§L'educazione nel corpo. Per una somatica della relazione pedagogica
Dove inizia un corpo?
L'incontro dei nontantoprecisi
con i Mercati di Traiano
di Maria Francesca Guida e i nontantoprecisi

Si può cambiare il modo in cui comprendere una cosa danzandola? (Bateson, 1989).
Come si educa un corpo? Qual è lo spazio di apprendimento dei corpi nei musei? Come il corpo apprende dal gruppo e dalla relazione con lo spazio? Esiste un apprendimento dei corpi collettivo? 

La dimensione corporea introduce nella relazione con i musei un punto di vista inedito, non solo nel modo di immaginare delle forme di coinvolgimento e di partecipazione attiva delle comunità ma anche, e soprattutto, come possibilità di esplorare lo spazio, di apprendere attraverso il corpo, di favorire una visione multi-prospettica che si apra ad altri linguaggi artistici. Questo permette di lavorare su un piano di confine delle diverse forme di conoscenza, interconnessioni di condizioni e di saperi, che forse riescono a valicare i limiti linguistici, culturali, percettivo-sensoriali, espressivi e un tipo di impostazione/approccio verticale della relazione e del modo di fare esperienza.

Solo negli ultimi anni i musei hanno rimesso in discussione le modalità di relazione con le comunità, aprendo a forme plurali di narrazione. Le istituzioni culturali sono chiamate oggi ad avere un ruolo nei processi di trasformazione sociale, soprattutto in questo momento storico in cui le forme di relazione e socializzazione sono sempre più fragili e mediate oltre che, a volte, totalmente assenti. Un cambio di visione per i luoghi della cultura, come sostiene Sandell, ha a che fare con la capacità di sostenere processi di “social agency” (Sandell, 2007), ossia la capacità di creare un nuovo spazio di socializzazione, di confronto, di riflessione, di negoziazione dei significati, dove riconoscere le realtà “multiple”, le storie e i diversi modi di appropriarsi delle esperienze (Janes & Sandell, 2019).

Il lavoro sul corpo permette di pensare a percorsi inclusivi, processuali, dinamici, permeabili e aperti.

I nontantoprecisi ai Mercati di Traiano PH Claudia Pajewski

La grammatica generativa dei corpi 

I nontantoprecisi sono una compagnia teatrale che da anni pratica  una sperimentazione quotidiana sugli elementi fondamentali del dispositivo teatrale: spazio, tempo, corpo.[1]Per raccontare la loro ricerca abbiamo deciso di intraprendere una serie di dialoghi che potessero provare a esplorare il lavoro in una estensione/dimensione collettiva. La costruzione di un linguaggio comune nasce infatti da uno spazio di riflessione in cui prendono vita pensieri, immagini, emozioni in un percorso che cerca di “trovare le parole per quello che facciamo con il corpo[2]

La conoscenza spinoziana è circolazione affettiva: si ha conoscenza quando si reagisce a un contatto (Deleuze, 2007). Un movimento si innesca quando un corpo si rende disponibile. Infatti, più che parlare di sapere, bisognerebbe parlare di presa di un incontro. L’esperienza dei nontantoprecisi ai Mercati di Traiano ha che fare con un modo di procedere che si incontra con il pensiero complesso, che collega tutto ciò che è artificiosamente separato creando aggregazioni, costellazioni sociali, relazioni.

I corpi come esseri viventi si connettono e sono in continua interazione con tutto quello che incontrano; si muovono, si alleano, si incastrano, si divincolano. “Fanno esercizio del proprio movimento a vivere, di un impulso che non possono dimenticare. Questa precisa rammemorazione di un fatto che sempre accade, di un corpo sempre in vita è, potremmo dire, una pedagogia involontaria di un corpo che si educa, che si adatta, si mobilita, in sostanza agisce”.

