§De Senectute Feminarum - invecchiare come donne
Donne e corpo: tradizione biblica e analisi storiografica nell'invecchiamento femminile nel Tardomedioevo
di Carmine Lo Regio

1.1 Premesse per una riscoperta teologica del corpo.

Vittime di una miopia storica, cadiamo nell’errore di credere che solo la nostra epoca abbia saputo dare il giusto valore al corpo, emancipandolo dalla misera e triste alienazione dello spirituale, dandogli il giusto spazio che merita.
L’errore di questa prospettiva, sta nel non aver riconosciuto che ogni storia è prima di tutto storia del corpo. Ogni società ha avuto la sua simbolizzazione socio-storica. Riflettere sulla storia vuol dire riflettere sulle rappresentazioni del corpo, a partire da ciò che ci ha lasciato nella sua forma instabile e transitoria.
Anche e soprattutto la storia tra cristianesimo e civilizzazione occidentale è passata attraverso il corpo, tant’è che il cristianesimo ha giocato un ruolo di vitale importanza all’interno dell’organizzazione dell’esperienza corporea occidentale ed a sua volta è stato influenzato dal modo di vivere, della società con la quale si interfacciava di volta in volta, il corpo.
Basti riflettere sul ruolo che ha avuto l’ellenismo in rapporto con il cristianesimo ed il suo conseguente pensiero dualista o il rapporto con la civiltà borghese ove l’uomo risulta avere dignità solo in quanto soggetto pensante, svincolato dai suoi meri istinti corporei.

Ora più che mai per interfacciarsi con i segni del corpo, che sia la vecchiaia, le malattie o semplicemente il corpo stesso è di vitale importanza una riscoperta teologica del suddetto.
Parte della teologia, quella in grado di interpretare il dogma come un sistema aperto, dirige la propria riflessione sul corpo all’interno di un sistema fenomenologico che ha evidenziato l’esperienza della corporeità come una nuova e fertile terra di ricerca. Il corpo vissuto fenomenico, è un elemento di fondamentale importanza dell’esperienza esistenziale immediata, appartiene alla sfera del sé, si rivolge all’altro in quanto corpo, percepisce in maniera corporea il mondo ed il divenire storico.
Per porre fine all’errore storico della teologia, aprendola per farsi fecondare dai valori del corpo, possiamo trovare un centro di coerenza nel concetto di esperienza dell’assoluto: il sapere, questione della spiritualità, non è un pensare concettuale ma è il sapere relazionato all’esperienza del proprio essere, del proprio sentire l’essere, non mediante determinate percezioni immaginative-concettuali o di volontà, ma bensì passando al di sopra di tali categorie, risultando così acategoriale ed ampliata nei suoi interessi e centrata, conducendoci a un centro in cui tutto l’uomo è presente come punto di partenza della sua vita.

Tutto è unificato: Spirito, carne, volontà,mente, sensi.
L’esperienza dell’assoluto si manifesterà attraverso il corpo e lo spirituale assumerà, integrandosi al corpo, un nuovo valore decisamente più concreto. L’uomo, in questa totalità, non percepisce se stesso solamente in quanto spirito, ma anche in quanto corpo, percependo il corpo all’interno della percezione del proprio sè, lasciando entrare in sè l’esperienza dell’assoluto, bisogna dunque inserire anche il corpo, con i suoi segni e la sua esperienzialità all’interno di una direzione che si rivolga all’assoluto, affinché non sia uno ostacolo ma che sia un mezzo che ci unisca nella percezione del nostro essere.

