§De Senectute Feminarum - invecchiare come donne
Disturbing flashes of my own mortality.
Vecchi corpi negli albi illustrati.
di Elena Fierli | Scosse
  1. Nascondere le tracce

Grace and Frankie [2], una geniale serie sulla vecchiaia e le relazioni (amorose, amicali, lavorative, genitoriali) si apre con Jane Fonda che si toglie una serie di “trucchi” che le infoltiscono la capigliatura, le tirano la pelle del collo, le rendono più liscia la fronte, mentre il marito, all’età di 70 anni e dopo quasi 40 di matrimonio, le sta comunicando che la lascia per il suo migliore amico.
Così come smonta il suo corpo, Jane Fonda (Grace) si trova a smontare tutta la sua vita, pezzo a pezzo e a scoprirne lati nascosti, divertenti, soddisfacenti, sorprendenti, tristi. In una situazione (e in una società) in cui la perdita dello status di donna sposata significa diventare invisibile come se non esistesse, Grace si reinventa insieme all’amica Frankie (Lily Tomlin), ex moglie del nuovo fidanzato del suo ex marito. Attraverso lo sguardo di due donne dell’alta borghesia americana, bianche, ricche, in buona salute, con una buona rete amicale, la serie affronta tematiche su cui spesso ci si interroga in petit comité, poche volte pubblicamente: la sessualità femminile in età avanzata, le nuove esigenze del corpo, la malattia, la solitudine, la dipendenza economica. Il punto di vista è completamente wasp e non ha un briciolo di intersezionalità ma ci pone delle questioni. Che significa parlare di sessualità a settanta anni? Come ammettere che il corpo si trasforma e non ci permette di fare cose che prima erano “naturali” (per esempio alzarsi con agio dopo aver fatto la pipì)? Come affrontare la perdita di consistenza/esistenza ora che lo sguardo in cui ci si è rispecchiate per gran parte della nostra vita, quello del marito, non ci rimanda più la conferma del nostro esistere? Tutte domande presenti nel discorso femminista ma che, anche in questo ambito, trovano poco spazio e poche risposte [3] (Sontag, 1972; Varela 2022; Berger, 1972).

Un’altra scena in cui la vecchiaia sorprende e stupisce, è quando Barbie [4], appena scappata dal suo plastic world, incontra una signora anziana alla fermata dell’autobus ed è colpita dalla sua bellezza. Una bellezza che non è liscia e tirata come la sua, che ha fatto i conti con la decadenza del corpo ma, nello stesso tempo, anche con l’esperienza, la storia, la vita che su quel corpo sono passate e hanno lasciato traccia. Una signora che non rispecchia in niente il canone di bellezza e di invecchiamento che la società occidentale ci impone: il rifiuto totale di tutto ciò che rappresenta e ricorda la vecchiaia, la perdita di agilità, elasticità, luminosità.
Tutto questo nel mondo occidentale, del resto del mondo sappiamo ben poco ma torna alla memoria una delle scene conclusive di Norwegian Wood [5], scritto da Haruki Murakami oltre 30 anni fa, in cui il protagonista ritrova una vecchia amica, più grande di lui. Murakami descrive il corpo rugoso della donna come qualcosa di estremamente bello e sensuale, le pieghe della pelle, i segni del tempo, tutto contribuisce a renderla bellissima e profondamente attraente (anche se, anche in questo caso, il punto di vista è uno solo e, guarda caso, è quello di un giovane uomo).
Ci viene da chiederci, a questo punto, se non siano proprio le tracce il vero tema da mettere al centro del discorso. Forse questa ipergiovanilizzazione della nostra società dipende da una recondita paura di fare i conti con le impronte che la vita lascia su di noi, con la memoria che ci portiamo dietro e che, in vario modo, rappresentiamo? O forse dipende dal non volersi confrontare con la morte, che prima o poi arriva, ci porta via con o senza preavviso e di noi lascia ben poco?

