Participation
Costruire trame, intrecciare percorsi:
pratiche artistiche di rigenerazione urbana per tutte/i
di Trame di quartiere

San Berillo, quartiere situato nel centro storico della città di Catania, rappresenta il contesto di azione del progetto triennale di rigenerazione urbana denominato Trame di quartiere1. Il progetto propone un approccio di ricerca e rappresentazione teso a restituire dignità, storia e vitalità a quest’area urbana, coinvolgendo e attivando abitanti, attività sociali ed economiche in un’esperienza di co-progettazione collettiva di spazi dismessi e un processo di rivisitazione delle identità del quartiere. L’idea di Trame di quartiere si lega alla possibilità di nuove forme di sviluppo del territorio che prendano le mosse dallo studio del contesto e dall’intreccio con gli elementi che lo compongono, siano essi spaziali, economici o culturali. I laboratori previsti dal progetto hanno il compito di costruire uno spazio di discussione e rappresentazione delle pratiche e dei significati legati al quartiere. I racconti e le storie così prodotte possono diventare un materiale vivo da elaborare all’interno di un centro di documentazione che avrà sede all’interno del quartiere in uno stabile recuperato e gestito direttamente dall’associazione. Il progetto nasce dopo una ricerca-azione svolta nel 2013 con la realizzazione di una mappa di comunità2 del quartiere e la nascita del comitato cittadini attivi San Berillo il cui obiettivo è quello della difesa del patrimonio culturale del quartiere con una forte connotazione sull’inclusione sociale.

Tavolate di quartiere organizzate dal Comitato di quartiere
allo scopo di favorire la socialità tra abitanti e persone dal resto della città.
Ph. Valerio D’Urso

Il progetto nasce quindi su una sedimentazione di attivismo di base e dal conseguente avvio di un processo di cambiamento i cui esiti sono ancora difficili da decifrare. Il progetto Trame di Quartiere, a differenza delle pregresse esperienze, utilizza le arti performative e la video documentazione come azione di trasformazione finalizzata a costruire relazioni tra le varie comunità per produrre un dialogo sulle visioni del quartiere.

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  1. Nel cuore di un quartiere

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Il quartiere San Berillo posto a cerniera tra il cuore della città storica e la stazione ferroviaria, in un’area strategicamente centrale, si presenta oggi come frammento residuo dell’operazione di sventramento attuata negli anni ’50 attraverso il Piano di risanamento portato avanti dall’ISTICA

lo sventramento di San Berillo e la costruzione del lungo rettifilo
che collega il centro storico alla stazione
Ph. archivio Puglisi Marino

Il progetto urbanistico, espressione di un lungo dibattito storico riguardo le condizioni di insalubrità e di degrado in cui versava il quartiere, si concretizzò nell’espropriazione e demolizione di buona parte del caseggiato (un’area di 240.000 m2), con il fine di realizzare un rettifilo che collegasse il centro cittadino con la stazione ferroviaria e nella realizzazione di un’area con funzioni direzionali e dedicata ad attività terziarie. Il risultato è stata la divisione della zona in due aree: da un lato il volto moderno e produttivo della città che espone il suo centro economico e finanziario, dall’altro la configurazione residua del vecchio quartiere, non interessato dai lavori di demolizione, negli anni sempre più dequalificato e abbandonato al degrado. Ma l’azione progettuale nel quartiere non si conclude negli anni dello sventramento, in quanto le problematiche legate al fenomeno della prostituzione, al progressivo abbandono degli edifici e delle attività, all’incompiutezza delle costruzioni in alcune aree, pongono ancora oggi questo spazio al centro di piani di intervento e risanamento.

Via Pistone, la strada che attraversa il quartiere
da notare lo stato di abbandono degli immobili
Ph. Maurizio Zingnale

     2. Nel cuore della città

L’ambito territoriale di San Berillo si definisce all’interno di specifici processi di differenziazione urbana che incidono nella definizione delle relazioni tra il quartiere e il resto della città. I termini con cui il quartiere è stato catalogato nel corso del tempo (periferia urbana extramoenia, spazio degradato e malsano, spazio da risanare, centro storico da recuperare) ci informano sui significati che qualificano le relazioni spaziali. L’idea stessa di quartiere porta a riflettere su un’idea di frammentazione della città che deve essere indagata seguendo l’evoluzione storica degli insediamenti e le sue caratteristiche intrinseche