1.2 Per una breve storia teologica del corpo.

Sarebbe del tutto sbagliato asserire che all’interno delle sacre scritture siano contenute le risposte, per lo più risposte ben chiare e nette, nei riguardi delle complessità del corpo umano. I valori tradizionalmente dati da una certa corrente teologica, che sovrastano di netto nel corso della storia quelle della liberazione, hanno imposto come già precedentemente detto nel corpo un ostacolo con la quale combattere, fino al suo svilimento, in ogni frangente della propria vita.
Paradossale ed ipocrita questa situazione, se si considera che all’interno dei Vangeli viene data un’importanza fondamentale al corpo. Il corpo qui assume il valore tattile di una religione così spirituale come il cristianesimo, dove un sentimento così aulico come l’amore diventa un lavarsi piedi, stare insieme l’un l’altro al medesimo tavolo e mangiare dallo stesso piatto. Lo stesso Gesù Cristo diventa “zwischen”, frammezzo corporale tra il cielo e il mondo che lo circonda, condensando in sé la profonda attesa escatologica.
Insomma, non sarebbe in quest’ottica un allontanamento volontario della Chiesa, riducendo l’enorme valore del corpo e i suoi segni, per fare del corpo uno strumento politico?
Di conseguenza la rappresentazione androcentrica del corpo, viene ad essere investita come consenso pratico e dogmatico sul senso delle pratiche, ci si ritrova dunque a confinare il corpo in schemi di pensiero che sono il prodotto di questi rapporti di forza, facendo seguire dunque atti di riconoscenza pratica e dogmatica ove si afferma la violenza che essa subisce.
Ma il cristianesimo, una religione tanto aperta al materiale e al corporale quanto allo spirituale trova validissime prove all’interno degli stessi dogmi e scritti: nei dogmi della creazione e dell’incarnazione, nella resurrezione del corpo, nella venerazione delle reliquie, nell’incontro nella Chiesa figurata come Corpo di Cristo e chi più ne ha più ne metta, in un via vai lunghissimo che non diramerà di certo la questione.

Credenza popolare ed assolutamente generica, vede nel cristianesimo medievale le prove di una religione fobica al corpo, ma è totalmente fuorviante ridurre la poliedricità del cristianesimo medievale a un periodo storico-religioso in aperta opposizione alle esperienze corporali.
Questo persistente mito storiografico, si costruisce in epoca rinascimentale, periodo presunto di totale riscoperta dell’uomo, costituendo il medioevo come un periodo segnato dalla censura delle esperienze corporee, sostenendo la mortificazione della carne e la negazione delle indulgenze sensoriali ma dobbiamo per l’appunto aver presente di un qualcosa costruito ad hoc dagli intellettuali rinascimentali, che non davano nessun valore al corpo, anzi!
Il celeberrimo motto “mens sana in corpore sano” non deve indurci al fraintendimento, non esalta il corpo ma lo riduce a mero strumento. Questo concetto, precursore della filosofia Cartesiana, presuppone che l’intelletto o l’intelligenza servano da forza trainante dietro un corpo la cui grossolanità e idiosincrasie intrinseche devono essere sottomesse per facilitare la trasmissione senza ostacoli delle direttive intellettuali.
Fondamentalmente, lo sviluppo dei muscoli e dei nervi durante questo periodo non era guidato da un apprezzamento intrinseco per il corpo stesso bensì dalla preoccupazione di esercitare il controllo sul corpo.

Al contrario, il medioevo si fa carico della concezione veterotestamentaria del corpo, una concezione che vedeva l’espressione corporale come un sacramento e che simboleggiavano il rapporto con Dio e il pieno equilibrio della creazione, tutto ciò si radicalizzò ulteriormente con l’incarnazione, ove accrebbe il rispetto verso il corpo, essendo unita eternamente con Dio. Il cristianesimo medievale seppe reggere in un equilibrio stabile e mai più ritrovato all’interno della storia teologica, il rapporto tra spirituale e corporale.
È la certezza del soprannaturale a regalare una nuova visione del naturale, decisamente più tranquilla, equilibrata, di tollerata accettazione nei confronti della debolezza del corpo e della carne, dove troviamo la massima espressione nel nudo gotico, che nulla ha che vedere col nudo classico, dove nasce in seno a una particolare interpretazione e sensibilità dell’artista nei confronti dello spirituale cristiano. Ci troviamo di fronte dunque un medioevo pienamente sessuale, non spaventato dal corpo e dai suoi conseguenti segni, dove anzi trionfa pienamente il corpo nudo all’interno delle stesse feste religiose, opere letterarie, artistiche. Un’epoca in perfetta armonia con il sensibile e la sua corporeità

