Sensory Hiatus
La Transesperienza nelle opere di Chén Zhēn陈箴
Un corpo pensante e un pensiero emozionale
di Aurora Vivenzio

Il corpo pensa. Non è una macchina, non è un sistema isolato.
Ha una sua memoria, prova delle emozioni che controllano il nostro pensiero e viceversa. Esso si rapporta ad uno spazio ed è ad esso interconnesso. I sensi sono il solo veicolo con il quale il corpo si apre alla realtà e ne fa esperienza. La modifica e ne viene modificato. Questi concetti erano già noti da molti secoli alla cultura cinese: essa però in buona parte della sua produzione artistica, come quella occidentale, ha privilegiato un unico senso, ovvero la vista. L’unico in grado di analizzare oggettivamente la realtà, secondo la cultura occidentale, diversamente dal valore assunto in quella cinese.
La sede del pensiero e dell’emozione, però, è il cuore («xīn» ) e non l’occhio.
La vista, infatti, è uno strumento che interagisce e rappresenta il mondo fenomenico e che passa attraverso una sintesi interiore che l’artista ne fa. Pertanto, risulta essere un mezzo in grado di cogliere e riprodurre il ritmo e la dinamicità che sottende la realtà, prestando attenzione alla comunicazione delle emozioni e alla funzione piuttosto che solamente all’aspetto cognitivo del mondo fenomenico. Ciò avviene attraverso delle linee sintetiche e sinuose che descrivono le forme degli oggetti, in una composizione che si legge da diverse angolazioni prospettiche. Questo proprio perché viene sotteso il concetto che l’esperienza che ogni uomo fa del mondo fenomenico è relativa e mai assoluta, ovvero non esiste un solo punto di vista per guardarla e rappresentarla1.
Come afferma il poeta e calligrafo Shí Tāo2(石涛): “La pittura è un’esperienza di esplorazione non soltanto visiva, ma anche tattile, uditiva, sinestetica, un’esperienza di ambientamento, nel senso che il pittore si fa tutt’uno con il paesaggio, con il mondo che lo circonda; si riconosce con esso, attraverso di esso. Ambiente è ciò che circonda il pittore, ma non gli resta esteriore, estraneo; l’uno e l’altro si compenetrano, si completano”3.
Nel campo dell’arte contemporanea, grazie all’avvicinamento dell’occidente alla Cina ed alle nuove possibilità tecniche e tecnologiche a disposizione, i sensi “trascurati”, da entrambe le culture, cominciano ad assumere un ruolo determinante nella comprensione di molte opere. Proprio per la loro natura evocativa ed emozionale questi sensi diventano nuovo terreno d’indagine nella produzione dell’artista cinese contemporaneo Chén Zhēn陈箴. Un artista di origine cinese trapiantato in Francia, che attraverso il suo lavoro riesce a conciliare e ad individuare i punti di comunione e di divisione tra la cultura cinese e quella occidentale.
Una parte della produzione delle sue opere, come egli stesso le definisce, sono delle “transesperienze”, degli spazi che uniscono esperienze differenti, di culture diverse, ponendosi come un sistema aperto al confronto ed allo scambio. In esse lo spettatore non viene solamente invitato a muoversi con lo sguardo, ma è posto nella condizione di reagire con tutti i sensi che fungono da veicolo per comprenderne i messaggi politici, sociali ed ambientali che sottendono.

