Assalto Delle Gole Al Cielo
PATRIZIA VICINELLI. LA POESIA E L’AZIONE
Non sempre ricordano. Poema epico. (1977 - 1985)
di Jonida Prifti

Patrizia Vicinelli è stata una figura poliedrica e forse unica nel quadro della letteratura italiana del secondo Novecento; un’artista che ha privilegiato la presenza viva distinguendosi per le sue performances vocali.  “Prima scendo in vita per poi scrivere”, diceva al suo amico poeta Alberto Masala, durante le passeggiate che insieme facevano per le vie di Bologna. Quest’ultimo la ricorda come “una poetessa di forte impatto scenico”, una guerriera che si fa carico di una parola marcata da scorticamenti, per dirigersi verso una ricerca che si svolge sulla pagina allo stesso modo che sulla scena, graficamente e vocalmente. Il suo lavoro è sonoro ma insieme visivo: poesia del corpo che azzera la sintassi e la sequenzialità temporale, ricorrendo ad anomali caratteri grafici e tipografici. Una testimonianza forte della sua esperienza si riscontra innanzitutto nelle sue opere: nell’ordine, à, a. A (1967), Apotheosys of schizoid woman (1969-1970), Non sempre ricordano (1977-1985), Cenerentola (1977-1978), Messmer  (1980-1988) e Fondamenti dell’essere (1985-1987).

Patrizia nasce a Bologna il 23 agosto del 1943 (dove morirà il 9 gennaio 1991). Esordisce con il testo E capita nel 1962 (l’artista era allora diciannovenne) sulla prima, artigianale rivista di Adriano Spatola, “Bab Ilu”. Ma l’iniziale confronto con la scena letteraria italiana contemporanea sarà sull’orizzonte delle ricerche neoavanguardistiche, ovvero nell’ambito degli incontri organizzati dal Gruppo 63. Infatti, a ventitré anni, Patrizia partecipa al convegno di La Spezia (1966); qui, si esibirà con à, a. A, la sua prima opera stampata a cura della rivista Marcatré per la casa editrice Lerici (1967), rivelandosi per una vocazione performativa sviluppata in una ricerca sia fonica che grafica, che si avvera in una tesa declamazione sillabica.

Adriano Spatola (uno dei primi che scrisse su à, a. A,) parlò di una poesia che “calpesta quelle convenzioni letterarie e culturali che la prudenza aveva consigliato per tenerlo a distanza”, e che procede in direzione di “una neodisumanizzazione dell’arte,” nella speranza di “trovare e mettere allo scoperto le radici di un male che è vecchio quanto l’avanguardia”.1

A differenza della gran parte degli autori di area avanguardista, nella pratica di Patrizia Vicinelli è difficile ricavare una poetica compiuta attraverso sue dichiarazioni dirette. Per molti versi, però, è indispensabile rifarsi alla teoresi comune al gruppo radunatosi intorno alla rivista «Tam Tam»2, e in particolare al concetto di “poesia totale” sviluppato da Adriano Spatola, (da lui espresso soprattutto nel volume del 1969, Verso la poesia totale) giungendo alla concezione della poesia come fatto artistico “visivo”, “gestuale”, “fonetico” oltre che letterario. Infatti nel suo lavoro, à, a. A, Patrizia scardina in ogni loro punto i meccanismi linguistici; la lingua si smembra e si distacca dal suo ordine comunicativo, per divenire strumento di pura espressione.

