anno 10, n. 34 settembre – dicembre 2020 [ + Fluid Heritage

Anno X, n.34, settembre – dicembre 2020
+ FLUID HERITAGE

a cura di Nicole Moolhuijsen e Viviana Gravano

A David Kato Kinsule e Yelena Grigoryeva [1]

Sino a non molto tempo fa le istituzioni culturali, come musei, biblioteche e archivi erano considerate nell’immaginario comune come luoghi per la conservazione della tradizione, spesso distanti dalle reali esigenze della società allargata e sconnesse rispetto alle questioni urgenti del presente. Oggi le consapevolezze sulle loro responsabilità nei confronti delle tensioni attuali che viviamo in termini di disuguaglianza e discriminazione sono più accese che mai, anche alla luce di un vivace dibattito internazionale sull’accessibilità che ha contribuito a riposizionare l’attenzione sui bisogni delle persone e sulla loro diversità. Negli ultimi decenni, diverse pubblicazioni sul tema dell’attivismo in rapporto alla cultura [2] sottolineano molteplici possibilità di azione su questioni sociali complesse e politicamente controverse del presente, come il cambiamento climatico e i fenomeni migratori, sottolineando come silenzi e posizioni di presunta neutralità implichino complicità nel creare disuguaglianze. È in questo scenario di nascente attivismo che investe di responsabilità contesti e istituzioni tradizionalmente più restie a prendere posizione che si colloca il 34° numero di Roots-Routes sulle tematiche di genere e LGBTQ+.

In che modo luoghi e istituzioni con un’attitudine alla formazione (come scuole di ogni ordine e grado, musei, biblioteche e archivi) possono avere un ruolo nel contrastare gli stereotipi su genere, sfera affettiva e sessuale?
Quali le forme di violenza nei confronti di persone Queer e LGBT+ nelle narrazioni dei media e nella cultura visuale mainstream? Quali le responsabilità del linguaggio?
Come identificare e contrastare differenti forme di violenza e discriminazione nei confronti delle diversità attraverso un attivismo artistico e culturale? Quali silenzi, stereotipi e omissioni di punti di vista nelle rappresentazioni e interpretazioni a partire da contenuti culturali, come collezioni museali, librarie e archivistiche?
Quali immaginari stereotipici e quali formalismi discriminatori nel mondo delle arti performative?
Quali le contaminazioni e le collaborazioni possibili fra produzioni culturali dal basso e mondo della scuola, della formazione e della cultura istituzionalizzata?
Come incoraggiare diversità nell’approccio a temi attorno all’espressione dell’identità di genere, dell’affettività, della sessualità e del corpo come aspetti diversificati e identitari nella vita di tutt*?

Nel 1985 le Guerrilla Girls diffusero il poster che portava il titolo Do women have to be naked to get into the Met. Museum, mettendo in evidenza lo squilibrio nelle politiche di rappresentazione del Metropolitan Museum da una prospettiva di genere. La critica a cura del gruppo di artiste attiviste era un attacco rivolto all’istituzione newyorkese, dove solamente il 5% delle artiste esposte era di genere femminile, al contrario dell’oltre 85% dei corpi nudi raffigurati nelle opere. Ben presto questa posizione critica agli ambienti artistici e culturali si diffuse in altri contesti, così come le azioni di attivismo e messa in discussione del potere nelle istituzioni. Nel 2010 l’artista Matt Smith interpretò da una prospettiva Queer una parte significativa delle collezioni artistiche del Museo d’Arte di Birmingham. La mostra Queering the Museum creò collegamenti fra i significati delle opere e la diversità di genere, affettiva e sessuale attraverso installazioni e nuove didascalie dirompenti rispetto a narrazioni disciplinari e più tradizionali.
Considerare un’organizzazione o una produzione culturale da una prospettiva queer significa analizzarne le dinamiche di potere con l’auspicio di sovvertirne
 le gerarchie, mettendo al centro della riflessione le dinamiche che portano all’esclusione di diverse comunità. Trascurare la natura fluida dell’identità di genere, negare condizioni di accessibilità e tutela dei diritti a persone non-binar e Trans, significa discriminare e contribuire a marginalizzare molteplici voci e esperienze di vita. Genere e sessualità, nella loro natura più intima e possibilità di espressione che non può che essere situata e culturale – come hanno sottolineato, seppur da posizioni diverse, gli studi femministi, LGBT+, Queer e Trans – costituiscono aspetti centrali dell’identità di una persona. Questa si definisce tuttavia in relazione ad altri fattori e non può che essere considerata da una prospettiva intersezionale. È fondamentale approcciare a questi temi senza mai dimenticare di porsi da una prospettiva postcoloniale e  interculturale. La definizione dei concetti di “alterità”, nati in epoca moderna e figli della cultura coloniale, ha informato anche in maniera determinante la definizione delle identità fisse e eterosessuali degli stessi colonizzatori. Le visioni etnocentriche sono strettamente connesse agli immaginari patriarcali coloniali che hanno disegnato tutte le forme stereotipiche e discriminatorie. Dunque oggi qualsiasi pratica di ricerca sulle questioni LGBTQ+ non può prescindere dall’assunzione di uno sguardo non-etnocentrico e postcoloniale.

Note
[1] David Kato Kinsule (Nakawala, 1964-Bukusa, 2011) è stato un attivista ugandese, considerato uno dei padri del Movimento LGBT+ in Uganda.Ha lavorato per Sexual Minorities Uganda (SMUG), organizzazione non governativa con sede a Kampala impegnata per la protezione delle persone LGBT+ in un paese in cui l’omosessualità è ancora considerata reato. È stato assassinato all’inizio del 2011, poco dopo aver vinto una causa contro una rivista che aveva pubblicato il suo nome e la fotografia identificandolo come omosessuale e chiedendone per questo l’assassinio.
Yelena Grigoryeva (Velikij Novgorod, 1977-San Pietroburgo. 2019) era un’attivista per i diritti umani e attivista per i diritti LGBTQ+. È stata assassinata a San Pietroburgo, in Russia il 21 luglio 2019 dopo essere stata pugnalata e strangolata a morte da aggressori sconosciuti. Le informazioni identificative di Grigoryeva erano apparse a luglio su un sito Web da un gruppo che si definiva “Saw” che incoraggiava i suoi lettori a cacciare, rapire e uccidere un elenco di persone LGBTQ+.
[2] Cfr. M. Reilly, Curatorial Activism, Thames & Hudson, London 2018; R. Janes e R.  Sandell (a cura di), Museum Activism, Routledge, London-New York 2019; N. Felshin, But is it Art? The Spirit of Arts as activism, Bay Press, Seattle 1995; L. Frye Burnham, S.Durland (a cura di), The Citizen Artist. An Anthology from High Performance Magazine, 1978-1998, Critical Press, New York 1998.