Installazioni come “Le produit naturel/Le produit artificiel” del 1991 (Fig.1), esposta a San Gimignano, Collezione Galleria Continua, è un’opera che nasce in origine da un progetto della città di Parigi che invitò dieci artisti a intervenire in altrettanti giardini della capitale francese. Il lavoro si compone di una grande struttura rettangolare disposta in verticale (che ricorda un’antica stele) dove sul lato destro c’è dello sterco e su quello sinistro sono conficcate millequattrocento rose rosse di plastica. Così facendo il fruitore percepisce l’odore acre del letame e di riflesso si ritrae dall’avvicinarsi all’opera, rifiutando il “prodotto naturale”, anche se attratto visivamente dalla bellezza delle rose di plastica. La vista può essere ingannata, ma gli altri sensi no. Attraverso quest’esperienza fisica ed emotiva, l’artista veicola diversi messaggi prettamente legati alla sua cultura: a livello estetico sia il “bello” che il “brutto” sono connessi tra loro, sono le facce della stessa medaglia, come ogni cosa in questo mondo4.

 L’uomo è un essere legato al suo spazio ed al suo tempo storico e sociale, impensabile sarebbe credere che esso non influenzi e non ne venga influenzato.
Collocando, quindi, uno specchio al centro della stele, che nella sua configurazione ricorda anche le corone di fiori che si trovano nei funerali in Asia, si viene a creare un paradosso percettivo. Lo spettatore viene costretto a riflettere sugli atteggiamenti contraddittori che il mondo odierno manifesta, come l’inquinamento ambientale in cui l’uomo sta costruendo una bellezza fittizia e nociva per la sua esistenza stessa, facendosi intorno terra bruciata. Il concetto di uomo come essere nel suo tempo e nel suo spazio, e come tale ubicato in un presente storico dove afferma la sua esistenza, è presente anche in altri suoi lavori percettivi come “Le Jardin mémorable”(Fig.2).  Essi sono una serie di pannelli in bronzo disposti, a mo’ di leggio, su supporti e che recano, a basso rilievo, vedute di idilliaci giardini con incastonati padiglioni e residenze. C’è una tale ricercatezza tecnica in queste lastre che ricorda i blocchi di Giada minutamente intagliati con medesime scene e vedute, dove la natura viene addomesticata nella dimensione di giardino (o come nelle mitiche dimore degli intellettuali della dinastia Táng(唐朝)5). Anche se quest’opera vuole operare un chiaro richiamo alla conciliazione, alla meditazione e alla generosità dell’uomo con il mondo, i blocchi in marmo tattilmente contrastano con il calore e la dinamicità dell’opera. Infatti ad un mondo dinamico, in continuo fluire e “caldo” si contrappone la freddezza, l’eternità, il distacco, l’eternizzazione, la fissità del monumento in marmo.  Di nuovo attraverso la percezione tattile si crea una sinestesia con l’armonia visiva e compositiva nel paesaggio delle lastre.
Rialzate su di un leggio di ferro, sembrano aver astratto una parte di noi stessi.
È, infatti, come vedere il proprio nome scritto su di una lapide.  Così Chén Zhēn(陈箴) ci pone davanti la nostra madre (la natura) e ci invita a riflettere sul fatto che essa non vada solamente contemplata, perché noi non contempliamo un corpo vivo, ma ci invita a prendercene cura, perché componente indispensabile della nostra esistenza.

Fig.1
Chén Zhēn(陈箴), Le produit naturel/Le produit artificiel, 1991, materiali vari, 297 x 170 x 55 cm.
San Giminiano, Collezione Galleria Continua. Foto di Philippe Fuseau.

Fig.2
Chén Zhēn(陈箴), Jiardin mémorable, 2000, bronzo, metallo, 130 x 120 x 120 cm ciascun elemento, installazione in “Art grandeur nature”, Parc départemental de la Courneuve, Francia, 2000.
Courtesy Conseil général de Seine-Saint-Denis, Direction de la culture, de la jeunesse et du sport. Foto di François Poivret.

