§Adolescenze
ZETA, come gli ultimi
di Federica Loredan e Lorenzo Zuliani

Nota per la lettura: L’articolo è scritto in prima persona dalla penna di Federica Loredan,
le integrazioni in corsivo rappresentano la voce e il controcanto di
Lorenzo Zuliani aka 14498, co-autore di questo progetto.

COME COMINCIA

È una mattina di aprile e io sono andata a Torino per incontrare Lorenzo e mettere concretamente le basi per questa nuova avventura insieme. Una collega ci ha prestato una sala prove a Lingotto – per fortuna l’ambiente hip hop mi ha dato soprattutto questo: supportarsi reciprocamente e fare rete. È l’occasione per ritrovarci finalmente dal vivo in uno spazio consono, approfondire gli spunti che già ci siamo scambiati in chat, tra lunghi messaggi vocali e condivisioni di materiali e forse cominciare a imbastire qualche scelta musicale e qualche idea coreografica. 

Io e Lorenzo ci siamo conosciuti dieci anni fa. Io all’epoca ero molto coinvolta nella scena underground e nell’insegnamento della danza, lui stava iniziando la scuola superiore e voleva fare un salto di qualità nei suoi studi artistici cercando un contesto più stimolante. Così ha cominciato a frequentare i miei corsi. In qualche modo l’ho accompagnato da allora ad oggi, quindi proprio tra i suoi 15 e 25 anni (quelli che identificano attualmente la Gen Z), ma anche anni di grandi trasformazioni per tutti.  

Zeta. Foto di Giorgia Ponticello

Abbiamo continuato a sentirci quando mi sono trasferito a Torino per gli studi universitari, ma anche negli anni in cui tutti erano chiusi in casa e non si poteva più condividere quel tempo insieme in sala.
Io mi ritrovavo molto nel tuo approccio, mi sono sempre sentito in linea con la tua visione dove dietro al divertimento, alla danza, alla musica, c’era e c’è un percorso che sostiene una crescita personale e culturale.

Tra noi c’è un gap di età, ma siamo vicini rispetto allo sguardo sulla vita, cosa che ci ha portato a condividere in maniera naturale diverse avventure, tra cui quest’ultima, che per usare un’espressione di Tim Ingold è decisamente un’esperienza di co-apprendimento (Ingold, 2018).

 

IL PROGETTO

Zeta è un progetto artistico partecipativo che accende una luce sulla Generazione Zeta e si muove con obiettivi ambiziosi: dare voce ai protagonisti, stimolare in loro una maggiore consapevolezza, ma anche produrre riflessioni tra gli adulti, per ridurre stereotipi e distanza. Non per ultima l’idea di un teatro fatto dai giovani per i giovani, perché possano frequentare più spesso sia luoghi che pratiche artistiche.

È frutto di un lungo processo di studio e di confronto tra me – Federica Loredan (idea, direzione, coreografia) – e Lorenzo Zuliani (performance e testi). I linguaggi artistici in scena sono vari: rap, samples campionati, ritmi prodotti live attraverso la body music, e anche la street dance, una danza in continua evoluzione capace di incorporare mutamenti storici. «La danza infatti non è solo un’arte DEL movimento, ma IN movimento» [1]. Sono tutte arti della resistenza [2], nate come espressione delle minoranze (sociali, etniche, di classe) così efficaci da agganciare i giovani di tutto il mondo, diventando il loro canale espressivo.

Body Music significa fare musica con il corpo grazie all’uso della voce, del movimento e delle percussioni corporee; è la forma musicale più antica, usata come dispositivo terapeutico, elemento rituale, codice di comunicazione o come disciplina artistico – ricreativa, secondo le epoche e gli ambiti culturali in cui si è sviluppata.

