§Cura: care - cure - curate
È un patto di magia, dice la Grazia
di Cristina Pancini

Mi aveva sempre inquietato il mare.
Un turbamento timido, acquattato sotto ai sicuri: “Che bello eh! Meglio il mare della montagna. Mi rilassa. Ci andrei a vivere.”
Sulla riva, sostavo dubbiosa.
Attratta e spaventata, lo guardavo e setacciavo pensieri: “Sono arrivata sin qui e mi fai fermare. Tutta la tua acqua è un ostacolo, dunque. Per quanto io nuoti, non posso spingermi troppo lontano. Per quanto ti guardi, oltre quel punto non posso mai vederti. Ma come fai a rilassarli?”

Avevo di fronte tutto il mare viola della Costa Jonica di Calabria quando feci una scoperta. Non c’era nessuno in quella grande spiaggia a vedere che mi si spalancò lo sguardo. Nessun testimone quando trovai il tesoro: “Anche se non le vedo, ci sono terre e persone a cui tu, mare, muovendoti, arrivi. La stessa acqua tocca loro e me.”
Il mare mi aveva insegnato ad aver fiducia nelle possibilità del non visibile.

Quello che state per leggere è un racconto che richiede la stessa fiducia.
È la storia di un Finisterre. Di uno di quei punti che gli antichi romani pensavano fosse la fine della terra. Fermavano i propri passi esattamente lì, perché credevano che oltre restasse solamente mare.
Si sbagliavano.
Questo nome è stato dato più volte a luoghi anche distanti tra loro. Ad oggi ne ho contati tre: uno in Galizia, uno in Bretagna e uno in Brianza.
A quest’ultimo, il nome, l’ho dato io. 

Sono arrivata a Finisterre verso la fine di gennaio 2023.
“Anche oggi mi sono messa in auto, più o meno pronta, per attraversare un tratto di Brianza e raggiungere le mie amate ragazze di Finisterre. Sono partita verso le 14,00, un poco dopo rispetto al solito, per non sostare troppo all’ingresso e farmi mangiare dalla paura. Ho percorso i lunghi viali annodati da rotonde, costeggiato la coltre gialla che inzuppa il Parco Nord, non ho notato segni evidenti di animali. Mentre ai semafori ho atteso il verde, ho voltato più volte la testa alla ricerca di qualcosa di bello: “Ci sarà anche qui, tra Cinisello Balsamo e Limbiate, tra Paderno Dugnano e Senago”, mi sono detta, “visto che, a quest’ultimo, hanno dedicato un cartello grande come quelli dei borghi più belli d’Italia. “Ci sarà anche qui del bello”, tra queste costruzioni che mi ricordano il peggio della Calabria, ma senza mare. La ‘ndrangheta, mi hanno raccontato, ha espresso al meglio le sue doti architettoniche sin quassù.”
Questo appuntavo sul mio diario in uno dei viaggi di ritorno da Finisterre.
E questo è il terreno su cui sorge la sua riva.
Un quadratino recintato d’erba tenera su cui spuntano due alberelli magrissimi ma in crescita e un edificio grigio intervallato da finestre bianche, tutte chiuse a chiave.
Si affaccia su una RSA, dove, col solicino, escono come margherite anziani in carrozzina.

Su quella riva ho incontrato spesso, una in collo all’altra, abbracciate o rannicchiate in fondo al quadratino d’erba, le paure più grandi del nostro tempo: fallire, perdersi, non essere amate, restare soli… Molte volte fumavano. Ma l’accendino dovevi darglielo tu. Avevano capelli intrecciati e rossi, voci che urlavano o sussurravano canzoni, occhi troppo bassi o troppo alti per vedere il mare. Avevano più o meno 20 anni e si sorreggevano a vicenda nei giorni di vento forte per non cadere nelle voragini.

“La sigaretta non è ancora finita quando suono il campanello.“
Continuavo a scrivere sul mio diario.

Il cancello, per me, era spesso, grigio, blindato.
Mi apriva la Donna Pesce Gatto [2].

Ho suonato quel campanello ogni lunedì dello scorso febbraio, dopo aver inspirato forte il coraggio per andare a un appuntamento d’amore con la Grazia dalle unghie rosse punteggiate di nero, con gli assalti della Giornalista, con la potenza della Maga, con la testardaggine dell’Acrobata e con i riti ad occhi chiusi della Danzatrice [3].
Trascorreranno un periodo più o meno lungo delle loro vite a Finisterre, una residenza per adolescenti e giovani adulti con disturbi psichiatrici e del comportamento alimentare.

