roots§routes è un magazine con una linea editoriale dettata dalla sua redazione che garantisce la qualità e la coerenza degli interventi. Ritenendo però necessaria una costante apertura verso qualsiasi contributo di qualità, che corrisponda alle finalità condivise da tutti i redattori, valuta importante la possibilità di ospitare, accanto agli artistə e ai ricercatorə invitati, contributi che possano arrivare da contesti non conosciuti direttamente.
roots§routes a tale scopo lancia una Call for Proposals, invitando artistə e ricercatorə a inviare proposte di contributi, partendo dal tema della rivista del quadrimestre seguente.
La proposta di contributo dovrà essere inviato sotto forma di abstract di un massimo di 350 parole compilando l’apposito box sottostante o inviando una email all’indirizzo redazione@roots-routes.org con nell’oggetto: “Article Submission” specificando il numero per il quale si intende proporre il contributo tra quelli elencati dalla redazione. È inoltre richiesto l’invio di una biografia breve e una selezione di pubblicazioni. L’abstract potrà essere scritto in una delle seguenti lingue: inglese, italiano, francese, portoghese o spagnolo.
In caso di interesse della redazione verrà inviata una risposta positiva all’indirizzo email da cui è giunta la proposta, nella quale si chiederà di inviare il contributo per intero nella lingua scelta dal proponentə.
La redazione, al ricevimento dell’intero contributo, si riserva il diritto di chiederne parziale modifica o, in caso di evidente non coerenza con il concept inviato, di rifiutare il contributo stesso.
In caso di rifiuto verrà inviata una email di comunicazione con una motivazione allegata.
a cura di Antonio Mastrogiacomo, Stefano Giust e Paola Bommarito
Nel suo saggio Rumore. Saggio sull’economia politica della musica (1977), Jacques Attali [1] propone un’idea tanto ardita quanto profetica: la musica, e più in generale il suono, non è semplicemente uno specchio della società, ma uno strumento attraverso cui essa anticipa sé stessa. Secondo Attali, il rumore è il segnale precoce del cambiamento sociale, la traccia uditiva del conflitto, del disordine, della trasformazione: il rumore disturba perché rompe un ordine, ma in questa rottura si cela anche la possibilità di immaginare un’altra forma del vivere, del produrre, del sentire.
Negli anni Settanta, mentre Attali scrive il suo saggio, il compositore e teorico canadese R. Murray Schafer [2] elabora un’altra visione rivoluzionaria del suono, fondata sul concetto di soundscape: il paesaggio sonoro come costruzione culturale e politica dinamica. Schafer invita ad ascoltare ciò che ci circonda con attenzione critica, a distinguere la musicalità di un ambiente “bilanciato” dal rumore entropico della modernità, prodotto dall’inquinamento acustico e dalla territorializzazione sonora.
Al tempo stesso questo “rumore del mondo”, se colto con consapevolezza, può diventare oggetto di analisi, di composizione, di restituzione poetica: in questa prospettiva, non più “non-musica”, il rumore realizza una forma di realtà sonora, una presenza che sfida a ridefinire la nostra percezione e il nostro ruolo come ascoltatori attivi solo se la pratica dell’ascolto diventa etica, politica quotidiana.
Il paesaggio sonoro parla prima che lo facciano i dati o le statistiche: rumore come premonizione.
Nel contesto delle culture elettroniche, il rumore assume una funzione ancora diversa: dalle esperienze delle avanguardie del Novecento (dal futurismo alla musique concrète) fino all’esplosione della techno culture, il rumore rappresenta una modalità per esprimere rottura, dissenso, la ricerca di un altrove.
Si arriva, senza nemmeno ripassare dal via, alla musica industrial, al noise giapponese, ai rave illegali, ai sound system autogestiti, là dove il rumore si mostra come linguaggio controculturale, pratica di disobbedienza, espressione dell’invisibile: la techno, ad esempio, nata nei sobborghi di Detroit, si caratterizza fin dall’inizio per sonorità urbane, meccaniche, minimali che trasformano il disincanto industriale in energia collettiva; la pista da ballo, posta sotto osservazione da critici come Kodwo Eshun o Steve Goodman (Kode9) [3], definisce come spazio rituale una politica incarnata di “guerra sonora” per il diritto alla presenza e alla trasformazione. Il rumore si presenta, in altre parole, come strumento di aggregazione sociale, di sopravvivenza, di sovversione: amplifica il gesto attraverso cui una comunità risponde alla violenza sistemica per mezzo della moltiplicazione di suoni, battiti, frequenze.
Il rumore resta ancora al centro di molte ricerche artistiche e musicali contemporanee, che ne esplorano le possibilità espressive come sorgente di senso: in tempi recenti, artisti come Christina Kubisch, Jacob Kirkegaard o Valerio Tricoli hanno ridefinito il confine tra musica e ambiente, tra suono e interferenza, tra composizione e registrazione; in parallelo, la musica elettroacustica, dalle installazioni sonore alle pratiche acusmatiche, mostra una tensione sempre più capillare verso field recording e soundscape composition, in cui si attinge alla fonte sonora in maniera pur sempre relazionale, stratificata, situata.
In questa prospettiva, il rumore incarna una forza primaria che genera forme, relazioni, immaginari: da un lato campo di scontro e di rinegoziazione del sensibile allo sfondo acustico urbano, dall’altro soglia percettiva che sfida a pensare diversamente la produzione culturale, il paesaggio, l’ascolto, il corpo.
Cosa significa oggi “organizzare il rumore”? Quali politiche si nascondono nelle trame sonore della nostra quotidianità? Quali pratiche stanno nascendo, o riemergendo, attorno al suono come dispositivo collettivo, memoriale, curatoriale?
Questo numero di roots§routes magazine intende indagare il rumore come parte integrante del paesaggio sonoro e come agente trasformativo che abita tanto le derive della composizione contemporanea quanto le culture musicali nate ai margini, dai rave alle sperimentazioni noise, dalla techno all’industrial, dalla sound art all’attivismo acustico. Siamo alla ricerca di contributi che affrontino il rumore non solo come oggetto sonoro, ma come concetto attraversato da molteplici tensioni – estetiche, politiche, ecologiche, tecnologiche, urbanistiche – contaminate da saperi, discipline e pratiche differenti.

Note
[1] Attali J., Rumori. Saggio sull’economia politica della musica, Mazzotta, Milano 1968.
[2] Schafer R. M., Il paesaggio sonoro, Lim, Lucca 2022
[3] Goodman S. (Kode9), Sonic Warfare: Sound, Affect, and the Ecology of Fear, MIT Press, Cambridge (MA) 2010
DEADLINE
PARTECIPAZIONE CALL FOR PROPOSALS
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invio abstract entro 20 giugno 2025
UNICA USCITA
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pubblicazione il 15 settembre 2025
consegna articolo entro 27 agosto 2025