Vuoto apparente
Quando il vuoto diventa Open Space. L’azione creativa e responsabile come risposta ai vuoti comuni
a cura di Associazione culturale Open Space

di Stefano Cozzolino

“La gente si preoccupa di ciò che è suo, di ciò che può trasformare, alterare, adattare e migliorare in base alle proprie esigenze. Deve poter agire sull’ambiente per renderlo e sentirlo veramente suo. Deve esserne responsabile in prima persona.” (Ward, 2013: 105)1.

“L’idea è che la progettazione urbanistica debba essere pensata perché i cittadini [e in particolare i bambini] abbiano la possibilità di usare la città, dato che nessuna città è governabile se non alleva dei cittadini che la sentono propria.” (Ward, 2000: 31)2.

Boccaleone Open Space muove i primi passi nel 2014. Formalmente Open Space è un’associazione culturale e un gruppo aperto di associati (e non), interni ed esterni al quartiere di Boccaleone (Bergamo): fino ad oggi il territorio di riferimento della nostra azione.
Per il momento abbiamo agito due volte, assumendoci sempre la responsabilità diretta delle nostre azioni – sia economicamente sia socialmente. La prima volta lo abbiamo fatto il 6 Luglio 2014, concentrando tutti i nostri sforzi in un giorno solo. La seconda volta invece dal 2 al 26 Luglio del 2015, per tre settimane continuative.
Ci siamo occupati di urbanistica, teatro, cinema, animazione, mostre artistiche, street art, tornei sportivi, concerti, mercati, conferenze e tanto altro. Tuttavia, non è importante l’attività in sé promossa; ciò che noi riteniamo importante sono il luogo in cui abbiamo agito e come lo abbiamo fatto. Abbiamo agito in un luogo che fino a due anni fa era considerato “negato” nonché il più inospitale in assoluto: il parcheggio del viadotto di Boccaleone. Lo abbiamo fatto in maniera creativa (reinterpretando lo spazio “vuoto”) e aperta (nel senso che abbiamo cercato di aprirci a tutti coloro che avessero voglia di collaborare o esprimersi artisticamente).
Ora, però, la cosa ancora più importante è che tocca alle istituzioni assumersi la responsabilità di cambiare le regole del gioco (che noi ormai, con la nostra azione, abbiamo già ampiamente stravolto) ed aprire veramente questo vuoto alla creatività dei cittadini.
D’ora in poi il parcheggio del viadotto sia chiamerà “Piazza Open Space”. Deve essere una prova di responsabilità e creatività per tutti.

L’articolo si compone di sei sguardi, di cui cinque scritti ed uno fotografico (notare che gli sguardi potevano essere molti di più). Abbiamo ritenuto fosse necessario far emergere la complessità voloriale che ruota attorno ad Open Space. L’azione per noi è quell’infrastruttura collettiva (la piattaforma) che permette a sguardi plurali di poter coesistere e mirare nella stessa direzione.
In successione incontrerete: lo sguardo di un urbanista cresciuto nel quartiere di Boccaleone, promotore dell’iniziativa (Stefano Cozzolino, vice presidente); lo sguardo di chi ha legami radicati con il quartiere e che, in prima persona, contribuisce allo promozione dell’associazione (Nicolò Crotti, associato); lo sguardo di chi promuove con successo la diffusione di arte pubblica nel territorio (Pigmenti, collaboratori); lo sguardo di chi quotidianamente opera nel terzo settore per lo sviluppo delle reti sociali locali (Elena Malgrati, cooperativa Alchimia, collaboratrice); lo sguardo di chi fa teatro ed è in cerca di nuove sfide e nuovi spazi (Giuseppe Goisis, compagnia Brincadera); lo sguardo di si occupa con passione della diffusione di eventi artistici che puntualmente sconfinano l’ordinario (Giorgio Moratti, CTRL, collaboratore); una narrazione fotografica sviluppata del presidente dell’Associazione, un architetto non propriamente di Boccaleone, promotore con tutti gli altri associati (e non) dell’iniziativa (Nicola Vavassori, presidente).

