Italianità
Marinella Senatore. Le forme dell’effimero e la costruzione di comunità
di Serena Carbone

Marinella Senatore, Modica Street Musical – The Present, the Past and the Possible,  curated by Matteo Lucchetti, performance. Andrea Samonà.
Courtesy the artist and Laveronica arte contemporanea

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Per questo sbocciare di feste nella festa, la metafora può essere quella del fuoco artificiale: sempre
rinascente dal buio della notte in impreviste figure, fino all’inesauribile girandola finale1.

#1

L’idea di nazione – come ci ha insegnato bene Benedict Anderson2 – combina perfettamente il carattere sacro e il carattere secolare di una comunità. La sintesi di questa dualità fonde l’elemento verticale e trascendente che necessita di essere “avvinto”3 al divino e l’elemento temporale e orizzontale che ha una fine e un inizio nella corporeità umana. Ogni comunità fin dall’antichità ha i suoi loci sacri – spazi delimitati al cui interno valgono regole, ritmi e costumi altri rispetto a quelli della quotidianità. I templi e poi le basiliche ne sono un esempio: luoghi del sacro che occupano lo spazio dell’urbe ma che al contempo dall’urbe erano e sono distinti per una determinata architettura ed una funzionalità scandita da precipui rituali. Ma vi è un momento in cui gli steccati cadono e il sacer si mischia al vulgus: è la festa, nelle sue diverse forme di parata, processione, spettacolo, banchetto.
La festa è un fenomeno sociale che si iscrive in un microcosmo eteroclito di possibilità di evasione dalla vita ordinaria, è un momento di rottura del tempo lineare che introduce in un contesto ludico un universo simbolico in cui la trasgressione è comunque legittimata da regole. Questo universo simbolico funziona il più delle volte come una vera e propria cosmogonia, ovvero un atto di creazione che ciclicamente si ripete, aprendosi ad una comunità che collettivamente riscopre le sue origini, recupera la sua storia e rifonda la sua identità.
La festa come il gioco sono studiati oggi come dei fenomeni culturali, tra di essi “esistono dei rapporti intimi per forza di cose. La sospensione della vita solita, il tono allegro, dominante – ma non indispensabile – dell’azione (anche la festa può essere seria), la limitazione nel tempo e nello spazio, l’unione di severa determinatezza e autentica libertà: ecco i principali tratti comuni del gioco e della festa. Pare che nella danza essi raggiungano la loro unione più intima” – scrive Johan Huizinga4. Dunque, se accettiamo la definizione di Anderson della nazione come una comunità immaginata, un costrutto culturale frutto del processo creativo dell’immaginazione sociale, allora possiamo postulare anche che sia la festa come il gioco sono dei fenomeni culturali essenziali alla costruzione di comunità. Entrambi trasfigurano lo spazio ordinario e si basano su una forte componente performativa al punto che le arti visive contemporanee non hanno tardato ad appropriarsi di alcune dinamiche proprie a queste forme dell’effimero. Ma se tradizionalmente la festa assume spesso un valore politico – benché camuffato – in quanto dimostrazione attiva di un potere dominante, quando questa viene processata dalle pratiche artistiche (per quanto il valore politico permanga), essa tende a ribaltare il punto di vista ed a portare alla luce il potere creativo del popolo/pubblico grazie al dialogo tra storie individuali, culture collettive e strutture sociali.

#2

Le opere di Marinella Senatore5 mettono in scena uno spettacolo in cui le comunità si costruiscono e gli spazi sociali si ridefiniscono proprio come accade durante le feste. Il presente contributo mira ad analizzare la pratica dell’artista, portando come caso studio l’ultima opera: Modica Street Musical – Il presente, il passato e il possibile, a cura di Matteo Lucchetti, realizzata con il sostegno della galleria Laveronica a Modica il 6 agosto 2016; un musical itinerante in due atti e un intermezzo, interamente composta e interpretata con la collaborazione di oltre duecento abitanti della città siciliana in provincia di Ragusa, a cui si aggiunge la mostra dal medesimo titolo che è stata allestita nella sede della galleria fino al 13 ottobre. Nella pratica di Marinella Senatore si riconosce non solo il “festivo” in quanto fenomeno antropologico fortemente legato alla cultura popolare, ma anche la carica illusionista tipica delle forme dell’effimero, così come vengono definite da Maurizio Fagiolo dell’Arco le feste rinascimentali e barocche tipicamente italiane in cui artisti come Giorgio Vasari o Gian Lorenzo Bernini hanno rivestito un ruolo cruciale.