Via di prima, contrasto tra costruzione moderna e storica

Nello stesso tempo i contesti urbani evidenziano la forte valenza simbolica e identitaria dei quartieri come spazio finalizzato alla convivenza, a legami sociali che si creano grazie a forme di prossimità non solo abitativa. Il carattere spontaneo del suo insediamento, con la sua configurazione irregolare e la sua posizione di vicinanza rispetto ai luoghi centrali del tessuto urbano della città, pone il quartiere all’interno di una forte contraddizione tra luoghi che assumono significati diversi: da un lato i luoghi della teatralità urbana, in cui le funzioni di rappresentazione della vita cittadina devono essere visibili, e dall’altro i luoghi della città minore, da nascondere alla vista. Questa dicotomia nel corso del tempo continua ad accrescere i suoi significati e i suoi riferimenti, oltrepassando l’ambito spaziale e costruendo una differenziazione basata sull’igiene e le condizioni sanitarie.

L’analisi degli elementi spaziali e sociali, e nel caso specifico del quartiere di San Berillo, della sua evoluzione urbanistica, mostra come la polarizzazione sociale che dà luogo a processi di segmentazione spaziale deve essere correlata a una molteplicità di fattori legati alla storia, all’economia e alla società secondo un approccio di “dialettica socio-spaziale” (Soja, 2007)3. Il progetto urbanistico diventa un filtro che da una parte seleziona determinati contenuti e dall’altra elimina parti del reale.

L’habitat in contrapposizione all’abitare (Lefebvre, 1970) definisce l’abitante sottomesso ad una quotidianità organizzata che si struttura secondo gli schemi del riassorbimento, della riabilitazione, del risanamento, della riqualificazione. Il processo di diversificazione s’inscrive in una relazione che coinvolge due parti in gioco. La possibilità di definire una città formale e una città informale deriva da questo rapporto e da contesti di riferimento che qualificano costantemente i caratteri della diversità. La definizione di città informale acquisisce significato nella sua opposizione a una formalità che è possibile individuare nella razionalità organizzativa di tipo statuale e che agisce attraverso logiche di potere e dominio. Lo spazio informale si sottrae a qualsiasi tentativo di spiegazione attraverso un elenco di tratti, piuttosto esprime la polarizzazione per l’impiego del territorio e per la densità della popolazione rispetto al tessuto urbano progettato.

Immobile di San Berillo dove spesso e volentieri i locali a piano
sono stati murati per evitare le occupazioni abusive
Ph. Maurizio Zignale

Le azioni sulla città non possono più, quindi, focalizzarsi solo ed esclusivamente sul processo costruttivo di spazio fisico ma dovrebbero tenere alta l’attenzione sul continuo adattamento e appropriazione di spazi che si trasformano in luoghi abitabili. L’interesse che viene posto in evidenza è la capacità delle pratiche urbane di mettere in connessione le dimensioni fisiche e materiali e quelle culturali, simboliche e più generalmente immateriali (Cellamare, 2008). In questo senso si sceglie un punto di vista che tenta di recuperare il punto di vista di chi vive e abita la città, e non solo uno sguardo dall’alto di chi disegna gli spazi. Il tema sempre attuale da 50 anni a questa parte sul come e cosa “risanare” del quartiere hanno condizionato e condizioneranno nel corso del tempo le visioni urbanistiche rispetto al quartiere, portando alla creazione di un dibattito, tuttora vivo e aperto, che ha riguardato in diverso modo e in diversi momenti il risanamento, la riqualificazione, il recupero del quartiere.
Il piccolo frammento del quartiere non interessato dall’operazione di devastazione, oggi chiamato Vecchio San Berillo, negli anni è diventato il luogo di accoglienza degli “invisibili” delle nostre città: migranti, sex workers, clochard: oggetto di una forte stigmatizzazione legata al fenomeno della prostituzione e all’arrivo dei primi migranti stranieri, viene rappresentato come un corpo estraneo alla città. I suoi confini ben definiti da rappresentazioni mediatiche e cartografiche lo separano dal resto del centro storico, rimarcando i tratti del degrado, del rischio sociale e della criminalità. L’abbandono di molte proprietà ha causato nel tempo crolli e cedimenti minacciando la tenuta strutturale di molte costruzioni.
Lungo l’arco della fase di progettazione di Trame di Quartiere è stata sempre presente la domanda: quali potenzialità e quali rischi comporta un’azione di rigenerazione urbana su un contesto sociale fragile i cui esiti della nostra azione possano essere incontrollati? Se sul discorso delle potenzialità una risposta si può abbozzare e sta nella scelta di approcci e interventi artistici che rompono con i tradizionali strumenti di azione politica e sociale finalizzati a far emergere immaginari nascosti e mai emersi finora, una sorta di riconoscimento di un “diritto di cittadinanza sostanziale” delle comunità che lì vivono. I rischi, invece, derivano dal nostro intervento in un ambito territoriale estremamente fragile ma allo stesso tempo appetibile da un punto di vista della rendita fondiaria dovuta alla sua centralità nell’area monumentale di Catania, affollata da turisti e luoghi del divertimento (ristoranti e pub) e le cui conseguenze possono produrre effetti contrari a quelli per i quali ci stiamo attivando. I progetti di rigenerazione urbana trainati da interventi artistici e culturali possono rappresentare una miscela esplosiva che ha prodotto, in diverse città del mondo, la radicale trasformazione d’interi quartieri, cambiandone profondamente identità e popolazioni.