Potrebbe dipendere, in alternativa, dal consumo bulimico di immagini che spinge a un continuo rinnovamento di ciò che sta di fronte a noi e che ci fa rifiutare tutto ciò che è “vecchio”? (Colomb, 2023).
In una intervista rilasciata a Maria Ángeles Fernández (2022) sulla rivista Pikara, la sociologa basca Matxalen Legarreta sottolinea come la concezione capitalista del tempo incida profondamente anche sulla nostra percezione della vecchiaia e del corpo che cambia, soprattutto a causa della nostra concezione della vita come un susseguirsi di tappe volte esclusivamente alla produzione: «Romper con la noción capitalista del tiempo obliga a desdeñar la vida como una sucesión de etapas lineales: la época de la niñez y de la juventud como preparación para el mercado laboral, la edad adulta la acapara la participación en el mercado laboral, mientras la vejez se establece como estar fuera del mercado laboral y se supone que es un tiempo no productivo» (Fernández, 2022, p. 22-23).

Il tempo della produttività (e riproduttività) che scandisce le grandi tappe e la quotidianità delle nostre vite, cambia i nostri comportamenti in base alla nostra efficacia e fa sì che percepiamo la
vecchiata come il momento in cui la macchina produttiva si ferma, non è più utile.
Fabrice Colomb, nella sua riflessione sul corpo come “contenitore” di pezzi di ricambio, va oltre il tema del tempo produttivo capitalista e si concentra sul fatto che il capitalismo (sistema non solo economico ma anche, come ben sappiamo, politico, culturale, familiare, tecnico, scientifico) riduce il corpo a un oggetto da mettere a valore a livello economico e di sfruttamento, sia questo salariale, medico o riproduttivo. (Colomb, 2023, p. 11). 

«Logiquement, le corps lui aussi se transforme en mine à exploiter. Il est maltraité et violenté. Celui des femmes et des colonisés en premier lieu. […] La réification et l’aliénation sont au principe même de l’exploitation. Car, en premier lieu, ce qui s’exploite doit être normé et quantifié pour pouvoir s’échanger. La réification et l’aliénation se combinent avec l’exploitation pour former une sorte de «cage d’acier» qui emprisonne les possibilités de maîtriser nos propres conditions de subsistances. Car le capitalisme est bien cela: un processus global de destruction de tous les espaces d’autonomies» (Colomb, 2023, p. 13-14). 

Per ripartire dunque dalle “tracce” dobbiamo andare a guardare come rappresentiamo questa vecchiaia, queste infinite vecchiaie tutte uguali e tutte diverse tra di loro. Non solo come le rappresentiamo al cinema o in letteratura che possono essere, alla fine, due spazi di grande libertà e sperimentazione. Dobbiamo andare a cercarne le tracce dentro alle immagini che si rivolgono soprattutto a persone giovani e che, forse proprio per questo, faticano a disancorarsi dagli stereotipi: per esempio negli albi illustrati. Che modello di vecchiaia stiamo proponendo? Quali tabù e stereotipi comporta? Qual è lo scopo per cui rappresentiamo e narriamo esattamente quel tipo di vecchiaia?
Come abbiamo più volte affermato, la rappresentazione dell’infanzia negli albi illustrati risponde a due necessità importanti e ben definite. Da un lato la necessità adulta (di chi, di fatto, scrive, illustra e produce gli albi) di trasmettere un modello molto preciso di infanzia alle persone piccole, in modo che queste ultime possano comportarsi e pensare proprio come noi persone adulte ci siamo immaginate che avrebbero fatto (Cromer 2010; Platero, 2019; Shavit, 1995); dall’altro il fatto che scrivere e illustrare significa rispondere alla necessità, sempre adulta, di raccontare un pezzo della società in cui viviamo così da spiegare -ma anche favorire- certi comportamenti, certe attitudini e, non ultimo, il controllo su un certo tipo di pensieri (Zanfabro, 2015; Bernardi, 2014; Handler Spitz 2006, Coats, 2018). Con la rappresentazione della vecchiaia questa ambiguità resta ed è ancora più marcata: da un lato vogliamo raccontarla come un modello possibile a cui aspirare durante la crescita, dall’altro, però, vogliamo invisibilizzarla il più possibile perché ci ricorda la direzione verso la quale stiamo andando, ossia la morte. La tendenza, quindi, è far sì che non si veda troppo o, comunque, non nella sua parte più “imbarazzante”, quella della decadenza rispetto a un ideale di gioventù che prevede dinamicità, innovazione, cambiamento (Sontag, 1972; Chabrol Gagne, 2011). 