#3

“Non si scrive né per sé, né per gli altri. Si scrive per quel sé che coincide con gli altri”, annota Giuseppe Pontiggia6 e potremmo dire la stessa cosa dell’arte di Marinella Senatore che nella sua pratica è riuscita a congiungere il sé con gli altri in un processo creativo che, a scapito di tutte le teorie sulla rottura o sul détournement, trova il suo atto primigenio in un punto di incontro. Straripati gli argini del rapporto pubblico/opera ed opera/spazio, il suo lavoro innesca un’azione in cui è il corpo sociale ad essere al centro dello spazio.
L’artista ha una formazione cinematografica oltre che un’esperienza decennale nei contesti corali: dopo aver suonato il violino in formazioni orchestrali per anni, è arrivata sul set, l’ambiente dove ha potuto sperimentare pienamente il concetto di collettività. Al suo interno, infatti, nonostante ognuno abbia un suo ruolo e una propria mansione, resta comunque indispensabile al funzionamento dell’intero processo. Proprio questo tipo di vissuto e questa visione collettiva sono state alla base dei primi progetti partecipativi, sorretti dall’idea che dall’incontro di differenti individualità, attraverso l’azione creativa, potesse nascere una comunità altrimenti inesistente. Nella pratica di Marinella Senatore vengono coinvolte centinaia e centinaia di persone comuni, ognuna delle quali porta con sé la propria storia, la propria esperienza e il proprio talento che, una volta condivisi, divengono bagaglio di un’intera comunità. L’artista in questo processo è un catalizzatore ed un attivatore di energie, un regista di incontri, un animatore gentile di scambi e relazioni. Relazioni tra individui “avvinti” l’uno all’altro da un atto fondato su un dono. Un dono prezioso che non ha equivalenti in denaro, un dono prezioso che ha il valore del tempo, intangibile eppur corporeo quando fluisce in compagnia degli altri. Questa nuova comunità non solo si racconta ma riscrive i suoi spazi sociali, perché è proprio nelle piazze, nelle strade o nei musei (interno/esterno) che quest’esperienza si riversa aprendosi a nuove possibilità di interazione rispetto a quelle quotidiane.
La pratica di Marinella Senatore si struttura in tre fasi: prerealizzazione, realizzazione e postproduzione. La prima è dedicata all’indagine e alla narrazione poiché coincidente con l’approccio iniziale al territorio: individuati gli interlocutori (singoli ma anche associazioni o scuole) si passa al momento del racconto/conoscenza reciproca e alla costruzione della sceneggiatura. Successivamente vi è la messa in scena che può assumere diverse forme: parata, come al Castello di Rivoli nel 2013 in occasione della mostra «Costruire comunità», oppure opera per lo schermo in tre atti, come Rosas nel 2012 realizzata in quattro paesi differenti o opera lirica, come il lavoro fatto per Les Laboratoires d’Aubervilliers di Parigi, MétallOpérette o ancora musical, come nel caso di Modica. Infine, la terza ed ultima fase è la restituzione dell’accaduto:la postproduzione offre l’occasione all’artista di elaborare i dati e di riflettere sul materiale raccolto in modo che, una volta restituito sotto forma di video, film o installazione, possa trovare posto nell’esposizione che generalmente accompagna la performance quando la performance non c’è più, lasciando una traccia di quel che è stato. Un metodo dunque in cui quel che viene registrato non è qualcosa al di fuori di noi ma qualcosa che sta attraversando noi, il nostro corpo e il nostro spazio, perché arte è quel che succede mentre accade, perché arte è un “durata da sperimentare”7 che – in questo caso specifico – pone alle base della costruzione collettiva la conoscenza, e non solo in senso teorico. A livello linguistico il verbo narrare, infatti, porta in sé la stessa radice di conoscere: la narrazione è prima di tutto un atto di conoscenza tra due o più persone ma anche di sé stessi.

