RELATIONSHIP
Ensemble relazionale. Lo scambio contro la verticalità del sapere. Archive Tellers al MAXXI B.A.S.E.
a cura di Jamila Campagna, Emanuela Murro, Valentina Pagliarani, Micol Rispoli, Marco Salustri

In occasione dell’opening dell’evento espositivo Archive Tellers. Racconti di memorie tra archivi e arte contemporanea si è proposta una formula differente di talk che non avesse la classica modalità della conferenza inaugurale, ma che potesse offrire al pubblico la possibilità di intervenire direttamente nel dibattito. Quattro dibattiti, che si svolgevano contemporaneamente in quattro tavoli con un relatore esterno (Anna Mattirolo, Paolo Ruffini, Paola Di Bello e Laura Barrecca) e quattro curatori, in una prospettiva di interazione e condivisione. A distanza di qualche mese dall’esperienza, il tentativo è quello di mettere in luce le modalità comunicative attivate dai vari gruppi di discussione, osservando soprattutto i differenti tipi di relazione attuati tra le parti coinvolte.

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Marco Salustri: Si è abituati fin da piccoli, dalla scuola, a seguire la lezione organizzata intorno a delle precise coordinate spaziali: il docente dietro la cattedra, spalle al muro, guarda l’intera aula, uno davanti a molti in un ordine frontale che esalta l’autorità pedagogica dell’insegnante. All’interno di un contesto didattico-formativo, in cui ruolo e conoscenze si giocano anche in base al modo in cui si è disposti o si interviene nello spazio, c’è una posizione e una postura, e c’è sempre qualcosa che dice “questa è una lezione” o “questo è un insegnante”.
Al di là del contenuto e della qualità del discorso enunciato, ciò che distingue l’oratore dal suo uditorio è il modo specifico in cui i due si pongono vicendevolmente; se il primo avrà l’atteggiamento di chi sta per parlare, perché sa che altri lo ascolteranno, gli altri si limiteranno ad ascoltare, dovranno anzi far attenzione a non esprimersi a voce alta per non incorrere nel rimprovero dell’assemblea.
La misura della distanza tra le due parti è il discorso, i contenuti specifici che sono oggetto di uno scambio, sostanzialmente, monodirezionale. Quando si parla in pubblico non si attende replica immediata, questo potrà accadere alla fine degli interventi, in una lenta sedimentazione dei concetti e delle domande.
Quando si parla in pubblico si parla per tutti, mai a un interlocutore specifico, quindi non si guarda negli occhi qualcuno in particolare e non si fa caso alle sue espressioni, ai suoi movimenti e reazioni. La comunicazione resta su un altro livello, più generale e astratta.
Dunque, nel contesto di una pubblica discussione, lezione, presentazione o conferenza che sia, il pubblico partecipa in qualità di uditore, non è richiesto altro impegno oltre a un attento ascolto. Certo occorre avere interesse per l’argomento trattato, perché la propria partecipazione si limiterà all’acquisizione di qualche informazione fornita dall’esperto/relatore, colui che detiene il sapere.
La discussione pubblica organizzata da Archive Tellers non può essere ricondotta ad una classica conferenza, dove si pratica un concetto verticale di conoscenza, in cui spetta al relatore il dover partecipare e condividere un proprio sapere con il pubblico.

Archive Tellers. Racconti di memoria tra archivi e arte contemporanea,
opening veduta sala. Photo: Alessio Picca

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Valentina Pagliarani: Sì, ciò che emerge, inoltre, è che la disposizione spaziale del talk influisce sulle modalità relazionali del dibattito. L’esperienza attivata durante l’opening di Archive Tellers, ha portato ad osservare l’affiancarsi di differenti tipi di flussi comunicativi: l’immagine di una costellazione definisce la dinamica proposta in occasione del talk, nella quale gli interventi individuali si incontrano illuminandosi a vicenda di nuovi significati. Pensando alla disposizione dei tavoli durante l’esperienza, è possibile focalizzarsi su una sorta di mappa, nella quale i gruppi di conversazione costituivano delle isole attorno alle quali il pubblico e l’elemento discordante, l’artista Elena Bellantoni, si muovevano liberamente.