Sono stata la prima artista ad entrare lì, mi hanno detto.
Ci sono entrata per portare loro la sesta tappa di Ripensami tra 20 anni ripensami, un progetto-ricerca itinerante che, dal 2018, dedico alle ragazze, ai ragazzi e al futuro.

La sfida più grande: immaginarsi un futuro mentre fatichi a volerlo.

“Interrogarsi sulle paure del presente, provare a sbilanciarsi in possibilità future e raccoglierle in libri autobiografici, possiamo provarlo. Ma una visita guidata interamente dalle ragazze è troppo delicata: dobbiamo proteggere le loro sofferenze, le loro intimità” così, ci dicevamo, il gruppo di lavoro ed io, qualche giorno prima di iniziare. “E custodire i libri insieme al contratto”, impegno a ritrovarci tra 20 anni esatti, nello stesso luogo e alla stessa ora, per verificare le loro previsioni e snodo importante del progetto, “totalmente da escludere, perché auguriamo loro di non essere più a Finisterre tra un anno.” Eravamo d’accordo: saranno le ragazze a scegliere cosa fare dei propri libri e, quando usciranno da lì, cosa e come ricordare questa esperienza.
Mi era stato dato anche detto: “Tieni basse le aspettative, preparati alla discontinuità e, insieme, alla frustrazione”.
Posso dire con soddisfazione che lo abbiamo smentito.

Vi sarete accorte che sto esitando a lanciarmi nel racconto, girando e rigirando. Ho vagato per giorni su questa riva chiedendomi cosa e come raccontare un’esperienza che tanto ha commosso la mia vita. Il mio esitare va sottobraccio alle parole della Grazia che, nel nostro ultimo incontro, mi ha detto che certe cose dovevamo tenerle solo per noi, ché è un patto di magia quello che abbiamo vissuto.
Sono d’accordo con lei, così, per proteggere quel patto e le sue protagoniste, di questa esperienza, non abbiamo documentazione.
Ci restano alcune immagini di mani eloquenti e le nostre memorie.
Mi affido alla mia, con la quale, tutto d’un fiato, tenterò di raccontarvi le imprese memorabili di 5 ragazze che abitano un estremo del nostro mondo.
Cercherò di farlo rispettando quel patto di magia. Per questo, prima di proseguire, vi chiedo di fidarvi delle possibilità del non visibile e di spalancare gli occhi per trovarle nelle sue mani.

Dal corridoio rischiarato dalla macchinetta del caffé, in testa a tutte, arrivava la Stella [4], il riferimento luminoso, l’operatrice, che ci ha orientate nell’intero viaggio.
La stanza a noi assegnata si presentava come un ufficio: in fondo, un tavolone bianco con addossate poltrone altrettanto bianche e “ruotate”; al centro, sedie in quantità, tutte fornite di tavolini pieghevoli; in alto, finestre sigillate e, ancora più in alto, luce al neon.
Ogni settimana, insieme alla Donna Pesce Gatto, togliendo sedie e poltrone, conquistavamo spazio per donarlo alle ragazze.

Ne attendevo i passi, quasi sempre riconoscevo quelli della Grazia, cadenzati e lenti.
Entravano.
Quella stanza si è trasformata a ogni nostro passaggio ed è stata la testimone di ogni nostra scoperta. Custodisce domande sul futuro che fanno tremare. Domande che abbiamo portato in strada, il primo giorno, giorno in cui la Giornalista, inseguendo e urlando ai passanti per raccoglierne le risposte, è diventata leggenda.
Si è spalancata quando ci siamo interrogate esitanti su quel che vedremo dalle nostre finestre tra 20 anni. E si è sorpresa quando abbiamo assistito a un miracolo: la potente Maga ha trasformato dei puntini di sangue in animali, uno in un bassotto, uno in una marmotta e gli altri in uccellini multiformi.

Durante le prime due settimane sono quasi caduta dentro a voragini che riconoscevo. Poi, ho trovato una voce insospettata e limpidissima: “Se ci cadi non sei più utile”.
È allora che ho messo i piedi in mare, che ho dato uno scossone alla vita per provare a farla entrare potente a Finisterre.