#4

Qui mi trovo e non posso altrimenti (Lutero).
La negoziazione degli spazi sociali insieme alla continua mediazione con la comunità sia dell’opera come dell’artista sono una costante del lavoro di Marinella Senatore. Un pamphlet del filosofo e storico russo Plechanov, di ormai più di un secolo fa, poneva il problema della funzione della personalità nella storia. Come è possibile che esistano grandi personalità che hanno la capacità di riscrivere la storia? Divinazione, magia, fato, intelligenza, astuzia. Non bastano. La storiografia marxista ha insegnato non solo che la storia non può essere concepita come una marcia costante verso il progresso, ma anche che una grande personalità può divenire fattore di sviluppo sociale laddove lo permettano i rapporti sociali8. L’uomo sociale crea i rapporti sociali. Sono le circostanze che fanno emergere le singole personalità, è la rete di rapporti, quella maglia di costrutti che si muove a largo raggio su di un pavimento fluttuante, a determinare i fattori che incideranno o meno sugli avvenimenti. Possiamo aggiungere ancora che se è vero che il XX secolo ha sancito l’ingresso delle masse nella storia grazie in particolare alla tecnologia e all’ampliamento della quantità e della qualità delle fonti, gli uomini del XXI secolo sono come granelli persi e dispersi in un liquido amniotico che cerca di riprodursi per partenogenesi. La meccanizzazione dei rapporti sociali, ovvero la trasfigurazione su di un livello virtuale degli incontri, ha depauperato il reale delle relazioni interpersonali. In questo deserto dei tartari, soli e in attesa di un nemico tanto perennemente in agguato quanto nebuloso e sfuggente da non poterne prevenire le mosse, talune pratiche artistiche contemporanee continuano a ricordaci che l’arte può essere “incontro”, lo è stato in passato con la divinità, con il mondo, con l’io e oggi può esserlo con gli altri. Figlie di quella che negli anni Novanta Nicolas Bourriaud ha definito estetica relazionale, fuori dalle logiche ovattate e asettiche dell’industria culturale, esse non si contrappongono in maniera specifica – come avveniva negli anni Sessanta – al “sistema”, ma piuttosto ne assimilano le dinamiche per dal di dentro spezzare la passiva recezione e attivare nuove modalità di relazione con il mondo e con noi/sé stessi.