Ritratto di Eva, emulsion lifting technique, Carmine Lo Regio 2023

2.1 Donne e Vecchiaia nel Tardomedioevo 

Questa breve e, si spera, interessante premessa attorno al corpo teologico, ci permette di avvicinarci alle contraddizioni presenti in ogni epoca storica, nei confronti della Donna.
Seppur vero che il Medioevo, come periodo storico-corporale, è stato a gran merito un’epoca ricca di considerazioni positive e con una maggior cura verso il corpo rispetto anche ad epoche successive, le donne vivevano in media molto meno rispetto agli uomini. Rivolgendo l’attenzione ai documenti del monastero di Farfa nell’Italia centrale, censiti tra il 789 e l’822, il rapporto tra i sessi in età adulta era pari a 112 uomini ogni 100 donne. Questo campione, che possiamo ritenere rappresentativo, e ci sono ragioni convincenti a sostegno di tale tesi, ci può permettere di iniziare un discorso, sulla quale si tornerà in seguito, in cui la donna è vista come un oggetto in un’economia di mercato, che stimolerà una misogina competizione per la scarsezza di questo bene  femminile.
Prevaleva dunque la convinzione che le donne, di regola, non godessero della stessa longevità degli uomini. Aristotele, che con le sue idee filosofiche ha pervaso il Medioevo, affermava che i maschi sopravvivevano alle femmine a causa del calore intrinseco associato al genere maschile, caratterizzandolo come una “creatura più calda della femmina”.
Credo sia interessante soffermarci da dove provenga questa considerazione, ovvero da dove nasce la teoria medico-umorale, che ha trovato tracce fino alla metà dell’Ottocento. 

La teoria postula che il corpo umano ospiti quattro sostanze fondamentali, chiamate umori: sangue, catarro, bile gialla e bile nera. Ciascuno di questi umori portava un composto di quattro qualità: caldo, freddo, umidità e secchezza. L’equilibrio unico di questi umori, denominato “carnagione”, varia da individuo a individuo, determinando differenze intrinseche nel calore e nell’umidità corporea. Le donne, in generale, erano percepite come dotate di una costituzione caratterizzata da maggiore freschezza e umidità rispetto agli uomini.
E questa teoria era oltremodo un peso per la donna, con la convinzione che in quanto più debole potesse sfociare più facilmente in squilibri che le portassero infertilità e disfunzioni sessuali. Attorno alla condizione della donne infertile è di vitale importanza soffermarci in quanto crocevia della concezione di vecchiaia all’interno del medioevo.
I medici medievali, da una base ricca di teorie dell’antichità greca, elaboravano congetture decisamente misogine sui contributi di uomini e donne nel formare gli embrioni, dove alle teorie sull’esistenza del seme della donna veniva allegata una considerazione, ovvero che il seme delle donne differiva ed era apparentemente inferiore o meno dinamico di quello degli uomini. Questo punto di vista fu esposto in particolare da Avicenna nel suo Canone di medicina, un’opera fondamentale tradotta in latino negli anni Ottanta del XII secolo, che influenzò successivamente numerosi studiosi che seguirono le sue orme.
Tutto ciò prova l’idea della filosofa femminista, Mary O’Brien, che espone nel suo libro La Politica della Riproduzione, ovvero che il dominio maschile nel corso della storia sia il prodotto dello sforzo per superare il loro essere privi di mezzi di riproduzione e per restaurare il primato della paternità, sminuendo il lavoro reale della donna nel parto.

Tutto ciò tiene fede se considerato che la donna avesse un valore economico in base alla sua fertilità, una donna non più in grado di procreare era sostanzialmente considerata un’anziana, dunque se per gli uomini potevano esserci più o meno età nella quale si potesse essere considerati anziani, ad esempio per Dante nel suo Convivio l’età della maturità era compreso tra i 45 e i 70 anni, per Sant’Agostino era al compimento dei trent’anni che iniziasse l’inevitabile declino fisico e mentale, Per Isidoro di Siviglia la vecchiaia iniziava tra i 50 e i 70 anni, ed ancora e ancora, si potrebbe discorrere un lunghissimo elenco di considerazioni sulla vecchiaia.
E per le donne? Nulla di tutto ciò era attestato per quanto riguarda la condizione della vecchiaia femminile, a cui veniva attribuito un valore solo fino al momento della fertilità e che pertanto svalutava la donna “vecchia”, essendo un peso per la società.