Il gioco delle sinestesie percettive attraverso la scelta dei materiali, è presente anche in altri lavori come “Crystal Landscape of Inner Body”(Fig.3). Forse questo è uno dei lavori che meglio esemplificano il concetto di corpo in Cina. Prescindendo dal dato biografico dell’installazione (che rappresenta il corpo debole e fragile dell’artista colpito dalla leucemia già dall’età di 25 anni), l’opera si compone di un tavolo operatorio in vetro e degli organi in cristallo. Secondo la teoria Zàng-Fu, il nostro corpo risulta costituito da organi pieni (脏 zàng): cuore, polmoni, reni, fegato, milza e pancreas; e organi cavi (Fǔ腑): intestino, stomaco, vescica, colecisti. I primi sono quelli “principali” che fungono da punti nodali per il funzionamento complessivo del corpo ed i secondi sono quelli più interni, detti “trasportatori”. Essi sono fondamentali per l’accumulo e l’immagazzinamento delle sostanze. Considerati nella cultura occidentale come organi secondari, contrariamente a quanto ritiene la cultura medica cinese, vengono da Chen volutamente slegati dal loro contesto e messi in mostra come meccanismi di una macchina che hanno perso la loro funzione per mostrarci e farci riflettere che tutto è interconnesso e che ogni parte compone un tutto. Esposti come gioielli, divengono oggetti inermi e privi di vita, dei cadaveri fragili, incapaci di adempiere alla loro funzione. La sinestesia che se ne crea a livello percettivo, come per le opere di Canova, illude ulteriormente i nostri sensi. Infatti, alla morbidezza, porosità, spugnosità degli organi, caldi e dinamici viene accostato un materiale freddo, fragile, duro, inerte e trasparente come il cristallo. Si crea un corto circuito visivo e percettivo, con il quale l’artista riesce abilmente a veicolare un chiaro messaggio politico e sociale, oltre che autobiografico; ovvero che ad oggi il nostro corpo è vulnerabile e che nel campo della medicina occidentale viene sezionato, indagato pezzo per pezzo, isolato dal suo contesto, che a sua volta viene sempre più sfruttato ed avvelenato dal sistema circostante.

Fig.3
Chén Zhēn(陈箴), Crystal Landscape of Inner Body, 2000, cristallo, metallo, vetro.
Galleria Continua, San Gimignano, Italia. Courtesy Galleria Continua. Foto di Ela Bialkowska.

Nell’installazione “Table de diagnostic”(Fig.4) si ripete lo stesso concetto. L’artista ha posto dodici bacinelle chirurgiche su un banco ospedaliero, come a suggerire processi industriali di smembramento e cieca divisione del corpo.

Fig.4
Chén Zhēn(陈箴), Table de diagnostic, 1994,  metallo, plâtre, alluminio, acqua. 60 x 160 x 60 cm. Vue: «Elogio della Magia Nera – In Praise of Black Magic – Éloge de la magie noire», GAM, Torino, 2000. Collection particulière, Paris.

