§Adolescenze
TIME OUT
Testi per la ricerca, i laboratori e le pratiche di Benedetta Bodini e Giulia Bonini, con un’integrazione di Dino Ferruzzi

RICERCA

Il progetto Time Out nasce grazie alla collaborazione con la Fondazione Amilcare Ponchielli di Cremona, più precisamente in relazione allo spettacolo di prosa Socrate il Sopravvissuto come le foglie messo in scena dalla compagnia teatrale Anagoor durante la Stagione di Prosa 2019/2020.

Lo spettacolo si presenta come una riflessione sull’educazione, che descrive la scuola in dimensioni temporali diverse. Passando dal 1999 al 2001, fino al 399 a.C. ci si addentra sempre più in profondità nella Storia, immergendosi in un “ragionamento nel ragionamento”, quello di Alcibiade, che grazie alla maieutica di Socrate cerca di avvicinarsi al raggiungimento della Verità. In questo modo la lavagna dell’aula diventa una finestra sul passato, mentre gli interpreti interagiscono con le immagini, simulando rumori e ripercorrendo un dialogo in atto da millenni. Dunque, non stupisce che la compagnia si sia rivolta proprio ai Greci per affrontare una riflessione sulla questione educativa di oggi.

  1. Laboratorio/Le pratiche

Nella prima fase del percorso laboratoriale, per alcuni mesi, abbiamo letto collettivamente e analizzato il testo Il Sopravvissuto scritto da Antonio Scurati. La lettura del libro è stata fondamentale per capire le tematiche dello spettacolo, poter progettare e realizzare gli elaborati che sarebbero stati esposti. La ricerca di gruppo si è ampliata anche nella visione di filmati  di alcune scene dello spettacolo Socrate il sopravvissuto, inoltre ci siamo concentrati sugli aspetti della scuola di Don Milani e successivamente ognuno ha intrapreso un percorso progettuale e di riflessione personale. 

Socrate il Sopravvissuto prendendo le mosse dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati attraversa, con profondità e apertura di orizzonti, ampi brani dei testi di Platone e si confronta senza paura con lo stratificato immaginario socratico. Una tragedia fittizia collocata nei primi anni Duemila – uno studente che trucida l’intera commissione di maturità lasciando vivo solamente il docente di filosofia – si sovrappone, in un gioco di specchi, a frammenti dell’insegnamento di Socrate. Il folle gesto del giovane omicida, Vitaliano Caccia, viene indagato nel hic et nunc della rappresentazione teatrale: un’aula rarefatta e satura di morte viene montata e smontata davanti agli occhi degli spettatori, immersi nelle angosciose sonorità elaborate e composte da Mauro Martinuz. In netto contrasto sono posti gli episodi riguardo l’insegnamento di Socrate, delegati all’altrove di un video, girato a sua volta all’interno di un’aula. Risulta significativo il fatto che la voce del professore di filosofia coincida con quella di Socrate, colui che, probabilmente, costituisce la più grande personalità di educatore della cultura occidentale. I due piani temporali e semantici interferiscono fra loro e si sovrappongono, emancipandosi dal rischio di una narrazione della strage lineare e dunque riduttiva, ma aprendo alcuni interrogativi cruciali sulla funzione e il ruolo dei processi educativi nella società di oggi. Dall’altro lato, si indaga senza sconti il tema della responsabilità, analizzando da vicino la possibilità che l’insegnamento venga frainteso e snaturato, fino al punto di rivoltarsi contro chi l’ha veicolato. In questa prospettiva, diventa fondamentale la scelta di dare spazio alla figura di Socrate: un maestro che affida la sua eredità alla sola parola viva, che approda alla tradizione occidentale filtrato – e dunque necessariamente alterato o frainteso – da un suo allievo, ossia Platone. 

A sostegno di queste riflessioni, è stata introdotta un’ulteriore ricerca, riguardo la Scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani. Il giorno dopo il suo arrivo nel piccolo paese situato sulla montagna toscana, il priore raggruppa i ragazzi delle famiglie attorno a sé e in una scuola. Qui, li libera subito dalla passività e li rende responsabili. Su questa scelta egli fonderà la propria pedagogia. L’impatto con la cultura contadina e l’analfabetismo matura e radicalizza in lui la necessità di dare più centralità all’ambiente scolastico. Così dà vita ad una scuola che inizia al mattino e termina a buio, che non conosce vacanze e che, soprattutto, rifiuta le metodologie e le tecniche d’insegnamento nozionistico e trasmissivo. Lettera a una professoressa è il risultato di un anno di attività a Barbiana. Il maestro trasforma il giornale in materia scolastica, ricerca e produzione di materiale didattico, lavoro di squadra, da lui diretto e svolto insieme ai ragazzi, gli abitanti e i numerosi visitatori. Quest’esperienza costituirà un’importante rivoluzione culturale, didattica e pedagogica in quanto rifiuta l’indifferenza, la passività negativa e motiva fortemente l’allievo ad essere partecipe del processo educativo. Pur essendo all’interno della premessa del grande movimento trasformativo che fu il ’68 italiano, essa andava oltre, ponendosi come realtà profondamente all’avanguardia. 