Archive Tellers. Racconti di memoria tra archivi e arte contemporanea
Tavolo: Censura, Costruzione, Rappresentazione, Scelta. Intervento di Elena Bellantoni
Photo: Pierluca Di Pasquale

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M.S.: Ed è l’organizzazione spaziale stessa a mettere in discussione la verticalità di un modello divulgativo e di certe pratiche conoscitive.
Attraverso l’esplicitazione delle regole del talk durante la presentazione dell’evento, è stata definita la modalità di partecipazione, la quale prevedeva necessariamente lo schierarsi da parte delle persone del pubblico, che avrebbero dovuto collocarsi, per non restare fuori dai giochi. I tavoli occupavano l’intera area della sala, su ognuno di essi venivano affrontate tematiche diverse legate ad una serie di parole chiave. Al pubblico erano assegnate alcune sedie per ogni tavolo. C’era inoltre la possibilità di ruotare, di spostarsi tra una discussione e l’altra per partecipare ai diversi discorsi. I relatori non avevano la possibilità di gestire il discorso. All’insieme dei relatori e al pubblico intervenuto era data la possibilità di partecipare spostando di volta in volta l’attenzione su un tema piuttosto che su un altro, condividendo le sorti di un discorso che andava costruendosi nella molteplicità degli interventi.
Da parte del relatore un tono elevato sarebbe risultato inappropriato, qualcosa che preservasse il suo ruolo e la natura stessa di un discorso colto. Questa impossibilità era data, ancora una volta, dalla presenza e partecipazione del pubblico, al quale si dovevano immediatamente spiegazioni o risposte e che poteva decidere, con un intervento, di divenire a sua volta relatore. Se il compito del relatore era quello di rilanciare il discorso, il mantenere un possibile tono colto nella discussione, che ponesse distanza tra il relatore e gli altri partecipanti, avrebbe segnato per lo stesso, la misura del fallimento e non del successo.

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V.P.: Mettendo in discussione il processo avvenuto all’interno dei quattro tavoli è interessante osservare come dall’analisi di ognuno emerga una diversa proposta relazionale. Tra i vari tavoli è stato individuato un esempio in contrapposizione alla modalità relazionale, all’interno del quale gli interlocutori coinvolti sono rimasti legati ad una fissità del sapere, allontanandosi dalla possibilità di costruire una apertura dialogica rispetto ai concetti discussi. All’interno del tavolo si è attivato è un debole equilibrio relazionale tra i singoli interventi, i quali sono rimasti concettualmente ancorati ad un bisogno di discussione ma non hanno trovato la strada per una effettiva relazione reciproca. Si è stabilita una condizione per cui non è stato possibile accogliere uno scambio dinamico, conservando interventi frontali dai quali è stato difficoltoso allontanarsi. Può essere utile aprire una parentesi sui contenuti affrontati, al fine di osservare come la limitazione della dialettica concettuale tra i singoli interventi, abbia avuto riflesso nelle stesse dinamiche sul piano relazionale, non abbracciando il conflitto che ne costituiva la crescita potenziale. Partendo dall’analisi del museo, quale contenitore ideale del passato che cerca un incontro attivo con il presente, si è introdotta una riflessione tra collezione e conservazione. A chiudere la sequenza museo-collezione-conservazione, vi era l’introduzione del concetto di dispersione, conflittuale rispetto ai primi tre, inteso come processo di ricerca interno alle dinamiche della memoria, dalle quali cerca di svincolarsi attuando una messa in discussione dei tradizionali meccanismi ad essa associati. La proposta era quella di pensare nuove vie di conservazione intese anche come distruzione della memoria stessa: all’interno di ogni processo di storicizzazione si produce una selezione, che significa scegliere ciò che verrà testimoniato lasciando in ombra ciò che verrà scartato. Così come la concezione museale e conservativa tradizionale si contrappone all’ipotesi innovatrice del processo di dispersione, allo stesso modo la modalità di esposizione frontale e individuale del sapere non ha saputo trovare un punto d’incontro con l’orientamento dialogico e circolare che il talk proponeva. E’ utile rilevare quanto siano fondamentali, nell’ambito relazionale, anche i processi che limitano il nascere di una circolarità comunicativa, oscurando una serie di possibilità che riescono a delinearsi solo come potenziali, entrando a far parte del non detto e del non accaduto. Curatori, relatori, artista e pubblico hanno partecipato alla produzione di quel vuoto, il non detto, che in un’analisi di questo tipo può essere considerato importante quanto il pieno.