Il progetto si completa con un’azione partecipativa in dialogo con territori e comunità: immaginiamo le residenze creative e le date di spettacolo integrate ad un laboratorio aperto a giovani da 15 a 25 anni; uno scambio poroso e multidirezionale che, a partire dalla condivisione delle nostre pratiche artistiche e ricerche, generi momenti aggreganti di impatto sociale, che offra risorse emotive e di autodeterminazione, che crei un contenitore protetto in cui esprimersi liberamente. I contributi dei partecipanti vengono così tradotti nel corpo, nel gesto e nella voce, in una mappatura viva di esperienze. La performance è un’etnografia a tutti gli effetti, tanto campo di indagine quanto traduzione di ritorno, nell’ottica di un’antropologia pubblica.

La creazione in alcune sue parti avrà perciò traccia di un’autorialità diffusa. Cerchiamo di realizzare un dispositivo artistico che si possa considerare un atto vitale di trasmissione (Taylor, 2019), un’arte viva che si genera da un incontro, che costruisce relazioni e comunità, sebbene effimere (Sansi, 2015). Un formato che offra la possibilità di “fare teatro” oltre che “andare a teatro” (Pontremoli & Rossi Ghiglione, 2019).
Il gruppo, infatti, co-costruisce i materiali così come anche l’azione scenica, perché può essere integrato alla performance diventando complementare al performer, come il contrappunto di un coro greco, un’entità frattale, prisma di identità, corpi, diversità, poiché «è nel prestarsi reciproca attenzione, mentre si procede insieme, che ogni individuo trova la sua voce condividendo l’esperienza con gli altri» (Ingold, 2018, p. 12).
Fondendo elementi individuali e corali, ogni sforzo creativo è teso a raccontare il punto di vista di una generazione nella società attuale, prendendo coscienza e comunicando i disagi di un cambiamento senza fine a cui oggi siamo più che mai sottoposti.
Quella contemporanea è la società dell’Erlebnis, non l’esperienza accumulabile, che si sedimenta lentamente con il tempo (Erfahrung), ma quella in cui i riferimenti culturali sono costantemente resi privi di significato dal continuo mutamento (Dilthey, 1954 cit. in Berzano & Genova, 2011). 

Quali sono quindi le risorse materiali-emotive-culturali a disposizione?
Come riorientarsi in continue prima volte (non solo generazionali ma epocali)?
Ha senso questa fatica continua e improduttiva?
Quali sono gli orizzonti di questo moltiplicarsi infinito di possibilità?

COME È NATA L’IDEA

Come danzatrice e musicista, prima ancora che come antropologa, nel corso degli anni ho dedicato gran parte del mio lavoro e del mio tempo a giovani e adolescenti: per formazione (per trasmettere il mio bagaglio tecnico e culturale soprattutto nell’ambito hip hop) e in seguito per progetti più sociali (con ragazzi a rischio di dispersione scolastica o in contesti di povertà educativa o con background migratorio), ma anche  in alcuni progetti multiculturali, dedicati per esempio all’ integrazione tra danza e lingua dei segni, aperti ad udenti e sordi. La distanza tra me e gli adolescenti oggi si fa sentire, i nostri codici sono sempre più differenti, eppure sento l’urgenza di comprendere le istanze di quella generazione che ha dovuto affrontare la pandemia senza strumenti emotivi sufficienti e forse più di altre ne è stata segnata. Se anche c’è sempre stato un contatto, io oggi ho l’età di un genitore più che di una sorella maggiore, e il mio sguardo nei loro confronti per quanto si sforzi di raggiungere uno strabismo epistemico [3], è indubbiamente condizionato e ogni tanto inciampa inevitabilmente negli stereotipi.

Lorenzo ha una visione emica [4], è un insider, non solo cioè conosce le dinamiche, ma le vive. Siamo partiti da qui, da quei temi legati alla Gen Z e centrali nella produzione artistica di 1 44 9 8; in particolare, in quella mattina a Torino, il punto generativo delle nostre riflessioni e della creazione è stato il mixtape Kani Sciolti, pubblicato da Zu l’anno scorso.