#5

Alle 19 circa di un tiepido pomeriggio estivo, dalla scalinata della Chiesa di San Giovanni di Modica Alta, comincia il Modica Street Musical. Apre lo spettacolo il Vanniaturi o banditore10 che annuncia a suon di motti e tamburello l’inizio dell’Atto I – Il Presente. Società operaia operistica. L’azione è simultanea: decine di realtà associazionistiche presenti sul territorio danno vita ad una performance multiforme. Musicisti, ballerine, cantanti della comunità modichese escono dal privato delle loro sale e dei loro studi e solcano il palcoscenico della loro città e ciak, si gira. Marinella Senatore e i suoi assistenti filmano e fotografano tutto, correndo da una parte all’altra di questa scenografia tanto evidente quanto effimera. Seguono in ordine: i ragazzi dell’associazione Gli Armonici interpretando due brani dal musical “Sister Act”, quelli del Laboratorio di Musica d’insieme per archi suonando Bob Marley, gli ottoni della Civica Filarmonica di Modica eseguendo un medley swing, le ballerine dell’ASD Tersicore danzando sulle note di Vivaldi interpretate dal Quartetto di archi, L’Ensemble degli Ottoni del Liceo Musicale G. Verga con quattro brani di Handel mentre le ballerine volteggiano ancora al suono di Vivaldi e Lopez.
E parte il corteo… in testa sempre il Vanniaturi con accanto il portatore dello stendardo color porpora con su-scritto Modica Street Musical, dietro i danzatori e poi il pubblico. E giù per via Regina Margherita. È una processione laica quella che si sta muovendo per le vie di Modica e ad ogni vicolo e ad ogni angolo altra gente affluisce al corpo principale e cammina, guarda, accelera e rallenta al ritmo dei performers. La comunità è attrice, la comunità è pubblico, la comunità si guarda, è “teatro in teatro”. I balconi dei palazzi diventano corridoi di scuole di danza, la ringhiera il palo dove le ballerine fanno riscaldamento. E poi stop. La marcia si arresta di fronte alla Chiesa di S. Teresa, segue quindi l’esibizione del coro polifonico “Claudio Monteverdi” con musiche di Monteverdi, Bach, Vivaldi, Handel e Verdi e l’interpretazione da parte de “Gli Armonici” di brani tratti dal musical Chicago. E si riparte… gli ottoni improvvisano sulle scale mentre ci si dirige verso Corso Crispi e le parole della cantastorie siciliana Rosa Balistrieri non tardano a riscaldare l’atmosfera.
Arrivati alla Chiesa di San Giorgio, la cui scalinata apre sui giardinetti e su una veduta mozzafiato dove il biancore della tipica pietra -nonostante l’imbrunire- spicca ancora nel mezzo della verde e aspra vallata, ha inizio la seconda parte del musical: L’Intermezzo-Il Passato. La Contea di Modica rivive nei gesti, nelle musiche e nelle parole dei cantastorie, degli interpreti della lingua dei segni, dei pupari e degli anarchici. Vengono recitati brani di Sciascia e Bufalino, raccontata la storia dell’anarchico Giuseppe Aticozzi, cantata Malarazza e Bella Ciao, ma quest’ultima nella lingua dei segni, ed infine un suono melanconico di chitarra accompagna i passi delle ballerine vestite di rosso. Ed è di nuovo giunta l’ora di proseguire perché il passato bisogna pur lasciarlo andare… e la marcia si muove verso Il Possibile, ovvero il II Atto. L’associazione Portatori di San Giorgio guida il corteo verso Modica bassa per vicoli e strade, attraverso discese e risalite, strettoie ed aperture in cui il barocco esplode in tutta la sua imponenza. Le percussioni della Civica Filarmonica rendono il ritmo sempre più incalzante, ma arrivati alla Chiesa di S. Pietro ci si ferma ancora e per l’ultima volta. La Banda del Liceo Musicale esegue la “Modica Soundtrack” composta da Emiliano Branda a partire dai materiali forniti dagli stessi abitanti a cui era stato chiesto di inviare suoni, ricordi e citazioni che rappresentassero per loro la traccia sonora della città. Un soprano recita una poesia di Pasolini, il gruppo Op3ra danza insieme a “Quelli” della Banca del Tempo di Ragusa. E come in tutte le feste che si rispettino ecco l’artificio finale: fiocchi di neve cadono in pieno agosto sulla chiesa, sui danzatori, sui musicisti, sui cantori, sulla soprano, sull’artista e i suoi aiutanti, su di un pubblico che sta con il naso all’insù catturato e partecipe dello spettacolo che ha davanti e di cui ormai è parte integrante. La scenografia è composta dalla “sua” chiesa, dalle “sue” strade, dai “suoi” conoscenti e/o familiari e tutto ciò è straniante, ma al tempo stesso intimo e rassicurante.
Il Presente, Il Passato e Il Possibile: ecco le tre parti in cui è stato articolato il Modica Street Musical. Ogni sezione è al contempo rappresentazione del tempo e utilizzazione del tempo come materiale, perché condiviso, partecipato e manipolato, vissuto in relazione allo spazio del quotidiano per rileggere il passato, immaginare il presente e vivere il possibile futuro.