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Emanuela Murro: In un testo fondamentale per la mia formazione, (”L’arte segreta dell’attore” a cura di Eugenio Barba e Nicola Savarese) si parla di virtù dell’omissione1. Particolarmente interessante qui, a mio avviso, la similitudine con il fumetto. Fumetto in inglese si traduce con strip, striscia: ossia risultato di una serie di omissioni e tagli. E’ ovvio che il non detto è una delle regole della narrazione: ciò che resta indefinito apre a molteplici interpretazioni.
Il non detto (o l’indicibile) è strategicamente essenziale nella struttura narrativa: è con esso che si è chiamati ad interagire e a costruire un senso.

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Jamila Campagna: All’interno del processo di significazione vi sono senza dubbio differenti implicazioni dialettiche; accanto al non detto, si colloca certamente l’aspetto di imprevedibilità. La variabile incognita è quel che emerge nelle situazioni contrapposte dell’esempio portato da Marco, in cui la circolarità della conoscenza è stata vibrante, e dell’esempio riferito da Valentina, dove invece l’autorità predominante di un soggetto rispetto agli altri partecipanti ha ripristinato le modalità di divulgazione frontale, contravvenendo, in qualche modo, alle regole predisposte per il talk, limitando lo sviluppo del dibattito e l’approccio partecipativo allo stesso, nonché creando dei buchi comunicativi.
Il caso è elemento fondamentale della dimensione relazionale, che si costruisce sulla sequenza di libere associazioni: quando un gruppo di persone disposte intorno ad un tavolo iniziano a colloquiare, ci sarà qualcuno che darà un input che sarà raccolto e restituito da ciascuno dei partecipanti alla discussione, con contenuti discorsivi inaspettati. Lo sviluppo aleatorio di un discorso, l’assoluta impossibilità di prevedere l’andamento della dinamica relazionale, si costituisce come uno dei punti di maggior fascino della dinamica stessa: raccogliere, filtrare, restituire.

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Micol Rispoli: In questo modo viene a crearsi un rapporto di interrelazione basato su un processo di input-feedback, che è condizione di ampliamento della conoscenza e di modificazione dello sguardo. Di contro l’autoreferenzialità impone inevitabilmente una censura, limitando la libertà del linguaggio e una dinamica di scambio reciproco.
Lo spettatore non può accedere ad una verità assoluta, egli opera un’inconsapevole rimozione: coglie il significato di frammenti che vede o ascolta in base alla propria esperienza di vita e al proprio punto di vista.
Le pratiche di relazione possono innescare fenomeni di risonanza in grado di dar luogo a contaminazioni e associazioni inaspettate. All’idea di affermare una verità si sostituisce il valore di un processo di ricerca che apra una visione sul mondo, sia pure parziale, in cui trovano posto analogie, slittamenti semantici, zone di contatto, punti di incontro e scontro interattivo. Perché questo accada occorre disporsi – sia pure gradualmente – ad una condizione dialogica, favorendo uno scambio di punti di vista diversi, capace di aprire molteplici, differenti prospettive.
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Archive Tellers. Racconti di memoria tra archivi e arte contemporanea
Tavolo: Conoscenza, Identità, Linguaggio, Tradizione. Intervento di Elena Bellantoni.
Photo: Pierluca Di Pasquale

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J.C.: In proposito voglio portare alcuni esempi relativi al tavolo a cui ho preso parte. Secondo rimandi imprevedibili, la tradizione è stata lo spunto per parlare di innovazione e questo binomio ha preparato un corridoio per una divagazione sulla politica: come la Lega Nord abbia costruito delle tradizioni ad hoc, forzandone l’applicazione ad un contesto che ne era storicamente avulso, per rafforzare l’idea secessionista, pregna di impeto innovativo; parlando del Tempo, del modello e dell’esemplare e di come il futuro sia il momento dell’interpretazione dei fatti storici, si è arrivati a parlare dei tre tempi dell’opera d’arte teorizzati da Brandi, per poi approfondire il concetto di autorialità diffusa individuato da Allan Kaprow nel pubblico, relativamente all’happening: l’accadimento artistico si attiva e si consuma nella relazione tra artista e pubblico; ciò che conta non è più la pretesa autorialità ma il processo artistico che l’artista trasferisce nel pubblico.