 

Sguardo 1: Agire dentro i vuoti urbanistici e nella consapevolezza del luogo

di Stefano Cozzolino

Jane Jacobs scriveva: “la povertà di per sé non ha cause, solo la ricchezza ne ha. Per analogia, il calore è il risultato di un processo attivo, ha delle cause. Il freddo invece non è il risultato di un processo, è soltanto mancanza di calore3. Ergo, l’azione è ciò che scalda la città. Cosa è il vuoto se non la mancanza d’azione? Non solo, cosa è la città se non la sua gente?
Siamo a Boccaleone, quartiere nella parte sud di Bergamo. Che si trovi a sud è rilevante. Da che mondo è mondo, le cose più belle e fuori dagli schemi arrivano da lì, da sud. Inoltre, in tutto ciò, la cosa più bella è che esiste sempre un sud di qualcosa che sta più a nord. Potenzialmente ogni luogo è un grande sud. Potenzialmente ogni luogo può essere magico.
Siamo a metà dell’800 quando venne realizzata la ferrovia che oggi taglia Bergamo in due. Un tempo la ferrovia divideva la città (alta e bassa) dalla campagna. Oggi invece divide la città storica (a dire il vero un po’ congelata e preservata) da quella parte di città (tra cui Boccaleone) che potrebbe muoversi più rapidamente e sperimentare nuove soluzioni/azioni di rigenerazione urbana.
Questa è una storia di tagli e infrastrutture. Boccaleone infatti è sempre stato un quartiere diviso dalla città a causa della ferrovia, ma non solo: Boccaleone, intorno agli anni ’50, fu completamente sventrato per la realizzazione della circonvallazione. Con la realizzazione della circonvallazione venne eretto un viadotto che passò “cinicamente” attraverso quello che, all’epoca, era il cuore pulsante del quartiere, ferendolo, tagliandolo e lasciandolo in agonia. Da vecchio borgo, anche un po’ malmesso a dire il vero, Boccaleone passò ad essere improvvisamente un territorio in trasformazione. Il centro si spostò leggermente ancora più a sud e, nel frattempo, nuovi edifici vennero costruiti: nuove case, nuove vite, nuove energie. Boccaleone ha dato casa a molti; anzi, moltissimi.
Attenzione però: tutti questi nuovi edifici portano con sé la monotonia dell’urbanistica moderna (ma anche dell’architettura) del secondo dopoguerra, fatta di aree a standard e spazi inutili atti separare e annientare la densità tipica della città. Parcheggi, parchetti, strade larghe, e ancora parcheggi, e parcheggi, e parcheggi e aree verdi. Tutte naturalmente di interesse pubblico. Tutte naturalmente di gestione pubblica. Tutti beni comuni del comune: sono voti, i beni comuni del comune.
Chi vive in questi ambiti un po’ periferici (non per natura periferici, ma per volontà urbanistica) questa monotonia dello spazio anonimo la riconosce al volo: anzi, spesso, essendo cresciuto tra questi spazi, quando si allontana ne sente addirittura la mancanza. Distese e distese di ambiti inutili che separano – invece che unire – gli sconnessi condomini residenziali e le sconnesse relazioni tra gli abitanti.
Aree verdi, parcheggi, parcheggi, parcheggi, aree verdi, una signora con il cane e ancora parcheggi. Tutti spazi così indefiniti (mai adattati o toccati dalle persone che gli gravitano attorno), progettati e costruiti da persone che probabilmente non sanno nemmeno dove sia Boccaleone.
Insomma: queste trasformazioni – tipiche degli ambiti periferici – producono vuoti intoccabili. Intoccabili, per farla breve, perché immodificabili spazialmente (quello è un parcheggio, quella è l’area cani, lì c’è l’area bimbi, lì c’è un altro parcheggio, lì c’è la fontana che non fa acqua, ecc. ecc.). Non dico che siano vuoti di senso o di memoria questi spazi così poetici e romantici (Boccaleone è poetica e romantica per definizione). Tutt’altro; chi vive o ha vissuto in zona ha dei ricordi stupendi di questi vuoti. Ad esempio per me rappresentano i ritrovi con gli amici, le partitelle alle tre di notte, le prime sigarette, i primi appostamenti romantici (notare che i parcheggi qui sono veramente romantici), la macchina con le portiere aperte e la musica alta. La mia vita ed i miei amici, i “Ragazzi di vita”.