Alla fine di ogni incontro la Danzatrice mi portava a ballare. La seguivo ad occhi chiusi, per sentire la musica come la sentiva lei. Un giorno, ci siamo trovate a ballare tutte insieme: era diventato un rito. E quella stanza si è fatta sala da ballo.
La Grazia si è scatenata. Piegava ripetutamente la testa e anche i suoi tanti capelli fusilli lucidi ballavano. Intrecciava ripetutamente le mani e le braccia mentre la Danzatrice, lieve, spaziava con le sue all’aria. L’Acrobata era una gazzella imprendibile. La Maga disegnava con le ginocchia ritmi precisi. E anche la Stella si è scatenata.
Sudate fradicie, smodate e ridenti, senza la paura di essere brave, solo con la voglia di stare bene.

Quel giorno abbiamo fatto festa a lungo, perché abbiamo messo i piedi in mare insieme. L’abbiamo estesa fino al 2043, per celebrare un momento di futura gratitudine.
Vi assicuro che a quelle feste vorreste esserci anche voi. Tra quei puntini rossi e quei triangoli colorati che la Danzatrice ha composto e infittito per celebrarsi. Tra quelle linee leggere, quei riccioli viola e celesti che L’Acrobata si è dedicata. E indossereste l’abito rosso e attillato scelto dalla Grazia per il giorno dell’apoteosi della sua felicità.

Anche la vita si è rallegrata per quelle feste e ne abbiamo approfittato per scuoterla ancora. La stanza si è fatta cielo e si è riempita di stelle. Ne è nata una costellazione che si è mossa più volte fino a diventare la W a cui abbiamo dato il nome di “Gemelle Ale e Teia”.
Quel giorno, abbiamo pensato a chi saremo tra 20 anni, come vogliamo continuare a crescere. La domanda più difficile, lasciata alla fine per provare a starci comode. Abbiamo cercato di risponderle senza cadere nelle utopie-burroni, puntando i desideri verso ragionevoli speranze.

Credo abbia gioito anche il cielo per la fiducia che ci ha fatto spalancare le porte: “Siamo pronte a mostrarvi i tesori che abbiamo trovato in questa stanza!”
Le rivedo le mie ragazze di Finisterre, in quell’ultimo incontro, spostare tavoli e sedie, scegliere parole e musiche, per accogliere i loro giovani visitatori, coinquilini della stessa riva.
Quando la Stella ha dato il segnale, ha bussato alla porta, la Grazia ha fatto partire la musica. Sedute di spalle, come in un disegno della Danzatrice, ci eravamo appena asciugate le lacrime di bene, quando sono entrati. Sicura, sempre la Danzatrice, si è voltata: “Vi sarete chiesti dove siamo state durante gli ultimi 6 lunedì, ecco adesso ve lo raccontiamo.”
Le rivedo nei loro passi di autonomia, guide luminose attorno ai libri aperti tanto quanto bastava a proteggerli e a donarli, attorno alle poltrone sistemate per vederli meglio.
Le rivedo, poggiate al muro, insieme, emozionate a osservare quei giovani visitatori.
Le hanno ringraziate, abbracciate, applaudite.
Ci siamo applaudite.
E ho ricevuto un grazie tanto grande che lo sento ancora oggi ma, anche questo, è un patto di magia.

La bellezza ha continuato a moltiplicarsi, tanto che le possibilità della vita sono entrate a vederci quando abbiamo ballato, di nuovo, tutte insieme, ma in molte di più.
Scatenate, sudate fradicie e ridenti.

Allora, dico che noi abbiamo vinto, la vittoria più grande, fatta di gesti piccolissimi che non importa che tutti vedano.
Così, in un estremo del nostro mondo, abbiamo scosso la vita e abbiamo messo i piedi in mare, anche se per pochi minuti.
Fidatevi.

Il Bello, in quelle rive di Brianza, alla fine l’ho trovato: sono la Maga, la Grazia, l’Acrobata, la Danzatrice e la Giornalista.
E questo racconto è il mio modo per ringraziarle.

I primi di aprile ci siamo rincontrate. Questa volta davanti allo schermo.
Ad accompagnare la gioia di rivederci, sempre luminosa, c’era la Stella. Qualche giorno prima, le avevo chiesto di recapitare alle ragazze una lettera nella quale dicevo di questa pubblicazione e della metafora di Finisterre. Insieme alla lettera, alcune domande.
Riporto qui la nostra chiacchierata, con alcuni piccoli interventi che provano a facilitarne la lettura.
La Maga è passata a salutarmi, ma non se l’è sentita di rimanere.
Ma è passata, ed è stato bellissimo rivederla.
Le sue parole, preziose, mi sono arrivate nel pomeriggio, insieme a quelle dell’Acrobata, che raccolgo qui unite alle altre. Sono tutte d’accordo nel farvele arrivare.