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E.M.: Esattamente. Definiamo, ormai, relazionale quell’insieme di pratiche artistiche che si basa sui rapporti di relazione fra l’artista, il pubblico e il contesto sociale in cui vengono messe in atto e che implica pertanto la partecipazione del pubblico a cui è destinata (senza scambio non può esserci relazione). Ciò che è importante non è tanto l’esito finale, la realizzazione di un’opera, quanto la motivazione che sta a monte del progetto, le reazioni che tale progetto innesca e come queste si sviluppano durante la sua messa in atto, e le relazioni che vengono a crearsi tra i soggetti coinvolti.
A tal proposito, in un interessante passaggio di Estetica Relazionale ci si sofferma su come negli ultimi anni sia cambiato il ruolo dello spettatore/fruitore. Qui uno degli aspetti più importanti, come sottolinea lo stesso Bourriaud, è stato il passaggio dell’opera d’arte da monumento ad evento, dove è richiesta la condivisione e dove l’artista cerca di barattare con i fruitori. Questo implica, da parte dei partecipanti, una scelta.

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M.R.: L’iniziale pre-giudizio interpretativo che ognuno dei partecipanti alla discussione porta inevitabilmente con sé deve poter essere rimosso per dar luogo a una modificazione dello sguardo: una tale dinamica di interazione produce effetti casuali a partire dal background di ciascuno. Quanto più questo è consistente e ricco di aperture, privo di posizioni egemoni e/o autoreferenziali, tanto più la dinamica sarà produttiva in termini di scambio.
Il tavolo del talk diventa così un crocevia in cui si incontrano differenti modi di vedere e che consente il formarsi di un pensiero condiviso attraverso dialoghi che inducono spostamenti, ri-orientamenti, nuove ipotesi e nuovi spazi di contaminazione capaci di generare diverse, provvisorie posizioni e acquisizioni, trovando ponti inattesi. Il dialogo stesso, a partire da costellazioni di senso, ne fa emergere di nuove e differenti: un ordine di volta in volta ricostruibile entro la casualità degli eventi, un lavoro che de-costruisce e ri-costruisce attraverso scelte inattese e rimozioni talvolta impensabili, una dinamica del senso che si oppone a posizioni logocentriche e fondamentaliste.
La condizione autoreferenziale della lezione tradizionale – un relatore che parla ed un pubblico che ascolta – resta invece non solo squilibrata a favore di un ruolo dominante del primo, ma generalmente improduttiva.
La disposizione al dialogo, l’attivazione di una interazione, la propensione dei partecipanti a mettere in gioco i propri convincimenti – maturati attraverso percorsi differenti – sono, nel loro insieme, la condizione che si oppone alle visioni chiuse fondate sulla pretesa di possesso di verità ultime. “Gli amici della verità – afferma Derrida – sono senza la verità, benché essi non vadano senza verità.”2
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J.C.: Questo avvicendarsi di nuove posizioni attraverso le sovrapposizioni dialogiche è flusso vitale della dinamica relazionale. Tornando a parlare dell’’esperienza del talk, ricordo che, dal momento che le libere associazioni non sono mai effettivamente libere, continuando a discorrere si è passati dall’autorialità diffusa dell’happening a quell’idea di democrazia che l’era digitale sembra aver restituito; quella democrazia per cui ogni individuo è, almeno apparentemente, posto sullo stesso piano, fino a far nascere una parità nell’autorità delle informazioni. La dinamica relazionale si è ripiegata per un attimo su sé stessa per riaprirsi parlando dei suoi stessi meccanismi; si è tornati al punto di partenza quando ci si è resi conto che l’innovazione più importante della nostra era, internet, altro non fa che riportarci all’ascolto tradizionale tra cittadini, quello che avveniva nella piazza, ora dislocata nell’etere e chiamata sito. L’etimologia ci aiuta a individuare che sempre di un luogo di raccolta si tratta. Ma lo spazio unificatore non è il solo elemento fondante di uno scambio effettivo tra persone…