But we live in a society in denial about ageing; a denial fuelled by an obsession with image and style, with youth and physical beauty, and the illusion that we can keep making ourselves over to hold old age at bay. And although we are not all obsessed with the desire to stay young, resistance is frequently interpreted as deviance or failure. (Sontag, 1979 p. 99).

© Rosie Haine, It Isn’t Rude to be Nude, Tate Publishing, 2020 [La nudità che male fa?, Settenove, Cagli 2021]
  1. Double standard of ageing

Ci sono due aspetti della vecchiaia e della sua rappresentazione su cui si concentra la riflessione che proponiamo in questo contributo: l’aspetto estetico e quello relazionale e dei ruoli.
Nella riflessione sull’aspetto estetico c’è, inevitabilmente, una maggiore attenzione sulle figure femminili. Come già sottolinea Sontag nel 1972 [6], esiste un doppio standard di invecchiamento tra uomini e donne che, strano a dirsi, vede queste ultime in una posizione di inferiorità rispetto all’autorevolezza e alla credibilità date dall’esperienza e sottoposte a una pressione estetica molto più forte e continua (i capelli bianchi, il modo di vestire, la magrezza, l’essere “in forma”) dalla quale escono sfigurate da sfinenti interventi a base di botulino, oppure trasparenti perché perdono ogni attrattiva sessuale. Una visione gerarchica e patriarcale che permane (nonostante si parli spesso di una presa di coscienza delle donne grandi e di una loro liberazione) in una struttura sociale e culturale che rifiuta la vecchiaia quasi in ogni suo aspetto: quello del corpo che cambia e diventa più ingombrante e richiedente, quello della mente che perde elasticità e brillantezza, quello della sessualità che si nega alle donne dopo una “certa età” e si impone come ulteriore prova di virilità agli uomini (Burgio, 2010).

«It is the end of fertility that marks us out as sexually unattractive and undesirable, and it brings with it the additional assumption that we are moody, depressed and emotionally unstable. But while some women do suffer severe physical and emotional difficulties at menopause, for most the effects are just mild and annoying, and some experience very few symptoms at all» (Sontag, 1979 :102). 

Se ci si interroga sulle rappresentazioni dei corpi vecchi negli albi illustrati, troveremo un disequilibrio evidente e disturbante nella rappresentazione di anziane e anziani e, di nuovo, un disequilibrio che pende a sfavore delle donne che diventano brutte, streghe, arcigne, antipatiche, noiose, dispotiche e, soprattutto, non più utili al mantenimento della specie.
Il secondo aspetto è quello dei ruoli. Abbiamo già affermato più volte che i ruoli di genere continuano a essere profondamente stereotipati negli albi illustrati, soprattutto quando si riferiscono alle persone adulte. (Fierli et al., 2020a e 2020c; Fierli, 2023; Turin, 2003). Le immagini degli albi azzardano sempre di più una rottura delle norme e dei canoni nella rappresentazione delle persone piccole, dell’infanzia (più o meno idealizzata) ma restano ancorate allo stereotipo e al modello pressoché unico quando si tratta di persone adulte. Tante possibilità finché si è piccol*, una drastica riduzione di sogni e aspettative non appena si supera la maggiore età. Immaginiamo, quindi, cosa può significare rappresentare le persone vecchie: non solo se ne trovano poche, e di solito sono personaggi secondari, ma comunque quelle che sono presenti nelle storie ricoprono, di solito, ruoli molto definiti. Nelle rappresentazioni degli albi illustrati le persone anziane si trovano imbrigliate in ruoli ripetitivi ed estremamente stereotipati: la maggior parte delle donne sono rappresentate come “nonne”, gentili, intente a cucinare, cucire, prendersi cura di qualcuno o di qualcosa. Il ruolo opposto è quello di vecchie streghe cattivissime che finiscono sempre col soccombere a un salvatore, di solito maschio e giovane! (Chabrol Gagne, 2011). Sono nonne e nonni che si occupano di nipoti e figli3, o di altre persone anziane (i mariti, di solito) presenti in famiglia. Un chiaro specchio della società, un lavoro di cura non riconosciuto, dato per scontato e che sfinisce portando a un deterioramento del corpo e della mente notevole e molto poco studiato [7] . (Juares, 2022; Villaverde, 2022; Vaquero, 2022). 