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        3. Riannodare i fili della memoria per costruire un nuovo immaginario: San Berillo web serie doc

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Ripercorrere la storia del quartiere, a partire dallo sventramento negli anni 50, è stato il punto di partenza di un processo di conoscenza del quartiere sin dalla costruzione delle mappe di comunità, provando a riannodare i fili della storia delle trasformazioni vissute dallo spazio e dai suoi abitanti. Questo racconto produce una diversità di trame che si legano alle diverse esperienze prodotte dai ricordi e dalla loro esposizione. La rappresentazione della memoria storica del quartiere pone in rilievo elementi importanti che partecipano alla costruzione della località San Berillo, attraverso cui definire il senso del luogo come esito incerto della tensione degli immaginari prodotti socialmente. Il passato costituisce un patrimonio sedimentato con un ruolo centrale nell’interpretazione dello spazio urbano. Una memoria che è riferibile alla capacità di elaborare le esperienze, vissute o mitizzate, e trasmesse da individui o da gruppi per provare ad interpretare il dietro e il dentro dei fatti (Farina, 2012). L’uso della video documentazione e la produzione di una web serie sul quartiere, nella nostra progettualità, ci è sembrata necessaria sia nel processo di ricerca, sia come potente mezzo di interazione tra comunità e istituzioni pubbliche sia come condivisione della storia e delle storie legate al quartiere con chi vive a pochi chilometri o si trova nell’altra parte del mondo grazie al web.