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V.P.: Si, la spazialità condivisa è solo un aspetto delle dinamiche di scambio. Altro elemento fondamentale è la presenza del corpo che introduce all’interno di una relazione tra un individuo e l’altro, dove l’emotività ha un ruolo imprescindibile. Il corpo produce un bagaglio di comunicazione attivando, attraverso il linguaggio non verbale, una dinamica di reciprocità che è altrettanto osservabile quanto ciò che viene esplicato attraverso le parole.

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J.C.: Probabilmente è proprio questo “scambio tra corpi” quel che manca nelle dinamiche partecipative dello spazio internet. La prima cosa che viene virtualizzata, ancor prima dello spazio, è proprio il corpo. Ed è quindi importante chiedersi se è possibile attivare pienamente la dimensione relazionale in assenza dello scambio tra corpi; fino a che punto sia possibile una comunicazione demandata solo al piano linguistico (sia esso scritto o orale) che non abbia quella completezza cognitiva che solo due o più corpi messi a confronto possono avere.

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E.M.: Sarà, forse, scontato dire che il teatro rappresenta la forma di arte relazionale per eccellenza per la condivisione e l’interazione fra attori e spettatori hic et nunc.
Bourriaud scrive:“ora, l’arte rappresenta un’attività di baratto, che non può essere regolata da alcuna moneta, da alcuna «sostanza comune»: è la condivisione del senso allo stato selvaggio, prima di esserlo da determinazioni esterne. La pratica dell’artista. Il suo comportamento in quanto produttore, determina il rapporto che si stabilirà con la sua opera: in altri termini, in primo luogo produce relazioni fra le persone e il mondo attraverso oggetti estetici.”3
Nel 1974 Carpignano, un piccolo paese ad economia prevalentemente agricola, situato al centro della provincia di Lecce viene scelto dall’Odin Teatret, diretto da Eugenio Barba in quel periodo in tournèe formativa, come base per la sua attività. “A Carpignano rimanemmo cinque mesi, ma non preparammo nessun spettacolo. Fummo costretti a rispondere concretamente a una domanda: cos’è un attore quando non ha uno spettacolo e quindi non può dimostrare la sua identità professionale? Così nacque l’idea di scambiare prodotti culturali – la popolazione locale e gli attori dell’Odin che provenivano da molti Paesi – ovvero il processo di offrire e ricevere in cambio manifestazioni del patrimonio di canti e danze. Chiamai baratto questo incontro-scambio, una cerimonia in cui ci si presenta reciprocamente attraverso espressioni della cultura personale o comunitaria”4
“Attore e spettatore si trovano coinvolti in uno stretto legame gestuale, sono uniti in un particolare rapporto di co-imitazione, in una Paarung vivente.”5
Posso, pertanto, definire il
baratto come un’azione di arte relazionale che elabora un modello di scambio in cui arte, cultura e comunità confluiscono. In questa cornice, posso collocare l’intervento di Elena Bellantoni.
Declinando la sua riflessione sul concetto di archivio, Elena costruisce il suo intervento attorno a parole quali: raccontare, contenere, cancellare, rimuovere, scegliere, conoscere, tradurre.
“Il confronto tra l’idea di scelta – gli oggetti – e al contrario la testimonianza di un rimosso e la cancellazione di una cultura altra, sono le parole chiave che delineano questo mio intervento.”
(Elena Bellantoni, 26 gennaio 2013)
 

Archive Tellers. Racconti di memoria tra archivi e arte contemporanea
Tavolo: Futuro, Racconto, Serialità, Tempo. Intervento di Elena Bellantoni
Photo Pierluca Di Pasquale