#6

Il Modica Street Musical ha combinato per la prima volta in una performance di quasi tre ore e mezza alcuni dei formati già utilizzati da Marinella Senatore, come il set cinematografico, la produzione teatrale e la scuola di danza narrativa per non professionisti, restituendo un’opera specifica al luogo per cui è stata pensata e in cui è stata generata, mutuando il vocabolario popolare dal musical alle sue origini di spettacolo per i ceti più bassi della società americana di fine Ottocento. Ma non solo, le composizioni classiche sono state mescolate ai motivi popolari, il teatro di ricerca a quello di intrattenimento, i movimenti della massa/pubblico alle coreografie originali. L’artista ha dato così forma ad un “teatro di rivolta” in cui sono confluiti anche elementi rubati alle cerimonie pubbliche, ai riti civili e religiosi della tradizione italiana, ai festival e alle manifestazioni di massa.

#7

La festa è il capovolgimento dell’ordinario, dà sfogo all’eccesso e alla trasgressione, ribaltando le regole ordinarie. La festa è di per sé effimera, ovvero sorretta da una serie di apparati e meccaniche che durano il tempo necessario allo svolgimento dei festeggiamenti. Effimero significa infatti e letteralmente “per un giorno”10 , è un termine che rimanda al concetto di durata, allo scorrere inesorabile del tempo giorno dopo giorno tanto che nell’antichità erano detti effemeridi i libri in cui si registravano quotidianamente gli atti ufficiali, e la stessa parola per sinonimia può essere estesa anche ai giornali o ai diari, le cui pagine si riempiono di annotazioni periodiche.
Nella tradizione italiana, le feste rivestono una fondamentale importanza sia a livello antropologico che estetico. Tra il Cinquecento e il Seicento se ne registrano di una quantità esorbitante e con caratteristiche ben definite che ruotano intorno ad un apparato scenografico che funziona come un vero e proprio quadro in movimento, una sorta di scena in espansione che si muove in stretta relazione alla città.
Nel saggio Le forme dell’effimero11, lo storico dell’arte Maurizio Fagiolo dell’Arco analizza la festa come un fenomeno culturale che rientra nelle problematiche specificatamente temporali, al contrario delle arti come pittura, scultura, architettura e decorazione qualificate tradizionalmente nell’“estetica dello spazio”. Nonostante il saggio successivamente si riassesti sui binari del XX secolo, grazie all’ampia e approfondita trattazione sulla festa e lo spazio/città, non si può sfuggire alla tentazione – una volta riecheggiato Gotthold Ephraim Lessing – di ricordare la distinzione che fino al XIX secolo distingueva le arti del tempo dalle arti dello spazio12. Si rammenterà che proprio nella sfera temporale, lo scrittore tedesco includeva la poesia, intesa come una successione ritmica di parole – come le note per la musica – disposte lungo lo spazio della pagina secondo un ordine di senso e narrativo ben preciso, tale da dare origine ad una storia o ad una canzone. Alla luce di questo, il fatto che sia proprio la pratica dello storytelling a sorreggere l’impianto dell’opera di Marinella Senatore, assume un significato particolare.
Ancora a proposito del suo valore temporale, si deve aggiungere che la festa coincide spesso con i giorni del ricordo, ma proprio nella sua ripetizione e ciclicità dimora la capacità di svincolarsi dal lato prettamente commemorativo per offrire alla comunità partecipante la speranza di nuovi calendari13. Dalla tradizione alla contemporaneità, ecco rivelarsi il senso profondo de Il Presente, Il Passato e Il Possibile del musical che rinnova la tradizione attraverso una serie di elementi attinti dal patrimonio visuale contemporaneo, accedendo ad uno dei sensi primi del festivo, ovvero il farsi anche “rivoluzione illusiva” e dunque “possibilità” per il futuro.
Procedendo con il parallelismo, come nelle feste rinascimentali e barocche si riscontra un’estetica del cerimoniale, anche nella pratica dell’artista si riconoscono costumi di scena, arredi/ installazioni e soprattutto la riprogettazione della città che modifica la sua stessa natura attraverso i movimenti dei corpi che a loro volta ridefiniscono lo spazio e il territorio (basti pensare al movimento discendente del corteo che da Modica Alta fluttua verso Modica Bassa calcando strade e vicoli ordinari che per l’occasione vengono de-funzionalizzati – come avviene con gli oggetti dal tempo dei ready-made – e rifunzionalizzati in una chiave fortemente scenografica e illusiva). I loci sacri vengono così profanati e il narrato si riappropria del tempo della conoscenza. I costumi di scena indossati sulle scalinate delle chiese (come il vestito del Vanniaturi o gli abiti con piume e calze a rete dei performers) accostano la sfera teatrale a quella religiosa (caratterizzata anch’essa da specifici abiti), contribuendo ad un ribaltamento di prospettiva e favorendo quello scambio tra sacro e profano caratteristico di ogni festa.
La presenza degli artisti nella realizzazione delle feste ha in realtà in Italia una lunga tradizione, in particolare tra Cinquecento e Seicento quando si cimentano nella costruzione degli “apparati dell’effimero”: Filippo Brunelleschi, Raffaello Sanzio, Sebastiano Peruzzi, Antonio da Sangallo il Giovane, Raffaele di Montelupo, Francesco Salviati, Battista Franco, Federico Zuccari, Alessandro Allori, Ludovico Cigoli per non dire di Giorgio Vasari che fu responsabile con la sua “Genealogia degli Dei” di una festa globale che fu organizzata per le strade di Firenze il 21 febbraio 1566 in occasione del matrimonio di Francesco de’ Medici con Giovanna d’Austria. Anche nella Roma barocca molti furono gli artisti realizzatori di macchine festive, si ricordano tra gli altri: Domenico Fontana, Girolamo Rainaldi, Pietro da Cortona ed in particolare Gian Lorenzo Bernini artefice di catafalchi, apparati trionfali, carrozze mascherate, insomma di un vero e proprio “gran teatro degli stupori”, in cui vero e verosimile contribuiscono alle più solenni finzioni14.