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San berillo web serie doc. è il risultato di un laboratorio di video documentazione volta a sviluppare un’indagine, che non vuole essere un mero reportage sul quartiere ma una sorta di inchiesta per conoscerne la storia, individuare e incontrare le componenti sociali che vi vivono, scoprire la progettualità delle istituzioni, mettere a confronto i diversi saperi interni o che gravitano intorno al quartiere in merito agli aspetti sociali, culturali, antropologici e urbanistici. Un “metodo” sperimentale in quanto si cerca di trasmettere le competenze tecniche relative alla video documentazione attraverso un fare maieutico secondo le visioni e utopie di Danilo Dolci, in cui si sollecita l’intraprendenza, l’esercizio del dubbio, la messa tra parentesi dei pre-giudizi e il fare arte come esperienza di verità che modifica il soggetto, secondo il principio dell’ermeneutica gadameriana, per una ricerca volta alle cose stesse e sperimentata in prima persona dai partecipanti.
Nel pensare il laboratorio e le tipologie dei partecipanti si è optato per la creazione di un gruppo quanto più interdisciplinare possibile, proprio perché un’arte, quella del video in questo caso, e il saper fare non fossero appannaggio solo ed esclusivamente dei tecnici ma di chiunque avesse avuto voglia di sperimentare il linguaggio della video documentazione. Ciò ha significato la partecipazione di persone di varia formazione, non necessariamente interessate alla realizzazione di video ma sensibili alle tematiche sociali e desiderose di fare un processo di conoscenza su un luogo preciso. Nel proporre il laboratorio alla città di Catania sapevamo già che sarebbe stato difficile avere tra gli iscritti persone del quartiere stesso. Perché dovrebbe essere immediatamente comprensibile alle persone del quartiere un’indagine su di sé? Questa domanda ha accompagnato tutta la prima annualità del laboratorio, e non sono mancate critiche da alcuni che non trovano utilità per il quartiere se non ci sono partecipanti del quartiere stesso all’interno del laboratorio.
Lo scopo del laboratorio, e della web serie, è quello di attivare un dialogo, difficile nella realtà concreta, per stabilire connessioni ‘nel’ e ‘con’ il quartiere tra i diversi punti di vista, e allo stesso tempo sollecitare le domande e le richieste spesso inespresse delle componenti sociali più fragili che lo abitano. È divenuto via via più chiaro a noi stessi e ai partecipanti della prima annualità che l’indagine proposta dalla web serie mette in atto un processo di conoscenza o presa di coscienza su più versanti. Gli iscritti al laboratorio attraverso l’indagine in prima persona escono dall’ignoranza e pregiudizio sul quartiere, e contemporaneamente, attraverso la web serie, comunicano la propria esperienza e conoscenza ad altri abitanti della città, compresi quelli di San Berillo, che attraverso loro sono invitati a fare lo stesso percorso di approfondimento. Allo stesso tempo se da una parte gli abitanti del quartiere sono spesso refrattari all’indagine perché si percepiscono ‘oggetto’ e non ‘soggetto’, dall’altra attraverso la web serie si scoprono protagonisti di un dialogo ‘virtuale’ attraverso le domande e le interviste poste loro dagli iscritti al laboratorio. La prostituta di San Berillo esprime il suo punto di vista accanto all’assessore alle politiche sociali, allo scrittore, allo storico o all’urbanista.

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Queste persone “escluse” dalla progettualità della città, sembra non si sentano in diritto di averne una. Invitate a parlare durante le interviste, a manifestare il proprio punto di vista, sono sollecitate anche ad ascoltare quello delle istituzioni e degli studiosi. In questo modo la web serie, realizzando questo “dialogo virtuale”, ambisce al superamento della ghettizzazione degli elementi più fragili della società, che nel quartiere di San Berillo sono la maggior parte.
Il laboratorio diviene, così, un cercare insieme, sperimentando percorsi di conoscenza e comunicazione che vanno incontro alla realtà facendone esperienza. Come avviare una progettualità, sociale, lavorativa e artistica nell’ambito della “rigenerazione urbana” in relazione con le persone del luogo stesso se queste persone si sentono escluse da qualsiasi diritto alla progettualità? I più fragili, abbiamo scoperto quest’anno, non hanno più immaginario o desideri sul loro futuro perché non credono di averne diritto. Una delle domande che ci porremo nella seconda annualità del laboratorio e della web serie riguarda il desiderio e l’immaginario delle varie componenti del quartiere: è espresso? Chi può esprimerlo? Perché è così difficile prenderlo in considerazione?

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        4. Rompere gli argini all’immaginario e ai desideri: la drammaturgia di comunità