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Nella sua azione, l’artista scambia con noi la sua recente esperienza in Patagonia, mostrando un estratto del suo archivio di viaggio. Dagli oggetti personali contenuti in uno zaino, ad una collezione di fotografie scattate dai padri gesuiti, ad un abbecedario in lingua yagan redatto nei suoi mesi di ricerca nella Terra del Fuoco. L’azione si conclude con una sorta di “perquisizione”: Elena chiede a ciascuno degli astanti di scattare una foto agli oggetti che ognuno porta in tasca o nella borsa. Così si chiude idealmente il cerchio, iniziato con lo “svuotamento” del suo zaino di viaggio.
La narrazione della sua esperienza in Patagonia coincide con la capacità del fruitore/spettatore di trarne una propria coerenza: ossia di entrare in relazione.
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Archive Tellers. Racconti di memoria tra archivi e arte contemporanea
Intervento di Elena Bellantoni, photo: Pierluca Di Pasquale

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J.C.: Sulla stessa linea della dinamica di raccolta di materiali e di scambio/offerta degli stessi con e per i fruitori, attuata dalla Bellantoni, si colloca una sezione del catalogo online di Archive Tellers che ha fatto materialmente parte del talk, l’Atlante. Questa sezione del catalogo rivela la dinamica relazionale che è alla base del progetto stesso, essendo questo nato e cresciuto in un contesto formativo e realizzato dalla compartecipazione di diciotto studenti-curatori. L’Atlante si compone di cinquantaquattro immagini selezionate sotto forma di trittici da ogni curatore, presentate online all’interno di una griglia visitabile dal fruitore digitale, senza che sia guidato da alcuno strumento interpretativo. Allo stesso modo le immagini erano presenti sui quattro tavoli del talk, come corredo dei testi, costituendosi anche come spunto per lo snodarsi dell’incontro. La scelta di non dare alcuna chiave di lettura che ne condizioni la fruizione, sia da parte degli utenti online che dei partecipanti al talk, è il punto di maggior contatto con la procedura dell’artista: la lettura delle immagini era ed è lasciata aperta al pubblico e alla molteplicità di approcci che ciascuno può avere a partire dal proprio bagaglio conoscitivo. Ma la relazione è la dimensione dell’interpretazione perché è nel confronto che nasce il questionamento del significato, dunque l’avvicinamento ad una definizione è possibile solo nella condivisione e attraverso lo scambio.

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M.R.: Una disposizione simile comporta una continua messa in gioco, oltre i terreni solidi delle teorie e delle pratiche abituali. Avvertiamo il senso dell’incertezza: la ragione è un luogo meno rassicurante di quanto le nostre collaudate attrezzature mentali potrebbero farci pensare.
Il dialogo produce tuttavia discorsi interrotti o incompiuti, che sono però tracce di sguardi altri. Come scrive Ernst Bloch: “Ognuno di noi conosce il sentimento di aver dimenticato qualcosa nella sua vita cosciente, qualcosa che è rimasto a mezza strada e non è venuto alla luce. Ecco perché spesso sembra tanto importante ciò che si voleva dire proprio ora e che ci è sfuggito. Quando si lascia una camera in cui si è vissuto a lungo, ci si guarda intorno stranamente, prima di andarsene. Anche qui è rimasto qualcosa, che non si è afferrato. Lo si porta comunque con sé per ricominciare altrove.”6

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È possibile consultare ulteriori foto e materiale di approfondimento nel catalogo online del progetto curatoriale su: www.archivetellers.it


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1 Cfr. Barba E. e Savarese N. (a cura di), L’Arte segreta dell’attore, Ed. Argo, Lecce 1996.
2 Derrida J., Politiche dell’amicizia, Ed.Cortina, Milano 2010.
3 Bourriaud N., Estetica relazionale, Ed. Postmediabook, Milano 2010.
4 Barba E., “Il mio teatro come ricerca”, da Il Quotidiano di Puglia, 25 settembre 2011.
5 Dorfles G., L’intervallo perduto, Ed. Skira, Milano 2006.
6 Bloch E., Tracce, Ed. Garzanti, Milano 1994.