Il corpo si organizza, dispone le sue membra, il suo infinito procedere e collegarsi, per affermare se stesso, per continuare a vivere. Questo organizzarsi non è altro che una memoria, un’esperienza che il corpo fa. “Si potrebbe parlare, forse, di una pedagogia della vivenza in cui i sensi si accavallano e si moltiplicano, si fanno tendini, sguardi, fluidità, flessibilità, dinamismo, mobilità, cambiamento. Gli atelier del progetto Live Museum, Live Change [3] hanno visto una serie di artisti sperimentare forme di relazione delle comunità con i Mercati di Traiano per generare nuove possibilità di narrazione, ispirazione, creazione. 

Quando i nontantoprecisi hanno incontrato i Mercati di Traiano, hanno dato vita a movimenti, rapporti, sguardi, spostamenti, percorsi, prospettive, paesaggi, assemblaggi visivi, stati emozionali, atmosfere, aprendo nuove dimensioni e relazioni con una densità narrativa in continuo movimento con la stratificazione storica, culturale, sociale, architettonica, ambientale.

Il grande emiciclo. Mercati di Traiano PH Claudia Pajewski

Insinuarsi nelle pieghe dello spazio, attraversarlo, relazionarsi con i cicli di assorbimento della storia attraverso i corpi – e dar vita ad una pedagogia in movimento, che si inserisce, cresce, vive e investe il processo di spazializzazione – ridisegna la postura dei corpi rispetto a luoghi, paesaggi, oggetti, patrimoni culturali, che apparentemente sembrano immobili, inaccessibili, intoccabili e lontani. Il lavoro dei nontantoprecisi genera un’ occupazione multipla, porosa degli spazi e delle modalità di collocazione/dislocazione dei corpi per superare delle linee di demarcazione, come suggerisce Judith Butler (2005). Una ricerca di superamento della distanza tra un Soggetto dominante e universale che vede e stabilisce la realtà che si contrappone ad una narrazione, ad un’esistenza plurale. Lo spazio emerge, viene costruito dalle relazioni con le cose animate e inanimate con la propria presenza. Lì comincia l’esperienza dello spazio attraverso i corpi.

Una fondamentale evidenza per i nontantoprecisi è la relazione con gli altri e lo spazio, che costruisce un luogo [4]. Per la compagnia teatrale un aspetto sostanziale è quello laboratoriale: la possibilità di costruire la relazione con gli elementi, i paesaggi, le prospettive. Ma anche costruire un lessico comune, avere delle testimonianze fisiche. Per avvicinarsi a uno spazio è necessaria una frequentazione con questo spazio. Il tempo che i nontantoprecisi si prendono per i sopralluoghi è una forma di cura per il tempo perso. “Per il tempo perso perché ci è stato sottratto; ma anche la cura verso il perder tempo”. La ricerca teatrale comincia necessariamente con lunghi e numerosi sopralluoghi, proprio per costruire una prima relazione con il luogo. Ma se è vero, per i nontantoprecisi, che la relazione è innanzitutto qui e ora, allora, i numerosi sopralluoghi generano un tempo profondo, che è la raccolta di tutti i qui e ora prodotti ed incontrati ogni volta. 

Nel lavoro dei nontantoprecisi si vede questo trasformarsi in un arco temporale. Tutto quello che succede prima del qui e ora influisce sul qui e ora ed è irripetibile, quindi è sempre una nuova esperienza che i corpi fanno nell’incontro con i luoghi. Questa pratica dei luoghi ha a che fare con la vita: stare seduti a guardare, bere, temporeggiare, mettendosi comodi, a proprio agio è parte fondante del processo di incontro. Si tratta di avvicinarsi con i sensi ai luoghi, diventarne parte. E il gesto teatrale è ciò che mette in scena la stratificazione di questo modo di esserci, stare dentro ai luoghi. 