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Rompere con le tradizionali forme d’intervento sociale e politico ha significato, per Trame di quartiere trovare elementi basilari attraverso il quale far comunicare le persone e allo stesso tempo inserirli in un processo di espressività nel racconto, sull’immaginario e sui desideri che diventano contenuto e progettualità. Il corpo e la parola sono gli elementi essenziali di cui ogni persona è dotata, il teatro è lo strumento attraverso il quale favorire le interazioni e rappresentazioni: da qui nasce il laboratorio di drammaturgia di comunità.
Quando si è immaginato di costruire un percorso pluriennale di drammaturgia di comunità a San Berillo, avevamo a disposizione nella “cassetta degli attrezzi” tre strumenti da portare con noi: la tecnica della drammaturgia di comunità afferente al più vasto mondo metodologico del Teatro Sociale; una visione politica di educazione popolare di stampo freiriano sottesa all’intero intervento; una nostra personalissima rilettura del principio di indeterminazione di Heisenberg, trasposto dalla meccanica quantistica al lavoro sociale dell’arte. Gli strumenti erano stati debitamente scelti perché avevamo una convinzione di fondo da condividere con quanti si occupavano degli altri pezzi dell’imponente progetto che stava prendendo vita nel quartiere per rispondere all’urgenza di raccontarsi e raccontare, non soltanto per fare memoria storica, bensì per riprendere in mano le sorti del quartiere, evitando che vecchi e nuovi soggetti istituzionali e privati rinnovassero pratiche di sfruttamento e oppressione, mantenendo ai margini – sociali, culturali, economici – un’intera comunità.
Il Teatro Sociale è esperienza teatrale nata come azione socio-culturale rivolta al benessere di individui, gruppi e comunità; è un arsenale di metodi e tecniche del teatro applicati al sociale ed è un processo di costruzione relazionale che dai singoli individui, con le loro peculiarità, sviluppa un circolo reale di incontri, scambi e baratti, fondandosi essenzialmente sull’autorialità dei partecipanti. È un teatro che vuole essere strumento per facilitare la socialità dei soggetti coinvolti, agendo sulle questioni che per loro sono urgenti. Per fare questo s’immerge nella vita quotidiana, attingendo alla naturale teatralità di un’umanità diversificata, per apportare cura e condivisone. A partire dal fatto che ogni persona dispone di risorse creative, il Teatro Sociale mira allo sviluppo creativo dell’espressività, attraverso un linguaggio che riguarda innanzitutto il corpo, primo elemento con cui ci situiamo nella realtà. Il Teatro Sociale risponde, come mediazione culturale, etica ed estetica, a questa urgenza di cura dell’immaginario attraverso una creazione teatrale partecipata, plurale. È un’arte condivisa, nella quale il gioco creativo del teatro trasforma l’ordinario in straordinario, l’immaginario si tuffa nel reale della vita quotidiana e ad esso attinge, permettendo di vedere oltre, nel campo del possibile. Altro compito del teatro riguarda la creazione di forme e riti culturali finalizzati alla costruzione dell’identità collettiva. Per fare questo il Teatro Sociale promuove con le comunità un tipo di relazione simmetrica e di accettazione reciproca che mira alla trasformazione delle dinamiche sulle quali interviene, utilizzando un approccio narrativo: come gli individui e i gruppi nei laboratori, anche le comunità hanno bisogno di narrazione, in caso contrario sono «prive di coesione e storia, dunque di identità» [Bernardi, 2004: p. 71].
L’insieme dei diversi percorsi laboratoriali della drammaturgia di comunità è finalizzata alla scrittura di una partitura teatrale che sia narrazione della e per la comunità, consapevoli che la drammatizzazione e l’azione teatrale stimolano la creatività adoperandone le componenti più intrinseche: l’immaginazione, l’ascolto di sé, l’ascolto del mondo esterno, la produzione di cose o situazioni visibili e condivisibili; e consentendo a desideri, bisogni, paure, conflitti propri di una collettività di organizzarsi ed esprimersi.

Il mondo è un vasto rettangolo di raso rosso
Performance finale del laboratorio Trame di Genere

Quando sul sagrato della Chiesa del quartiere si è svolta la performance Il mondo è un vasto rettangolo di raso rosso, è stato possibile annodare tutta l’elaborazione sulle identità e le relazioni di genere in una prospettiva queer, che proveniva dal gruppo che aveva preso parte al laboratorio, con il pensiero della comunità circostante, rappresentata in primis dagli abitanti e da chi vive il quartiere, alcuni dei quali coinvolti già nella costruzione della performance, e anche da persone che vivendo altrove – intendendo con questo termine un concetto di spazio fisico e culturale – avevano una lettura stereotipata della questione affrontata. La performance ha assunto un valore di testimonianza ed elaborazione sociale.

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  1. Il teatro come strumento di coscientizzazione