La militanza artistica di Patrizia Vicinelli si esprime in diversi ambiti, ad esempio nel cinema, nella collaborazione con i registi Tonino De Bernardi e Alberto Grifi: ciò è testimoniato da film su regia dello stesso Grifi, In viaggio con Patrizia (1965), Transfert per camera verso Virulentia, (1966-1967); per la regia di Tonino De Bernardi ha invece interpretato il film A Patrizia3 (1968–1970), in cui si racconta di un viaggio in Marocco. Con Mario Gianni ha realizzato il film N.(1). (Errore di gruppo) girato a Lourdes nel 1973. Negli anni Ottanta la vediamo recitare nel ruolo di una pittrice (da lei peraltro giocato nella realtà, in subordine a quello di poetessa), in un film diretto da Claudio Caligari, Amore tossico. Importante inoltre la collaborazione con Gianni Castagnoli, artista anch’egli ma in ambito visivo (si ricordano esperimenti sull’immagine serializzata, condotti con una fotocopiatrice Xerox), che fu il suo compagno e padre di uno dei suoi figli, Giò Castagnoli. Con lui Patrizia produsse il film La nott’ e ‘l giorno (dal 1973 al 1976) e altri lavori in video di stampo poetico/visivo.

Nel 1977 la Vicinelli inizia la stesura del poemetto Non sempre ricordano. Poema epico. Si tratta dell’unica opera che Patrizia abbia completato in vita; un poemetto da porre in stretto rapporto con la stesura di Apotheosys of schizoid woman e il diario del 1969-’70. Benché Non sempre ricordano sia apparso in volume nel 1985, la sua composizione originaria va fatta risalire a circa un decennio prima. Il manoscritto è ricco di disegni e soluzioni verbovisive, con una cura attenta della sonorità e della vocalità della sillaba. In tale tessuto grafico affiora una voce che, come ricorda la Lorenzini, “assieme è privata e corale, una voce che sa raggiungere le sfumature dell’ironia ma sa anche divenire intensa nella denuncia” (Lorenzini 1992). La studiosa rammenta che ai suoi inizi questo libretto era “un manufatto artigianale, un oggetto di poesia composto da splendidi tazebao a colori”, oggi purtroppo perduti.

Esiste un’altra stesura della medesima opera, affidata a un taccuino; scorrendola, è possibile leggere una nota inedita scritta dalla stessa Patrizia nel 1984 per illustrare il video realizzato con Gianni Castagnoli. In questo scritto, Patrizia enuncia una intenzionalità di carattere “epico”, che forse è la vera cifra del suo lavoro, e che in ogni caso non la abbandonerà fino all’ultimo:

“Non sempre ricordano è un poema epico costituito da dieci capitoli, ognuno di dieci cartelle. Inizialmente concepito come opera di scrittura a mano, è stato poi trascritto in composizione tipografica, per una più fruibile lettura e per problemi di difficile edizione. Di un uomo che attraversa il mondo le manifestazioni di buio e di luce, è la posizione che variamente assume ad interessarmi: diciamo le sue attitudini lo definiscono sempre di più. Queste sono sorrette da una tensione, di fondo, che è quella epica. Come a dire che la sfida, il rischio, il disprezzo di ogni pericolo, anche l’eroico inteso con grande probabilità di poter errare nella valutazione, sono considerati mezzi che l’uomo alla ricerca di una compiutezza usa, e che lo conducono a una definizione di sé stesso che non è mai definitiva. Da un ‘to surrender’ che in ogni anello vale una fine, si riparte per il contesto successivo, ed è una grande bella avventura. Nel poema epico ogni parte, o capitolo, è una performance. La sfaccettatura del reale ha per analogia il trasformismo psichico e della mente di colui che viaggia nella propria esperienza. La direzione è indicata costantemente dal cuore, motore e centro, regola e diritto dell’uomo qui. Il video in questione, trascrive con l’immagine e il suono una delle letture parziali del poema epico.”4