Nei musei l’invito è alla visita, al laboratorio con un ciclo di vita comunque limitato nel tempo. Il lavoro dei nontantoprecisi ci fa riflettere sulla necessità di una pratica quotidiana dei luoghi della cultura, dell’esercizio del movimento dei corpi negli spazi per favorire delle relazioni che si generano continuamente. 

In un monumento come i Mercati di Traiano questa relazione è anche più complessa. Si tratta di un luogo in cui in cui archi, finestre, anfore, cisterne, strade, concamerazioni, piani, passaggi, prospettive convivono con quasi duemila anni di storie di donne e di uomini che lo hanno vissuto e attraversato
Non si può accedere a tutto in un’unica volta, soprattutto se la conoscenza e il pensiero sono la sola modalità di accesso o la principale. L’antropocentrismo ci porta a correlare il pensiero strettamente all’essere umano; nella posizione filosofica dell’ontologia orientata agli oggetti (Harman, 2018) tutto quello che incontriamo ha un peso, una storia ed esiste indipendentemente dalla percezione umana.

Il sentire comune porta alla costruzione di una comunità che produce significati, interpretazioni, oggetti comuni; permette di comporsi come gruppo, di stare nella relazione per far corpo. L’azione fisica consente di educarsi a cogliere e a cogliere gli altri, mettersi in azione e liberarsi dai gesti consueti del quotidiano, del presente, appoggiarsi al gesto per generare degli “stati rivoluzionari transitori”. Interrogarsi su quali sono le azioni che il luogo attiva, come si crea la scena teatrale, la trasformazione dello spazio e del corpo. Quel collante sensoriale, simbolico ed emozionale, che circola dentro e attraverso i corpi, genera la densità narrativa. 

Via dei fori imperiali- Mercati di Traiano PH Claudia Pajewski
Dettaglio grande emiciclo PH Claudia Pajewski

Essere stormo: una pratica artistica 

Uno degli aspetti che caratterizzano la pratica artistica dei nontantoprecisi è lasciar parlare il corpo, creare un attrito con gli altri, essere ruvidi; una ricerca del corpo velato che prende vita e che si forma nell’essere stormo, nell’essere banco di pesci.
Nelle proposte educative che i musei progettano manca spesso la possibilità di fare esperienza del luogo attraverso il corpo. Non basta condividere un lungo elenco di storie: occorre saperle mettere in relazione, viverle, percepirle, ma per farlo è necessaria quella che Bateson chiama la “struttura che connette” (Bateson, 2011).

Questa struttura che connette è il farsi corpo collettivo. Si tratta di mettere in campo modalità di esplorazione e scoperta dell’architettura, prospettive, paesaggi, rovine, persone che frequentano lo spazio; connessioni tra interno e esterno che entrano nell’esperienza. L’idea dello spazio per i nontantoprecisi è un’idea complessa. Non esiste uno spazio vuoto[5]. Lo spazio emerge, viene costruito dalle relazioni che ci sono.

I Mercati di Traiano hanno rappresentato un’opportunità di “vivere una spazialità che apre a delle relazioni con le cose animate ed inanimate che si trovano nello spazio”. Gli elementi fondamentali della ricerca teatrale e artistica sui quali i nontantoprecisi si interrogano possono essere rintracciati esplorando le tre dimensioni di spazio, corpo, tempo, che sono utili per fare delle riflessioni sul rapporto dei corpi con le istituzioni culturali. 

Si può differenziare lo spazio dal corpo e dal tempo? Il corpo può diventare parte dello spazio, degli oggetti, delle rovine, delle collezioni che lo abitano?
Dire che un corpo ha massa significa dire che è esso stesso massa, poiché il peso non è una proprietà della materia ma è, invece, una sua espressione. Infatti i fisici non possono definire la massa senza usare attributi: “massa inerziale”, “massa gravitazionale”, etc. La massa quindi è sempre un’espressione della materia. 

