anno 6, n. 23 settembre– dicembre 2016 [ Italianità

anno 6, n. 23 settembre – dicembre 2016
Italianità

a cura di Viviana Gravano e Giulia Grechi

“Le comunità vanno distinte non in base alla loro falsità/genuinità,
ma dallo stile in cui sono immaginate.”
Benedict Anderson1

Possiamo identificare alcuni caratteri distintivi, in qualche modo resistenti nel tempo e nello spazio, che definiscano, seppure parzialmente, l’identità di un popolo, di una cultura, di una nazione? Le identità collettive sono il frutto di una continua negoziazione, di una mutazione incessante e di una instancabile e complessa immaginazione. Come ha scritto Anderson, le nazioni si sono storicamente definite come comunità politiche immaginate, sovrane e limitate all’interno di certi confini. Tuttavia spesso il processo di costituzione di quell’identità collettiva definita come “nazionale”, ha oltrepassato i confini geografici della Nazione, per coinvolgere altri territori sia culturali che materiali, altre comunità, e farsi così diasporico e disseminato. Altrettanto spesso, in questo processo vengono disegnati degli elementi essenzializzanti: stereotipi fissati come caratterizzanti e immutabili non solo da uno sguardo esterno alla comunità, ma assunti a volte come significativi nelle stesse auto-narrazioni, in una sorta di auto-esotismo, o di volontaria e per certi versi rassicurante semplificazione.

L’identità italiana è stata attraversata da queste problematiche fin dalla costituzione politica e istituzionale della Nazione, attraversando diverse fasi storiche, con conseguenze importanti nella vita e nelle pratiche quotidiane delle persone. I processi di definizione di una “italianità” sono passati per dinamiche di dispersione, inclusione/esclusione e integrazione, nel tentativo di individuare uno “spazio pubblico” (fisico e immaginativo), nel quale una comunità estremamente eterogenea potesse riconoscere la propria appartenenza. Prima lo stato liberale, con le sue istituzioni e le sue burocrazie; il Fascismo con l’ideologia dell’”uomo nuovo”; la stagione coloniale che ha attraversato entrambi questi periodi della nostra storia, contribuendo a delineare quell’altro esterno a partire dal quale identificare meglio il sé2; poi dal dopoguerra i partiti di massa e la prima repubblica, fino ad arrivare all’epoca contemporanea, globalizzata e insieme accesa di regionalismi e di nuove brutali forme di razzismo, che tentano di dis- conoscere con violenza la dimensione interculturale nella quale da tempo e inevitabilmente siamo per nostra fortuna immersi. E a livello popolare, come si sono tradotti questi tentativi politici di integrazione e di immaginazione? Il processo di costruzione e riconoscimento di una “italianità” sembra non avere mai concluso il suo corso conflittuale.

Un elemento determinante a costituire la complessità di questa costruzione discorsiva sono state le migrazioni. Immediatamente dopo la costituzione della Nazione, milioni di italiani sono emigrati fuori dai confini nazionali, e nelle colonie, iniziando a delineare un’italianità diasporica sia a livello culturale che linguistico. Negli anni ’50-’60 le migrazioni interne sud-nord e poi dagli anni ’70 le migrazioni verso l’Italia da altre aree del Mediterraneo e del mondo, hanno confermato quanto l’idea di “italianità” abbia sempre ecceduto i confini geografici e culturali della Nazione. Non solo le relazioni con l’alterità esterna, ma anche altre questioni rendono estremamente complessa l’operazione di identificare un concetto facilmente definibile di “italianità”: la forte (e per molti versi tuttora irrisolta) alterità interna costituita dalla “questione meridionale”, alla quale oggi si aggiungono i migranti o i “nuovi italiani” che non vengono però ancora considerati cittadini; la relazione storicamente forte con le culture mediterranee; le questioni linguistiche, di genere, di classe; la pervasività e la peculiarità delle questioni religiose; i forti regionalismi che resistono a una dinamica di integrazione in termini nazionali; gli immaginari legati alla mafia, in Italia e all’estero. Questo quadro frammentato e mosso sembra rendere impossibile e poco opportuno un tentativo di sintesi o di ricomposizione ordinata, e tuttavia tutte queste sfaccettature restituiscono la complessità delle relazioni di potere all’opera proprio nella costruzione e nella rappresentazione pubblica e intima della nostra cultura.

E’ da qui, da questo quadro mosso, che vogliamo muovere il nostro sguardo sull’Italianità, in modo parziale e non-ordinato: non tracciarne la storia ma le storie, non identificarne le essenze ma i rituali e gli immaginari, non disegnarne i confini ma seguirne le traiettorie, non pensare all’Italia ma all’Italia-Mondo.

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1 Benedict Anderson, Comunità immaginate, Manifesto Libri, Roma 2009, p. 25.
2 Giulia Grechi e Viviana Gravano (a cura di), Presente imperfetto. Eredità coloniali e immaginari razziali contemporanei, Mimesis, Milano 2016. Gaia Giuliani e Cristina Lombardi-Diop, Bianco e nero. Storia razziale degli italiani, Le Monnier, Firenze 2013. Cristina Lombardi-Diop e Caterina Romeo, Italia Postcoloniale, Le Monnier, Firenze 2014.