Del suo “poema epico” Patrizia diede qualche anticipazione a stampa in periodici e in antologie, e in Poesia degli anni settanta Antonio Porta incluse H. Is my life; ma soprattutto ne realizzò letture pubbliche e performance, come annota nello scritto appena citato; il poema epico stesso è da lei inteso come una performance. Ed è proprio questa forma eloquente che caratterizza l’opera della Vicinelli. Abbagliato da una sua esibizione, Giuseppe Caliceti scrisse, anni dopo, di una “donna che si piega a scatti, vibra, sussulta echeggiando violenta una biografia come traumatologia” (Celiceti 2009). D’altra parte, accanto alla componente performativa, nella prassi della Vicinelli il lato visivo, il rapporto tra verbalità e segno grafico, lo schizzo e la macchia teatralizzanti in tazebao, sono del tutto determinanti; una parte variopinta a cui Patrizia ha dovuto rinunciare all’atto della pubblicazione (al momento di dare alle stampe Non sempre ricordano) proprio perché troppo difficile da riprodurre in volume, e soprattutto, troppo dispendiosa.
Nel consultare i materiali conservati dai familiari, ho trovato alcuni fogli superstiti, dove ben si riscontra la qualità della ricerca visiva di cui ho detto.

appunti e schizzi sul Non sempre ricordano di Patrizia Vicinelli

Il testo ha inizio con un’ “avvertenza” al lettore poi espunta dall’edizione cartacea:

Il pericolo del futuro, – Livellamento, – Alienazione, – Eccetera,

cui seguono alcune righe “esplicative”:

______ Titolo_______secondario _________

C’è chi vuole un po’ di repressione – chi ne ha bisogno. Incapacità di auto – gestirsi – paura della libertà – rifiuto dell’indipendenza. Per costoro repressione non fino quanto ne vorrebbero ha per stringere i tempi, molto di più – amiamo insieme al più presto –

Si avverte in questa dichiarazione (che tra l’altro ricorda molto le parole che concludono Apotheosys of schizoid woman) un’autentica urgenza; una denuncia nei confronti di chi rifiuta l’indipendenza, di una società succube di un malessere fondato sul disordine, indice di un’alienazione che può essere combattuta. Nella scrittura di Patrizia, segnata da una vocalità interna, urlata e spezzata, questa impellenza emerge insistentemente. Guido Guglielmi ha parlato di “io rapsodico, discontinuo, che è alla ricerca di un sé aleatorio (che vive del proprio movimento)”, un sé che per quanto “aleatorio” viene strenuamente difeso: “che sia questo vuoto a richiedere la sua vocazione poetica così esclusiva?”(Guglielmi 1992). Nell’oralità è il carattere forse più originale del poema; si tratta di poesia gestuale e gridata, sostanziata di spezzoni di vita vissuta e di impressioni a fior di pelle:

… nell’eden prima lilith era così, e
questa è l’irraggiungibile dimensione
dell’immaginario […] DON’T WORRY BABY!!!
Se anche cadesse velocemente su di me
stella infuocata non desisterei e
quando la putrefactio è finita, è finita.

I ricordi immagazzinati sotto forma di reminiscenza vengono attualizzati mediante un processo estraniante, fatto di flash catturati nella realtà, frantumi  di memoria, residui di esperienze:

NE AVEVANO PARLATO A LUNGO, LEI E G.
CONTINUAVA A CHIEDERE AIUTO A TUTTI.
AVEVA BISOGNO DI TUTTI.
“Vattene” le disse. L’immensa cloaca
che ha contenuto i miei progetti
è defluita al mare.
Senza più vestiti né maschere,
il corpo si avviava al suo abitacolo,
proiettando una luce opaca
che si sarebbe vivificata nel tempo.