Senza il tempo non sarebbe possibile percepire i corpi, così come senza la massa non si percepirebbero gli oggetti. Il tempo è un’espressione della materia ed è nei corpi. Gli oggetti, se così si può dire, sono fatti del tempo, proprio come sono fatti della massa. Come afferma il fisico Rovelli (2017), si potrebbe dire che il mondo non è fatto da oggetti o, quanto meno, soltanto da oggetti. Il mondo è fatto da eventi, uno a fianco all’altro. Ciò che ci fa percepire il tempo come flusso è il fatto che noi non possiamo percepire gli eventi su scala infinitesimale. Non potendo percepire eventi singoli, noi percepiamo un evento che si trasforma in un altro evento. Quindi, il tempo come flusso non è presente nell’oggetto, è, piuttosto, qualcosa che si genera nell’osservatore.

“Il tempo della scena è sicuramente l’espressione di un corpo ma è anche lo spazio che si apre a partire dalla relazione dei corpi che si compongono in scena e compongono la scena”. È una condizione, un accadimento, un evento [6], che il corpo vive. Se l’attore o la persona sulla scena riesce ad attraversare un evento, a sentirsi, solo per un attimo, in un evento, in quel momento coglie un tempo e, a partire da quello, coglierà poi una successione, un flusso, poiché metterà in relazione i vari tempi dei vari corpi che si vedono sulla scena.

Questo accade quando entriamo in museo? Quando facciamo un laboratorio o una visita guidata? Quando pensiamo alle forme ai modi di coinvolgere le comunità? Come entrano i corpi in relazione con il spazio e con il tempo nel contesto museale?

Il tempo è come un respiro. Nella scena, il tempo del movimento corporeo lavora in relazione al tempo dell’azione. “Ai Mercati di Traiano, quando entravamo e uscivamo dalla scena, cercavamo come gruppo di segnare un tempo”. Ma avere lo stesso tempo non vuol dire avere la stessa velocità, bisogna considerare anche gli altri elementi della scena, gli altri, lo spazio. Forse, allora, si può parlare di gesto [7], di evento e di ritmo. Il gesto esibito in un evento di scena si dà in un ritmo che noi poi chiamiamo tempo, anzi, i nontantoprecisi parlano di spazio-tempo per sottolineare un concatenamento dentro il quale l’evento si può dare. 

Uno degli esercizi che può raccontare il lavoro di scena, e che si dovrebbe provare a fare insieme a voi che state leggendo, è “l’esercizio della marcia”. Si tratta di un esercizio in cui la posizione di partenza è una schiera composta da più persone. Dalla schiera, un attore parte per primo, facendo un certo numero di passi e tornando poi in schiera. Questa persona dovrebbe dare il tempo della marcia. In realtà, appena entra una seconda persona a marciare insieme alla prima, si modifica il tempo dato dalla prima persona, e così via, fino a quando, marciando tutti insieme, si sviluppa un tempo comune. L’esito della marcia potrebbe apparire come una situazione in cui ognuno segue il proprio tempo. In realtà, ognuno segue l’altro mentre sta nel proprio tempo. In questo conflitto, tra il tempo dell’altro e il tempo proprio, emerge l’involontario tempo comune, che non è appunto la contemporaneità, né la somma dei tempi individuali di ogni singolo attore. Il tempo comune è un risultato non oggettivo perché è sempre precario, è nell’eterna caduta, nella ricerca di una caduta infinita; non nell’eterna conquista, altrimenti dovremmo ammettere l’esistenza di un Tempo. “Abbiamo fatto l’esperienza non solo di quanto il corpo sia in un tempo, ma anche che il corpo è prima e innanzitutto temporalità, movimento, organizzazione, relazione. Il tempo è uno strato della presenza, uno degli elementi che permette di costruire il comune. Una delle lenti attraverso cui guardiamo e ci guardiamo. È un laccio che consente di abdicare alla volontà soggettiva. Come un metronomo il cui battito non segue né precede l’altro; quell’attimo di sospensione la cui durata non è mai data. È il suono che fanno le cose”.

