SPECIALE 56ma BIENNALE DI VENEZIA
HOPE! National Pavilion of Ukraine
di Paola Bommarito

Hope for me is a highly concentrated substance.
Even a trace amount is enough to transform any reality
Artem Volokitin1

 

Una generazione di giovani artisti rappresenta l’Ucraina per la 56ma edizione della Biennale Internazionale d’arte di Venezia. Il titolo della mostra esclama forte e chiaro la parola HOPE! un energico modo per esprimere le speranze condivise per il futuro dell’Ucraina, in una mostra che affronta, in una molteplice narrazione, il conflitto in corso e la storia recente di questo paese. Cosa significa condividere una speranza? Una domanda è stata rivolta a tutti gli artisti presenti in mostra, che chiedeva cosa per loro significasse la parola “hope”. Nel catalogo che accompagna la mostra possiamo leggere le loro risposte e riflessioni: alcune di esse definiscono la speranza come una sostanza in grado di modificare la realtà, a volte essa rappresenta semplicemente il desiderio legato al luogo comune che afferma che andrà tutto bene: “Everything will be fine!”. Vengono rievocati i miti allegorici legati alla speranza, invocati dal naufrago o da chi sta completamente in balia di forze esterne, ma ciò che emerge con forza è che la speranza è indissolubilmente legata alle persone, e quelle persone che osservano come la società civile si stia trasformando in situazioni estreme, sentono il bisogno condiviso di costruire un qualcosa di nuovo.

Nel catalogo che accompagna la mostra, il curatore Björn Geldhof introduce il padiglione facendo riferimento alla situazione politica in cui versa l’Ucraina, in questo momento storico caratterizzato da uno stato di emergenza continua. Ciò evidenzia lo stretto legame tra il lavoro degli artisti presentati e il contesto socio-politico in cui essi sono stati prodotti. Durante gli ultimi anni si è assistito al proliferarsi di movimenti di protesta che hanno avuto inizio nel novembre 2013 con l’occupazione di piazza Maidan, una delle principali piazze nel centro di Kiev, divenuta il simbolo della contestazione antigovernativa ucraina contro il Presidente Viktor Janukovich. Centinaia di persone sono state uccise durante le manifestazioni. Pochi mesi dopo, in seguito all’annessione della regione di Crimea alla Russia, i manifestanti filo-russi si impadronirono degli edifici pubblici nelle città di Kharkiv, Donetsk e Lugansk. I separatisti proclamarono la “Repubblica sovrana” a Donetsk, dando inizio a un conflitto che è tutt’oggi in corso nelle regioni dell’Ucraina orientale e che finora ha provocato migliaia di morti e oltre un milione di profughi. In questo contesto la produzione culturale non può che porre l’attenzione su quelle pratiche artistiche che riflettono sulla crisi attuale del paese, che affrontano temi legati all’integrità territoriale e alla costruzione dell’identità nazionale, che cercano di instaurare un dialogo culturale significativo tra Oriente e Occidente. È con questi presupposti e in questo scenario che s’instaura l’attività del centro d’arte PinchukArtCentre2, organizzatore della mostra HOPE! relativa alla presenza ucraina in Biennale. Da quasi dieci anni esso si pone come un centro dinamico e attivo per la produzione culturale in Ucraina legata all’arte contemporanea, sostenendo le nuove generazioni di artisti e proponendo un programma che risponda alla situazione attuale e che favorisca il dialogo3. Con la mostra HOPE! il PinchukArtCentre ha cercato di dar voce alle speranze condivise sulle prospettive future dell’Ucraina attraverso le riflessioni di una nuova generazione di artisti che lavorano coniugando il linguaggio visuale a delle pratiche di attivismo sociale. Un elemento che accomuna il loro lavoro è l’atteggiamento critico, l’affrontare delle situazioni urgenti e concrete nell’impatto con la società. Molti di loro hanno iniziato il proprio lavoro attraverso delle pratiche di attivismo politico nel 2004 durante la Rivoluzione Arancione, il movimento di protesta nato in reazione alle elezioni presidenziali di quell’anno a sostegno del candidato Viktor Juščenko. Si tratta di un’arte socialmente impegnata che dimostra di poter essere sovversiva e di poter aprire uno spazio di discussione. Il curatore Björn Geldhof afferma che: «They offer a critical narrative that resist ideals and ideologies. It refuses singular narratives and demostrates a fundamental openness: it is a voice of Hope!”»4.