Una donna vecchia, in un sistema di mercato, che sopravvive ancora oggi, che mira ad amplificare la disimmetria tra soggetto dominante (l’uomo) e oggetto dominato (la donna), è sostanzialmente senza valore, in un contesto riproduttivo-patriarcale ove la funziona della donna resta quello di accrescere il valore delle funzioni dell’uomo.
È in questa logica di economia di scambio, il matrimonio e la riproduzione che si assegna un valore alla donna, votata ad avere una funzione se e solo se capace di accrescere il capitale di dominio dell’uomo. Non a caso  all’interno di molti regni medievali, come quello franco, una donna incinta assume un valore di all’incirca 500 soldi, cessate le mestruazioni, con il subentrare della menopausa, iniziava una vera e propria malattia, che avviava il corpo femminile verso la vecchiaia e dunque a divenire decrepito, inutile, brutto, decadente.
Tutto ciò tiene banco ancora oggi, facendo fede alle affermazioni di Anne-Marie Dardigna dove ci parla del corpo femminile come un oggetto storico, valutabile e circolabile tra gli uomini al pari di una moneta.
Possiamo davvero dire che nella nostra odierna società patriarcale e misogina questa considerazione della donna non continui a sopravvivere? Nel corso della storia la donna non ha mai smesso di essere nella nostra società androcentrica, uno strumento votata a circolare come mezzo di produzione e riproduzione, ridotta ad oggetto di scambio nella politica maschile.

È dunque quel gioco che permette la sottomissione prolungata con regolarità, principio di un sistema androcentrico che nel corso della storia ha relegato la donna in condizione subalterne, tramite strategie di fecondazione, matrimoniali, economiche, tutte orientate ad accrescere il potere maschile.
Nel XIII secolo emerse però una trasformazione percepibile nelle dinamiche demografiche prevalenti. Come evidenziato da diversi commentatori nel successivo Trecento, il discorso cominciò a ruotare attorno alla nozione di surplus femminile.
Le cause di questo cambiamento sono da ricercare innanzitutto nei cambiamenti della dieta, che come afferma Lynn White Jr, inizia quando iniziano i cambiamenti dei modi di produzione dell’agricoltura e dell’allevamento. Attorno al 800 si passò da un consolidato sistema di rotazione a due campi ad un innovativo sistema a tre campi. Questo permise di introdurre alcuni cereali, come avena ed orzo, durante la stagione di semina primaverile integrandola con la coltivazione autunnale di grano e segale. Le conseguenti innovazioni agricole permettono un’accresciuta capacità di coltivare alcune fonti proteiche a basso prezzo come piselli, fave e ceci.
Le innovazioni agricole, permetto una miglioria anche nelle condizioni dell’allevamento permettendo gradualmente per arrivare appunto al tardo medioevo un maggior consumo di carne e dunque anche un maggior apporto di ferro, che ci permette di spiegare e capire al meglio il miglioramento delle aspettative di vita degli uomini e soprattutto delle donne, considerando il bisogno di assumere all’incirca il doppio del ferro degli uomini in menopausa e una quantità ben più maggiore in gravidanza, possibilità che venivano negate da una dieta altomedievale povera di alimenti che potessero dare il ferro necessario, per non costringere le donne ad essere severamente anemiche.
Un’ulteriore possibilità di sopravvivenza per le donne era rappresentata dalla vita religiosa, fuggendo da quei malanni del mondo e da quei cattivi aristocratici di cui ci parlano le fonti, che deturpavano il mondo medievale per fini individualistici. La possibilità di vivere all’interno di monasteri, congregazioni religiose era uno dei pochi mezzi a disposizione per evitare le barbarie del mondo esterno, ben pochi laici si sono sognati di ardire a tanta sfrontatezza nel rovinare luoghi ecclesiastici. Ma la vita religiosa, il sistema religioso così profondamente androcentrico come dimostrato nei precedenti paragrafi, ci permette un’analisi sulle condizioni della donna anziana dentro e fuori il monastero. 