A questo proposito, sono interessanti le riflessioni di Legarreta riportate da Fernández: «[…] las mujeres mayores, las viejas, dedican al trabajo doméstico y de cuidados la misma cantidad de tiempo que dedican los hombres de entre 35 y 55 años a trabajar en el mercado laboral. “Sin embargo, estas últimas son consideradas como inactivas y ellos son considerados como ganadores de pan y activos”, añade. ¿Estamos robando tiempo a las viejas? “Es verdad que quitamos tiempo a las mujeres adultas, pero sociólogas italianas como Carmen Leccardi proponen que las mujeres producimos tiempo; haciéndonos cargo del trabajo doméstico y de cuidados, producimos tiempo para otras personas. Me parece más interesante esta perspectiva porque subraya la agencia de las mujeres y no las victimiza”» (Fernández, 2022, p. 24). 

Nonostante la visione proposta da Leccardi, a cui fa riferimento Legarreta, sono pochissime le persone anziane o vecchie narrate e rappresentate in ruoli che fuoriescono da questo tipo di immaginario. Persone che viaggiano, che ancora creano e lavorano, pronte a chiacchierare o a bere un bicchiere con le amiche sono quasi assenti dagli albi che leggiamo e proponiamo a un pubblico lettore di persone piccole. Penso per esempio ai nonni biologici e alla nonna-vicina di Adele e gli altri, bellissimo albo di Gerlinde Meyer pubblicato in Italia da Raum Italic (2019) che presenta una famiglia allargata divertente, stilosa e piena di sorprese; penso al nuovo libro, non ancora pubblicato in Italia, di Esther Bacot, Chez Nonna delle Éditions Cépage (2023); e penso all’elegante nonna di Cappuccetto Verdi di Munari che, insieme alla mamma della tavola successiva, sono pronte ad ascoltare e a credere a ciò che Cappuccetto ha da raccontare. Ci sono altri esempi, c’è la Signora Meier che non è nonna e decide di abbandonare il marito per volare insieme al suo merlo. Un po’ goffa e un po’ ingombrante insaccata in quel vestito sformato e nel grembiule ma con un coraggio che batte ogni giovane eccezionale e ribelle. C’è la nonna di Un gioco da ragazze di Alessandra Lazzarin (Orecchio Acerbo, 2020) che lascia libere le nipotine di sperimentare e immaginare. Ma sono, e restano, poche eccezioni. Potentissime, ma sole.

  1. Menopausa, rughe e vecchie dentiere…

Chabrol Gagne nel suo saggio Filles d’album (2011), titola così il capitolo, preziosissimo e raro, sulle rappresentazioni della vecchiaia. Si tratta di tre elementi la cui presenza incombe sugli albi illustrati anche se gli accenni diretti a questi temi sono molto rari, ambigui e mai abbastanza approfonditi.
Se sono solo 5 o 6 anni che troviamo libri sulle mestruazioni (Fierli, 2023; Fierli et al., 2020b) che rivendicano il fatto di poterne parlare e cercano di rompere il tabù che da sempre le colpisce, la menopausa è un tema che comincia a emergere nei discorsi delle persone adulte da pochissimo tempo, tanto che nei libri sulle mestruazioni rivolti a persone adolescenti non viene quasi mai nominata [8]. La menopausa ha a che vedere con la perdita della capacità riproduttiva di una persona e, di conseguenza, con il crollo della sua posizione gerarchica nella società. Se per le donne, infatti, la visione è totalmente repronormativa e ci si immagina un unico destino che è quello riproduttivo (Franke, 2001; Weissman, 2017), nel momento in cui si perde questa capacità è automatico che la società ci invisibilizzi e ci metta da parte. Questo repentino cambio di ruolo porta con sé varie conseguenze.
La prima, e più importante, è quella dell’asessualità. Alle donne grandi si nega ogni desiderio e ricerca di piacere, tema affrontato in modo molto diverso, per esempio, quando si parla di uomini. Sul corpo vecchio, non più “utile”, cala un velo di disprezzo.