#8

Dalla componente illusiva e carnascialesca delle feste barocche a quella etica e politica delle parate e i cortei di Marinella Senatore. Sembra un paradosso. Quale continuità è possibile? Come si fa a passare dalla mera illusione ad un’azione politica? Il ribaltamento di prospettiva si pone sui binari del tempo. Un tempo, che allora come oggi, viene utilizzato come materiale, ovvero strumento di relazione tra gli individui per consolidare l’identità di una comunità. Non era raro, infatti, vedere sui carri la figura del Tempo, dall’iscrizione alla rappresentazione allegorica, come ricorda Fagiolo dell’Arco, insieme alla raffigurazione degli agenti atmosferici; questo non solo è la testimonianza di come si volesse far entrare in scena anche l’elemento più volatile e inafferrabile o appunto effimero, ma anche come questo (il tempo) fosse “l’anima di una pratica attenta alla filosofia della durata. Si tratta in certo senso di quell’operazione che Shakespeare approfondirà fino alla tautologia sublime del “teatro in teatro”, portando allea ribalta della finzione nient’altro che la realtà sdoppiata della finzione”15.
La finzione o il fittizio non sono più soltanto elementi funzionali alla trasgressione dall’ordinario, come era più facile accadesse nell’epoca della Controriforma con il carico comunque simbolico che questa epifania dell’effimero portava con sé. Nell’era dei display, dell’écran o dello schermo, in cui addirittura la stessa esposizione ha assunto le caratteristiche di quest’ultimo – per gli artisti la finzione (nei suoi diversi gradi di rappresentazione) è spesso l’unico stratagemma possibile per arrivare e rivelare la realtà. Scrive Deleuze che “se la menzogna presuppone, come sembra, l’invenzione deliberata di una finzione, ogni finzione o ogni favola non rimanda per questo a una menzogna”16. Dunque la finzione raggiunta grazie all’uso di una mise en scène, ribalta il punto di vista: teatralizzando il gesto e performativizzando l’opera come durata, il corpo diviene componente attiva nella costruzione di nuovi spazi identitari.
Il “teatro della rivolta” di Marinella Senatore non ha le caratteristiche della “rivolta” in sé, non vi sono oscenità, non vi sono trasgressioni, non vi è eccesso. La rivolta in chiave contemporanea sembra configurarsi proprio come accesso al tempo in quanto durata, strumento per ri-situarsi all’interno di uno spazio/comunità. In questo processo si rivela la prassi artistica con la selezione e la presentazione di una serie di fenomeni culturali (la festa in questo caso con il suo apparato effimero di musiche, canti, balli, recitati, performers e pubblico) agenti sulla costruzione d’identità. Il significato originario di “luogo teatrale”17, del resto, è proprio quello di luogo della rappresentazione riservato sia ad attori che a spettatori in interdipendenza gli uni dagli altri.
Inoltre, se il tempo della festa in epoca preindustriale risultava nettamente distinto dal tempo lavorativo, oggi non è più così. Il tempo libero o il tempo dello svago, capitalizzato dall’industria culturale, è stato riempito da una serie di rituali vuoti che non mirano al consolidamento di uno spirito comunitario quanto allo smembramento piuttosto di tale appartenenza. La capacità dell’arte di sfalsare o delocalizzare – utilizzando un altro termine caro a Bourriaud – il tempo e reintrodurre il festivo nella quotidianità è una delle azioni più rivoluzionarie che oggi si possano fare.

