§Adolescenze
FUORI!
Pratiche performative nello spazio della città
di Silvia Bottiroli, Luca Gadler e Stefano Laffi

Adolescenti e spazio pubblico

Il senso comune e le politiche pubbliche hanno spesso degli adolescenti l’immagine di una popolazione trasgressiva, con comportamenti a rischio, che si muove in gruppi se non in vere e proprie bande, con incursioni qua e là, facile a incurie o a vandalismi nello spazio pubblico. Questa fotografia è nei fatti non vera, o sempre meno vera: la cronaca restituisce episodi che coincidono con questa immagine, ma nella stragrande maggioranza dei casi gli adolescenti sono stanziali e non nomadi, amano stare da soli nelle proprie stanze e insieme in pochi luoghi pubblici, in genere sempre quelli, non esplorano affatto la città ma piuttosto solcano gli stessi percorsi, sono dentro – le case, le scuole, i mezzi pubblici, le palestre – e molto poco fuori, e se stanno fuori di solito prediligono posti isolati, dove possono fumare e chiacchierare lontano dagli sguardi degli adulti.

FUORI! Nightwalks with teenagers - Alessandro Morana

Come dar loro torto? Quel ‘fuori’ non prevede l’adolescenza, come non prevede l’infanzia: a dispetto della convenzione di New York sui loro diritti che obbliga i governi a coinvolgerli in ogni situazione che li riguardi – come l’uso degli spazi pubblici e i loro regolamenti – è rarissimo che il ‘fuori’ sia stato progettato e normato insieme a loro. In genere è uno spazio ipercodificato, prescrittivo, immodificabile, che parla loro attraverso cartelli pieni di divieti. Se lo spazio ideale per adolescenti, come sanno bene le figure educative che gestiscono i centri giovani, è uno spazio non saturo, poco codificato, modulare, dove sia possibile stanziare solitari su un divano o chiacchierare in gruppo, usare un tavolo per mangiare, disegnare o giocare a ping pong, fare di una parete la superficie per appendere foto o proiettare serie tv, avere il wifi e la macchinetta del caffè, ecco, è difficile che le città lascino che lo spazio pubblico somigli a tutto questo. Non a caso le zone urbane pubbliche più amate in adolescenza sono spesso quelle in cui non c’è la mano dell’uomo, ovvero giardini e parchetti: qui si allenta il potere degli adulti e la natura restituisce quell’idea di spazio non prescrittivo, liberamente interpretabile e plasmabile da ragazze e ragazzi.

FUORI! Futura - Margherita Caprilli

Il Piano Adolescenza del Comune di Bologna

FUORI!, progetto di Emilia Romagna Teatro / Teatro Nazionale, nasce da un invito del Comune di Bologna, e il quadro istituzionale e politico in cui il progetto ha preso avvio non è certamente estraneo né ai suoi obiettivi, né alle forme e ai modi in cui è stato possibile provare a realizzarli. Dal 2022 il Comune di Bologna dispone di un Piano specificatamente rivolto agli adolescenti, ovvero di un documento politico e amministrativo in cui si dà conto di tutti i servizi esistenti e di tutti i progetti in essere rivolti a questa fascia di popolazione. È un caso abbastanza eccezionale fra le amministrazioni locali e nel campo delle politiche pubbliche, perché l’infanzia è l’area elettiva dell’investimento pubblico, con una particolare tradizione di eccellenza proprio in Emilia Romagna – terra dei primi asili nido d’Italia e via via centro di ricerca unico al mondo per le pratiche educative – mentre all’adolescenza le città hanno pensato per lo più riservando servizi sportivi, e in misura minore e decrescente centri giovani ed educativa di strada.