Però non basta e non può bastare. Cresci e ti fai delle domande. Ti chiedi se sia giusto vedere i propri luoghi sgretolarsi mentre il loro destino è in mano alle scelte di qualcuno che non sai chi sia, dove sia e soprattutto perché faccia quel mestiere. In particolare, ciò che è evidente, è che se questi vuoti non vengono amministrati bene, presto diventano anche luoghi incontrollati, lasciati a sé stessi, capaci di attirare verso di sé tutti gli scarti della città e catalizzare degrado. Ed è proprio da qui che siamo partiti: dal più grande vuoto di Bergamo, la feccia delle fecce, dalle siringhe, i morti di overdose, l’odore di piscio nauseabondo e la gente che abita nei paraggi che aveva paura a passarci accanto.
Il viadotto di Boccaleone, anche se temporaneamente, è il nostro vuoto colmato, riempito.
Vedete, lo spazio è esclusivamente “spazio” e non può essere di per sé un problema. Lo spazio è la più grande risorsa per chi ha voglia di fare. Ogni azione ha bisogno di uno spazio per potersi compiere. Avete mai visto un’azione svolgersi senza spazio? Giuro che anche per dormire in quartiere dormitorio abbiamo bisogno di spazio.
Questi vuoti lasciati vuoti, nella vuotezza del pensiero e dell’orgoglio (si, perché serve orgoglio per raggiungere il riscatto), sono un problema ma anche una risorsa. Sono un problema perché sono gestiti dalle stanza degli uffici comunali in maniera burocratica. Sono un costo perché devono essere controllati, puliti, gestiti. Sono la paura di chi ci abita attorno. Ma sono anche la risorsa per il riscatto di chi ha voglia di fare e vuole riprendersi questo vuoto proponendo, facendo, mettendosi in gioco con il prossimo colmando alcuni vuoti.
Cosa sia lo spazio pubblico è una domanda a cui gli intellettuali volgono spesso molta attenzione. Che cosa sia Open Space invece è più semplice da capire. Vedete, quel vuoto del viadotto è stato aperto non solo fisicamente ma anche socialmente. Ma non “socialmente” con quella accezione tipicamente politica del termine, ma bensì il vuoto è stato aperto all’incontro, alla voglia di sperimentare, alla voglia di condividere punti di vista diversi. In altre parole, il viadotto è stato aperto e spazzato dalla monotonia e dall’ordinarietà di chi è abituato a vedere le cose come se fossero già defunte in partenza (a tal proposito, uno scrittore di manuali di diritto urbanistico un giorno mi disse che chi fa urbanistica spesso porta con sé un istinto di morte, placando le iniziative dei cittadini più creativi; da quel momento vedo la materia con altri occhi: penso che, in qualche modo, abbia ragione).
Il viadotto di Boccaleone è un esempio semplice che consente di evidenziare tutte quelle contraddizioni create dall’urbanistica, nonché l’inefficacia di quel modo di gestire gli spazi urbani in maniera burocratica, asettica, lontana da chi vive i luoghi. Inoltre è un esempio che pone l’accetto sull’importanza di chi vive tali luoghi: se chi abita si sottrae dalla “responsabilità” verso il proprio territorio, nessun altro se ne occuperà direttamente.
In ultimo Boccaleone Open Space è un esempio a cui fare riferimento perché dimostra che uno spazio vuoto, come lo è stato per anni il viadotto di Boccaleone, all’improvviso può ospitare persone, artisti, attori, professori, cinema, giochi, bar, mamme, bambini, nonni, ragazzi. Tutti.
La nostra grande sfida è stata smettere di chiedere cambiamento a chi lo promette: abbiamo scoperto che è molto più bello guardarci in faccia e dire “bè, come ci divertiamo con questo vuoto? ”
“Coloro che migliorano il proprio quartiere, manifestano spesso un profondo attaccamento al proprio vicinato di strada, in cui si svolge gran parte della loro vita e che per essi, a quanto pare, è qualcosa di unico al mondo, d’insostituibile, di prezioso nonostante i suoi difetti” (Jacobs, 1969: 261)4.
Con questo non sto affermando che la cittadinanza all’improvviso si debba sostituire all’amministrazione locale. Questo mai. La proprietà del suolo su cui abbiamo agito è pubblica e pertanto la responsabilità principale è e deve essere dell’amministrazione locale (ci sono funzionari che sono pagati da tutti per occuparsi di questi spazi). Tuttavia, credo che l’azione che abbiamo compiuto abbia dimostrato che con pochi accorgimenti (anche radicali, quali ad esempio il modello gestionale del parcheggio), un’area che fino a ieri era problematica, possa offrire cose e spazi molto più interessanti del vuoto.