Il sincretismo tra l’uomo e lo spazio, abbiamo visto esser uno dei punti saldi del pensiero cinese che oltre a rispecchiarsi nella produzione pittorica (山水 Shān shuǐ6) è una costante presente a partire dalla costruzione delle case e delle città nell’antico Impero Celeste. Infatti, la costruzione delle città, come per le urbs romanae, aveva una struttura ad opus reticolatum con una serie di cardini e decumani che seguivano lo stesso modello regolare, quadrato o rettangolare, circondato da mura e fossati retto internamente da un intricato sistema di stradine parallele e trasversali tra loro. Le differenze stanno alla base di queste realizzazioni: il Zhōng huá mín zú (popolo cinese) parte da una concezione regolare della vita e della società, che va ad integrarsi ai luoghi vissuti e alle relazioni con gli altri. C’è un continuo gioco d’alternanza tra il colore bianco ed il nero e di chiasmi. Le strade dei centri storici delle città sono sempre diritte, non esistono curve o svolte improvvise, solo percorsi chiari ed incroci ben definiti. Le vie sono spesso delimitate da alte mura bianche che costituiscono il perimetro delle abitazioni, solitamente prive di aperture se non quelle indispensabili degli accessi. Questo perché secondo la concezione del fēng shuǐ7 (风水) le mura disposte verso nord senza finestre proteggevano dai venti freddi, mentre quelle disposte a sud favorivano l’esposizione alla luce, venendosi a creare un ambiente confortevole ed accomodante. Inoltre giocano anche su concezioni di carattere spirituale. Infatti, si credeva – si crede ancora – che gli spiriti seguano sempre vie dritte e mai trasversali nel loro cammino e che bisogna evitare che stanzino nelle case. Ragion per cui, le porte delle abitazioni dei cortili erano sempre disposte lateralmente. Anche questo atteggiamento rimanda al Rújiā (儒家)8: l’abitazione è l’individuo, la città è la società. Se le strade e le vie sono diritte vuol dire che le relazioni fra i suoi abitanti devono essere ben regolate come la maglia a scacchiera della città. Le scarse finestre stanno ad indicare la poca permeabilità che deve esserci fra gli individui, la limitazione di relazioni troppo dispersive. Se il rispetto per tutta la società partiva dal rispetto tra familiari, allora la casa era il simbolo della famiglia stessa ed era al suo interno che si svolgevano le relazioni fra i propri componenti e parenti. Questo non significava che le amicizie fossero vietate, ma queste avvenivano all’interno degli edifici, solitamente nei cortili o in sale appositamente organizzate per gli ospiti e per gli incontri. Fuori dalle dimore, un dedalo di canali e strade, percorsi per motivi lavorativi o professionali, un labirinto di alti muri bianchi e incroci deserti. In questo primo periodo dell’Impero Celeste, notiamo che non esiste il concetto di piazza, tipico delle città europee. In una corrente pragmatica ed individualistica – senza accezioni negative – la gente non aveva il bisogno (e, in epoca maoista, nemmeno il diritto) di riunirsi in grandi masse nei luoghi pubblici, tantomeno potevano farlo per esprimere la propria opinione. La vita sociale avveniva solamente all’interno degli edifici, in forma privata e discreta, specchio di una società che si difendeva dai continui attacchi dei barbari e cercava di mantenere una propria stabilità.

Nell’opera “Sacrificio nel pozzo del cielo”(Fig.5), 1993, installazione in “Devant le futur”, “Taejon Expo ‘93”, Taedok Science Town, Taejon, Corea del Sud, 1993”, il lavoro si colloca entro uno spazio compreso tra una banca, un museo, una chiesa e un supermercato, dove l’artista ha posto un campione di rifiuti prodotti dalla società moderna industriale: su tutto domina il bianco, colore della morte e del lutto in Cina. L’opera contiene un esplicito riferimento all’architettura tradizionale e vernacolare cinese, che presenta il nucleo abitativo della casa, disposto attorno a una corte centrale aperta verso il cielo, nota come 天井 tiān jǐng, il “pozzo del cielo”. La funzione non era soltanto pratica, ovvero un punto di raccolta delle acque piovane o utilizzata per la ventilazione degli ambienti, ma anche rituale in quanto richiamo al “vuoto” della tradizione taoista. Gli ambienti domestici, inoltre, costituivano lo spazio occupato dall’essere umano e compreso tra la terra sottostante e il cielo soprastante. Era, insomma, un microcosmo che funzionava a dovere, con profitto anche per chi lo abitava, grazie all’armonica integrazione tra tutte le forze che lo comprendevano. Chén Zhēn(陈箴) ci ricorda che questo vuoto si è rotto, che oggi tutto è sostituito dai rifiuti e che in questo modo si giunge alla morte.

Fig.5
Chén Zhēn(陈箴), Sacrificio nel pozzo del cielo, 1993, gesso, acrilico, tela, oggetti vari, 450 x 800 x 1200 cm, installazione in “Devant, le futur”, “Taejon Expo 93”, Taedok Science Town, Taejon, Corea del Sud, 1993.Courtesy Frankfurter Kunstverein & Schirn Kunsthalle. Foto di Wolfgang Günzel.

