce al gruppo, sia di creare operazioni stilisticamente ibride e libere dall’esigenza (spesso imposta) della “riconoscibilità”. In qualche maniera VVVB rivendica la possibilità che l’arte venga percepita e vissuta a prescindere dalle etichette, inoltre promuove lo scambio e il confronto tra le idee. VVVB viene inizialmente ideato da un gruppo di amici, dopo aver frequentato assieme l’Accademia di Belle Arti di Bologna e dopo aver avviato una serie di collaborazioni artistiche, concretizzatesi nelle seguenti mostre collettive: Mostra “Sei per uno” – ArteFiera Off – Bologna, Gennaio 2010; Galleria Spazio Fisico – Modena ,  Febbraio 2010; Associazione Culturale Civico 32 –  Bologna,  Marzo/Aprile 2010; Notte degli artisti – Ravenna, Maggio 2010..