 

Sguardo 2: Agire per smuovere il contesto

Nicolò Crotti

Il viadotto che incombe, lugubre, su una parte di Boccaleone, è sempre stato considerato dagli abitanti del quartiere un annoso problema: pericoloso, sporco, degradato e degradante. Il quotidiano viavai di sbandati di ogni genere ha sempre spaventato il quartiere e coloro che lo vivono, e ha portato la zona ad assumere man mano le sembianze di una sorta di bolla di sapone enorme e ingombrante, che nessuno desiderava né cercava di violare. Lamentele, esposti e semplici chiacchiere da bar/oratorio/sagrato della chiesa si sono sprecati sull’argomento, senza che vi fosse però nessun miglioramento e/o cambiamento concreto.
Noi di Open Space, nel nostro piccolo, ci siamo resi conto che, forse, per dare la svolta a questa situazione di impasse bisognava correre il rischio di fare una cosa all’apparenza semplice e banale: agire. Agire e dimostrare che la volontà comune, la tenacia e la forza delle idee hanno il potere di cambiare le cose.
Il nostro desiderio era infatti quello di provare a far capire alla gente che il cambiamento è sempre possibile, ma solo a patto di mettere in gioco se stessi ed avere il coraggio di fare delle scelte.
Ecco, sicuramente non avremo risolto in via definitiva il problema del viadotto grazie a qualche colonna ridipinta, un po’ di musica e qualche birra, né tantomeno qualcuno tra di noi ha mai pensato di poterci riuscire; altrettanto sicuramente, però, il nostro vero obiettivo, ossia l’auspicio di riuscire a smuovere qualche coscienza, bè, quello è stato certamente raggiunto.

 

