SPACE IS A DOUBT
In divenire. Sistemi dinamici altamente instabili
di Alessandra Sini
a cura di Silvia Calvarese
È un luogo l’ordine,  (qualsiasi) secondo il quale degli elementi vengono distribuiti entro rapporti di coesistenza. Ciò esclude dunque la possibilità che due cose possano trovarsi nel medesimo luogo. Vale quindi la legge del «luogo proprio» […]

Un luogo è dunque una configurazione istantanea di posizioni1.

Si ha uno spazio dal momento in cui si prendono in considerazione vettori di direzione, quantità di velocità e la variabile del tempo. Lo spazio è un incrocio di entità mobili.
È in qualche modo animato dall’insieme dei movimenti che si verificano al suo interno.

È spazio l’effetto prodotto dalle operazioni che l’orientano, lo circostanziano, lo temporalizzano e lo fanno funzionare come unità polivalente di programmi conflittuali o di prossimità contrattuale. […] In breve: lo spazio è un luogo praticato2.

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Lo spazio vuoto non esiste / non c’è spazio senza movimento / non c’è movimento senza spazio.

Nello spazio di una scena le danzatrici di Sistemi dinamici altamente instabili sono scrittrici e trascrittrici di una storia che ancora deve aver luogo, che passo dopo passo e gesto dopo gesto si sta costruendo, su impalcature coreografiche precostituite, ma fragili, poiché sensibili ad ogni minimo cambiamento di ritmo. E di luci.
Il loro movimento attiva operazioni di investigazione e sperimentazione dello spazio, i loro corpi non si lasciano contenere da questo ma lo interiorizzano, per poi riaprirlo verso l’esterno. Lo saggiano e lo penetrano, lasciandosi a loro volta attraversare, smuovendo cambi di forze dove è l’equilibrio del gesto a sancire la consapevolezza del proprio corpo.

La perdita di verticalità ha effetti dinamici. I limiti di equilibrio si superano, la caduta è imminente perché qualcosa sta per fallire, forse è proprio il senso di equilibrio.

Lo spazio del teatro si sta formando; una formazione lenta e continua, che lavora anche con il tempo, strettamente legata all’attimo dopo, al prolungamento del gesto. La scena nasce da cammini e percorsi, dal residuo di una storia che lo spettatore è chiamato a completare. Si creano strutture invisibili, eppur tanto solide e concrete, fatte di gesti, di corpi e di luci. Le danzatrici lasciano e seguono tracce. TRACE-FORMS / TRANS-FORMS. Creano lo spazio, non accontentandosi più di danzare IN esso. Il vocabolario della loro coreografia ridefinisce termini come corpo, spazio, tempo e movimento e, in qualche modo, spettatore. Si perché coloro che solitamente guardano la scena, si trovano sorprendentemente ad esserne parte, immersi in un ambiente totale, dove la costruzione dello spazio non procede più per alto, basso, sinistra destra, davanti e dietro, vicino lontano, ma procede per luci, movimenti, suoni, scarti di tempo.

L’estensione dei movimenti delle danzatrici, il loro blocco, il loro ritmo, sono anche i nostri, in un crescendo che segue i vari momenti della scena.

Parafrasando Georges Perec «Questi sono spazi fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà, poiché esistono solo grazie alla nostra azione, che in ogni momento li individua e li designa. Non sono i miei spazi, ma posso conquistarli di volta in volta».

Silvia Calvarese

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1Michel De Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2001, p.175.
2Ibidem.
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IN DIVENIRE
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Più che presente, continuamente attuale è il tempo scelto dal progetto coreografico di sistemi dinamici altamente instabili.

Fra lo spazio del presente e la dinamica del divenire si colloca il tempo della danza. Il tempo della scena.

Il momento dello spettacolo è l’occasione per lasciare riemergere il percorso di ricerca, la faticosa selezione delle materie corporee e dei materiali coreografici. Il danzatore prepara la propria condizione alla scena nell’ottica di rivivere le necessità creative e i presupposti poetici nel momento presente, nell’attimo di ogni azione per lanciarsi alla scoperta di nuove dinamiche fisiche ed emotive in mutazione. Il corpo è al centro della ricerca, diventa il luogo dell’indagine dinamica che trascende le possibilità fisiologiche e organiche per addentrarsi fra materie estranee. Il tempo futuro del possibile è l’incognita attesa alla quale si arrende la consapevolezza per lasciare spazio all’eccesso di una sensorialità che diventa conoscenza.

Calpestare la scena significa spingere in avanti la ricerca coreografica che prima d’ogni altra cosa è esperienza, sperimentazione e gestione di stimoli e variabili inattese. Imperdibile momento in cui corpo e pensiero sono esposti, ceduti allo sguardo. La qualità della presenza del corpo che si offre allo sguardo sulla scena e la mutazione necessaria di questo corpo che perde la quotidianità elementare per trasformarsi e generare la realtà altra che è coreografica, delineano il campo d’azione di sistemi dinamici altamente instabili.

Il singolo si percepisce parte dell’intero e l’opera svela il senso delle relazioni fra ogni elemento ammesso. Il corpo si lascia attraversare dalla danza aprendo la propria percezione al di là dei propri limiti, verso l’altro, verso uno spazio di relazione che allerta la sensibilità e la coscienza. E’ difficile parlare nel nostro lavoro di rappresentazione dello spettacolo, di esecuzione della coreografia, non c’è un contenuto drammaturgico di senso da comunicare, tutto ruota intorno all’atto, all’azione attuale della danza. La scelta è per una coreografia non narrativa, la partitura segna un preciso tracciato cui attenersi per realizzare l’apparire dell’ambiente della danza che resta astratta. Il corpo resta libero, nella fiducia che possa rigenerare con sorpresa ed onestà intime, i mondi di riferimento indagati e scelti  per il processo coreografico che si presenta in scena (lo spettacolo).