«Menopause is the culture’s defining consciousness about older women and within it there are several narratives of the ‘problem’. […] All these narratives create the context for menopause as a major design fault that leads inevitability to diminishment, alienation and invisibility. The impact of hormonal change is physiologically and emotionally real, but it is not necessarily debilitating or disabling; even so, biological determinism – used to declare women mad, sad or bad as adolescents and in pregnancy – has a special bite in old age where it also erases us from public view» (Sontag, 1979, p. 102). 

Inutile dire che, soprattutto negli albi illustrati, quando (raramente) si parla di sessualità, desiderio e piacere le persone vecchie (anche semplicemente adulte non più giovanissime) sono completamente cancellate dalle rappresentazioni. Fino a pochi anni fa si faceva fatica a trovare un albo in cui fossero raffigurate coppie anziane che si scambiavano affettuosità, oggi è un po’ più facile ma resta un tabù. Se le persone adulte e vecchie sono esclusivamente genitori o nonni, queste non possono avere la propria sessualità, non possono voler baciare nessun altro se non nipoti e figli*, non possono provare piacere se non nel cucinare enormi teglie di lasagne o facendosi testimoni del passato. Ma, soprattutto, sono i loro corpi a non poter apparire per ciò che sono: corpi vecchi, con la pelle non più elastica e con le macchie, con le rughe, con i muscoli che hanno perso di tono, con i rotoli dovuti all’eccesso di grasso.
Abbiamo dato finora per scontato, come del resto fa tutta l’editoria per l’infanzia, che quando parliamo di corpi di persone vecchie, della loro sessualità e delle loro relazioni, più in sintesi della loro esistenza, ci riferiamo esclusivamente a persone cis-eterosessuali: sono, infatti, completamente assenti tutte le altre soggettività. Che si tratti di omosessualità, o di qualunque altro orientamento sessuale, di persone trans* o di qualunque altra soggettività, resta il fatto che non sono rappresentate negli albi. Evidentemente invecchiano solo le persone cis-eterosessuali. (Wittig, 1980; Butler, 1990; Fierli e Marini, 2021).
Un corpo che non può più né produrre né riprodursi, asessuato e privo di desiderio, non è più necessario e, quindi, non è degno di cura. Il tema della cura dei corpi vecchi è infinito e molto problematico (Freixas, 2022; Juares, 2022; Villaverde, 2022). Non è questa la sede per parlare di cura, malattie e dipendenza, ma è certo che tutto questo (morte compresa) è praticamente assente dagli albi illustrati. Sono temi che già la prosa per preadolescenti e adolescenti tratta con un certo riguardo. Gli albi illustrati, pensati per persone ancora più piccole, sorvolano sull’argomento come se morte, malattia e trasformazioni del corpo non riguardassero chi è solo all’inizio del cammino della vita. Le persone vecchie, quindi, scompaiono dalle rappresentazioni se non quando serve che incarnino norme e stereotipi molto evidenti (Chabrol Gagne, 2011): una nonna che cucina, un nonno saggio, una crema che fa sparire le rughe, una colla per dentiere di chi, giovanile, può ancora avere una chance nelle relazioni.
Un atteggiamento che ha a che vedere in parte con un tema di controllo del pensiero e del comportamento delle persone (piccole e grandi) e in parte con il fatto che la società occidentale in cui viviamo (e di cui parliamo) ha atteggiamenti molto ambigui verso tutto ciò che è morte, malattia, decadenza che tendono, quasi sempre, all’invisibilizzazione, come se non vedere e non parlarne cancellasse questi avvenimenti, come se non riguardassero mai chi scrive, chi illustra, chi legge. 