Oltre Chen anche altri artisti cinesi hanno posto un’attenzione sempre più precisa ai materiali da utilizzare ed al loro potenziale percettivo. Ad esempio, nel video “Mr. Sea” (Hǎi gōngzǐ《海公子》) di Gěng Xuě 耿雪(Fig.6) ,il materiale che viene usato è la porcellana che appartiene alla storia della cultura artistica cinese. Gěng Xuě 耿雪 privilegia questo materiale nelle sue opere proprio in virtù delle sue caratteristiche di resistenza, robustezza, purezza, risonanza, affascinata dalla ricchezza delle trasformazioni che questo materiale può subire. “Mr. Sea” è un cortometraggio tratto da 《聊斋志异》Liáo zhāi Zhì yì, un classico della dinastia Qing scritto da 蒲松龄(Pú Sōng líng)9. Il libro è una raccolta di racconti soprannaturali molto conosciuto in Cina. L’artista riprende il racconto “Uccidere il serpente” che narra di una storia onirica, quella di un giovane esploratore che raggiunge la costa di un’isola misteriosa e cade in una spirale di passione e morte in qualche modo analogo al mito occidentale di Ulisse e le Sirene. Simulata da dei burattini di porcellana immersi in una foresta di fumi e di acqua. Sia gli dei che il protagonista sono interamente di porcellana, sulla quale scorre dell’acqua mista di vapori ed il tutto immerso in un paesaggio etereo e cristallino. Tattilmente la porcellana richiama alla freddezza, la bellezza, l’eleganza, l’idea di possedere qualcosa che si potrebbe subito perdere; è la rappresentazione della materia dell’immaterialità. Il senso della vitalità viene data ai personaggi grazie proprio allo scorrere dell’acqua, simbolo dello scorrere del sangue e della vita dell’uomo. Quella stessa acqua che galleggia nel lavoro di Chén (陈), le “Jardin lavoir” (Fig.7). L’opera si compone di un ampio ambiente con le volte a vela, simile ad una cripta, e da una serie di letti da ospedale senza materasso. Nei basamenti di questi ci sono: vestiti, bottiglie e bicchieri, libri, elementi elettrici, oggetti che sembrano sotto un vetro e che in realtà sono immersi nell’acqua. Sono oggetti freddi inerti ed immobili, come lo erano i pazienti che li hanno posseduti, ma che immersi nell’acqua assumono una vita, continuano ad esserci nella serialità del sistema ospedaliero che annulla l’uomo, trasformandolo in un numero, imprigionandolo in uno spazio angusto come un acquario. L’essere umano, retrocesso a uno stato semi-vegetativo, non può far altro che aggrapparsi ai suoi piccoli “oggetti di compagnia” e attendere che i composti chimici lavino via il suo male.

Fig.6
Gěng Xuě 耿,雪Mr.Sea,Hǎi gōngzǐ, 海公子, 2014, Video di 10 min 41 ‘, ZERO Art Center, Pechino, Cina.

Chén Zhēn(陈箴) è stato, insieme ad Ai Wei Wei (艾未未), uno degli esponenti del gruppo più aggressivo degli anni 80’, Gruppo Stars (Xingxing Meizhan)10 che proclamava che «gli artisti devono essere coinvolti nella società di cui fanno parte». Ogni artista è una star e la denominazione Gruppo Stars vuole peraltro enfatizzare la specifica individualità degli autori, vanificando quindi l’uniformità imposta dalla rivoluzione culturale. Quella volontà di rimanere veicolato al proprio tempo sociale e di esprimere le proprie emozioni, spinge la loro attenzione negli anni ‘90 verso la sperimentazione dell’occidente e delle sue nuove tecnologie. Più che diventare il risultato logico di un processo artistico come è avvenuto per l’Europa – dalla bidimensionalità del quadro, alla tridimensionalità della scultura, alla quadrimensionalità dell’installazione e della performance – l’uso dell’installazione e la performance diventa una nuova possibilità espressiva. Esso è un mezzo di rottura e di continuità con la rappresentazione artistica-pittorica che fino agli anni ‘80 era stata, per la Cina, l’unica forma espressiva predominante. I sensi “trascurati”, in questa modalità, hanno modo di esercitare la loro funzione non solo emozionale, ma anche cognitiva, aiutando a comprendere e a descrivere la realtà, senza bisogno di un linguaggio particolare, ma ridando voce e pensiero al nostro corpo.