Secondo la testimonianza resa dai familiari, Patrizia scrisse questi versi (che sono inclusi nella parte quarta del libro, Proiettare il samuray, e io poco dopo ero salva)  nell’anno della sua detenzione carceraria. Il soggetto in questione, l’immensa cloaca […] senza più vestiti e maschere, parrebbe invece la proiezione di Patrizia attraverso lo sguardo dilapidante di Gianni Castagnoli. I particolari di questi gesti e intime confessioni sono presenti in altre lettere, dattiloscritti, telegrammi trovati a casa. In una lettera dattiloscritta (trovata tra i documenti conservati dai familiari), Castagnoli descrive in questo modo Patrizia:

“L’amo, l’ho sempre amata questa donna ubriaca sempre drogata che ride che piange che vuole figli che saranno testimoni mezzo malata d’una inguaribile sanità. Da quando lasciai mia moglie e la mia bambina per stare con lei, ci siamo picchiati e offesi quasi ogni giorno per un anno, e una volta su di una rupe di tufo tentai di ucciderla per disperazione, perché voleva lasciarmi con disprezzo…”

L’uscita del poema suscitò un notevole clamore nel mondo della poesia sperimentale, soprattutto fra gli autori che avevano fatto parte del Gruppo ‘63. Nanni Balestrini lo definì uno “spezzone incandescente” che irrompe “in una normalizzazione declinante” della poesia.; egli parlò di “ottimo antidoto” nei confronti di “una generazione che non ha mai voluto scegliere fra distruzione e salvezza”: ravvisando nel testo una sorta di “canto selvaggio”, che si manifesta in una “poesia del dissenso, della rottura, dell’innovazione”(Balestrini 1985). Guido Guglielmi, d’accordo in questo con Francesco Leonetti che ne aveva scritto la prefazione, affiancò la poesia di Patrizia Vicinelli a quella del visionario Dino Campana, per il nomadismo che ne accomuna le esperienze e per il modo di relazionare l’io al mondo: “Potremmo parlare di illuminazione; o di comunicazione di esistenza. […] Per la Vicinelli la manifestazione del mondo coincide con la manifestazione del sé. Il viaggio nel mondo è un viaggio nella mente; e viceversa” (Guglielmi 1992).
Teatralizzato in otto stazioni da laica via crucis, che ne scandiscono il percorso, Non sempre ricordano è un poemetto che si dilata in libera espansione, nelle sue valenze fonetiche, tra suoni sapientemente controllati e suoni che vibrano dilatandosi. L’elemento che consente la combinazione è un ritmo irregolare e non quantificabile, ma che stabilisce piuttosto scale di intensità:

… QUELLA VOLTA FU PIU’ DIFFICILE, PER NON
DIRE IMPOSSIBILE, PROIETTARE
Come freccia bolla di sapone soffio di vetro
[…] FINO A SCOPPIARE con la cannuccia fra le guance,
APOTEKE: “prego, un’ampoule De Lagrange”
I francesi dicono: “un’ampoule de maxiton
fort”, una certa droga diabolica di 350 anfé,
con cui, après la chute, sali mezz’ora,
hai tempo di intervistare i cherubini,
come quello: … certo Benito G. mexicano
e poeta finito a colpi di shock elettro
anche! terapy in Tangier, anno 71…
come quello: … sbattuto in Baltimora
lontano almeno 550 miglia in altezza …
disse: “HIGHT! C’est pas le moment:
CO PEN GA MEN… my friends, please…
come quello: … certo Gian Pio T. modenese
[…] INFINE, come quella volta, he need help
PROIETTARE, partorito dalla mente, il
SAMURAY, la sua splendente fiammeggiante
scimitarra alla mano,
sospesa in sfera vuota e incolore.