Il documento attesta invece un universo molto diversificato di attività rivolte all’adolescenza, e si apre con alcune indicazioni strategiche dentro le quali anche il progetto FUORI! si colloca perfettamente. Tali indicazioni nascono da una lettura dei dati di realtà più recenti, ovvero dal quadro di conoscenza sulla condizione dell’adolescenza dopo l’esperienza della pandemia, e traducono quei dati in sfide per le attività a venire. Cinque delle sette sfide lì enunciate trovano nel progetto una risposta puntuale: proporre esperienze fisiche, in cui il corpo sia protagonista, perché la cattività domestica imposta dal lockdown e dalla scomparsa anche nei mesi seguenti di attività pomeridiane ha alterato in modo dannoso la quotidianità di ragazzi e ragazze; restituire loro lo spazio pubblico, da cui sono stati esiliati, che deve tornare ad essere per loro attrattivo, interessante; lavorare contro i processi di disuguaglianza, perché il ritiro domestico rimanda alla condizione di origine mentre è nello spazio pubblico, nella scuola e nell’extra-scuola che le differenze si riducono; coltivare relazioni positive e solidali, in gruppo, perché l’isolamento del periodo pandemico ha danneggiato molto una stagione di vita che si nutre soprattutto di amicizie; offrire esperienze significative, di scoperte e di sviluppo di abilità, cioè ‘prove di realtà’ fuori dalla zona di comfort, perché la digitalizzazione di tutto il loro quotidiano – la scuola, il cinema, la visita al museo, lo scoutismo, ecc. – ha appiattito le differenze e bruciato la ‘voglia di fare cose’ percepite ormai come indistinte.

La presenza di un piano di politiche culturali orientato a rafforzare il legame tra pratiche artistiche e culturali e impatti sociali rappresenta tanto un punto di forza quanto una possibile criticità per i progetti artistici. Le pratiche che afferiscono alla cosiddetta “arte partecipativa” in particolare hanno caratterizzato la svolta nel sociale (social turn) dell’arte contemporanea, accompagnandosi a un “ripensamento utopico della relazione tra l’arte, il campo sociale e il suo potenziale politico” (Bishop, 2015). Questa relazione è evidentemente percorsa da tensioni, attrazioni e conflitti e diventa particolarmente densa di contraddizioni quando progetti artistici sono inscritti all’interno di istituzioni e politiche pubbliche: il rischio della strumentalizzazione diventa qui altissimo, poiché tali progetti possono essere utilizzati come mezzo per nascondere o minimizzare disuguaglianze strutturali anziché affrontarle intervenendo sulle cause sottostanti, enfatizzando la responsabilità individuale rispetto alle responsabilità delle politiche neoliberali che hanno contribuito ai problemi sociali, che attraverso l’arte si intende ora provare ad alleviare, se non a risolvere. 

In questa contraddizione si è posto FUORI!, sin dalla sua ideazione e dai modi in cui il progetto ha preso forma, in un dialogo stretto con l’istituzione pubblica che lo ha attivato e promosso così come con l’istituzione artistica che lo ha prodotto, tentando di farsi occasione di un momento di sperimentazione artistica e sociale da un lato, e di riflessione, sospensione e analisi critica dall’altro. Un’occasione, in altri termini, di definizione di strumenti e metodologie che potessero essere trasmessi ad altri contesti, e insieme di investimento in pratiche collaborative che potessero, al loro interno, contenere elementi di consapevolezza critica rispetto ai rischi e agli orizzonti di fallimento di tali pratiche nel contesto contemporaneo.

Il tema centrale, per un progetto che fa della partecipazione un caposaldo, era evidentemente: come si coinvolgono le e gli adolescenti?

È stato fondamentale per FUORI! differenziare le modalità di ingaggio. Da un lato è stata valorizzata la forza della relazione esistente fra l’Arena del Sole, il teatro di ERT e gli istituti scolastici della città, per portare alcune delle proposte ad un’ampia platea di giovani grazie alla fondamentale mediazione curata dalle docenti e dall’Ufficio Scuola del teatro. In questi casi, studenti e studentesse si trovano a partecipare in classe, a scuola, a qualcosa che qualcun altro ha scelto per loro: al valore dell’incontro con l’inaspettato, si associa il rischio della passività per mancato interesse a quanto proposto. Di certo si ha una quasi assoluta garanzia di riuscita nell’obiettivo di realizzare il progetto: i giovani partecipanti sono già lì, non possono non esserci.

FUORI! Attrito - Laboratorio in classe - Margherita Caprilli

Nelle intenzioni iniziali, la presenza all’interno delle scuole avrebbe dovuto favorire l’iscrizione volontaria di alcuni partecipanti alle attività proposte in orario extrascolastico. Nei fatti, il meccanismo ha funzionato raramente. I piccoli ostacoli che scoraggiano la partecipazione sono dietro l’angolo: le attività proposte non hanno mai preso la calendarizzazione regolare e rassicurante della cadenza settimanale sul lungo periodo, spesso si sono sovrapposte a momenti scolastici intensi di fine quadrimestre o addirittura fine anno scolastico, quasi sempre han fatto i conti con agende ricche di impegni già prefissati e costanti.