Il tempo è un compendio storico accelerato, è l’istante di inaugurazione di un calendario (Benjamin, 1997). I nontantoprecisi ai Mercati di Traiano sono stati travolti dal materiale fisico innervato di temporalità stratificata, ma questo tempo si genera e si trasforma continuamente tramite l’azione e la relazione con lo spazio.

La relazione dei nontantoprecisi con i Mercati di Traiano e la necessità di fare diversi sopralluoghi è la stessa necessità che Cézanne ha di dipingere e ridipingere Sainte Victoire. Lui vuole dipingere il suo proprio sguardo più che l’oggetto, ma il suo problema è la sovrapposizione dei momenti, degli infiniti momenti. Non solo tutte le volte in cui va a dipingere, ma anche nel momento in cui sta dipingendo Sainte Victoire c’è la trasformazione (Merleau-Ponty, 1962; Cézanne, 2011). Se non si tiene conto di questo, Traiano diventa un monumento condannato ad un suo proprio passato. Lo si priva dell’essere qui e ora.

Per il lavoro di scena i nontantoprecisi propongono esercizi essenziali, che consentono di mettere i corpi al lavoro, di costruire la presenza. Si tratta di far compiere agli attori in scena o ai partecipanti ai laboratori azioni molto semplici, elementari. Per esempio, si può chiedere a una persona seduta su una sedia di alzarsi. Ora, poniamo il caso che la persona in questione abbia le gambe accavallate. Quando per alzarsi scavalla le gambe, le si fa notare che in realtà non le è stato chiesto di scavallare le gambe, ma di alzarsi. Questo semplice intervento apre a una percezione, sposta l’attenzione su ciò che sostiene l’esercizio e non sull’esercizio in sé. La proposta che il regista fa agli attori o ai partecipanti ai laboratori è vedere come ci si organizza per rispondere all’indicazione, non come si esegue un esercizio. Ci sono infiniti modi per alzarsi da una sedia ed è necessario trovare le ragioni per alzarsi in un certo modo. Si apre una posizione critica essenziale per chi ha a che fare con l’arte; è un fatto corporeo, un’abitudine ad esercitare la critica.
È fondamentale l’interpretazione di un certo esercizio, sia nell’impartirlo che nello svolgerlo. Il contesto è parte essenziale della relazione e l’assetto di lavoro riflette le differenze dei punti di vista all’interno della compagnia teatrale: c’è chi riceve l’esercizio e deve organizzarsi per svolgerlo, chi propone alle persone in scena l’esercizio, elaborando le indicazioni, e chi osserva da un altro punto di vista il lavoro di scena. 

Torre delle Milizie - Mercati di Traiano PH Claudia Pajewski
Torre delle Milizie - Mercati di Traiano PH Claudia Pajewski_

Uno degli esercizi con cui spesso si dà via al lavoro, o che i nontantoprecisi propongono nei laboratori, è la presa dello spazio. Prendere lo spazio significa entrare nello spazio che si ha a disposizione, quale esso sia, riempirlo con il gruppo occupandone tutta la superficie, il volume, i diversi piani e traiettorie o darne un disegno. Questo esercizio rappresenta tanti strati del lavoro che i nontantoprecisi hanno fatto ai Mercati di Traiano e che portano avanti nella loro ricerca artistica quotidiana.

Nell’esercizio della presa dello spazio c’è anche un “esercizio prima dell’esercizio”: la presa dello spazio implica una partenza comune. “Agli esordi della nostra ricerca, ci chiedevamo come fare una partenza contemporanea; nel corso degli anni abbiamo sviluppato la consapevolezza che la partenza contemporanea innanzitutto è impossibile. Anche quando uno deve entrare in scena da solo, cosa muove per primo, quale lembo, e quando? Questa è già una riflessione sul teatro”, sui corpi, sulle relazioni, sul sentirsi gruppo, movimento, azione, gesto collettivo. Il gruppo si fa corpo, animale unico.