La Lorenzini parlò di “effetti di straordinaria dissonanza ottenute tramite sconnessi moduli sintattici, contrasti urlati, dissimmetria in grado di fronteggiare il disordine dell’esperienza, spavaldamente restia agli schemi (schermi) della memoria e della distanza (emozionale o, in senso pieno, letteraria, eccentrica rispetto al vissuto)” con risultati di “rallentamento o accelerazioni in grado di provocare choc linguistici improvvisi” (Lorenzini 2009).
La sostanza di questo “poema epico” è dichiaratamente narrativa; si pone in questione l’io, si prende le distanze da esso, ma a tratti lo si avvicina attraverso i personaggi che lo circondano, per immergersi a capofitto in un universo mentale, coinvolgente, pieno di fatti, di fatti rivelati nell’io  (nota ancora Guglielmi).
Nel segno del tuono si celebra una condizione che, con una parola cara all’autrice, definiremmo “trasversale”: l’avvento vero e proprio di un mito:
“…TUONAVANO / gli spiriti dei dormienti santi / fino ad allora in siesta o in passeggiata silenziosa, / veli, camicie, RESPIRI”; un mito che si estende in tutto il poema, come abbiamo visto poco fa in “SAMURAY” con la sua agghiacciante, “splendente fiammeggiante / scimitarra alla mano, / sospeso in sfera vuota e incolore”. Il mito assume la funzione di forza primigenia e suggestiva:

IL MITO SI IMPONEVA OVUNQUE.
… TUONAVANO
il simulacro degli eroi mentre svanivano
mischiati a immagini di dei di avi
che carezzavano ricordi,
indugiando,
(appena decomposti,
nell’insistente candore-umido-lunare-,
durante la notte
che non aveva cessato di battere
al fine della loro inesorabile disgregazione)
… un colpo secco e strano quella volta
bussano?

Ma questo mito svanisce laddove la realtà incombe, disperdendosi in un’umiliante ristrettezza anti-epica di scontri, pedaggi, interrogazioni della polizia, diritti calpestati, ricatti, e avvilente disperazione:

PER L’AMORE DI DIO!
FINITELA ECCELLENZA!
COSI’ ME LI MASSACRATE!
Maresciallo: PARLA! PARLA!
[…]
DEI MORTI CI VOGLIONO
DEI MORTI STIRATI AMMAZZATI
COSI’ QUANDO TI BLINDANO SEI ANCHE
RISPETTATO
BASTANO 3 (TRE) COLPI CORPI
[…]
ESSERE STATO PRESENTE A UDIRE IL
TONFO DI UN CORPO CADUTO
DIETRO IL PAM DI UNA
PISTOLA
[…] accidenti! bel vantaggio! la presenza in questa casual storia!

Man mano che l’opera si sviluppa, assumono una forte valenza i poveri oggetti che affollano gli esigui spazi delle detenute (in riferimento al periodo trascorso in carcere dalla poetessa); sono ricordi che affiorano nella scrittura, carichi di una essenza affettiva:

CON IL  LUME  TONDO  D’ARANCIO
CON LE  TENDINE  DI PLASTICA
CON LE  LENZUOLA  DA CASA
CON LA  TELEVISIONE  ACCESA
COL FIORE LUMINESCENTE GRANDIOSO ROSSO
E TURGIDO

Tali sequenze progrediscono con altri eventi che scandiscono la vita quotidiana del carcere come Concetta, la quale festeggia il suo trentacinquesimo compleanno:

(c’era una festa chiesero?)
: SI’, TRENTA CINQUE ANNI CONCETTA,
abbiamo festeggiato i tuoi anni
COME FOSSI A CASA CON NOI
e così dicendo il marito le aveva spaccato il cuore
dal dolore
per quella accertata solitudine
: per me, si vous voulez, rose di rosso scuro,
le baccarà,
quelle che preferisco.

Tutto scorre, nel frattempo; le serrature delle celle scattano “CLAN CLAN CLAN uno appresso all’altra”, mentre il gemito è replicato “incessantemente incessantemente incessantemente”, lo spazio si apre, si contorce nella mente come una grande proiezione onirica, nei momenti di più profonda solitudine:

chiuso in alto dal verde un tunnel
col foro tondo
alla fine della prospettiva
nel viale lungo che andava verso sud,
ricorda sempre, NON sempre RICORDANO
loro spostando – come scacchi –
la camera quadrata – di ferro –
una mossa ancora –
DI PIU’ DI PIU’ DI PIU’
MOLTO DI PIU’
sbatte sottolineando
contro forsennatamente
SDAN SDAN SDAN SBADADAN
UNA BATTERIA? cucchiaio contro sgabello
zoccolo che si spacca nell’asfalto.