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Fagiolo Dell’Arco M., Le forme dell’effimero in Storia dell’arte italiana, III/4. Forme e modelli, volume XI, Einaudi, Torino, 1982, p. 218.
Cfr. Anderson B., Comunità immaginate: origini e fortuna dei nazionalismi, Manifestolibri, Roma, 2009.
Rifacendoci all’etimologia del termine sacro dal latino sacrum che contiene la radice indoeuropea sac-, sak-, sag- da cui il significato di “aderire”, “essere attaccato a”.
4 Huizinga J., Homo Ludens, Einaudi, Torino, 2002, p. 28.
5 Marinella Senatore (Italia, 1977) utilizza un ampio spettro di mezzi: video, disegno, performance, installazione, fotografia, suono, pittura e scultura. La sua pratica crea nuove possibilità per il coinvolgimento del pubblico e delle comunità locali che di volta in volta prendono parte all’opera in diversi modi, in particolare gli abitanti condividono le loro capacità e specialità oppure ne acquisiscono di nuove, negoziando con l’artista per determinare la parte che ciascuno di loro avrà nel progetto. Nel 2013 l’artista ha fondato “The School of Narrative Dance”, una scuola nomade, gratuita, centrata sulla narrazione di storie, basata su un sistema didattico che incentiva l’emancipazione dello studente e attiva processi di auto-coltivalzione.
Pontiggia G., L’isola volante, Mondadori, Milano, 2010, p. 91.
7 Cfr. Bourriaud N., Estetica relazionale, Postmedia books, Milano, 2010, p. 14.
Cfr. Plechanov, G.V., La funzione della personalita nella storia,PGreco, Milano 2016.
Figura ormai scomparsa ma che un tempo andava in giro per le strade delle città e dei paesi gridando (vanniandu in dialetto) le novità del Comune o altre notizie importanti per informare i cittadini.
10 Dal greco ephἕmeros (ἐπί= sopra + ἡμέρα = giorno) che letteralmente significa “su un giorno”, “che dura un giorno”.
11 Fagiolo Dell’Arco M., Le forme… op.cit.
12 
Lessing G. E., Lacoonte, Palermo, Aesthetica, 1991.
13 Fagiolo Dell’Arco M., Le forme… op.cit., p. 205.
14 Ivi, p. 219-232.
15 Ivi, p. 215.
16 Derrida J., Breve storia della menzogna. Prolegomeni (2005), Roma, Castelvecchi Editore, 2006, p. 13.
17 Fagiolo Dell’Arco M., Le forme… op.cit., p. 216

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Serena Carbone è storica e critica d’arte. Si laurea in Lettere Moderne e consegue il diploma di specializzazione in Storia dell’Arte con indirizzo contemporaneo presso l’Università di Bologna. Attualmente è dottoranda in Studi Culturali Europei con una tesi di ricerca sul décor nell’arte contemporanea ed in particolare nell’artista belga Marcel Broodthaers. Durante il dottorato è stata visiting researcher presso Paris 3–Nouvelle Sorbonne al LIRA (Laboratoire International de recherches en arts).