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Jamila Campagna nata a Latina nel 1987, laureata in Scienze Storico-artistiche, presso l’Università La Sapienza di Roma, con una tesi in Storia della fotografia contemporanea, considera lo studio della Storia dell’arte (contemporanea e non) come una sorta di “summa mundi”, punto di partenza e d’arrivo di tutte le discipline. Negli ultimi anni ha preso parte ad uno stage di catalogazione di oggetti di arte bizantina presso l’INASA e, parallelamente agli studi universitari, ha conseguito un diploma presso la Scuola Romana di Fotografia, specializzandosi in Reportage Fotografico presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata di Roma. Attraverso la fotografia porta avanti una ricerca formale e concettuale che fonde filologia storico-critica e dimensione postmoderna.

Emanuela Murro si forma a L’Aquila dove studia Lingue e Letterature Straniere. Ha fatto numerose esperienze lavorative all’estero, specialmente nell’organizzazione di eventi. Si occupa da tempo, assieme all’archeologo Giovanni Murro, di Storia della Seconda Guerra Mondiale, con particolare attenzione a quella del II Corpo d’Armata Polacco (cosiddetta Anders’ Army) dal periodo formativo all’arrivo in Italia, e dei movimenti di Resistenza in Italia e in Europa. Coltiva la tara genetica della Fotografia, l’interesse per gli aspetti antropologici del Teatro Contemporaneo La sua ricerca nell’Arte Contemporanea verte particolarmente sull’aspetto rappresentativo e performativo, e sulla sua documentazione.

Valentina Pagliarani nasce a Cesena. Si laurea come educatore presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Bologna. Affianca una formazione nella danza contemporanea approfondendo il suo percorso a NYC presso la M. Graham Contemporary dance school, la M. Cunningham school, la Trisha Brown Company. Nel 2009 danza per Claudia Castellucci / Compagnia Mòra – Socìetas Raffaello Sanzio. Partendo dalla danza come fulcro centrale, sviluppa un trasversale interesse verso la curatela di progetti intorno all’arte contemporanea. Fonda Katrièm Associazione, per la quale cura progetti multiformi, intorno alle poetiche dei linguaggi contemporanei. Attualmente si sta dedicando ad una ricerca intorno alla didattica dell’arte contemporanea per l’infanzia.

Micol Rispoli nasce nel 1985 a Ischia e attualmente abita a Roma. Laureata in Architettura 5UE presso l’Università di Napoli Federico II, frequenta il Master Curatore Museale e di Eventi dello IED di Roma. Oltre all’esperienza progettuale durante e dopo gli studi universitari, matura un forte interesse per l’arte contemporanea e per il rapporto arte-architettura, con particolare attenzione al contesto urbano e sociale. Dopo un tirocinio a Barcellona presso lo studio di Octavio Mestre Arquitectos, si laurea nel 2012 con una tesi sulle trasformazioni in atto nel quartiere 22@Barcelona. Partecipa a numerosi seminari e workshop tra cui, in ultimo, quello del PIDA 2012 – seguito dagli architetti austriaci feld72 – sul riuso ecosostenibile e low budget di un borgo abbandonato di Ischia.

Marco Salustri è laureato in Discipline Etno-Antropologiche alla Sapienza Università di Roma. Nell’ambito dell’antropologia dell’educazione ha svolto ricerche in alcuni istituti scolastici di Roma, collabora con il Museo Laboratorio della Mente dove si occupa dei Servizi Educativi, fa parte del collettivo Anthropolis che dal 2006 lavora sui temi dell’antropologia urbana e delle società complesse.

I curatori di Archive Tellers sono il gruppo 2012 della settima edizione del Master Curatore Museale e di Eventi dello IED di Roma, percorso di alta formazione per la figura professionale del curatore di mostre e di eventi sia espositivi che performativi di arte contemporanea. Ogni anno gli allievi progettano e curano un evento espositivo articolato, campo di azione e creazione di differenti anime culturali, che coinvolge di volta in volta artisti ed esperti del settore. Il gruppo di Archive Tellers è stato composto da allievi di diversa formazione e provenienza, ma uniti da una forte passione per l’arte e lo spettacolo contemporanei.