§Ricco Patrimonio / Povera Patria
Se scavi trovi sempre il mare:
arte e pedagogia nella costa sud-est di Palermo
di Valentina Mandalari

“Place might be defined as the intersection of memory and landscape”
Fred Van Dyke

“Esiste ed è concepibile una nuova forma di paesaggio artificiale che non utilizza né la vecchia formula
– incolto più loquacità – né la nuova, cioè determinazione assoluta della forma e dei ruoli.
La miscela paesaggistica di attività umana, inattività umana e caso è ancora possibile”
Lucius Burkhardt

 

«Eppure bisognerà cominciare a ricostruirla, almeno in certi suoi aspetti o episodi più clamorosi, la storia delle aree edificabili della città di Palermo» scriveva nel ’59 Etrio Fidora sulle pagine de L’Ora. Per dignificarle, per cominciare finalmente a considerale anch’esse patrimonio – ammesso che esista ancora qualcosa che patrimonio non è – aggiungiamo a sessant’anni di distanza. Per sottrarle a un’interpretazione binaria nostalgica o spesso estetizzante che risolve la questione in una contrapposizione tra buoni e cattivi, tra patrimonio perduto e disastro acclarato. 

Questo contributo racconta un processo di valorizzazione del territorio che inizia nel 2018 con una pratica artistica e pedagogica per approdare a un exhibit attualmente in fieri. 

 

TUTTI AL MARE: UNA COSTA CHE PARLA DI CITTÀ

La costa palermitana si estende per circa 26 km, suddivisi come segue:

  • 7 km area portuale, delimitati da una cancellata tirata su nel 1947 che impedisce tanto l’accesso quanto la vista del mare
  • 3,5 km porti turistici ed aree ricadenti nella giurisdizione dell’Autorità Portuale e riqualificati tra il 2000 e il 2019, accessibili ma non balneabili per incompatibilità con le attività portuali
  • 8 km costoni rocciosi parzialmente accessibili e balneabili
  • 1,5 km spiaggia di Mondello, bonificata all’inizio del’900, accessibile e balneabile
  • 1,5 km litorale Nord (Arenella e Vergine Maria), precedentemente sede di attività legate alla pesca e alla vita delle borgate marinare e alterato da discariche abusive tra gli anni ’50 e gli anni ’60, parzialmente accessibile e non balneabile
  • 4,5 km litorale Sud-Est (dalla foce del fiume Oreto fino ad Acqua dei Corsari), precedentemente sede di fiorenti attività balneari e alterato da discariche abusive tra gli anni ’50 e gli anni ’70, parzialmente accessibile e non balneabile

Il processo di alterazione sopra accennato consiste nella trasformazione della piattaforma rocciosa che caratterizzava i litorali Nord e Sud-Est a seguito dello sversamento di sfabbricidi durante il periodo di abnorme espansione urbana noto come Sacco di Palermo. Al grido di “casa e lavoro per tutti”[1], si saturava lo spazio non ancora edificato e si operavano sostituzioni edilizie di ville settecentesche e villini liberty con nuovi e più redditizi edifici multipiano che rispondevano agli standard abitativi del boom economico e al forte incremento demografico che interessò il capoluogo siciliano a partire dal secondo dopoguerra. I detriti delle demolizioni e i terreni di riporto degli scavi di fondazione dei nuovi condomini venivano depositati lungo la linea costa, determinandone un avanzamento medio di circa 200 metri.

Tutto ciò ha generato una topografia artificiale che ha trasformato in modo irreversibile la morfologia costiera precedente e con essa tutto il sistema economico, produttivo e di vissuto sociale degli spazi che aveva caratterizzato la struttura storica delle borgate e la belle époque balneare dei primi decenni del secolo scorso. 

L’irreversibilità di tale trasformazione non comporta però l’impossibilità di immaginarne e attuarne di ulteriori. 

Quei 4,5 km di costa palermitana sono la cartina tornasole dell’ultimo mezzo secolo di storia locale – e, in quanto conseguenza particolarmente eclatante di un sistema economico basato sull’industria del mattone e sulla continua intercessione politica necessaria ad alimentarlo, anche nazionale – rappresentano oggi un patrimonio inevitabilmente identitario. Da assumere, integrare, valorizzare. Costituiscono quello che Burckhardt definirebbe un “paesaggio potente”, un luogo di potenzialità opposto al “paesaggio ipertipico postmoderno”, definito come «combinazione voluta di elementi spettacolari […] ed elementi narrativi» (Burckhardt, 2019, p.216) nel quale non si danno altre possibilità se non comprare o evitare di comprare, nel quale non c’è possibilità di partecipare.

E allora, come costruire occasioni di partecipazione? Come esercitare quel “diritto al patrimonio culturale” inteso come “facoltà di partecipare all’arricchimento o all’incremento del patrimonio stesso e di beneficiare delle attività corrispondenti” menzionato dalla Convenzione di Faro [2]?

 

PRATICA ARTISTICA E PEDAGOGIA DEL TERRITORIO

Una forma di risposta può essere mettere insieme pratiche artistiche e pedagogia del territorio. 