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Tutto ciò sarebbe però impossibile da leggere e da farsi se a guidare il nostro percorso teatrale non ci fosse una concezione politica che proviene dall’approccio di educazione popolare secondo un modello di marxismo gramsciano sviluppato da Freire a partire dagli anni Sessanta in Brasile (a cui si interconnette la tecnica teatrale e l’esperienza del Teatro dell’Oppresso). Da lì deriva, nel nostro lavoro, non soltanto l’approccio volto a instaurare un processo di liberazione da ogni possibile oppressione, ma soprattutto la costruzione del lavoro a partire dall’attenzione all’universo lessicale delle persone incontrate e al dialogo, in un processo continuo di codifica e decodifica dei temi affrontati, con la consapevolezza che ciò che si vuole investigare è la visione del mondo che hanno le persone con cui lavoriamo e da cui si sviluppa il loro immaginario e i loro desideri ed è da lì che è possibile trarre i ‘temi generatori’ dei laboratori e della drammaturgia di comunità. Il tema generatore non è una creazione arbitraria o un’ipotesi di lavoro che deve essere comprovata, bensì un tema connesso alla situazione-limite, intendendo con questa un freno, qualcosa che non si può superare e immobilizza, lasciando nella rassegnazione o nel fatalismo. È allora su quel tema in cui vale la pena far confluire le energie e la ricerca nel lavoro laboratoriale e drammaturgico. Anche se sappiamo che deve passare molto tempo perché i nostri laboratori siano completamente partecipati dagli abitanti di San Berillo, intanto ci basta sapere che una o due persone ci siano – quelle che Freire chiamava i “collaboratori” all’interno del contesto in cui si interviene, a fronte dei “colonizzati”, che sono coloro che considerano immutabile la realtà – per avviare un processo in cui l’arte, teatrale in questo caso, entra a pieno titolo in un processo di coscientizzazione, che permette a chi è parte di una comunità di riconoscere le proprie oppressioni per spezzarle re-impadronendosi dei propri diritti, anzitutto sociali, e finanche estetici.

Così com’è accaduto con lo spettacolo di Teatro Forum che chiudeva il laboratorio sul tema della rigenerazione urbana, affrontato attraverso la tecnica del Teatro dell’Oppresso, dove gli spettatori sono stati immessi in un processo di partecipazione, di pluralizzazione dei problemi, di ricerca collettiva di soluzioni, su situazioni sociali concrete di oppressione e conflitto a partire dal tema esplorato nel quartiere, con l’obiettivo di destare le coscienze in modo critico, creativo, collettivo, mediante l’uso simbolico dell’immagine, che attiva lo sguardo, la necessità e la volontà di cambiamento. È stato fondamentale nel lavoro a San Berillo riprendere tre assunti principali del lavoro del TdO: la necessità di “demeccanizzare” il corpo, costretto a stare dentro delle “maschere sociali”; la capacità collettiva di creare delle storie che presentassero all’interno dei conflitti generati da oppressioni e non ancora risolti; la presenza degli spett-attori, ovvero l’interazione tra i creatori delle storie messe poi in scena e recitate e gli spettatori, i quali sono intervenuti nelle storie degli altri per cercare di trovare insieme delle soluzioni che non venivano soltanto proposte, ma anche agite sulla scena al fine di appurarne la consistenza.

Spettacolo di Teatro forum sulla rigenerazione urbana

Ciò che può apparire come processo lineare, ovviamente nella realtà assume intriganti e complicate vie labirintiche, dove non poche volte ti rendi conto che quella che sembrava una buona strada in realtà è solo un ammaliante vicolo cieco. E qui che ci viene in soccorso dalle scienze esatte il principio di indeterminazione di Heisenberg il quale, in buona sostanza, sostiene che lo strumento con cui si misura influisce sull’oggetto misurato. Convertendo tale principio della meccanica in un principio del lavoro sociale, ci troviamo dinanzi ad un assioma spesso ignorato da molti operatori della cosiddetta arte sociale: gli strumenti utilizzati nel proprio lavoro influiscono direttamente sull’oggetto del lavoro stesso, ovvero sulle persone con le quali vengono utilizzati. Ciò vuol dire che non è sufficiente possedere gli strumenti giusti per raggiungere gli obiettivi prefissati, ma è ancor più necessario avere chiaro quanto questi strumenti agiscano, modificando le persone, al punto che in corso d’opera una qualsiasi azione sociale e artistica può non essere più utile al fine preposto, perché nel frattempo chi è soggetto a tale azione si colloca già altrove, ha bisogno già di altro. Questo vale sia per i temi da affrontare (citiamo F. che in un’intervista teatrale, rendendosi conto da spettatrice della potenza del teatro, ci invita ad affrontare nella prossima performance la questione dell’attesa a Catania di mesi o anni per le visite mediche mutuabili, ostacolo alla cura della salute di molte anziane prostitute del quartiere in condizione di indigenza), sia per le condizioni di presa di coscienza di quanti partecipano al processo (citiamo A. partecipante al laboratorio di TdO sulla rigenerazione urbana come espressione della sua condizione di squatter per necessità socio-economiche, che chiede di potersi esprimere attraverso il teatro avvertito come un potente strumento di liberazione personale e collettiva, che possa però andare al di là delle contraddizioni della sua condizione abitativa che noi volevamo affrontare, per diventare strumento identitario di riscatto sociale). Avere la consapevolezza che la nostra metodologia svela altro, non è indice di immediate risposte efficaci, ma cionondimeno ci permette di uscire dalla condizione di produttori di atti estetici avulsi dalla comunità e autoreferenziali, se non addirittura complici del cambiamento di un quartiere che possa ritorcersi contro quella stessa comunità che spingiamo a raccontarsi e a raccontare.