L’Equilibrista [5]: Come era la tua riva?
Ovvero, da dove sei partita? Quali sono state le tue paure più grandi legate alle richieste del progetto?

La Danzatrice: Il primo giorno è stato per me una scoperta emozionante. Quando ci hai portate a fare le intervistatrici d’assalto ci hai aperto le porte, ci hai fatto respirare della libertà assoluta e ci hai messo in contatto con le persone. Io ormai ho già 30 anni e quando ci hai proposto Ripensami tra 20 anni ripensami mi sono sentita un po’ fuori luogo, mi sono chiesta se fosse veramente per me, ho pensato fosse più adatto a ragazze più giovani. Io tra 20 anni avrò già 50 anni.

La Giornalista: La mia riva era difficile, molto frastagliata, molto alta, un ostacolo di quelli che a primo impatto pensi di non riuscire a superare. Anche a scuola quando ci dicevano: “Tra 20 anni voi sarete qui, sarete là…” mi mettevano ansia. Quindi, pensare cosa avrei fatto tra 20 anni, pensare a un progetto di vita, mi spaventava, perché la paura di fallire mi attanaglia costantemente lo stomaco e mi soffoca. Tu hai dei sogni ed è probabile che non si avverino per gli imprevisti della vita, che capitano a tutti, però io ho paura di non riuscire ad affrontarli quegli imprevisti e ho paura di cadere in un burrone senza fine e fondo.

L’Equilibrista: Forse, quello che possiamo fare, è mettere insieme degli strumenti che ci permettano di cadere in modi differenti, magari anche di ruzzolare, e di risalire da quei burroni.

La Stella: Sì, e alle volte è difficile rendersi conto di quanti strumenti abbiamo e difficile utilizzarli proprio perché si pensa di non averli. E invece poi, succede che riusciamo a tirarli fuori, quasi inspiegabilmente.

L’Acrobata: Devo ammettere che questo progetto con te non sia partito a gonfie vele… ci ho messo un po’ di tempo ad abbandonare la mia riva. L’idea soltanto del futuro mi bloccava. Facevo fatica ad addormentarmi la sera perché non volevo che arrivasse il domani, figuriamoci immaginarmi tra 20 anni! Tutt’ora, se riguardo i miei primi lavori non vedo che incertezze, sono molto vaghi e abbozzati, proprio perché mai mi sarei permessa prima di fermarmi a pensare al futuro.

La Maga: Io ero in ansia, spaventata, soprattutto a immaginare il futuro.

La Grazia: La mia riva era una distesa di sabbia morbida, calda. Sono partita con un’aspettativa molto alta. Fare le interviste mi ha resa più sicura, perché ho dovuto espormi. Le paure che avevo erano infatti legate al mio genere e le ho sentite quando abbiamo affrontato le persone fuori, per far loro le domande. Però è stato bello. 

L’Equilibrista: Come era il tuo mare?
Ovvero, quali sono stati i momenti più emozionanti, quelli per cui sei grata? Quali sono stati quelli in cui hai superato le tue paure e hai raggiunto una piccola vittoria?

La Danzatrice: Il mio mare era burrascoso.
Ho raggiunto una piccola vittoria quando ho disegnato quello che avrei visto tra 20 anni dalla mia finestra: un mare di ghiaccio su cui ho scritto sopra parole brutte, offensive, verso me stessa, riguardanti la mia malattia: “Sei brutta, sei grassa, sei un maiale…” Ti sei avvicinata e mi hai detto: “Non ti ho chiesto di disegnare cosa pensi di vedere tra 20 anni, ma quello che desideri vedere”. Allora ho preso la matita e con tutta la forza, anche se ero veramente giù di tono e mi vedevo gigantesca, bruttissima, mi vedevo male, ho cambiato quelle parole. Ad esempio ho scritto: “Il maiale è buono arrosto, non sei grassa, non sei brutta, non è vero che non vali niente”. Mi sono disegnata alla finestra e ho disegnato 4 bambini con un papà che scendevano dalle montagne di ghiaccio con gli sci e si dirigevano verso di me. Erano la mia famiglia. Ho disegnato una bella casa di montagna. Questo per me è stato il momento più emozionante, perché ho trasformato tutto il brutto che ho dentro, il demone che ho dentro, l’ho trasformato in qualcosa di positivo. Grazie a te.