  1. Conclusioni

Le rappresentazioni che troviamo negli albi, quindi, sono di una vecchiaia che si nasconde, si disprezza, si cerca di cancellare tirando la pelle da più lati, alzando un po’ gli zigomi, mantenendo un’apparenza di relazioni e socialità giovane e giovanile. Una vecchiaia fatta di corpi che hanno bisogno di cura ma dai quali si estirpa l’idea di piacere e desiderio, corpi che appaiono raramente e quasi sempre sono stereotipati. Dall’altro lato, però, la vecchiaia mantiene un fascino e una potenza inusuali. Perché è memoria, è trasmissione del passato, è sapienza, affetto, tenerezza.
Si cominciano, infatti, a trovare libri che ce la raccontano così, con tutte le contraddizioni e le complessità di corpi che cambiano e, sempre più, sfuggono al controllo di chi li abita.
Se ci aveva colpito la determinazione della signora Meier nel decidere di provare a volare (nell’indifferenza cieca e benevola del marito), tenera e goffa ma profondamente decisa a superare i propri limiti, ammiriamo profondamente le tre zie di Garman (Stian Hole, 2011) che accettano il passare del tempo con ironia e curiosità, gestendo la paura o lasciandola alle spalle, come la zia Augusta «Lei è diventata un po’ smemorata e non si ricorda più cosa vuol dire avere paura.» (p. 26).
E finalmente appare anche il corpo nudo. In Italia il tabù della nudità è durissimo a morire.
Nonostante pubblicità e videogiochi ci propongano spesso corpi davvero poco vestiti ed estremamente sessualizzati, il corpo nudo non ammiccante non è ammesso e si ritiene poco adeguato alle persone piccole. Per questo l’accoglienza riservata a La nudità che male fa? è stata entusiasta -soprattutto dalle addette ai lavori- perché con totale rispetto e delicatezza ci mostra ogni tipo di corpo, ogni tipologia di pelle, ogni segno e disegno, perché “col tempo i corpi continuano a cambiare”. E va bene così.

Note

[1] il titolo dell’articolo “Disturbing flashes of my own mortality” fa riferimento a una citazione di Susan Sontag (1979, p. 99)
[2] Grace and Frankie (2015-2022) è una serie statunitense, creata da Marta Kauffman e Howard J. Morris, che ha come protagoniste Jane Fonda e Lily Tomlin.
[3] Non abbiamo letto gli altri articoli di questo numero ma la convinzione che la bibliografia e i riferimenti si ripetano è, purtroppo, molto forte e non dipende dal fatto che tutte andiamo a “pescare” nel solito lago di conoscenza, ma dal fatto che la riflessione sulla vecchiaia fatta con una prospettiva di genere, seppure in aumento esponenziale, continua a essere scarsa e invisibilizzante.
[4] Il film Barbie (2023) è diretto da Greta Gerwig ed ha come protagonista Margot Robbie. È un adattamento cinematografico che prende spunto dalla celebre serie di bambole della Mattel, Barbie.
[5] Norwegian Wood di Haruki Murakami (1987) è stato pubblicato in Italia anche con il titolo Tokyo Blues.
[6] Sontag conclude l’articolo con questa chiosa geniale: «If you aren’t aware of the double standard of ageing and feel that as a woman you haven’t experienced it I urge you to think again, and to look beyond yourself. Wake up to the bigger picture, study the patterns on the wallpaper and listen for the tone of the background music.» (Sontag, 1979 :112)
[7] Sono pochi e molto recenti gli studi che vincolano alcune forme di demenza senile, che colpisce in percentuali altissime le donne, al tipo e tenore di vita che queste hanno vissuto, allo stress da cura, alla depressione e alla sensazione di frustrazione spesso provata a causa di pressioni sociali o impedimenti nel realizzare i propri sogni per la situazione familiare o lavorativa. Un altro tema ancora molto poco studiato, e sul quale abbiamo pochissimi dati, è quello che lega la demenza senile all’abuso di un certo tipo di medicine (ansiolitici, sonniferi) prescritte spesso per placare un’inquietudine classificata come “tipicamente femminile” e dovuta, spesso, a una non corrispondenza tra realtà e aspettative.
[8] Nella recente ricerca che ho svolto sui libri illustrati che parlano di corpi, identità e sessualità nell’editoria catalana e spagnola, di una selezione di 8 titoli sulle mestruazioni -selezione indicativa rispetto alla produzione generale che conta una quindicina di titoli tutti piuttosto simili tra di loro- ho potuto individuare un solo libro ne parla. Si tratta di Así son nuestras reglas scritto e illustrato da EsCarolota. È, peraltro, l’unico titolo che parla anche di mestruazioni e menopausa facendo riferimento alle persone trans*.