Rito di capodanno, agli abitanti è stato chiesto di annodare un filo
esprimendo un desiderio per il nuovo anno

  1. Dall’immaginario alle pratiche, andata e ritorno

 

Il progetto Trame di quartiere si fonda, quindi, sulla necessità di avviare un processo di conoscenza del territorio del quartiere San Berillo, dove linguaggi artistici del teatro e del video si combinano con strumenti più analitici capaci di dialogare e di intrecciare vari punti di vista. L’idea della trama riguarda la complessità del contesto urbano, e quindi l’esigenza di approcci capaci di leggere il tessuto, ricercare le forme e scrutare le pieghe per scomporre le parti e riannodare i fili (Lazzarini, 2011). Le microinterazioni quotidiane consentono di individuare il rapporto che esiste tra pratiche convenzionali, aspetti formali e i momenti più intimi, gli atteggiamenti, privati e individuali. Le relazioni nello spazio e tra le diversità che compongono il tessuto sociale di San Berillo, favorite dal teatro e dalla videodocumentazione, costruiscono una risorsa su cui investire per risolvere le problematiche di degrado e abbandono da cui nasce l’esigenza di prospettive di azione o l’emergere di conflitti.

Attività sociali in strada nel quartiere San Berillo
Ph. Valerio D’Urso

Un’analisi chiara del rapporto tra conoscenza e azione, nei suoi riflessi teorici e operativi nella costruzione delle politiche urbane, proviene da Pierluigi Crosta. L’argomento centrale della sua tesi riguarda l’esistenza di forme di conoscenza che vengono prodotte e trattate prima dell’azione, da operatori e non da attori. La forma di conoscenza più utile, secondo Crosta, si produce durante l’azione, dagli attori stessi che vi sono impegnati. Successivamente affronteremo il tema del progetto come esito di un’interazione. La critica mossa da Crosta riguarda una conoscenza dei contesti urbani che assume la forma e il soggetto della pianificazione come dati, dei quali basta prendere informazione, considerando problematici soltanto gli esiti del processo: il successo o l’insuccesso della pianificazione (Crosta, 1998). Questa linea di interpretazione ha guidato la scelta progettuale di costruire una mappa delle pratiche del quartiere San Berillo, come strumento conoscitivo che tenta di stare dentro l’azione. Questa attività si fonda sul presupposto della necessità di comprendere e rappresentare le pratiche dello spazio che costruiscono la definizione stessa di quartiere, e quindi che offrano la possibilità di descrivere ambiti di azioni, profili degli attori, vincoli, risorse e problemi da affrontare.
Lo strumento della mappa si configura come azione partecipativa in grado di percepire lo spazio urbano e le sue trasformazioni, contribuendo così a definire in prima persona gli elementi che, alla fine della fase di rilevamento dei dati, verranno rappresentati. La realizzazione nel progetto ha reso possibile individuare gli aspetti concreti di questo delicato processo di rappresentazione e le pratiche spaziali di natura incorporata ad esso legate, che qui si proverà ad analizzare nella loro dimensione relazionale e quotidiana, attraverso una pluralità di storie e di percezioni legate all’abitare. La mappa costituisce sia un momento attivo sia un momento recettivo. Il doppio movimento nella fase della rappresentazione e della restituzione racchiude la particolarità e l’importanza dell’esperienza condotta.