Photographs provided by the PinchukArtCentre © 2015. Photographed by Sergey Illin

Alcuni dei lavori in mostra affrontano il tema della propaganda mediatica prodotta dalla guerra, di come avvenga la rappresentazione del presente subordinata alla retorica militare. È il caso della grande tela di Artem Volokitin che presenta due diversi tipi di esplosione, una che ricorda dei fuochi d’artificio, l’altra dipinta in modo iperrealistico all’interno di un cielo cupo, tratteggiato in bianco e nero, con un chiaro richiamo alla tecnica d’incisione ad acquaforte. Il conflitto viene spettacolarizzato. Le immagini veicolate attraverso la televisione, la radio e social media trovano una collocazione nel nostro soggiorno, nella nostra vita quotidiana. Crowd. Day di Zhanna Kadyrova prende in prestito delle immagini tratte dai quotidiani per esplorare la modalità di rappresentazione dell’identità attraverso i media. Il 16 marzo 2015, esattamente a un anno di distanza dal referendum che ha portato l’annessione della regione di Crimea alla Russia, l’artista ha raccolto i giornali di tutto il mondo e li ha usati per creare il ritratto di una folla di volti. Eliminando ogni riferimento testuale, Kadyrova ci presenta un collage di persone di diverso status sociale, posizione politica o religiosa, ricomposti in una moltitudine indisciplinata, anonima e multiculturale. Invece l’opera proposta da Mykola Ridnyi e Serhiy Zhadan, dal titolo Blind Spot, si interroga sul modo in cui la medializzazione della guerra possa dirigere il nostro punto di vista. In uno spazio consumato dalle notizie stampa, caratterizzato da una narrazione singolare, diviene estremamente difficile guardare al conflitto ucraino con una certa distanza. Al centro del padiglione troviamo un pannello che presenta due facce della stessa medaglia, due racconti sulla stessa storia. Su un lato è affissa un’immagine fotografica, tratta dal web, che Ridnyi ha parzialmente coperto con della vernice nera, cancellando parte della fotografia originale. Ciò che rimane è una visione circoscritta della violenza della foto, e ciò mette in evidenza il fatto che il nostro senso della realtà è costruito attraverso una visione selettiva e una conoscenza limitata. Dal lato opposto troviamo le poesie di Serhiy Zhadan che raccontano delle storie personali, come quella di un cappellano che è appesantito dalle confessioni altrui, di un blogger che diviene una spia con la sua videocamera o di un individuo dalle opinioni scomode che viene assassinato in un posto di blocco. Le poesie di Zhadan danno un volto alla violenza, al contrario dell’immagine fotografica, che diviene metafora del potere dei media, in grado di cancellare alcune parti per mostrare solo quello che meglio si adatta alla storia, spesso alienandolo dalla realtà.

Il conflitto in corso rimane uno degli elementi centrali in questa mostra. Yevgenia Belorusets pone l’accento sulla responsabilità dei singoli in un conflitto armato avendo, lei stessa, trascorso numerosi mesi di residenza in quelle regioni dell’Ucraina. Nel lavoro che presenta in mostra, Belorusets ritrae dei minatori che hanno scelto di vivere e lavorare nella zona di conflitto, ma si rifiutano di prendere parte alla guerra. Essi cercano di salvare quelle miniere per assicurare un futuro alle loro famiglie una volta che questo momento di scontro e tensione sarà terminato. Al contrario il lavoro del collettivo Open Group si concentra su quei giovani che hanno preso parte al conflitto arruolandosi nell’esercito e sulla relazione con le loro famiglie che si ritrovano in uno stato di attesa per il loro ritorno. Entrando nello spazio della mostra notiamo subito la presenza di un performer, seduto in silenzio. Di fronte a lui si erge un pannello in cui nove monitor trasmettono le immagini delle porte d’ingresso alle case di nove soldati ucraini, situate in diverse parti del paese. A ogni inquadratura corrisponde, dall’altra parte del pannello, l’immagine di una sala da pranzo, un riferimento alla vita quotidiana dietro queste porte. A turno, i quattro membri del collettivo rimangono di fronte alla diretta streaming, restando in attesa e rifiutando di mangiare fino al momento del ritorno a casa dei soldati. L’atto performativo richiede così una prova di resistenza condivisa, che è la stessa per il performer, per i giovani soldati, per le loro famiglie e la società ucraina nel suo complesso.