Albi illustrati 

Bacot E., Chez Nonna, Éditions Cépage, Paris 2023
Erlbruch W., La Signora Meier e il merlo, Edizioni e/o, Roma 2003
Haine R., La nudità che male fa?, Settenove, Cagli 2021
Hole S., L’estate di Garman, Donzelli, Roma 2011
Lazzarin A., Un gioco da ragazze, Orecchio Acerbo, Roma 2020
Meyer G., Adele e gli altri, Raum Italic, Berlin 2019
Munari B., Cappucetto Verde, Corraini edizioni, Mantova 2010

Bibliografia 

Berger J., Ways of Seeing, Penguin 2010
Bernardi M., Letteratura per l’infanzia tra Utopia e Controllo. Poetica, autenticità, temi difficili VS sistemi di addomesticamento, in «Impossibilia Revista Internacional de Estudios Literarios», 8, 2014, pp.122-137
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Burgio G., Il maschile in adolescenza, in C. Gamberi, M.A. Maio, G. Selmi (eds.), Educare al genere. Riflessioni e strumenti per articolare la complessità (pp. 55-70), Carocci, Roma 2010
Butler J., Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity, Routledge, Abingdon-on-Thames 1990
Cereda A., Schiavitù dell’immagine? La bellezza come tecnologia di costruzione del genere (pp.256-280), in E. Bell, B. Poggio, G. Selmi (eds.), Attraverso i confini del genere, Centro di Studi Interdisciplinari di Genere. Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Trento 2013
Chabrol G., Nelly, Filles d’album. Les représentations du féminin dans l’album, L’atelier du poisson soluble, Le Puy en Velay 2011
Coats, Karen, Gender in picturebooks, in B. Kummerling-Meibauer (ed.), The Routledge companion to picturebooks (pp. 119-127), Routledge, Abingdon-on-Thames 2018
Colomb F., Le capitalisme cannibale, Éditions L’échappée, Paris 2023
Cromer, Sylvie, Dauphin, Sandrine, Naudier, Delphine, L’enfance, laboratoire du genre. Introduction, in «Cahiers du Genre», 2(49), 2010, pp. 5-14
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Freixas A., Vivir, no solo sobrevivir, in «Pikara. Viejez», monografico, n.16, 2022, pp. 8-11
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Juares C., Cuidados no correspondidos, in «Pikara. Viejez», monografico, n.16, 2022, pp. 45-49
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Vaquero E. R., Olvidar la vida, in «Pikara. Viejez», monografico n.16, 2022, pp. 50-54
Varela I., Pobre no puedes, con amigas sí (o de cómo las viejas son chicas si son “de oro”), in «Pikara. Viejez», monografico n.16, 2022, pp. 72-77
Villaverde T., Cuidar por amor, cuidar por dinero, in «Pikara. Viejez», monografico n.16, 2022, pp. 50-54
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Elena Fierli è storica dell’arte e specialista in editoria per l’infanzia e illustrazione, lavora come ricercatrice indipendente e con l’associazione Scosse sull’educazione al genere, promozione della lettura e valorizzazione delle differenze. Collabora con scuole, musei e progetti di formazione e autoformazione. PhD in Gender Studies alla Universitat Rovira i Virgili di Tarragona nel programma Doctorat Interuniversitari en Estudis de Gènere: Cultures, Societat i Polítiques.