L’Equilibrista: Tutta quella forza lì l’hai tirata fuori te, era tutta tua.

La Giornalista: Il mio mare era pieno di tempesta, di tanti problemi, di tante paranoie, di tanti pensieri brutti. Il mio mare è sempre in tempesta e quando c’è un momento di calma, di pace, non so come comportarmi, perché non ci sono abituata. E, quindi, quando torna la burrasca, mi sento me stessa.
Fare la giornalista d’assalto per me è stata la vittoria: avevo paura di non essere all’altezza, di non riuscire a fare le cose nel modo giusto, paura di non riuscire a rivolgermi alle persone in maniera adeguata. Ma, come dice la mia psicologa: “La paura precede un atto di coraggio” e io mi sono buttata.

L’Equilibrista: Eccome!
Mi fai tornare in mente anche una frase che mi ha detto qualche anno fa un’anziana e vispa signora, la Franca, ricordandosi di quando, bambina, di fronte alle acque di un fiume, voleva staccare i piedi dalla riva e tuffarsi: “Bisogna avere una giusta paura, perché se la paura è troppa non fai nulla, ma se è troppo poca, rischi di farti male”.

L’Acrobata: Una volta trovato un soffio di vento e raggiunta quella minima corrente che mi ha spinta lentamente al largo… vuoto… il mio mare sembrava vuoto e inquietantemente silenzioso, come la mia mente ogni volta che ci chiedevi di immaginarci qualche anno più in là. È stato, infatti, molto faticoso dover affrontare la consapevolezza di non aver posto le basi per nulla di concreto e stabile…mi faceva e mi fa sentire molto persa e mi vedevo davanti un immenso oceano senza isole e nemmeno coralli. I primi punti di riferimento sono arrivati alla richiesta di immaginarci una festa per il futuro. Mi sono concessa di soffermarmi su ciò che mi piace e che vorrei poter vivere. È stato un completo nuovo approccio al progetto da parte mia e sono sempre più vogliosa di raggiungere la mia isoletta, anche se piccola e sperduta.

La Maga: Il mio mare era agitato, mosso.

La Grazia: Il mio era sereno ma nuvoloso. Non ci ho messo i piedi dentro perché mi lasciavo toccare dalle onde che arrivavano fino a riva.
Ho superato la paura del fallimento, del pensare di restare da sola per sempre, perché so di avere intorno amici carissimi.
Il momento più emozionante per me è stato quando ho disegnato cosa festeggerò tra 20 anni: la realizzazione di me stessa. Questa sarebbe l’apoteosi della felicità.
Ti racconto anche un aneddoto. Qualche giorno fa sono andata per la prima volta all’Ambulatorio per la Disforia di Genere e ho aperto la mia cartella. È stato un momento molto importante per me.

L’Equilibrista: Sono orgogliosa di te.

L’Equilibrista: Conservi dei tesori?
Ovvero, c’è un messaggio, che senti forte, che ti resta di questa esperienza? Ci sono ricordi, momenti o strumenti che ogni tanto ti tornano in mente? Ci sono, insomma, dei tesori che conservi al ritorno?

La Danzatrice: Mi è rimasto in mente il rito iniziale, quando ci raccontavamo la cosa più bella che ci era successa durante la settimana. Mi è sembrato fondamentale per innamorarsi della vita.
Mi porto dietro la speranza che… io tendo sempre a guardare il mio futuro in maniera disperata e invece ho in mente i disegni della Grazia, belli, di lei nella foresta, ho in mente i disegni bellissimi dell’Acrobata, delle feste fatate, ho in mente i miei disegni, anche se un po’ bruttini, di me sul palcoscenico, ho in mente tanti disegni, tante immagini. Ho in mente soprattutto l’ultima mostra, quando tutti sono venuti a vederci, tutti in silenzio davanti ai nostri disegni, si fermavano e alla fine dicevano: “Bello!” E l’impegno che ci abbiamo messo a fare quella mostra, stando attente al fatto che ci passassero le carrozzine dal sentiero che avevamo tracciato. Quello che porto a casa è la speranza che questo futuro possa esistere.

L’Equilibrista: Quell’impegno si chiama cura, ci abbiamo messo tantissima cura e l’abbiamo regalata agli altri. Questo tipo di cura che si sente e si propaga, voglio chiamarlo amore.