  1. Laboratorio/Le pratiche

Ci siamo avvicinati alla conoscenza della metodologia educativa di Don Milani e della Scuola di Barbiana, grazie anche a numerose ricerche comuni, visione di filmati e discussioni. Così abbiamo iniziato a lavorare con parole-chiave che abbiamo trascritto su grandi cartelloni, parole che ci hanno portato a discutere su macro-temi riguardanti la politica, l’etica, la morale, l’educazione. Abbiamo poi associato ad ogni parola chiave dei caratteri sensoriali diversi, spaziali, legati a concetti di forma, colore e suono. Un procedimento questo molto utile, sia per poter ampliare le nostre visioni intorno al fare progettuale, che intanto si stava arricchendo di scritti, disegni, ricerca e studi di materiali, sia per mettere in evidenza gli aspetti emblematici di tale esperienza – I care, rifiuto delle convenzioni, valorizzazione della sfera umana, della solidarietà collettiva e del talento individuale – percorso che si è rivelato estremamente utile per tradurre concetti fortemente astratti in soluzioni pratiche progettuali. 

Per procedere in questa direzione ci siamo recati diverse volte presso il teatro Ponchielli, in cui si sarebbe tenuta la mostra, per effettuare un sopralluogo ma anche per incontrare la compagnia teatrale Anagoor e le maestranze. Grazie a ciò abbiamo potuto prendere le misure dei vari ambienti messi a disposizione e capire come gestire gli spazi, tenendo conto delle varie problematiche riscontrate. Ad ogni sopralluogo ha fatto seguito la progettazione in laboratorio, preceduta da discussioni e confronti a volte anche serrati. Per avere una visione coerente e complessiva dell’intero progetto, è stato realizzato un plastico. Su una base di legno abbiamo disegnato in scala la pianta delle sale a nostra disposizione e realizzato in seguito dei modellini delle opere da esporre. Grazie a questo piccolo modello in scala, siamo riusciti a visualizzare come sarebbe stata la restituzione finale, aperta e mai scontata.

gli studenti incontrano la compagnia teatrale ANAGOOR, con Laura Seroni, responsabile dei progetti tra scuola e Teatro Ponchielli, e il giornalista Nicola Arrigoni.
Foto del plastico

SCOPERTA 

Dall’opera emerge lampante un’accesa diatriba tra il Giusto e l’Ingiusto, che porta alla conclusione che l’ignoranza emerge quando “non sappiamo ma crediamo di conoscere”. Ad esempio, risulta interessante il salto temporale nel dialogo in cui si discute del campo di Buchenwald. Esso viene affrontato a memoria di una forza della cultura antica, attuale anche nel presente; a sottolineare la necessità di ritrovare un’autorità che ci indichi il Giusto, trovandola non in una persona umana, bensì nel Pensiero. Anagoor presenta una casistica speculare: da un lato uno studente privato della sua guida, costretto a prendersi la responsabilità della conservazione di quell’insegnamento; dall’altro un professore privato del suo allievo, chiamato a fare i conti con gli effetti distorti del proprio magistero. Non esiste educazione senza assunzione profonda, e biunivoca, di responsabilità; dunque lo spettacolo risulta coraggioso, intimamente politico e di difficile digestione. 

L’azione dell’enunciazione diviene l’atto del venire al mondo nel linguaggio dell’Altro. Esso è l’insieme dei discorsi, della cultura, delle leggi, della morale che circondano l’uomo e ne definiscono la vita. Tale linguaggio parla, precede, impone narrazioni e, allo stesso tempo, vieta l’Assoluto, Verità indicibile.
Questo strumento si evolve allora come difesa contro la cecità dell’esistenza. Un vuoto eccentrico che oggi rappresenta la nostra Storia, narrazione della dissoluzione della Parola e del Sapere. 