Le proposte di FUORI! all’esterno delle scuole sono state a tutti gli effetti delle proposte eccezionali, per le quali è stato necessario escogitare di volta in volta diverse strategie per provare ad assecondare, seguire e co-costruire il senso dei progetti proposti alla città. È così che per il lavoro Uccelli di Marco Martinelli si è deciso di coinvolgere giovani del rione Pilastro, da far incontrare con il cast campano dello spettacolo realizzato in origine a Pompei, che per la prima delle tre Nightwalks with teenagers si è deciso di lavorare a Bologna in zona Pescarola, e precisamente nello stesso centro sportivo abitato quotidianamente dal gruppo di giovani che ha poi partecipato allo spettacolo, e che per Body of Knowledge di Samara Hersch si è puntato su una proposta più mirata sui singoli, seppur in maniera trasversale sulla città.

Nightwalks with Teenagers – Pescarola Giugno 2022 – LeleMarcojanni

Preliminarmente all’ingaggio, è stata fondamentale in partenza l’individuazione delle alleanze sul territorio: persone e realtà che lo conoscono e lo abitano quotidianamente sono un supporto fondamentale per ridurre l’effetto “astronave” di un progetto che si consuma in un breve lasso di tempo. Docenti, operatori culturali e sociali, allenatori, baristi, educatori, bibliotecari hanno rappresentato per FUORI! relazioni fondamentali, grazie alle quali è stato possibile coinvolgere anche ragazze e ragazzi non abituati a considerare tra le proprie possibilità quella di partecipare ad attività culturali e performative.

Durante le attività, la cura del rapporto tra artiste, artisti, staff organizzativo e partecipanti ha permesso di intercettare gli umori, prevedere gli abbandoni, adeguare per quanto possibile le proposte, all’interno di una relazione dialettica fondata su un ascolto e una sincerità generativi di dinamiche artistiche e relazionali. La creazione di un luogo percepito come sicuro ed etico da parte delle e dei partecipanti è stata una chiave fondamentale per la credibilità percepita e la fiducia riposta dalle e dagli adolescenti nei confronti del progetto.

 

L’idea di un glossario

La definizione di strumenti metodologici è stato un obiettivo centrale, proprio perché si sa che i progetti hanno – rispetto ai servizi – il difetto dell’estemporaneità e che un’arte performativa come il teatro lascia sempre ‘orfani’, dopo l’adrenalina e l’emozione dello spettacolo vissuto da protagonisti. È possibile lasciare traccia, radicare qualcosa di quanto fatto nel corso di un anno? Una delle soluzioni possibili è quella di innescare riflessioni, costruire competenze, creare nuove relazioni, per questo è stato creato ‘Glossario’, uno dei tasselli del progetto: un ciclo di incontri pubblici, a beneficio di insegnanti e di chiunque si occupi di adolescenti, costruiti come dialoghi attorno ad alcune parole chiave, fra esperti e artisti appartenenti a mondi disciplinari differenti. Dialoghi ispiratori, molto liberi, più che lezioni, sulla suggestione di parole come ‘voce’, ‘corpo’, ‘spazio’, ‘sentimenti’, per condividere modi e approcci del proprio lavoro a contatto con adolescenti, nella consapevolezza di essere tutti sperimentatori e sperimentatrici, in ricerca, esposti alla sfida di codici, linguaggi e sensibilità in continuo movimento.

Ad ogni dialogo seguiva un momento, non residuale, di domande e riflessioni, del pubblico presente: proprio dalla dinamica osservata in questo spazio, che in più incontri ha innescato scambi fra le persone presenti, spesso insegnanti, cioè non solo quesiti rivolti a relatrici e relatori, è nata l’idea di un ultimo appuntamento, inizialmente non previsto. In sostanza, sono state convocate nello stile delle comunità di pratiche figure esperte di mediazione artistica – dall’educazione museale alla promozione alla lettura, dal teatro per ragazzi alla cura di festival, ecc. – delle principali istituzionali culturali del territorio, per ‘condividere appunti’ sui metodi seguiti nell’approccio del proprio lavoro con gli adolescenti.