La Giornalista: Alcune volte, anzi, la maggior parte delle volte, quando si prova paura, non dobbiamo spaventarci, sì, spaventarsi è normale, ma bisogna cercare di affrontarla in qualche modo la paura e prendere coraggio perché, come ho detto prima: “La paura precede un atto di coraggio” e viverlo quel coraggio, anche se breve, viverlo, perché ogni pezzettino di coraggio ci dà la forza per diventare più forti, per conoscerci, per avere consapevolezza di noi, per fare tanto.
Una cosa che mi torna in mente spesso è la presentazione, quando ci indicavi un numero e noi, in base al numero, dovevamo cantare o dire il nostro nome o dire da dove veniamo…è stata una presentazione che non mi ha messo ansia, anzi, mi ha dato voglia di rispondere alle domande, perché come hai detto te: ”Abbiamo spesso paura di presentarci a persone che non conosciamo” e io questa paura la provo sempre. Presentarsi in quel modo mi è stato di grande aiuto ed è stato proprio bello.

L’Acrobata: Io ho realizzato quella che può sembrare una banalità, cioè il fatto che si può sempre crescere e cambiare. A ogni età, in ogni momento della vita, si può iniziare altro, si possono costruire altre vie.

La Maga: Il mio tesoro è stata l’opportunità di stare con gli altri.

La Grazia: Il mio è la speranza. Con te ho imparato a dire a me stessa che ce la posso fare.
Un ricordo in particolare che mi preme in mente è la presentazione del mio ultimo disegno, in cui ero spaccata in due, seduta su una crepa che mi sorreggeva. Ogni tanto lo guardo, riguardo il libro, riguardo quel disegno.
Conservo, al ritorno, la speranza di sentirmi bene insieme agli altri, di condividere qualcosa di mio per fare un progetto comune. E conservo la costanza, c’è voluta costanza per costruire il libro, ci vuole costanza nella vita in generale, per essere chi si vuole essere, per fare il lavoro che si vuol fare, per studiare e anche nel rapporto con i propri familiari. Ci vuole costanza per costruire qualunque cosa.

La Stella: Sì, ma senza esagerare. È mettere un pezzettino al giorno che ci porta a raggiungere dei risultati, che ci porta a uno stare meglio che non crolla.

L’Equilibrista: Già, e io mi sento di aggiungere che voi, in questo progetto, avete fatto una di quelle faticate che genera soddisfazione.

L’Equilibrista: A chi auguri di lasciare la riva e mettere i piedi in mare?
O anche, a chi consiglieresti di vivere questa esperienza?

La Danzatrice: A mio fratello, che ha 20 anni, perché lo vedo perso in mare aperto. Gli auguro di ritrovare la riva e gli auguro di rimettere i piedi in mare dalla riva.

La Giornalista: Auguro quest’esperienza a una persona molto cara che ho conosciuto da pochissimo tempo ma che è diventata parte fondamentale della mia vita. In questo momento si trova nel bel mezzo del mare, dispersa, senza via di uscita, senza nessuna ancora di salvezza, senza nessuna zattera a cui aggrapparsi, si trova insomma vuota, persa. Le auguro il meglio di questo mondo, divento forte per lei. Le stesse cose che dico a me stessa le dico a lei: “Non abbatterti mai”. Le auguro di ritrovare una riva, anche la riva più brutta che c’è al mondo ma, almeno una riva, e di raggiungerla con l’aiuto degli esperti e di tutti, perché non è da sola come pensa. Una volta raggiunta la riva, le auguro di costruire qualcosa per sentirsi più sicura e poi mettere i piedi in mare, non per andare al largo, ma solo per sentire le onde che le solleticano le gambe.

La Maga: Io lo auguro a chi sta passando un periodo buio.

La Grazia: Auguro di mettere i piedi in mare a mia madre, perché in questo periodo mi sembra molto persa, senza una meta, molto triste, disinteressata, poco vogliosa di giocare, di godersi la vita e le consiglio di entrare in mare perché il mare è la nostra casa prima della nostra nascita e dopo la nostra morte. Siamo nati come piccoli batteri nel mare e ci siamo poi evoluti in animali terrestri. Spero che un giorno, mia madre, possa godersi questo mare.

Dopo aver ribaltato più volte le rive e i mari, le ragazze erano stanche e hanno scelto di salire in camera. Siamo rimaste la Stella e io.
Riporto qui la nostra conversazione, articolata attorno alle stesse domande.