Un estratto dai diari dei nontantoprecisi sul lavoro fatto ai Mercati di Traiano ci restituisce un’immagine di questo gesto collettivo:
“Una strada di pietre, in piena ombra, collega il giardino delle milizie alle terrazze.

Un gruppo di venti individui si organizza in pochi frammenti di tempo. Braccia tese, cosce dure e mani ferme-vibranti si scambiano sussurri. Sussurri intonati dall’azione immediata. Velocemente avanza la prima corrente. Destreggiando i propri arti tra le rocce, cerca un tempo collettivo dell’azione. Ora si arresta. Un’altra corrente travolge, cerca di comporsi, cerca uno spazio da percorrere, da tracciare; deve farsi strada, fare strada tra gli interstizi dei corpi, tra le pietre gozzute e slegate. In questo tra prende a vivere una materia: il respiro di una cascata.

Ora il corpo giunge al fronte: l’ombrastrisciadipietra è stata percorsa. Il corpo-cascata è ora una sottile striscia orizzontale. 20 esseri si attraversano, cercano un tempo, direzionano braccia, gambe, code, teste, orizzonti: terrazze, Marte!
Uno sciame di mosche. Uno sciame che sfugge al sole cocente.

Imponente, dietro, sopra, dappertutto la torre avvolge. 

[….] Il piede scopre il rovente pavimento della piazza luminosa: risveglio, pitstop per il processo”.

Via biberatica - Mercati di Traiano PH Claudia Pajewski

Artefici di prospettive

La percezione singola dello spazio e del luogo è connessa in realtà a un sistema relazionale che è diverso dai processi di orchestrazione: nel momento in cui tutti i musicisti suonano insieme, ognuno legge il suo spartito. Prima di poter suonare insieme, però, i musicisti fanno numerose prove. Diversamente succede per il lavoro dei nontantoprecisi. Anche se ci fosse un testo, una coreografia, un’idea, un’azione performativa non è detto che il lavoro si potrebbe eseguire così automaticamente insieme, perché si aggiungono tantissime variabili che emergono dalla relazione con i luoghi. 

La pratica artistica cerca di rispondere alle sollecitazioni dell’immediato evitando di cadere nell’azione scontata, quotidiana, consueta. “Noi dialoghiamo, costruiamo dialoghi corporei, dialoghi visuali, in quella che abbiamo chiamato vocialità, non vocalità, e quindi in base a questo noi cerchiamo di dialogare”. Il lavoro, lo sforzo sono animati da questo, cioè come lasciare che la comunicazione avvenga attraverso dei gesti necessari, attraverso una sonorità che è vocale ma anche corporea, spaziale e che coinvolge, comprende anche gli altri nell’essere paesaggio, roccia, rovina, patrimonio.

Con l’espressioneogni volta ci sentiamo artefici di prospettive”, i nontantoprecisi mettono in luce un aspetto fondamentale delle relazioni: sentirsi parte del patrimonio, non ospiti, visitatori, fruitori, spettatori in uno spazio. “Contrariamente a quello che si può pensare, che per osservare in prospettiva si ha bisogno di avere punti di fuga precisi, posizioni precise, noi crediamo che la prospettiva sia un atto corporeo. All’interno di questo atto corporeo noi ci sentiamo compresi, ne facciamo parte”.
Tutto questo compone lo spazio nel quale essere presenti e all’interno del quale si comprendono tutti quelli che in quel momento vivono quella storicità, quella temporalità.

Apprendere dal gruppo, dagli atti corporei, in un insieme di relazioni, sviluppare azioni su cui interrogare il corpo, ritrovare la poesia del gesto, partecipare alla scrittura collettiva della narrazione, essere soggetto collettivo, favorire un apprendimento collaborativo, condividere esperienze che si fanno con i corpi ha delle ricadute pedagogiche – senza avere un’intenzione pedagogica nella formazione dell’essere umano nella sua interezza, nel farsi paesaggio, nell’essere patrimonio e comunità patrimoniali (Convenzione di Faro, 2005). 