Parallelamente alla lettura del libro Il sopravvissuto di Scurati, ci siamo focalizzati sul concetto di scuola di Don Milani. La centralità della sua didattica è costituita dall’insegnamento della lingua, una sua preoccupazione costante si esprimeva nello sforzo di “ridare la parola ai poveri”. Dare la parola ai poveri perché venga spezzato il circolo vizioso secondo il quale le classi superiori condizionano la lingua e questa approfondisce il divario tra le classi sociali. Compito della scuola non deve essere quello di sfornare laureati, ma di far diventare cittadini sovrani. E per questo, l’impresa assorbe tutto il senso di un’esistenza, per cui, come dice Don Milani, “l’educatore, il maestro, il sacerdote, l’artista, l’amante, l’amato sono la stessa cosa”. La scuola è strumento privilegiato di elaborazione della coscienza personale e sociale: rifiutare questa prospettiva o non potervi accedere produce passività e conformismo. Andare in fondo alle cose, ragionare con la propria testa, porre domande è una base culturale in cui non può annidarsi l’ingiustizia. Fare scuola significa svolgere un compito civile di altissimo valore: insegnare a non obbedire acriticamente, in quanto l’obbedienza non è più una virtù ma, a livello sociale, la più devastante delle tentazioni e a livello individuale la più subdola. 

Riguardo all’esperienza di Don Milani presso la Scuola di Barbiana, si è dimostrato estremamente stimolante approfondire i metodi pedagogici del priore consonanti ad uno sfondo relazionale ed istituzionale legato negli intenti al suo progetto scolastico. Abbiamo adottato il concetto di “I care”, che letteralmente significa “m’importa” “mi sta a cuore” – è stato analizzato con interesse per la portata rivoluzionaria che esso apporta nella visione di didattica, intesa come collaborazione, condivisione e cura. 

ELABORAZIONE DATI 

L’allestimento Time Out racconta di un momento sospeso: il riposo che stimola la riflessione nel mezzo tra una battaglia e un’altra. Al rumore e alla confusione, segue il tempo dello sgomento, dell’incredula sorpresa verso ciò che si è appena consumato. Gli elementi che compongono l’esposizione costituiscono delle tracce di ciò che rimane, a indicazione di qualcosa che sta al di sotto delle coscienze e che vuole essere riportato alla luce tramite le suggestioni proposte. 

Tale riflessione trova la propria origine nell’analisi del profilo del docente, delle modalità adottate nel passaggio della conoscenza e soprattutto del ruolo, più o meno centrale, che siamo disposti a concedere a chi si occupa di educazione.
Inoltre, emergono diversi interrogativi riguardo il tema della responsabilità, ormai riguardante un tutti che è diventato implicitamente un nessuno

Oggi, a chi deleghiamo la formazione dei cittadini di domani? Nella nostra considerazione, quale posto intrattiene chi si occupa della trasmissione del sapere?

PROGETTAZIONE 

Considerati tutti gli aspetti inerenti al messaggio più profondo e viscerale dello spettacolo, l’intento del progetto si è focalizzato su alcuni aspetti in particolare. 

Identità delle vittime
I professori caduti nella strage hanno avuto una vita precedente ad essa, la loro morte ha un significato: essi non sono solamente sagome ma esseri umani

Legame spettatore/spettacolo
Dar voce alle vittime significa attribuire un valore alla loro testimonianza. In tal modo, si viene a creare un rapporto fra esse e il pubblico, più diretto e quindi efficace nel coinvolgimento e l’immedesimazione entro lo spettacolo. 

Ruolo del sopravvissuto
L’epiteto indica la figura emblematica di un educatore non corrotto da sistemi di insegnamento comunemente approvati e per questo convenzionali, stabiliti solamente tramite formule stereotipate, tuttavia privi di un contenuto e un messaggio autentici. 

IMMAGINI MOSTRA

1. Un leggio
All’ingresso della mostra ci accoglie un leggio, dove sono stampate queste parole che sembrano scolpite sul marmo. Il testo, estratto dal libro Il sopravvissuto di Antonio Scurati, ben sintetizza del vuoto in cui sono immerse le vite delle giovani generazioni, della paura di sentirsi soli nel pieno sovrastante di una contemporaneità che non sa più dare attenzioni a chi chiede di essere ascoltato.

2. Sette corpi

Lo spazio espositivo è stato volutamente oscurato e colorato con una fredda luce azzurrina, per ricreare uno scenario che presentasse immediatamente la tragedia appena consumata. Sul pavimento giacciono i sette corpi dei suoi insegnanti che lo studente Vitaliano Caccia ha appena freddato a colpi di pistola il giorno della maturità.