L’improvvisazione ha un ruolo preponderante non solo nella ricerca dei materiali dinamici e coreografici ma anche perché è compresa fra le possibilità della partitura coreografica, una griglia ritmica serrata che garantisce i cambi di ambiente e di materia senza fissare strutture o sequenze di movimento. Il segno o il gesto sono spostati nel campo dell’azione. Agire costruendo le coordinate di lettura per questa dinamica astratta che precipita l’osservatore per immersione in un luogo altro, è compito del corpo.

Cruor _errore è l’ultima tappa di un progetto pluriennale nato dalla riflessione sulla creazione coreografica in relazione alla struttura del pensiero occidentale e alle risultanti che questo implica sulla modalità della ricerca creativa e sulla organizzazione dell’opera.
L’intero progetto e tutte le sue fasi, come altri percorsi di ricerca di Sistemi dinamici altamente instabili, è una creazione in divenire, determinata dalle diverse tappe del suo processo costitutivo, suggestionata dagli incontri e dalle circostanze, dai luoghi e  dalle condizioni di lavoro. Tende ad ampliare e diversificare le modalità di realizzazione dell’opera, partendo da una pratica vicina al pensiero cinese, adottata per corrispondenze e  affinità, e sfruttata proprio per la distanza che questa pratica implica dal nostro modo di ideare, vedere, finalizzare e strutturare.

L’urgenza, in questo momento, è quella di accettare nella pratica della scena, proprio nel momento della (rap)presentazione, questo principio di immediata valutazione delle variabili senza operare delle scelte obbligate. La realizzazione coreografica trova nuovi modi di esporre l’evoluzione della ricerca, scoprendone di volta in volta modalità e operatività differenti, per permanere nella dinamica del mutamento, senza bloccare arbitrariamente il processo in trasformazione.

Cruor_errore lavora sul tracciato, sull’intuizione di un immaginario che si sposta immediatamente, grazie all’atto dinamico, dalla necessità del performer all’urgenza di decodifica dello spettatore. L’assemblaggio caotico ad accumulo e la provvisorietà di talune presenze nutrono la dilatazione del tempo della percezione, aprono il campo ad una deriva in cui emergono i materiali di risulta, residui di materia.
Anche qui si gira sempre intorno a questioni ricorrenti: presenza e assenza, condizione di stato, necessità di moto, visibile e invisibile, identità e individualità … ancora riesaminati con il coraggio della sperimentazione richiesta dal progetto nuovo, secondo una nuova e personale prospettiva di osservazione.

La dilatazione dei tempi, la visione per piani giustapposti lasciano spazio a ciò che sta fra il mobile e l’immobile, alla distanza che ne separa le differenti peculiarità (per il corpo agente e per la percezione dell’osservatore) e al gesto di transizione che qualifica il passaggio da una all’altra condizione.

L’attenzione è posta su ciò che corre il rischio di sfuggire, di essere invisibile.

L’interesse per l’invisibile percorre tutta l’arte contemporanea e la coreografia oggi s’interroga sui modi per evidenziare ciò che sta al margine, l’aspetto residuale delle azioni in rapporto agli spazi fra i corpi e alle modalità di percezione. Il corpo è irrinunciabile, lo spettacolo dal vivo è l’emozione della condivisione di un momento indimenticabile. La comunicazione, quindi l’esperienza, passano attraverso l’energia che il corpo libera nel momento presente dell’azione attuale. Bisogna esserci per poterne godere.

La danza di sistemi dinamici altamente instabili parla al pubblico molte lingue diverse se riesce ad attraversare il piano intellettivo ed estetico, per creare spazio in quello sensoriale ed emotivo che pertiene alla memoria, al vissuto e all’immaginario personale di ogni singolo spettatore.
Lo sguardo sul corpo è privato, la comprensione dell’intero progetto è una costruzione individuale.

Se chi guarda cerca di conoscere e non di riconoscere, se l’occhio dell’osservatore riesce a lasciarsi impressionare per scoprirsi nuovo, trasformato e contaminato dalla visione, allora appare chiaro il mondo e le regole in cui si muovono i nuovi (nostri) corpi.

Resta fondamentale la magia propria del teatro, non nel senso di sfruttarne le convenzioni costruttive o percettive, ma nel senso di costruire un extraquotidiano che sposta altrove, in una extraterritorialità dalla quale si torna trasformati una volta che si riaccendono le luci di sala.

Sistemi dinamici altamente instabili

Il gruppo lavora a Roma da più di dieci anni, animato da Alessandra Sini e Antonella Sini. Nel tempo si sono susseguite diverse collaborazioni. La formazione attuale per lo spettacolo Cruor_errore, l’ultima produzione in scena al Teatro India di Roma per il Festival Short Theatre il 12 settembre, include Pamela Caschetto, Simona Lobefaro, Laura Lupi e Valeria Pediglieri. Il lavoro di ricerca si svolge in sala prove e coinvolge oltre ai danzatori anche altri collaboratori: il suono, rigorosamente elettronico ed originale, da qualche anno è eseguito live da Stefano Montinaro; gli abiti sono creati con Francesca Sassi; le luci sono disegnate per quest’occasione da Martin Beeretz.