La Stella: Sono partita da una riva sabbiosa, di quelle che si sgretolano: “Chissà come farò a dare supporto a questa persona, quando io stessa sono all’inizio del mio lavoro qui, conosco poco le ragazze e non le ho mai viste coinvolte in un’attività così particolare, con un obiettivo così alto che è pensarsi tra 20 anni”.
Sì, perché anche il tema mi creava un po’ di perplessità. Alcune di loro fanno fatica a immaginarsi il giorno dopo, se ci saranno o non ci saranno e come staranno, e proiettarsi addirittura in un’immagine di sé tra 20 anni mi sembrava come sporgersi da un burrone, molto rischioso e spaventoso per loro.

L’Equilibrista: Sai anche quanto fossi terrorizzata io all’inizio di dire parole sbagliate. Non era la prima volta che lavoravo in contesti di fragilità, ma queste, in qualche modo, le capivo e sentivo il rischio di caderci dentro e così, di non essere più utile a nessuna.

La Stella: C’era anche tanta curiosità da parte mia: pensavo che potesse essere un’opportunità incontrare un’artista, non un educatore o uno psicologo, ma una figura completamente diversa che avrebbe potuto aprire scenari che noi operatori non conosciamo o non padroneggiamo bene.

L’Equilibrista: E il tuo aiuto è stato preziosissimo per cercare le “corrette posizioni” in quegli scenari.

La Stella: La parte più emozionante e intensa per me è stata vedere che, nonostante i momenti difficili, nonostante le fatiche che si portavano dietro, le ragazze hanno scelto di partecipare, chi più, chi meno, ma alla fine lo hanno scelto.
Potevano ritirarsi, non farcela, trovare una scusa e invece no.
La mia sorpresa e la mia gioia sono state il vederle riuscire a vivere uno spazio di espressione libera, una nicchia di cura, di sperimentazione, un momento dedicato solo a loro. Vederle che riuscivano ad apprezzare quel momento, a sfruttarlo davvero per esprimersi su argomenti così delicati con uno sguardo tanto leggero e, allo stesso tempo, profondo.
Questo è stato il momento più emozionante ma anche il più difficile, perché affidarsi a qualcuno di nuovo per loro è sempre una sfida, così come il confrontarsi tra loro è sempre una sfida.
Invece, tutte le paure, le parti più difficili, ma anche quelle più gioiose che a volte non si permettono di concedersi, sono emerse in maniera libera. Quando l’Acrobata ha ballato insieme alle altre mi è sembrato davvero un momento di libertà presa e assaporata.

L’Equilibrista: Potentissima.

La Stella: Questa, per me, è stata un’esperienza proprio nuova. Lavorare con un’artista è stato nuovo, inaspettato e stimolante. Vedere qualcuno che non conosce i servizi della salute mentale dall’interno e nonostante ciò ci si immerge, è stata fonte di molto apprendimento. Ho portato a casa il tuo entusiasmo, la tua forte emozione e la tua freschezza nel relazionarti con le ragazze. Questo l’ho trovato molto prezioso. Per me.

L’Equilibrista: E io l’impegno costante con cui ti dedichi a loro. Il tuo accompagnarle e spronarle nelle scelte e anche il tuo incoraggiarle, l’insistere e il saperle lasciare andare.

La Stella: Pensando alla comunità, è stato efficace avere un luogo, un’opportunità, un progetto dedicato, così curato. Il messaggio che secondo me è più arrivato loro è la cura nella preparazione di ogni incontro e cura significa anche la flessibilità che sei riuscita a dedicare loro. Sei riuscita a portarle a realizzare un progetto senza tirare una linea dritta, ma assecondando le loro curve.

L’Equilibrista: E questo è stato un grande insegnamento anche per me. L’errore più grande che noi artiste possiamo fare lavorando con gli altri è quello di voler realizzare la nostra visione a tutti i costi. Nel mezzo, tra la visione e noi, ci sono le persone, che non devono diventare delle operaie. Così facendo le usiamo.

La Stella: O le perdiamo.

L’Equilibrista: In questo caso, invece, ognuna col suo pezzettino, anche se piccolissimo, abbiamo costruito e retto il gruppo.

La Stella: Sì, a volte mi è sembrato anche solo uno stimolo per il giorno: “Ok oggi provi a darti questo spazio, poi non emerge nulla? Fa niente, intanto ci hai provato.” Per la Maga è stato un grosso stimolo. Una volta è successo che per motivi organizzativi, un incontro rischiasse di saltare. La Maga, che faceva fatica in quel periodo a partecipare attivamente, quando l’ha saputo ha detto: “Vi prego, fatemi andare, perché questa è l’unica attività a cui tengo” e per lei, il dire che ci tiene a fare una cosa e il lottare per farla, è una spinta vitale eccezionale.