3. Tre monitor
Al centro sono disposti tre monitor con altrettanti video/interviste ad alcuni insegnanti del Liceo Artistico. Le persone sono riprese di schiena per dare risalto alla voce. I corpi sono presenze virtuali che vivono nello schermo della spettacolarità in cui è immerso il presente contemporaneo. Sette brevi racconti in cui gli studenti hanno chiesto ai docenti di fare il resoconto stringato della loro esperienza di persone e di educatori. La domanda finale che è stata posta, è se si sentissero dei sopravvissuti.

4. Un cannocchiale
Nello stesso luogo dove sono distesi i corpi è stato disposto un cannocchiale che punta su una scritta posta sullo stipite della porta d’ingresso di una seconda stanza. Platone, allievo di Socrate, attribuisce al maestro il pensiero che vi è citato. Occorre un occhio attento e una curiosità vigile e sensibile per scoprire cosa ci espone il breve ma illuminante pensiero socratico. Il Cannocchiale è una protesi che serve ad affinare la vista, ci aiuta a guardare lontano, abbandonata poi la protesi meccanica, è necessario fare esperienza della parola letta.

5. Battaglia navale. Che giorno è oggi ?
Lasciando il luogo della mattanza si incontrano due oggetti: un piano a scacchiera e la esile struttura in cui è incastonato un diamante. Il primo è un invito al gioco della Battaglia navale. Le pedine sono coperte dalle immagini di pistole su cui è stampato “che giorno è oggi?” Un evidente richiamo alla perdita della dimensione del tempo e allo spaesamento in cui l’inaspettata tragedia ci ha risucchiati. Forse ancora inconsapevoli di cosa sia realmente accaduto, continuiamo a giocare usando, come fossero solo e naturalmente delle figurine stampate, le stesse armi che hanno appena fatto fuoco su delle persone.

6. Un Diamante
Nel secondo oggetto è rappresentata la sagoma di un diamante incastonata tra due lastre di plexiglass, sulla cui base in legno è posata una forma aperta della pietra preziosa, costruita in materiale plastico. L’oggetto allude alla mente diamantina, al pensiero puro e cristallino, spogliato e spodestato di ogni cosa superflua. La vita fatta di una condotta essenziale. Un invito a rendere preziosa e creativa la propria esistenza. Un aprirsi al mondo e all’altro da sé, alla verità. Qui si è volutamente rendere omaggio al pensiero di Don Milani.

7. Tavola del tempo
Disteso su un lungo asse, scorre il tempo racchiuso tra giugno e settembre, al centro un orologio fermo delle sue lancette, segna l’ora in cui è avvenuta la mattanza. Sulla tavola del tempo sono posati i giorni e le ore così come sono scandite tra le pagine del libro di Scurati. Queste ci invitano a mantenere vivo il ricordo dei fatti accaduti in quattro mesi, attraverso le parole e i pensieri vorticosi dell’unico sopravvissuto che tenta di dare un senso alla sua esistenza e a ciò che è accaduto. La data finale del 9 di Settembre, è il giorno in cui il superstite decide della propria vita. Al pensiero cupo di farla finita perché sente su di sé il fallimento dell’azione educativa, che pensa di non aver saputo offrire ai suoi studenti, subentra la consapevolezza del fare ritorno a scuola, lì dove poter ritrovare il sorriso di tanti altri ragazzi a venire.

8. Effetto indiretto di qualcosa
è la forma specchiante del nostro stato fisico e psichico. Lo sguardo riflesso, attraversa un tunnel e si ferma contro uno specchio, incontra una pallottola. Siamo totalmente ri-proiettati e immersi nella scena iniziale, siamo parte del sacrificio. Un invito a non essere agenti neutrali di quello che accade o che si appresta a venire.

9. Due vulcani
É una piccola fotografia che allude alla cartolina descritta nella parte finale del libro. La fotografia ritrae due vulcani che si trovano in Messico, dove l’insegnante sopravvissuto immagina il suo allievo prediletto sorseggiare un cocktail nella più totale immoralità. Vitaliano dopo aver assassinato i suoi insegnanti, ha trovato rifugio in quel lontano paese? Ha fatto recapitare all’insegnante proprio questa cartolina? Si tratta forse di un’immagine simbolica che però rende l’insegnante consapevole della propria esperienza di educatore, tanto da indurlo a desistere dal suicidio. L’immoralità di Vitaliano non gli appartiene.