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  1. Costruire trame, intrecciare percorsi

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Le forme di azione e le rappresentazioni che si riferiscono al contesto spaziale, rendono esplicita una progettualità che manifesta una propensione ad agire con un carattere prevalentemente tattico (Cellamare, 2011). Non solo quindi progetti legati a pratiche interindividuali che si riflettono nello spazio con un valore sociale e politico immediato, ma anche dimensioni del fare che si sviluppano in iniziative economiche che interagendo con il contesto e che fra gli attori definiscono visioni e progetti esecutivi di trasformazione. Il lavoro di mappatura delle pratiche nel quartiere di San Berillo ha rappresentato uno strumento di analisi del contesto capace di rendere visibili e localizzabili degli usi dello spazio, declinato rispetto all’abitare, alle attività economiche, e alla relazione tra sfera pubblica e privata. Attraverso l’interazione, tutti gli attori sono competenti, cioè tendono a spiegare il proprio comportamento motivando quello che fanno. In questo modo tengono conto delle motivazioni degli altri con i quali interagiscono. Se prendiamo in considerazione una conoscenza antecedente all’azione, che conferisce razionalità alla decisione dell’azione, secondo Crosta, avremo un tipo di conoscenza prodotta professionalmente. Se invece vogliamo connotare la conoscenza prodotta per l’azione durante l’azione, parleremo di conoscenza interattiva, quindi costruita attorno dei meccanismi di interazione sociale.
All’interno dell’analisi della mappatura, le attività laboratoriali della video documentazione e della drammaturgia di comunità favoriscono l’azione che diventa immediatamente conoscenza, ne esplicitano il senso e la comprensione del nostro intervento che deve spogliarsi dai dispositivi razionali e logici degli operatori del progetto che sono impegnati in prima persona. Il ruolo del progetto Trame di Quartiere si innesta, quindi, nella seconda ipotesi prospettata da Crosta, tentando attraverso i laboratori, le attività di ricerca e la progettazione degli spazi dismessi di leggere e condividere le pratiche di questo ambito spaziale del quartiere San Berillo. La rigenerazione urbana di San Berillo dovrà necessariamente prendere in considerazione i processi di adattamento e di appropriazione degli spazi grazie all’azione artistica e la rilettura delle pratiche del territorio: dalle occupazioni degli immobili, alle abitudini legate all’utilizzo della strada.

Festa di quartiere porte aperte a San Berillo
durante la quale gli abitanti mettevano in scena momenti della loro quotidianetà
Ph. Valerio D’Urso

Nel primo anno e mezzo del progetto, abbiamo impiegato il nostro tempo per guardare, parlare, camminare nel quartiere, per capire quale fosse la domanda più importante da porre, la più semplice ma anche la più restia a sorgere. Una domanda utile come “bussola” anche alla progettualità che stiamo portando avanti. Perché la bellezza dei luoghi, lo sviluppo dell’immaginario che porta a desiderare altro da quello che ci viene dato nel posto materiale e immateriale in cui si viene confinati dai sistemi di potere politici ed economici, non può essere un diritto concesso solo a pochi, annoverando tra questi anche coloro che pensano di cambiare il mondo attraverso uno slancio di solidarietà assistenzialistica o creando bellezza di cui possono essere soltanto loro stessi i fruitori.

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Il progetto Trame di quartiere è fra i tre vincitori del concorso di idee Boom Polmoni urbani del 2015, sulla valorizzazione dei territori siciliani attraverso la promozione di nuovi modelli di Sviluppo Urbano per migliorare la qualità della vita dei cittadini nei luoghi in cui verranno realizzati gli interventi.
Sulla Mappatura di Comunità si veda il “Progetto locale, verso una coscienza di luogo” [Magnaghi, 2010]
Secondo l’autore le relazioni e i processi sociali plasmano le specificità spaziali dell’urbanesimo, ma allo stesso tempo vengono significativamente formate da queste. I concetti di famiglia, comunità, economia ecc. sono puramente astratti se non si inseriscono dentro i contesti spaziali in cui interagiscono.

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Trame di quartiere Siamo un team interdisciplinare che spazia dalla animazione culturale e artistica alla progettazione di politiche e pratiche di rigenerazione urbane. Il metodo di lavoro che promuoviamo è teso al coinvolgimento delle comunità e degli attori nella messa a valore delle risorse presenti, creando connessioni con nuove progettualità e nuovi scenari. Siamo impegnati nella ricerca-azione che utilizzi l’azione artistica e perfomativa tesa a determinare meccanismi di co-progettazione delle attività e degli spazi urbani.