Si tratta di una prospettiva sconvolgente, e testualmente coinvolgentissima, segnata dallo zoccolo e dal cucchiaio, con evidente allusione all’assunzione di eroina; non meno coinvolgenti sono le trasformazioni dei soggiorni della Vicinelli in Marocco: incantesimi sensoriali raccontati in versi brevi, assai sonori per l’uso delle onomatopee, e ricchi di combinazioni linguistiche tra le varie lingue i quali si risolvono in esiti visionari, soprattutto della sesta parte del poema epico (dal titolo “C’era una volta in Marocco” ovvero “Marocco made”) che vive una pluralità di lingue estratte dal quotidiano, vissute in prima persona per poi inserirle a frammenti in una dimensione cosmopolita. Il luogo in cui ha scelto di esiliare, Tangeri è una meta molto ricercata in quegli anni: perché il Nord-Africa è confine tra acqua e terra, è un luogo d’incontro intenso di lingue e di culture:

Tornare lì,
come per riposarsi,
e spostare il tempo (retro marcia)
già accaduto
c’era una volta in Tangier
tangerine dream
Marocco nord’Afrique made
Elmà, l’acqua
due mari
due lingue
“era una questione di radici”
una lezione trasversale
spanish french et arabie
e così se la dimentica
tornando.

Uno svolgersi di odori, colori, gusti: rimescolamento delle immagini a cominciare dal “balcone terrazzo del Charly restaurant beveva coca” per arrivare ai fiori “tutti viola”, all’ “odore di montone e di carne selvatica / dentro gli stretti vicoli spugnosi” sorseggiando “tea rom alla menta” in forte contrasto con il “vapore del piscio / che ogni tanto un colpo di brezza cancella”, e citazioni musicali (il gioco di parole fra la band krautrock tangerine dream e Tangeri).
Nella parte ottava e ultima del poema, “IN SIDE” “FULL MOON”, l’autrice esordisce marcando la fine di un ciclo e l’inizio di una “battaglia” ignota:

ALLA MEZZANOTTE DELL’
ULTIMA FESTA DA BALLO
SCOPPIAVANO I MORTARETTI
E GLI AMORI PASSIONALI
E NEL CASTELLO IN CATENE
SCINTILLANO
DA OGNI FINESTRA
LINGUE DI FUOCO
INCANDESCENTI
SCHIANTI DI SPARI

Tale incipit, intramezzato peraltro da altre asserzioni di stampo rivoluzionario in lingua francese e inglese, si sviluppa ulteriormente e assume man mano caratteri ribelli dove prevale una consapevolezza del reale che però si riversa in dimensioni fiabesche, come il ricorso ad un episodio che probabilmente contiene riferimenti leggendari riferiti a una battaglia di una fantomatica Lilliput5:

LA NENIA E L’ECO DI UN’ANTICA FAVOLA
RISALTAVA NEL CENTRO PUNTAVA
L’AGO MAGNETICO
VERSO UNA DIREZIONE, ED ERA TUTTO.
FIDARSI. DI SE’.
QUELLI DI LIHLIPUT VENNERO ALLORA
TESERO TRAPPOLE HANNO TESSUTO INGANNI
ORA CHE LIQUIDO DELL’ACQUA
HA RALLENTATO
E L’USCITA E’ INVISTA L’ARMA
PER CACCIARE IL NEMICO
È APPRONTATA, STRETTA SALDAMENTE
L’IMPUGNATURA ALLA MANO.
NON AVANZERANNO PIU’ DI UN SOLO PASSO.