Per la donna, il motivo per cui si prendeva i voti religiosi non era solo per la sicurezza del monastero, data da un’abbondanza di alimenti, dall’assistenza durante le malattie e quant’altro ma anche e soprattutto per affidare se stesse alle monache più anziane ritenute ora guide preziose, sagge ed esperte, mentre le donne anziane all’esterno erano costrette a subire gli abitudinari atteggiamenti misogini. Si diffuse ad esempio la convinzione, grazie ad Alberto Magno che le donne in menopausa potessero diventare pericolose per i bambini, in quanto ora la tossicità del sangue avariato fluiva nello sguardo diventando mortale per gli infanti, e che proprio per questa tossicità l’anziana era colpita molto più facilmente dalla perdita del senno e del raziocinio, con la possibilità di tramutare la propria fede verso Dio in fandonie eretiche che avrebbero fuorviato i bambini, per tal motivo le fonti medievali pedagogiche sono ricche di precetti nei confronti delle balie di tener lontano i bambini da anziani con il viso infermo e occhi maculati.
Le cronache medievali sono piene zeppe di predicatori, inutile ripeterci ma ci tengo particolarmente a sottolinearlo misogini, con i loro precetti volti alla sottomissione e alla creazione di un ordine sociale e politico automatizzato dal punto di vista androcentrico, dove per automatizzato si intende l’iscrizione delle cose in un cerchio che permette non solo la continua sottomissione delle donne, ma anche il far credere loro che sia normale, che sia una cosa a priori del rapporto uomo-donna!

Tutto questo ha portato dal medioevo ad oggi, un’esclusione delle donne dai compiti considerati più nobili dal punto di vista androcentrico e ammaestrandole ad una mansuetudine ritenuta quasi biologica.
Questo apprendimento assume già nel medioevo, nel confronto delle anziane, soprattutto vedove, come ad esempio nelle raccomandazioni di Francesco Da Barberino sui modi con cui la vedova deve comportarsi all’interno della casa del defunto marito.
Atteggiamenti moralizzanti che investe ogni parte del corpo dell’anziana, che non sia mai avesse il coraggio di andare contro i segni del tempo e avesse l’ardire di circuire un giovane, in maniera tale che diventino principi che naturalizzano l’etica, come ad esempio il mantenere uno sguardo basso, l’essere una donna silenziosa, avere atteggiamenti del corpo in opposizione alla fierezza e alla virilità maschile, in maniera tale che il dominio maschile rimanga intatto.
La vecchia che si ribellava, che non aveva timore nel riferirsi ai suoi organi sessuali, che non aveva paura di nascondere i segni del tempo e le sue beltà procurava danno, in quanto non tramandava i giusti precetti voluti dalle autorità ecclesiastiche, perché in questo modo traviava le giovani caste o chi nei monasteri all’udire di queste parole sarebbe stata tentata in qualche modo.

Morte di Adamo, Piero Della Francesca, focus su Eva.

3.1 Conclusioni

Mi si permetta una conclusione ben poco saggistica e dal tono di un’invettiva, ma tenendo conto di ciò che è successo negli ultimi tempi penso sia doveroso, tramite questo saggio, renderci conto di queste norme androcentriche che tengono banco dall’età medievale a oggi, relegando le donne in considerazioni superficiali, misogini, pregni di odio, per paura di perdere queste forme di dominio appartenente al pubblico maschile. Tutto ciò che è stato scritto, se fosse narrato al presente non creerebbe stupore negli occhi del lettore, in quanto ancora oggi siamo costretti a forme pudiche di rapporto con i nostri corpi dati innanzitutto da considerazioni patriarcali della Chiesa, assolutamente fuorvianti volte a ritenere il corpo uno strumento politico di loro dominio, andando in contrasto con ciò che è scritto in ampie parti delle Sacre Scritture ed in secondo momento aprire gli occhi nel comprendere le frivole considerazioni che gli uomini hanno nei confronti delle donne di qualsiasi età. Donne che sono costrette a subire, ancora oggi, dubbi precetti misogini su come gestire il proprio corpo o la propria età in relazione all’uomo. Per concludere lascio qui, parafrasata, una frase della scrittrice Francoise D’Eaubonne in merito ai rapporti tra ecologia e femminismo, ma che credo fermamente possa e debba riferirsi in generale al porre fine alla nostra società patriarcale e androcentrica: “Le féminisme ou la mort”.

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Carmine Lo Regio, artista interdisciplinare queer e laureando presso la facoltà di Storia, si occupa nella sua ricerca artistica ed accademica dei rapporti tra Teologia e studi di genere e sull’escatologia.