Cosa riportano questi ‘appunti’? Proviamo a darne conto, nello spirito – molto bello – dell’incontro, quello di uno scambio di esperienze, e di suggerimenti conseguenti: rompere lo schema della visita scolastica al luogo della cultura, ma andare piuttosto incontro a loro, nei loro luoghi, oppure accoglierli nella propria sede, ma facendoli sentire a casa, con rituali che allontanino il fantasma della sacralità; rompere lo schema della lezione, ovvero fare domande per conoscerli meglio prima di dare spiegazioni su quel che la propria organizzazione fa di mestiere; rompere lo schema della fruizione integrale dell’opera o della mostra, approfondendo una pagina, un quadro, un frammento; costruire un ponte fra ciò che si offre e chi si ha di fronte, per non stare né troppo distanti da loro, rischiando di generare estraneità e frustrazione, né troppo vicini così da essere appiattiti su ciò che già conoscono; prestare attenzione al gruppo, alle dinamiche e al clima, sapendo che nella loro prospettiva la cultura è spesso occasione di relazione più che oggetto di interesse da consumare in solitudine…

FUORI! Glossario - Margherita Caprilli

L’idea di facilitare una “comunità di pratiche” ha informato anche il meccanismo centrale della dinamica creativa attivata da FUORI!: la messa in relazione di compagnie e artiste della scena performativa internazionale con artisti e artiste indipendenti di base a Bologna. L’intento era evidentemente quello di generare un sistema di scambio e produzione di conoscenze, un’opportunità di confronto tra pari e di reciproco arricchimento, un’occasione per artiste e artisti che condividono la stessa città di incontrarsi tra di loro e iniziare a stabilire relazioni basate su affinità e complementarietà, e insieme di ricevere e rimettere il circolo all’interno di una comunità locale, pratiche, saperi, attitudini, inquietudini e modi di lavoro sviluppatesi in altre parti del mondo, in risposta a diverse esigenze e urgenze.  

 

Il bilancio dell’esperienza nella prospettiva dei partecipanti

La valutazione è stata un aspetto importante nel disegno progettuale di FUORI!: un’attività di ricerca ha raccolto a fine percorso il punto di vista dei diversi portatori di interesse, in particolare di ragazze e ragazzi che hanno partecipato ai laboratori e alla realizzazione degli spettacoli. Non si tratta di un’attività abituale nella pratica teatrale: la scommessa “pedagogica” del progetto richiedeva una verifica puntuale dei risultati, per cui non si è proceduto solo alla rilevazione di gradimento – comunque risultato molto elevato – ma anche all’analisi dei vari esiti dell’esperienza.

Il primo dato che emerge è l’aspetto relazionale: per chi ha fatto il laboratorio in classe la vera scoperta non è il teatro – anche se quasi la metà non va mai a teatro pochissimi indicano quello o l’incontro con attori un’eredità significativa del progetto – ma sono i compagni di classe. Il laboratorio sblocca le relazioni, compatta il gruppo, rivela tratti sconosciuti dei compagni di classe, consente di mostrarsi come non si è di solito, mette voglia di sperimentare altro, insieme. La scoperta o riscoperta dei propri e delle proprie compagne è un bel risultato, dopo le privazioni della pandemia, ma questo dice anche quanto sono limitate o condizionate le relazioni in classe, quanta strada debba ancora fare la scuola per valorizzare la ricchezza relazionale della sua popolazione. 

Il secondo elemento significativo è l’apprezzamento per l’esperienza in sè. Un laboratorio teatrale è un luogo di libertà, discussione, creazione, senza giudizio, con margini di manovra molto ampi, non sorprende che il 60% voglia rifarlo. Anche in questo caso è naturale pensare alla lezione scolastica tradizionale, alla possibilità – spesso già praticata – di prendere dallo stile di lavoro del laboratorio teatrale alcuni elementi, per esempio legati alla lettura ad alta voce, alla libertà di parola e di temi proposti, all’interazione fra le persone, all’uso del corpo, ecc. per innovare lo schema della spiegazione frontale del docente. 

A proposito dei temi trattati, chi ha partecipato agli spettacoli ha apprezzato la possibilità di parlare di vissuti personali e di questioni delicate come le violenze di genere o la propria sessualità: poiché non c’è una disciplina dedicata a questo è difficile che a scuola si affronti, poi si sa che l’attualità fatica a diventare tema di confronto in classe e trattare tematiche che possono avere vissuti dolorosi richiede oggettivamente cautele e sensibilità adeguate. Ma le persone intervistate dicono che in generale, anche fuori dalla scuola, con gli adulti è raro parlarne, quindi il primo risultato raggiunto è quello di aver allargato lo spettro del dialogo fra le generazioni, includendo questioni che in alcuni casi – per esempio la sessualità – ragazze e ragazzi sentono come centrali nella loro vita attuale. La formula ‘dialogo fra le generazioni’ non è un modo di dire: uno degli spettacoli del programma di FUORI!, Body of knowledge, mette in scena conversazioni telefoniche anonime fra gli spettatori adulti e giovani ragazze a casa propria, le questioni affrontate e da loro scelte sono proprio quelle che le ragazze stesse dicono mancare nel confronto quotidiano con gli adulti. 