Se scavi trovi sempre il mare. Per un’archeologia della costa di Palermo prende avvio con l’esperienza condotta insieme all’artista e antropologo Lorenzo Bordonaro nell’ambito del programma Schools in Tandem promosso dal Dipartimento Educazione di Manifesta 12 Palermo e prosegue nei due anni successivi presso l’Ecomuseo Urbano Mare Memoria Viva

È una pratica artistica e pedagogica che propone l’allegoria di una campagna archeologico-etnografica come occasione di apprendimento non formale del fenomeno di trasformazione della costa palermitana. 

Si ritorna insieme sul luogo alla ricerca di tracce e indizi, di memorie, a partire dall’unico elemento certo di questo processo controverso e ancora poco storicizzato: il dato materiale, il fatto, il frammento. Non solo allo scopo di riattualizzare il trauma, ma soprattutto di costruire una piattaforma capace di accogliere una pluralità di storie e visioni non necessariamente congrue con la narrativa dominante (Roelstrate, 2013).

UNO: M12. Con gli allievi delle classi V di due scuole primarie palermitane [3], abbiamo condotto due campagne simultanee di “archeologia del territorio contemporaneo” su due territori – la spiaggia di Vergine Maria a Nord e quella di Romagnolo a Sud-Est – morfologicamente diversi e geograficamente distanti, ma accomunati da un’evoluzione urbanistica simile negli anni successivi alla seconda guerra mondiale: la trasformazione da borgata in periferia disfunzionale e l’alterazione della storica relazione col mare. 

I frammenti di materiali edilizi rinvenuti insieme ai bambini tra aprile e maggio 2018 – circa 400 chili tra cementine, pavimenti alla veneziana, graniglie, marmi, maioliche, mattoni in cotto e in calcarenite – sono stati analizzati e trasposti in un allestimento presso la cripta della chiesa dei SS. Euno e Giuliano, dove sono rimasti accessibili al pubblico per i sei mesi successivi.

È stato un primo passo verso un processo di riconoscimento di valore: da sassolini da tirare facendo a gara per contare i salti sul pelo dell’acqua a reperti archeologici, da materiali di scarto a oggetti significanti, frammenti di archeologia urbana contemporanea portatori di un racconto territoriale.

Campagne archeologiche e installazione nella Cripta dei SS. Euno e Giuliano | Foto: Lorenzo Bordonaro e Valentina Mandalari

DUE: MMV. Tra il 2019 e il 2020, questa pratica si radica e si sviluppa ulteriormente all’interno di Maredù, il Dipartimento Educazione dell’Ecomuseo Urbano Mare Memoria Viva. Una collaborazione continuativa con due licei [4] palermitani declina un progetto di alternanza scuola-lavoro in un’occasione di scoperta di un territorio misconosciuto – quello della costa Sud-Est – e in un percorso di ricerca che coinvolge i ragazzi dalla fase di esplorazione e rinvenimento a quella di studio e musealizzazione, con la creazione di un allestimento prototipo. 

Cominciamo col percorrere, con l’attraversamento del luogo, in una dimensione di educazione incidentale: si può apprendere accidentalmente, ma non per caso, dal luogo stesso (Ward, 2018). 

Si cammina, si guarda, ci si interroga sui toponimi informali, si fotografa, si collezionano pezzi di immagini scomposte, per comprendere un paesaggio che «è comprensibile solamente non come oggetto, ma come parte di una sequenza narrativa che evidenzia anche dei processi» (Burckhardt 2019).

È un modo per intendere la “promozione dell’educazione e della formazione alla cultura e alla conoscenza del paesaggio” auspicata dalla Carta Nazionale del Paesaggio del 2018 [5] non come trasmissione di nozioni, ma come un’occasione per imparare in modo immediato – nella doppia accezione di “rapido” e di “non mediato” – dal luogo, come una postura dello stare nel luogo.

Procediamo con l’identificazione del sito, scegliendo il luogo più significativo per varietà e numero di sfabbricidi presenti, e con la campagna di scavo.

I frammenti rinvenuti vengono successivamente analizzati e contestualizzati, secondo un esercizio di storia materiale: si studia l’elemento, la tecnica costruttiva, si risale al periodo di applicazione [6], si cerca la storia di sostituzioni edilizie e costruzioni febbrili nascosta negli oggetti, la si rende visibile. 

È il momento di pensare a come ricostruirla e come raccontarla. Si abbozza una prima ricostruzione cronologica da accompagnare all’esposizione dei reperti.

Qualcuno dei ragazzi azzarda una deduzione e una proposta: se questi frammenti sono così importanti da stare dentro un museo, forse potremmo esporne solo alcuni e lasciare tutti gli altri sul posto, senza rimuoverli e senza cancellarli, inventando un modo per valorizzarli e renderli leggibili stando lì

In altre parole, è possibile applicare a questo luogo le teorie brandiane sulla valorizzazione delle stratificazioni in loco e i principi dell’archeologia del paesaggio in generale? È possibile rendere visibile, riconoscere l’esistenza di questa frangia di paesaggio di risulta, che ha valore in quanto patrimonio difficile [7] e pensare di trasformarlo a partire da quello che c’è, senza rischiare di cadere in una forma di tutela che sia più asfittica che generativa? Esiste una terza via, alternativa al disfarsene o al restaurarlo?