Sguardo 3: L’arte pubblica come azione relazionale

Pigmenti

Quando si parla di riqualificazione urbana la prima cosa a cui pensiamo è la ristrutturazione di immobili, la sistemazione di spazi comuni, una sorta di make up urbano. Questo per noi è al massimo uno strumento. Il fine è un altro. L’obiettivo è riqualificare la relazione tra cittadini e spazi. Il make up ha senso solo se attorno si attivano processi che rimettono in relazione le persone. Per questo abbiamo partecipato all’iniziativa promossa da Open Space, portando il nostro linguaggio che è quello dell’arte pubblica.
11 artisti da tutta Italia hanno dipinto i 10 pilastri del viadotto. Ogni artista ha lavorato ad un pilastro sul tema creature urbane, in una forma che ha permesso ai cittadini di osservare da vicino il processo di creazione artistica. Gli 11 artisti che sono stati coinvolti sono: Collettivo FX + Astro Naut, Giorgio Bartocci, Nemo’S, La Fille Bertha, Geometric Bang, G Loois, ilBaro, Casciu, Seacreative e Ale Senso. Tutti giovani artisti molto interessanti della scena italiana.
La collaborazione con Open Space ci ha permesso di relazionarci con un evento sviluppato realmente dal basso. L’aggregatore, ancor prima di un luogo specifico, è stato un sistema di relazioni costruite intorno ad un quartiere. L’operazione messa in campo in quel luogo degradato e abbandonato non è stata solo make up urbano ma un’opera di ricostruzione di comunità. Il luogo stesso, paradossalmente, può diventare quasi un pretesto.
Viviamo in un tempo abbrutito, siamo una generazione di fretta, con modelli estetici da fast food, superficiali perché più funzionali. La velocità dei mezzi di comunicazione personali e mediatici non lascia più il tempo di sedimentare e rielaborare quel grande flusso di informazioni e immagini che ci passa davanti e su cui abbiamo solo una vaga ombra di controllo. Contrariamente, lavorare con l’arte pubblica, per noi, consente di puntare a sorprendere, colpire, incuriosire, a lavorare non sulla testa ma sul sentimento, a muovere verso la contemplazione, ad utilizzare un linguaggio che non lascia spazio all’immediatezza verbale ma che obbliga alla profondità. Il percorso non è lineare, può essere del tutto casuale: può lavorare senza che ce ne accorgiamo e può colpire tutti.
Questo è quanto abbiamo tentato di fare a Boccaleone: non una decorazione o un lavoro estetico. Noi abbiamo provato a fornire uno strumento per un lavoro relazionale.

 

Sguardo 4: Proseguire per un’azione plurale e inclusiva 

Elena Malgrati, cooperativa Alchimia

Sono monzese di origine e vivo a Bergamo ormai da vent’anni. Il quartiere di Boccaleone l’ho sempre osservato dall’alto del cavalcavia, un’occhiata fuggevole, giusto il tempo di percorrere il tragitto in auto. Boccaleone si presentava come un’area periferica, non molto interessante, un po’ degradata, recisa dal resto della città da un viale a scorrimento veloce.
Il mio sguardo è cambiato negli ultimi anni, Alchimia, la Cooperativa di cui sono socia e amministratrice, ha deciso di acquistare la sua sede proprio a Boccaleone. Proprio in prossimità di quel cavalcavia. Sono in corso progetti di riqualificazione di quest’area urbana. Tra questi Casa Integra, un progetto di housing sociale.
Boccaleone come sede della nostra Cooperativa rappresenta una scelta di coerenza e partecipazione; significa avvicinarsi alla città e ai suoi abitanti per i quali vogliamo essere risorsa nello sviluppo di un futuro coeso e sostenibile.
Ѐ grazie a questa nuova casa, che di giorno in giorno ho visto trasformarsi una porzione di quartiere ed ho visto nascere Boccaleone Open Space proprio dietro la nostra sede, proprio sotto quel cavalcavia, un luogo che non avevo mai immaginato come potenziale luogo di incontro.
Questo è Open Space: un esempio di progetto, anzi di azione, di riqualificazione urbana nata dal basso con l’obiettivo di trasformare un luogo simbolo di abbandono e degrado in teatro di spettacoli, spazio di aggregazione e di svago.
Lo scorso anno per tre settimane si sono susseguiti eventi di diversa natura attraendo un pubblico molto variegato e lasciando un segno che ha trasformato visivamente lo spazio. Tutte le colonne sono ora dipinte con dei murales, un lavoro artistico che oggi il mio sguardo percepisce come quinte di un palcoscenico. Quest’anno Alchimia compirà trent’anni e, per l’occasione, abbiamo scelto di festeggiare questo evento con una sagra, il 28 maggio, portando avanti il percorso intrapreso da Open Space, offrendo diversi punti di interesse, a fruizione libera e organizzati (un reading, proposte animative, ristoro, un concerto, e tanto altro) aperto alle realtà del quartiere. Una grande occasione per avvicinare la città ad un’area periferica.
La location? Non poteva che essere “Piazza Open Space”! Vogliamo contribuire a far vivere un luogo che vuole essere uno spazio della città.