È risultato invece poco rilevante la possibilità di decidere liberamente temi, parole, modi, forse perché non sempre agita allo stesso modo. Qui però pesa una delle questioni centrali del progetto e della condizione giovanile attuale: la parola ‘autonomia’ non è una di quelle che le nuove generazioni usano per formulare richieste e rivendicazioni, forse perché sentono già di poterne godere, almeno nei contesti familiari o in merito al proprio stile di vita. Più che una ‘libertà da’ appare più forte una richiesta di “libertà di”, ovvero la possibilità di scegliere, non tanto di affrancarsi da un’autorità percepita come oppressiva. Quindi accettano volentieri figure di guida, di facilitazione, di sostegno, se queste mostrano cura e rispetto, garantendo il perseguimento del risultato, aiutando a mediare fra opinioni diverse, perché la presa di decisioni del gruppo in adolescenza è complessa e può risultare frustrante se non c’è un soggetto deputato a dirimere le questioni. 

Il momento della valutazione ha costituito inoltre, insieme ad alcuni incontri pubblici programmati durante il festival finale di FUORI!, un contesto di confronto tra le ragazze e i ragazzi rispetto alle qualità dell’esperienza che le pratiche e i progetti artistici avevano proposto loro, e alle scoperte che questa aveva generato. Questo aspetto è stato importante in particolare in progetti artistici che, durante il loro svolgimento, hanno previsto forme molto diverse, e in certa misura più ridotte, di scambio tra le e i partecipanti, quale Body of Knowledge, performance ideata dalla regista australiana Samara Hersch nel 2019 e realizzata a Bologna con la collaborazione dell’attore Nico Guerzoni e delle attrici e autrici Donatella Allegro e Giulia Quadrelli. La performance consiste in una serie di conversazioni telefoniche intrecciate, che avvengono tra le spettatrici e gli spettatori, riuniti in uno stesso luogo all’interno di un dispositivo scenico pensato appositamente, e ragazze e ragazzi adolescenti che iniziano le telefonate, dalle loro case, per porre alle persone adulte delle domande o chiedere dei consigli rispetto a vissuti legati al corpo e alle sue trasformazioni, all’affettività e alla sessualità. La performance si sviluppa in una complessa tessitura drammaturgica: il contenuto delle conversazioni è determinato dalle domande delle ragazze e dei ragazzi, messe a punto attraverso una serie di workshop guidati dalle artiste, e in parte naturalmente dalle risposte delle spettatrici e degli spettatori: come ogni conversazione, anche queste telefonate si sviluppano in un passo a due, mentre l’intimità del dialogo viene gradualmente aperta a interlocutori terzi, finché nel finale le ragazze e i ragazzi offrono alle loro controparti adulte un momento conclusivo, di piccola raccolta e riflessione su quanto emerso nelle conversazioni, per poi lasciare noi adulti lì, in uno spazio preparato per invitarci a scambi informali, in mezzo a segni che rimandano alle pratiche condivise dell’adolescenza (i pop corn, le pizze fatte arrivare a casa per dividerle tra amici…) e in un’atmosfera creata dall’intimità e della profondità di scambi che inevitabilmente attraversano nodi cruciali dell’esperienza umana, attraverso le età e le generazioni. Nel processo di creazione della performance, la dimensione del gruppo e del confronto tra pari è certamente presente, ma l’accento è posto piuttosto, come la singolarità della parola corpo nel titolo suggerisce, sull’unicità di ciascuna esperienza, di ciascun dilemma, di ciascun dialogo. L’abitare lo spazio tra individualità e collettività come uno spazio generativo, oltre l’opposizione binaria in cui la relazione tra questi due termini è più spesso intesa, rappresenta uno degli aspetti caratterizzanti di Body of Knowledge e la possibilità di porsi e di dirsi come individuo in relazione con altre e altri, al di fuori di dinamiche di gruppo consolidate, porta l’accento nel processo artistico su di un’etica del divenire, un processo di soggettivazione aperto e costante in cui i soggetti non sono intesi come identità strutturate ma come entità alle prese con un processo di trasformazione che continuamente le rende soggetti diversi le une rispetto alle altre (Grosz 2002). 