Alla parola Lilliput, Patrizia aggiunge qui l’H, coniando una inedita LIHLIPUT, una scelta forse che dipende dall’atto della perfomance, di come la pronunciava durante le sue interpretazioni; o forse con riferimento al personaggio biblico di Lillith6, la quale appare precedentemente nei versi: “… Tutte le paure che non ti riguardano sono / riconoscibili, ma non pietà, / nell’Eden prima di Lilith era così, e / questa è l’irraggiungibile dimensione dell’immaginario”. Lilith, un demone femminile che si manifesta in un insieme di demoni e spiriti legati al vento e alla tempesta. Visto che l’inizio del poema è segnato dai tuoni, “TUONAVANO / gli spiriti dei dormienti santi” che scatenano “danze sfrenate in cui si progetta lussuria / per l’incontentabile notte dell’uomo esangue” potrebbe esserci una corrispondenza a questo personaggio, che nell’immaginario popolare ebraico è temuta come demone notturno capace di portare danno ai bambini di sesso maschile e caratterizzata dagli aspetti negativi della femminilità: adulterio, stregoneria e lussuria.

Nel finale di Non sempre ricordano Patrizia probabilmente ha voluto restare fedele all’andamento iniziale “compiutamente eroico” del poema, mantenendo un carattere dichiaratamente allucinatorio che si pone in equilibrio fra percezione del reale e affioramenti della mente, carico di valenze mitiche e cosmogoniche; ritratto in una profondità che si dilata, si apre in spazi pluridimensionali  dove l’aspetto rituale e magico si copre di un velo tragico e di un io alla prova della sua esistenza e sopravvivenza.

 

 

Testimonianze su Patrizia Vicinelli
Video-interviste a cura di Jonida Prifti

Video – intervista a Laura Cuccoli (ex comagna di cella)