Fig.7
Chén Zhēn(陈箴), Jardin lavoir, 2000, letti, metallo, legno, acqua, sistema idraulico, objets trouvés, 700 x 2000 x 1800 cm, Galleria Continua, San Gimignano, Italia. Foto di Cimaise & Portique.

Nella pittura di paesaggio, la prospettiva non ha, come in Occidente, un unico punto di fuga, ma è plurima. Essa è chiamata anche “delle tre distanze”: la “distanza profonda” (shēn yuǎn深远) dove l’orizzonte principale è collegato in alto e l’osservatore viene immaginato su un piano, con una visione a volo d’uccello; la “distanza elevata” (gāo yuǎn 高远) dove l’orizzonte principale è collegato in basso e lo sguardo dell’osservatore dovrebbe sollevarsi; la “distanza piatta” (Píng yuǎn 平远,) dove lo sguardo è indotto a spaziare dal primo piano all’infinito. Questo particolare uso della prospettiva permette all’occhio di muoversi liberamente dentro lo spazio e produce una grande dinamicità della composizione pittorica. L’artista ci invita a seguirlo nei sentieri, fino al bordo del fiume, a camminare nei villaggi, scomparendo dalla vista per un po’ per poi riemergere e trovarci su un ponte, contemplando l’immagine di una cascata d’acqua.
2 Shitao, nato Zhu Ruoji (朱若極T, Zhū RuòjíP) (石濤T, 石涛S, Shí TāoP, Shih T’aoW; 1642 – 1707), è stato un pittore e poeta cinese vissuto durante la dinastia Qing. Shitao è uno dei più famosi pittori individualisti del primo periodo Qing. La sua arte fu rivoluzionaria e apertamente trasgressiva rispetto allo stile dominante al tempo, teso alla riproposizione degli stilemi classici.
3Shitao, Sulla pittura, a cura di Marcello Ghilardi, Mimesis, 2009.
4 Questo spiegherebbe come mai in Cina ci sia un’idea dell’estetica del bello differente da quella occidentale. Partendo dal concetto molto semplice che «bello» non è ciò che è «buono», ma ciò che: ha stile, che suscita emozioni; quello che è morale ed è bella la calligrafia. L’interesse per il significato intrinseco delle cose è più importante delle rappresentazioni esatte di esse. La ricerca d’una verità unica ed indissolubile si coglie concretamente nelle singole situazioni. Ogni tentativo d’elaborare un quadro completo, non fa che impoverirne o travisarne l’infinita ricchezza che essa possiede. La verità è da ricercare all’interno delle persone, nella loro conoscenza innata. Non è bello il caso singolo. E non è la ricerca dell’aderenza al vero. Quest’ultimo non è idealizzato, non c’è l’intervento della ragione nella sua scoperta. L’estetica non può essere tramutata in una disciplina. Non la si può attribuire al bello estetico e non la si può scindere dalla sensibilità. Si creerebbe una progressiva astrazione dalla realtà, da quello che sono l’uomo e la natura, cioè dei fenomenici. Ciò detto spiegherebbe come mai, fin ai tempi piuttosto recenti, nella Terra di Centro non esisteva alcuna disciplina dell’estetica. Non è mai esistita una teoria del bello. Risultava strano, che potesse esistere un oggetto da definire «bello» ed un soggetto esterno che si limiti a guardare.
5 I giardini durante la storia della cultura Cinese hanno rappresentato dei microcosmi che potevano racchiudere, in una piccola parte, la grandezza del tutto e della natura. I giardini hanno il loro sviluppo durante la Dinastia Han, ma unicamente con la Dinastia dei Tang, questo luogo divenne rifugio per gli intellettuali che, concluso il loro incarico, si richiudevano in questi piccoli paradisi naturali per trovare ispirazione e riposo.
6 Shan shui è uno stile di pittura cinese che riguarda o raffigura panorami o paesaggi naturali, usando pennello e inchiostro in luogo di colori più convenzionali. I soggetti più ricorrenti in questa forma artistica sono montagne, fiumi e spesso cascate.
7 La Geomanzia è un’antica arte geomantica taoista della Cina, ausiliaria dell’architettura, affine alla geomanzia occidentale. A differenza di questa prende però in considerazione anche aspetti della psiche e dell’astrologia.
8 Confucianesimo.
9 Strange Stories from a Chinese Studio.
10 Gruppo nato nel 1979 all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Pechino e che fu protagonista di un’esposizione che costituì un feroce attacco all’ideologia maoista, declamando il proprio ruolo di outsider rispetto ad un’arte convenzionale. Il gruppo decide di allestire la propria mostra davanti alla National Gallery of Art, sede e veicolo dell’arte ufficiale. La polizia della Dongcheng Public Security Bureau intervenne annullando l’evento, appena due giorni dopo l’inaugurazione: il Gruppo Stars, per risposta, tenne una manifestazione pubblica il 1 ottobre, giorno del tredicesimo anniversario dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