Live Museum, Live Change - Mercati di Traiano PH Claudia Pajewski
IMM 10 DIDA: Giardino delle milizie - Mercati di Traiano PH Claudia Pajewski

Note

[1] Per maggiori informazioni sulla compagnia dei nontantoprecisi si veda il sito web  
[2] Nel testo le parti tra virgolette senza riferimenti bibliografici sono estratti dei dialoghi con i nontantoprecisi
[3]  Live Museum, Live Change è un progetto di PAV, realizzato nell’ambito dell’Avviso Atelier Arte Bellezza Cultura della Regione Lazio (P.O.R. FESR Lazio 2014/2020 azione 3.3.1b), grazie alla collaborazione con Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Per lo sviluppo delle attività PAV si avvale del network costruito con ECCOM-Idee per la Cultura, Melting Pro e Visivalab. Sito web 
[4]  Per un approfondimento della differenza tra i concetti di spazio e luogo si veda Farinelli, 2003
[5] Sul concetto di spazio vuoto si veda Brook, 1998.
[6]  Per un approfondimento del concetto di evento, si veda Deleuze, “Logica del senso”, “Differenza e ripetizione”, “Millepiani”.
[7]  Per approfondimenti sul concetto di gesto, si veda Bene, C., Deleuze, G. (2002) “Sovrapposizioni”, Quodlibet, Macerata; Artaud, A. (2000) “Il teatro e il suo doppio”, Einaudi, Torino; Bene, C. (1995) “Opere. Con l’Autografia d’un ritratto”, Bompiani, Milano.

Bibliografia 

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Bene C., Opere. Con l’Autografia d’un ritratto, Bompiani, Milano, 1995.
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Benjamin W., Tesi sul concetto di storia, Einaudi, Torino, 1997.
Brook P., Lo Spazio Vuoto, Bulzoni Editore, Roma, 1998.
Butler J., L’alleanza dei corpi, Nottetempo, Milano, 2005.
Cezanne P., Lettere, Abscondita, Milano, 2011.
Consiglio d’Europa, Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, – (CETS NO. 199), Faro 27 -10 -2005
Deleuze G., Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina, Milano, 1997.
Deleuze G., e Guattari F., (a cura di) Massimo Carboni, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma, 1980.
Deleuze G., Logica del senso, Feltrinelli, Milano, 1975.
Deleuze G., Cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, Ombre Corte, Verona, 2007.
Harman G., Object-Oriented Ontology: A New Theory of Everything, Penguin Books Ltd, London, 2018.
Janes R.R., Sandell R., Museum Activism, Routledge, Londra, 2019.
Merleau-Ponty M., “Il dubbio di Cezanne”, in Senso e non senso, Il Saggiatore, Milano, 2009.
Nancy J., Corpo teatro, Cronopio, Napoli, 2010.
Rovelli C., L’ordine del tempo, Adelphi, Milano, 2017.
Sandell R., Museum, Prejudice and the Reframing of Difference, Routledge London and New York, 2007. 

Maria Francesca Guida

Sociologa e dottoressa di ricerca in pianificazione territoriale e urbana, lavora dal 2005 con ECCOM, di cui è socia e vicepresidente. Si occupa di progetti nel settore culturale e artistico con una particolare attenzione alle pratiche di comunità. 

nontantoprecisi
Nasce come gruppo di ricerca teatrale nel 2006, dall’incontro di alcune persone nel Centro diurno all’interno dell’ex Ospedale psichiatrico di Roma “S. Maria della Pietà”. Nel 2012, ha scelto di abbandonare il circuito psichiatrico e fondare una compagnia teatrale.