Body of Knowledge | Samara Hersch – LeleMarcojanni

Sul confronto costante e sulla valutazione in itinere del percorso si è fondato infine FUTURA, progetto che ha portato una ventina di adolescenti, studenti in due diversi istituti della città (Liceo Artistico Arcangeli, Istituto Aldrovandi Rubbiani) a commissionare all’artista F. De Isabella la realizzazione di un’opera d’arte pubblica. Ispirato al progetto francese Nouveaux Commandataires, FUTURA ha insistito sulla possibilità di una presa di parola e di un intervento nello spazio pubblico, da parte di cittadine e cittadini adolescenti, attraverso un lavoro collettivo che intrecciasse esperienze della città, bisogni e desideri, e quindi il rilancio delle questioni emerse (in questo caso potere, complicità e piacere) a un(a) artista, che ne facesse punto di partenza per l’elaborazione, in dialogo con la committenza, di un’opera da regalare alla città. Qui la dimensione performativa del progetto non è intesa tanto in rapporto all’arte della performance quanto alla questione della performatività (Austin, 1962 e Butler, 1988) e solleva una domanda che resta aperta: quella del fare dei progetti artistici partecipativi, e degli echi di lunga durata che possono generare.

FUORI! Nightwalks with teenagers Bologna - Margherita Caprilli

Bibliografia

Arendt H., Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano, 2009 (edizione originale 1958).
Austin J.L., Come fare cose con le parole, Marietti, Torino, 2019 (edizione originale 1962).
Bishop C., Inferni artificiali. La politica della spettatorialità nell’arte partecipativa, Luca Sossella Editore, Roma, 2015 (edizione originale 2012).
Butler J., Atti performativi e costituzione di genere: saggio di fenomenologia e teoria femminista, in Arfini, E.A.G. e Lo Iacono C. (a cura di), Canone inverso. Antologia di teoria queer, Edizioni ETS, Pisa, 2012 (edizione originale 1988).
De Certeau M., L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2005 (edizione originale 1990).
Grosz E., Feminist Futures?, in “Tulsa Studies in Women’s Literature” , Spring, 2002, Vol. 21, No. 1, pp. 13-20.

FUORI! è un progetto di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, curato da Silvia Bottiroli, promosso dal Comune di Bologna e finanziato dall’Unione europea – Fondo Sociale Europeo nell’ambito del Programma Operativo Città Metropolitane 2014-2020 e della risposta dell’Unione alla pandemia di COVID-19.

Silvia Bottiroli, curatrice, drammaturga e ricercatrice nel campo delle arti performative, è stata direttrice artistica di DAS Theatre ad Amsterdam (2018-2021) e del Festival di Santarcangelo (2012-2016). Dal 2011 insegna Metodo, Critica e Ricerca delle Discipline Artistiche/Teatro all’Università Bocconi di Milano. Ha curato diversi progetti artistici, discorsivi e educativi, collaborando tra gli altri con West Kowloon Cultural District a Hong Kong, Homo Novus Festival a Riga, KunstenFestivalDesArts a Bruxelles e Vooruit a Gand. Per Emilia Romagna Teatro/Teatro Nazionale ha ideato e curato il progetto FUORI!.

Luca Gadler, operatore e organizzatore teatrale, ha collaborato con il Teatro dell’Argine, Pergine Festival e Centrale Fies. Nel 2019 completa il corso di alta formazione Dramaturg internazionale alla scuola di Iolanda Gazzerro, iniziando in seguito la collaborazione con Emilia Romagna Teatro in qualità di project manager e coordinando i progetti Così sarà! La città che vogliamo e FUORI!, rivolti agli adolescenti della città di Bologna.

Stefano Laffi è sociologo, ricercatore sul campo e co-fondatore della cooperativa di ricerca sociale Codici di Milano. Da anni cura progetti di partecipazione, protagonismo, presa di parola, soprattutto da parte di giovani e adolescenti. Ha pubblicato per Feltrinelli, Quodlibet, gli Asini, Franco Angeli. Ha collaborato alla realizzazione di Futura, film selezionato per la Quinzaine des Réalisateur al Festival del Cinema di Cannes 2021. Nel 2022-2023 ha svolto la supervisione scientifica del progetto FUORI! per Emilia Romagna Teatro/Teatro Nazionale.