Bibliografia

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Meccarelli M., A proposito di Lu Shoukun. Alcune considerazioni sulla pittura cinese degli anni ’60, tra il recupero della tradizione e la ricerca di internazionalismo nell’arte. Oriente, Occidente e dintorni, vol. IV. Napoli, L’Orientale, 2010.
Perlini G., I giardini cinesi dei letterati di Suzhou. S.r. Laurea Magistrale. Facoltà di Architettura e Società. Corso di Architettura 2012.
Pisu R., “Il drago rampante”, S.r. Editore Sperling & Kupfer, 2006.
Pisu R., “Mille anni a Pechino”, S.r. Editore: Sperling & Kupfer, 2008.
Sabatini E., Cambiamenti storici e caratteristiche epocali dell’estetica cinese. Corso di Laurea magistrale in Interpretariato e Traduzione Editoriale, Settoriale, Ca’ Fosca di Venezia, 2014.
Shitao, Sulla pittura, a cura di Marcello Ghilardi, Mimesis, 2009.
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Sitografia

www.academia.edu/6547129/Sviluppo_del_pensiero_estetico_nellarte_cinese
http://www.collezionedatiffany.com/arte-contemporanea-cina-1980-2017/
https://il-corpoumano.it/medicina-orientale-pensiero-terapie/
http://www.percorsibiosalute.it/index.php/agopuntura/21-percorsi-salute-individuali/agopuntura/227-l-igiene-del-corpo-emozionale-nella-medicina-tradizionale-cinese
http://www.percorsibiosalute.it/index.php/agopuntura/21-percorsi-salute-individuali/agopuntura/77-cefalea
http://www.kainowska.com/sito/chen-zhen-___-la-luce-interiore-dei-corpi-umani/

 

 

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Aurora Vivenzio nasce a Napoli il 03/07/1991. Nel 2016 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Napoli. È stata Cultore della Materia in Storia dell’Arte Contemporanea con la Prof.ssa V. Gravano; tutor e collaboratrice presso l’Ufficio Internazionalizzazione dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Attualmente è cultore della materia in Storia dell’arte Moderna con il Prof. A. Zanella, presso la stessa accademia e Presidentessa di un’associazione culturale universitaria tra Italia e Cina.