 

Sguardo 5: La sfida dell’azione teatrale nei luoghi svuotati

Giuseppe Goisis, Compagnia teatrale Brincadera

Noi stiamo facendo spettacoli nella case.
Le case non sono spazi vuoti.
Sono anzi spesso pieni, sovraccarichi.
Gli amici di chi ospita arrivano e portano cibo. Alla fine dello spettacolo, nel quale ci sono momenti di coinvolgimento diretto, si sta insieme e si consuma chiacchierando ciò che è stato portato.
È da un anno che facciamo così. 25 volte. La prospettiva è di molte altre ripetizioni nei prossimi mesi.
Non è vanagloria dire che l’esperienza sta andando oltre le speranze.
È piuttosto onesto affermare che la gente pare emozionarsi molto, e godere di un momento inusuale, che mischia l’ordinario (lo spazio domestico) a ciò che ordinario non è (il fatto scenico).
Non spetta a me certo disquisire sulla qualità artigianale o artistica del prodotto (cioè del fatto scenico).
Posso invece affermare con una certa sicurezza, irrobustita dalle repliche, che lo spettacolo e la situazione tutta (buffet finale compreso) colmino un vuoto. Appaghino una necessità.
Non so dire con precisione di che vuoto e di che necessità si tratti.
Questo, purtroppo o per fortuna, non lo so dire.
Pur senza sapere nominare né analizzare con precisione, percepisco con forza un bisogno che in quello spazio comune ha trovato una risposta inaspettata, per certi versi paradossale, qualcosa che pare assomigliare a uno stimolo di comunità reale, fisicamente presente, appagato da ciò che propriamente reale non è.
Lo spazio è una possibilità di relazione. Questo penso.
Il vuoto è una potenzialità. È una domanda. Un conatus della mancanza.
È una domanda di umanità spesso, cui si può provare a rispondere.
Una delle 25 date del nostro lavoro fu a Boccaleone, sotto il viadotto. Una delle poche date al di fuori delle mure domestiche. Extra moenia.
Il teatro deve andare negli spazi difficili. Se vuole contare qualcosa.
Deve farlo non solo perché buttato fuori da quelli facili, ma per recuperare una relazione vitale con la gente.
Uno spazio è difficile non tanto quando è vuoto, ma quando è stato svuotato. È stato reso vuoto.
La sera del viadotto mi parve un tentativo di tornare a riempire uno spazio deprivato, di umanità che non sia dolente.
Non so se il nostro spettacolo abbia dato un contributo minimamente degno.
Ma è lì che ci abbiamo provato.

 

Sguardo 6: Il dove dell’azione artistica

Giorgio Moratti

Boccaleone Open Space non ha bisogno di eventi. Boccaleone Open Space non ha bisogno di musica. Non ha bisogno di cinema. Non ha bisogno di teatro. Musica, teatro e cinema hanno bisogno di Boccaleone Open Space. Per rinascere dove nessun palcoscenico è stato creato. Ogni quadro parte da una tela, una tela bianca, vuota, anonima. Nonostante il vuoto possa essere esso stesso arte in una pinacoteca piena di dipinti o presunti tali, installazioni e bellissime cornici di forma simile, l’arte ha bisogno dello spazio nel quale sfogarsi. Ora squarciamo questa tela, apriamola come Fontana e guardiamo attraverso essa: la tela diventa uno spazio che può contenere vita. In un quadro sociale in cui le cornici non mancano e le vere opere d’arte protagoniste del film possano sembrare rassegnate a rimanere nell’inquadratura prestabilita, uno spazio vuoto riappropria ogni singola comparsa della possibilità di andare in scena, creandosela. Ogni spazio rende la comparsa un potenziale regista. Il vuoto è fondamentale. Ogni manifestazione, festival, evento cerca uno spazio disponibile, lo trova e in esso si identifica, formandosi in base alla cornice all’interno della quale potersi sviluppare. Ogni nuova forma dà vita a un nuovo festival musicale, teatrale o cinematografico che sia. Ma non si parla di nome nuovo. Si parla di nuovo. Cosa è successo quando il muro è comunemente diventato una tela? È nata una nuova arte. E quando un vuoto diventa uno spazio quale è l’arte che può nascere? L’arte di viverlo, ben distante dal renderlo vivo. È lo spazio che ci permette di vivere. E ogni modalità con cui si vive è una nuova arte. Un’arte che nasce dove prima non c’era nulla, un’arte vergine e potenzialmente priva di limiti. Ogni creativo, ideatore, organizzatore ringrazia il vuoto e restituisce uno spazio dal quale nasce un… nasce una… Nasce qualcosa, vita per esempio.