L’Equilibrista: Piccole enormi vittorie.

La Stella: Auguro questa esperienza a tutti i servizi, soprattutto a quelli residenziali e di salute mentale dove i desideri rischiano di essere inespressi, anche nei pazienti più giovani. Uno dei più grossi errori, in questo lavoro, è considerarli talmente fragili da non avere energie per desiderare, per immaginarsi il futuro.

L’Equilibrista: Mi torna in mente un convegno in cui Eugenio Tibaldi, rispetto a questo, disse che etichettare una persona come malata può farla sentire irrimediabilmente malata… e che quell’etichetta può essere tanto grande da coprirne complessità e possibilità.
Il mio lavoro ha provato a toccare esattamente questo, non l’etichetta-malattia, ma la persona.
Ti confesso che spesso mi sono chiesta se i servizi di salute mentale non segreghino e amplifichino quella sensazione di malattia. Probabilmente, non ho le competenze per trovare una risposta.

La Stella: Auguro questa esperienza a ogni servizio di cura, perché è stato uno strumento importante di cura. Da noi ricevono tanti tipi di cure, quella farmacologica, quella medica, quella riabilitativa… questa, a me, è sembrata una cura dei loro desideri, delle loro istanze di libertà. Nel quotidiano, il ruolo di noi operatori è quello di far rispettare le regole, di riuscire a contenere dei comportamenti che rischiano di diventare anche molto pericolosi, e questo può farci dimenticare di preservare quelle istanze che, però, devono emergere, devono avere uno spazio in cui prendersene cura. Tu, con questo progetto, sei riuscita a farlo e secondo me è un obiettivo molto alto.

L’Equilibrista: Pensandoci, in realtà questo è un lavoro sul presente che ha come scusa l’immaginarsi tra 20 anni, ma l’obiettivo ambizioso è proprio quello di provare a riattivare quell’appetito di vita che ci fa scendere dal letto ogni mattina.

Questa esperienza è stata possibile grazie al coraggio di sperimentare di Natur& Onlus – nell’ambito del progetto “Ogni luogo un incontro” realizzato con il sostegno del Fondo Contrasto Nuove Povertà e Fondazione della Comunità di Monza e Brianza- e della Recovery for Life di Limbiate.

Con il desiderio che questa cura discreta sia utile anche ad altr_. 

Note

[1] Questo racconto è filtrato dall’esperienza personale dell’autrice che può amplificare o rimpicciolire spazi, tempi e vissuti e che mai ha la pretesa di fare un’analisi oggettiva e neutrale.
[2] Ne custodisco il nome.
[3] Custodisco anche i veri nomi della Grazia, della Giornalista, della Maga, dell’Acrobata e della Danzatrice.
[4] Custodisco anche il suo nome.
[5] Custodiscono il mio nome.

Bibliografia

Alcuni dei libri che sono entrati nella stanza
Arendt H., Disobbedienza civile, Chiarelettere Editore, Milano, 2018.
Benasayag M., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004.
Berardi F. Bifo, Dopo il futuro, Dal Futurismo al Cyberpunk. L’esaurimento della Modernità, DeriveApprodi, Roma, 2013.
Geda F., Nel mare ci sono i coccodrilli, Dalai Editore, Milano, 2011.
Glissant E., Il pensiero del tremore, Motta Cultura, Milano, 2018.
hooks b., Tutto sull’amore, Il saggiatore, Milano, 2022.
Lee L., Addio mia concubina, Sperling & Kupfer, Milano, 1993.
Pietropolli Charmet G., Cosa farò da grande? Il futuro come lo vedono i nostri figli, Editori Laterza, Bari, 2013.
Tibaldi E., La pratica quotidiana della speranza, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni (MI), 2020.

Cristina Pancini (1977), esploratrice, artista, prof. e, in questa storia, equilibrista, si muove tra molteplici sperimentazioni e altrettante soluzioni tecniche e si orienta grazie a preziose collaborazioni. Punto di partenza, l’osservazione della quotidianità, fonte vitale di domande, forme, significati e urgenze. Luoghi prediletti, le frontiere. Grazie all’incontro con le ragazze di Finisterre sta trovando il coraggio per tentare una piccolissima rivoluzione insieme a un numero molto alto di adolescenti, al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, al Museo del Tessuto e al Palazzo Pretorio di Prato.
www.cristinapancini.net