Photographs provided by the PinchukArtCentre © 2015. Photographed by Sergey Illin

Infine in mostra vengono presentate due sculture. The Cage di Anna Zvyagintseva è realizzata seguendo il modello delle gabbie installate nei tribunali ucraini, ma è costruita con del tessuto, attraverso una fitta maglia che la rende instabile e fragile. Nel suo rappresentare allo stesso tempo forza e debolezza, The Cage diventa un’immagine significativa in un paese che è quasi crollato a causa dell’abuso del sistema giuridico. Diviene un simbolo che incarna le contraddizioni tra libertà e prigionia, stato di diritto e illegalità. Appena fuori dal padiglione troviamo il lavoro di Nikita Kadan incentrato su questioni legate alla costruzione della memoria storica della lotta in corso. Una grande teca di vetro racchiude diversi tipi di materiali, rottami, frammenti che l’artista ha raccolto nella zona del conflitto. Queste macerie raccontano una storia attuale, sono esposte come se fossero oggetti parte del patrimonio locale. Tra le macerie, dentro la vetrina, l’artista pone una pianta di fagiolo, che crescendo nel tempo coprirà gli oggetti distrutti, suggerendo una nuova vita futura e un processo di riconciliazione.

La prima presenza ucraina in Biennale risale al 2001, esattamente dieci anni dopo la sua indipendenza e il crollo dell’Unione Sovietica. Da allora, il paese ha partecipato a ogni edizione della Biennale, organizzando degli eventi collaterali come la mostra per il The Future Generation Art Prize@Venice, premio per giovani artisti promosso dalla Victor Pinchuk Foundation. Quest’anno è la prima volta che l’Ucraina si presenta in un padiglione nazionale, che non si trova né all’interno dei Giardini o dello spazio dell’Arsenale né in un tipico palazzo veneziano, ma in una struttura temporanea sita sulla Fondamenta Riva dei Sette Martiri, vicino alla centrale via Garibaldi. Il padiglione è temporaneo, effimero, di fatti verrà smontato prima rispetto agli altri padiglioni, qualche mese prima della fine dell’esposizione internazionale d’arte. Le sue pareti di vetro lo rendono completamente trasparente, come modello per un paese che con chiarezza si protende verso il mondo, suggerendo le speranze su un futuro lontano da scontri, intrighi politici e corruzione. Come afferma il curatore: «Presenting Ukraine now is to present a New Ukraine. A country that tries to shape itself to become a modern, transparent country while fighting several battles at once: against widespread corruption throughout the political-administrative system, against Russian troops in the East and against economical hardship among all its citizens. It means presenting a country that promised change to the world but needs the world’s help to survive. And yet it also means presenting a feeling shared throughout the country: ‘Hope!’»5.

Photographs provided by the PinchukArtCentre © 2015. Photographed by Sergey Illin

HOPE! Ukranian National Pavilion. 56ma Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia. Curated by Björn Geldhof. Commissioned by the Ministry of Culture of Ukraine. With the support of the Victor Pinchuk Foundation. Organized by the PinchukArtCentre

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1 HOPE! Ukrainian National Pavilion, The 56th Iternational Art Exhibition – La Biennale di Venezia, catalogo della mostra, p.6.
2 Il centro d’arte è stato aperto a Kiev nel 2006 dalla Victor Pinchuk Foundation. Sito web: pinchukartcentre.org.
3 Per un approfondimento maggiore sulle attività del PinchukArtCenter si veda l’intervista al Deputy Artistic Director Björn Geldhof in Anna Savitskaya, Sometimes they love it, sometimes they hate it, Interview with Björn Geldhof, the PinchukArtCentre, ArtDependence magazine, May 27, 2015.
4 HOPE! Ukrainian National Pavilion, cit. p. 3.
5 The Venice Questionnaire 2015 #27: Bjorn Geldhof, in ArtReview magazine, May 6, 2015.