 

Narrazione fotografica: Raccontare l’azione nel vuoto apparente

Nicola Vavassori

Si è parlato e scritto molto riguardo a Boccaleone Open Space dal 2014, punto di partenza della nostra esperienza, sino ad oggi. Diversi mezzi e molteplici canali ci hanno permesso di divulgare i nostri ideali, di trasmettere all’altro la volontà di mettersi in gioco, di affrontare una nuova sfida, di sperimentare. Raccontare e raccontarsi: è questo che abbiamo fatto, che facciamo ogni giorno e che continueremo a fare. Le parole costituiscono un mezzo comunicativo potentissimo, questo potere accresce ulteriormente grazie al supporto di immagini. Raccontare la nostra esperienza attraverso differenti modalità ci permette di conferire maggiore forza alla nostra azione.

Per questo motivo, raccontiamo attraverso due gallery fotografiche il processo di trasformazione incrementale dell’area, con un particolare sguardo alle vicende degli ultimi due anni.

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1 Ward C. (2013), Anarchia come organizzazione, Elèuthera, Milano.
Ward C. (2000), Il bambino e la città, L’ancora del mediterraneo, Napoli.
3 Jacobs J. (2009), Vita e morte delle grandi città americane, Einaudi, Torino.
4 Jacobs J. (2009), Vita e morte delle grandi città americane, Einaudi, Torino.

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Stefano Cozzolino, cofondatore di Open Space, urbanista, dottorando in Pianificazione Territoriale presso il Politecnico di Milano, Assistant Professor per il corso “Land Use Ethics and the Law”. Tra le pubblicazioni “Insights and Reflections on Jane Jacobs’ Legacy: Toward a Jacobsian Theory of the City” e “Simple Rules for Complex Urban Problems”. Boccaleonese.

Nicolò Crotti, Laureato in lettere e laureando in Comunicazione, informazione ed editoria presso l’Università degli studi di Bergamo. Aspirante professore universitario.
Boccaleonese DOC.

Pigmenti, il progetto di Pigmenti nasce all’interno del Patronato San Vincenzo di Bergamo come estensione della serigrafia Tantemani, laboratorio formativo e lavorativo per ragazzi con diverse abilità cognitive e relazionali. L’obiettivo è promuovere l’arte pubblica a Bergamo http://www.pigmenti.eu/.

Elena Malgrati, cooperatrice dal 1990. Le passioni lavorative e personali mi legano alla comunicazione, all’arte e ai temi ambientali. Lavoro e sono socia di Alchimia Cooperativa Sociale dal 1997 , dal 2014 con sede a Boccaleone.

Giuseppe Goisis, insegna inglese ed è regista della Compagnia Brincadera, compagnia teatrale con la quale ha messo in scena numerosi spettacoli e cortometraggi. Autore di molti libri.

Giorgio Moratti, si occupa di comunicazione per la promozione di aventi. Dal 2012 nella redazione di CTRL Megazine, collabora anche con Bergamo SOStenibile e Select*Elect. Recentemente ha dato vita a SAPPILOcomunicare per servizi professionali di comunicazione.

Nicola Vavassori, cofondatore di Open Space, Laureato in Architettura presso il Politecnico di Milano. Lavora nel settore dell’architettura. Appassionato di tematiche sociali ed urbane, arte e fotografia.

Associazione Open Space: http://bit.ly/open–space