E ancora: è possibile che considerare risorsa ciò che finora è stato uno scarto abbia valore di sineddoche, che guardando in modo diverso ad una parte di città si possa cambiare sguardo sulla città intera? 

Campagne archeologiche e analisi dei reperti | Foto: Valentina Mandalari 

“CHISSÀ COME CHIAMEREMO QUESTI ANNI”: UN EXHIBIT IN CORSO D’OPERA

Con questo bagaglio di domande (e con qualche altro centinaio di chili di mattonelle) con l’Ecomuseo decidiamo a inizio 2021 di realizzare un exhibit, attualmente in via di completamento.
Sin dal nome, scegliamo di non definire, di cercare di problematizzare una questione che spesso è ancora oggetto di letture in bianco e nero che la confinano all’interno di un fenomeno di natura esclusivamente mafiosa, un processo dal quale il comune cittadino è escluso – e dunque deresponsabilizzato. 

Cerchiamo di ampliare la riflessione intorno a un evento lungo circa due decenni che ha risposto disfunzionalmente a delle necessità oggettive, consegnandoci una città senza qualità che viene tutt’oggi rigettata come corpo estraneo per circa il 90%  della sua estensione.
Per farlo, prendiamo in prestito il titolo di una raccolta di articoli di Giuliana Saladino, giornalista e scrittrice di impegno politico e civile che quegli anni li ha attraversati, raccontando con sguardo lucido e impietoso la vita quotidiana di una città avviluppata in una crescita inafferrabile: Chissà come chiameremo questi anni.  

Cerchiamo di uscire dal seminato delle discipline tecniche e urbanistiche per ampliare lo sguardo, per prendere in considerazione una molteplicità di fattori concorrenti e mettere in luce le conseguenze che ancora adesso incidono sulla natura degli spazi sociali e sulla vivibilità della città. Ci interroghiamo sulle sue possibili traiettorie di sviluppo e di trasformazione.
Cerchiamo voci e racconti diversi, di chi porta testimonianze dirette e punti di vista critici maturati attraverso studi, indagini, esercizi di pensiero.
Cerchiamo di uscire da un’autorappresentazione di matrice coloniale [8] secondo cui la città riconosce se stessa unicamente in ciò che è storico, monumentale, degno di tutela, in ciò che è netto.
Soprattutto, cerchiamo di uscire da ciò che è netto.

 

Note
[1] È la promessa della DC del dopoguerra. “Palermo è bella, facciamola più bella” è lo slogan del Sindaco Salvo Lima durante gli anni ‘50 e ‘60, in cui una straordinaria convergenza tra mafia, politica e imprenditoria cavalcherà l’emergenza abitativa e la crisi economica senza mai rispondervi in modo risolutivo ed efficace, determinando un’escalation di violenza – tanto sulle persone quanto sul paesaggio urbano – che si placherà soltanto tra la fine degli anni ‘80 e gli inizi degli anni ‘90.

[2] Documento accessibile a questo link 

[3] IC Arenella e ICS Sperone Pertini

[4] Liceo Classico Internazionale Statale Giovanni Meli e Liceo Scientifico Benedetto Croce

[5] Documento accessibile a questo link 

[6] Per l’analisi dei frammenti, ci siamo avvalsi della preziosa collaborazione della dott.ssa Maria Reginella, storica dell’arte presso la Soprintendenza Bb.Cc.Aa. di Palermo

[7] Si veda in proposito la definizione di difficult heritage fornita da Sharon Macdonald alla ICMAH Annual Conference del 2007.

[8] cfr. il saggio “Rifondare la città” di Roberto Collovà, in Collovà R., Piccole figure che passano, 22publishing, 2013

 

Bibliografia

Burckhardt L., Il falso è l’autentico. Politica, paesaggio, design, architettura, pianificazione, pedagogia, Quodlibet, 2019

Collovà R., Piccole figure che passano, 22publishing, 2013

Roelstrate D., (a cura di), The Way of the Shovel: On the Archaeological Imaginary in Art, The University of Chicago Press, 2013

Ward C., Codello F., (a cura di) L’educazione incidentale, Eleuthera, 2018

Valentina Mandalari, 1983, ha una formazione ibrida tra architettura, discipline storico-artistiche e archeologia. Torna ad abitare a Palermo, dopo essersi formata e aver lavorato in diversi paesi dell’Europa e del Mediterraneo, trovando nell’ecomuseo urbano Mare Memoria Viva uno spazio fertile per sperimentare e contestualizzare quello che ha imparato anche altrove. Dal 2016 collabora stabilmente con l’Ecomuseo occupandosi di pratiche di educazione e ricerca sulla città.