10. Anfratti e rifugi
L’ultima camera del ridotto è occupata da un lungo ripiano su cui poggiano dei disegni. Sono rappresentati possibili luoghi in cui trovare riparo, nascondersi oppure abitare. Il sonoro che si può ascoltare, scritto appositamente per questo progetto dal compositore di musica acusmatica Angelo Petronella, ci risucchia e ci avvolge in una voragine acustica magmatica e ripetitiva, fatta di una moltitudine di presenze e di rumori che non ci acquietano, anzi pretendono un ascolto profondo. Quell’ascolto profondo in cui porsi, anche quando ci sembra di non capire il mondo di cui siamo parte tutti insieme.

  1. Laboratorio/Le pratiche

Un esempio: la realizzazione dei tre video

Per la fase di esecuzione progettuale vera e propria sono state messe in atto delle collaborazioni con sette professori del Liceo Artistico Antonio Stradivari di Cremona. Questa scelta è stata compiuta nell’intento di restituire, tramite interviste video, racconti e storie di persone autentiche, e non solamente verosimili. Per questo sono state rivolte agli insegnanti delle domande specifiche ed esemplari, che potessero riassumere al meglio diversi aspetti delle vite degli stessi: 

  1. nome e cognome; 
  2. materia di competenza; 
  3. ambiente famigliare; 
  4. percorso di studi; 
  5. scelta che ha portato alla professione di insegnante; 
  6. rapporto con i colleghi; 
  7. rapporto con gli alunni; 
  8. considerazioni sul ruolo del Sopravvissuto. 

A tal proposito si è rivelato estremamente interessante ed edificante a livello umano la scoperta di sfaccettature dei docenti quotidianamente non considerate.
Le riprese si sono svolte all’interno dell’edificio scolastico. È stato chiesto agli intervistati di rispettare alcune semplici norme – controllo della cadenza e del ritmo del racconto, regolarizzazione del respiro e rispetto delle tempistiche – per rendere ottimale la registrazione audio ed eventuali modifiche in post produzione.
Infine, tutti i professori sono stati ripresi di spalle, nell’intento di evidenziare lo strumento della Parola – importante nella stipulazione di un’identità assoluta – a discapito della sfera visiva – vincolante nel processo di individuazione.
I video sono stati proiettati su tre monitor sincronizzati. Essi sono stati posti a terra accanto ai corpi totalmente coperti delle sette vittime, a significarne la voce e la testimonianza, sopravvissute alla morte. 

Crediti progetto

TIME OUT è un progetto didattico degli studenti della 5A Indirizzo Scenografia del Liceo
Artistico Statale IIS Antonio Stradivari di Cremona in collaborazione con il Teatro Amilcare
Ponchielli di Cremona.
Coordinamento e allestimento a cura di:
Dino Ferruzzi, insegnante di Discipline Plastiche e Laboratorio di Scenografia,
con la partecipazione degli studenti:
Benedetta Bodini, Giulia Bonini, Zara Cagnini, Anna Loda, Giada Manganelli, Maddalena Pattini, Matteo Schivardi, Giulia Sparacino, Rebecca Viscardi, Davide Zucca.
Progetto sonoro: Angelo Petronella;
Tecnico del suono e delle luci: Marco Generali;
Si ringrazia per la partecipazione gli insegnanti  del Liceo Artistico Statale IIS Antonio Stradivari di Cremona: Ferdinando Ardigò, Antonio Ariberti, Elisa Chittò, Silvia Cigognini, Anita Guarneri, Gianna Paola Machiavelli, Santina Tagliati.

Benedetta Bodini e Giulia Bonini studentesse, Classe 5A Scenografia – Liceo Artistico IIS Stradivari – Cremona, anno scolastico 2019/2020

Dino Ferruzzi insegnante, attivo come artista e curatore indipendente a Milano dagli anni Ottanta, è tra i fondatori di CareOf Centro di documentazione per l’arte contemporanea. Ha collaborato alle attività e ai laboratori del gruppo Wurmkos. Nel 2004 ha fondato ed è Direttore del CRAC Centro Ricerca Arte Contemporanea, una palestra di idee dedicata alla pedagogia critica, con lo scopo di praticare modelli educativi alternativi. Con il Centro ha curato eventi espositivi, convegni, workshop e progetti di residenza. Ha collaborato a progetti di formazione e di ricerca, con istituzioni museali, istituzioni pubbliche, Fondazioni, Università e enti non profit. Interessato al rapporto che intercorre tra l’educazione, l’arte, la politica e il sociale, nel 2016 ha pubblicato nelle Edizioni Postmedia Books, il libro CRAC TEN YEARS 2004 – 2014 Arte, educazione, formazione, lavoro, spazio pubblico.