Video – intervista a Nanni Balestrini

Video – intervista a Daniela Rossi

Video – intervista a Maurizio Spatola

1 Adriano Spatola, su à, a. A, (in una recensione dedicata a opere di Vittorio Bodini, Achille Bonito Oliva, Giuliano Gramigna, Patrizia Vicinelli), in «Il Verri», 27, giugno 1968, p. 105.
2 «Tam Tam» [1972] è una rivista letteraria fondata da Adriano Spatola e Giulia Niccolai (allora sua compagna).  Tale rivista diventò un punto di riferimento internazionale per giovani artisti e scrittori.
3 Tonino de Bernardi si esprime in “Filmcritica” riguardo l’obiettivo del film: «Siamo partiti e andati lontano perché Patrizia ci aveva chiamati. Il film testimonia quello che abbiamo visto là e ciò che abbiamo ritrovato al ritorno a casa, le due cose unite idealmente. In più c’è un mio inventario d’amore e di visioni, nonché la ricerca d’amore, tra realtà, e irrealtà sul filo ideale e l’ossessione della mente» (T. De Bernardi, “Filmcritica” n. 221, gennaio 1972).
4 Da un dattiloscritto inedito conservato dagli eredi tra le carte dell’autrice; all’interno della monografia: Non sempre ricordano, Poesia Prosa Performance, Patrizia Vicinelli, a cura di C. Bello Minciacchi, introduzione di Niva Lorenzini, Le Lettere 2009 Roma p. XLII. La dichiarazione è preceduta dalle seguenti righe: “Introduzione al Video “NON SEMPRE RICORDANO” – Poema Epico by Patrizia Vicinelli – Prima stesura 1976 – versione definitiva 1979”.
5 Lilliput è un paese immaginario della prima parte del libro I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. La favola ci racconta che Lemuel Gulliver arriva nell’isola su cui si trova Lilliput in seguito a un naufragio. L’isola è abitata dai Lillipuziani, minuscoli uomini alti 15-20 cm, che lo legano al terreno mentre sta dormendo sul lido. Al suo risveglio essi fanno la sua conoscenza e attraverso un carro per loro gigantesco, altro tre pollici da terra e mosso da una ventina di ruote, lo trasportano nella loro capitale. Lì Gulliver incontra la Corte e Sua Maestà, per essere poi ospitato in un grande tempio disusato. Tempo dopo gli viene concessa la libertà, ma con delle condizioni imposte dalla Corte. Invece la battaglia in cui forse si riferisce Patrizia viene condotta dai Lillipuziani in cui proclamano guerra ad un’ altra isola, quella di Blefuscu, distante ottocento yarde a nord-est dalla loro e popolata anch’essa da omini delle stesse dimensioni. I Lillipuziani e i Blefuschiani (o Blefuscudiani) sono divisi sino al fratricidio da un’annosa e irresolubile controversia sul modo più corretto di rompere le uova, se dalla parte più grossa o da quella più piccola (satira delle dispute religiose tra cattolici e anglicani). Gulliver sceglie di aiutare i Lillipuziani e dà una svolta al loro conflitto, irrompendo nel porto di Blefuscu e portandosi via le navi da guerra dei nemici. I Blefuschiani si arrendono, ma Gulliver rifiuta di porre in schiavitù la loro popolazione, e questo gli costerà l’odio di molte istituzioni di Lilliput.
6 Lilith è il demone femminile della religione mesopotamica associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazia, malattia e morte. La figura di Lilith appare inizialmente in un insieme di demoni e spiriti legati al vento e alla tempesta, come è il caso nella religiosità sumerica di Lilitu, circa nel 3000 a.C. Vari studiosi datano l’origine verso il 700 a.C. Lilith compare nell’insieme di credenze dell’Ebraismo come un demone notturno, ovvero come una civetta che lancia il suo urlo nella versione della cosiddetta Bibbia di re Giacomo. Secondo la tradizione della cabala ebraica, invece, è il nome della prima donna creata, prima compagna di Adamo e precedente a Eva. La sua figura, delineata nel Medioevo, risale a miti e leggende antiche della Mesopotamia. Nell’immaginario popolare ebraico è temuta come demone notturno capace di portare danno ai bambini di sesso maschile e caratterizzata dagli aspetti negativi della femminilità: adulterio, stregoneria e lussuria. Alla fine dell’Ottocento, in parallelo alla crescente emancipazione femminile nel mondo occidentale,  la figura di Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile e, rivalutata nelle religioni neopagane, viene posta a fianco di simboli come quello della Grande Madre.

Bibliografia

Balestrini N., Il poema del dissenso, in «L’Espresso», (1985).
Celiceti G., L’attrito delle parole nelle partiture atonali di Patrizia Vicinelli, in «Il Manifesto», (2009).
Guglielmi G., La vocazione alla poesia di Patrizia Vicinelli, in «Bollettario», III, 8/9, maggio-settembre (1992)
Lorenzini N., L’articolazione del discontinuo ne I Fonfamenti dell’essere, in «Bollettario», (1992).
Lorenzini N., in Vicinelli P., Non sempre ricordano, Le Lettere, Roma (2009).
Spatola A., Verso la poesia totale, Rumma, Salerno, 1969; poi Paravia, Torino (1978).
Vicinelli P., Non sempre ricordano. Poema Epico. Aelia Laelia, Reggio Emilia (1985).

Jonida Prifti, nata a Berat (Albania) nel 1982, è emigrata in Italia (Roma) nel 2001 dove è poetessa, vocalist, performer, interprete e traduttrice dall’albanese all’italiano e viceversa. Tra le pubblicazioni: Non voglio partorire…(Alfabeta2);  Ajenk (Transeuropa); il saggio Patrizia Vicinelli. La poesia e l’azione (Onyx); Rivestrane (Selva). Nel 2008, con Stefano Di Trapani ha fondato il duo di poetronica “Acchiappashpirt” (tra le pubblicazioni: Flutura (VS23,UK); Tola (Canti Magnetici); Strangerivers (Filibusta Rec.); G e n e r a t A (Upitup rec. UK) etc. http://www.jonidaprifti.com/