Il mixtape nasce negli anni ’80 come raccolta di brani senza soluzioni di continuità, mixati attraverso la tecnica del beatmatching con sovrapposizioni e dissolvenze tra una traccia e la successiva, una compilation audio solitamente su cassetta.
‘Nell’ambito hip hop il mixtape assume la connotazione di un album non ufficiale, contenente materiale inedito, prodotto dagli artisti per incrementare l’attesa di un nuovo album’

In questo caso specifico Lorenzo spiega: Non lo considero un album perché non sono solo io il protagonista, ma è un prodotto collettivo, frutto di collaborazioni con diversi produttori e featuring, in cui io sono presente ma non emergo, poiché non è un progetto personale. Le tracce potrebbero essere decontestualizzate o ascoltate in un altro ordine, e il progetto avrebbe comunque senso. L’ho chiamato mixtape perché i brani hanno tutti l’argomento comune dell’andare controcorrente.

Questo aspetto, di un’autorialità diffusa, torna anche nel nostro progetto ed è significativo perché non si tratta mai di un punto di vista autoreferenziale, ma personale, pur restando collettivo e condiviso. 

I TEMI

I testi di 1 44 9 8 parlano dell’assenza di progettualità, di consumismo, di denaro, di lavoro, di fuga di cervelli, di appiattimento culturale, di dipendenza fisica ed emotiva dai social e dalle dinamiche che questi generano. La gestualità e la danza completano il quadro raccontando di uno spaesamento tra la moltitudine di riferimenti, pressioni sociali, competitività. Se penso a me da ragazza invece la prima cosa che mi torna in mente è il corpo: sia esso fisico, politico, sociale, le convenzioni, i markers identitari. Della Gen Z in particolare mi colpiscono la multiculturalità, la fluidità e l’inclusività, sento importante portare in scena queste tematiche ma Lorenzo su questi punti è fermo: so di essere la rappresentazione del privilegio, sono maschio, etero, bianco, proveniente da una famiglia benestante. Posso permettermi di scrivere, cantare e portare in scena solo ciò che posso rappresentare con cognizione di causa, temi dove io sia credibile, ma soprattutto autorevole, rappresentativo. Concordiamo allora di restare “onesti” rispetto ai materiali scenici da lui interpretati ma anche aperti a spunti diversi che possano emergere attraverso i laboratori, giustificati dalla presenza di ragazzi che testimoniano altro. 

Nell’hip hop rappresentare significa essere attivo nella scena, abbracciare i valori di questa cultura, occuparsene in senso metaforicamente politico, fare comunità, avere una credibilità, portare il proprio messaggio attraverso quei codici, quei linguaggi, le cosiddette quattro arti: bboying (danza), writing (graffiti), MC’ing (l’arte della parola), DJ’ing (turntablism).

IL TITOLO

«Generazione Z è un nome che nasce già cadavere, tanto più che ai giovani non piace esser chiamati con un appellativo che ricorda chi è venuto prima di loro» (Twenge, 2018, p. 12). Così sentenzia uno dei testi più noti su questa tematica, Iperconnessi, alludendo al fatto che per distinguersi dalla Gen X, chi l’ha succeduta abbia preferito indicarsi come Millennial, piuttosto che Gen Y e che a maggior ragione Gen Z non sarebbe per loro accettabile. Twenge suggerisce il termine iGen, a partire dall’idea che i nati tra la fine degli anni ‘90 e il primo decennio del 2000 [5] sono nativi digitali, da sempre hanno avuto uno smartphone in mano. Ma la “i” non è solo quella di iPhone o iPod e allude secondo l’autrice a molte altre caratteristiche: iperconnessione, immaturità, incorporeità, instabilità, isolamento, incertezza e precarietà, indefinitezza, inclusività, individualismo, ineguaglianza di reddito.

 In realtà non solo in molti Paesi europei prevale la dicitura “Z”, ma ai nostri occhi questa ha evocato l’idea della desolazione di chi nasce in un’epoca in cui delle risorse naturali sembrano rimanere solo gli avanzi, in cui l’accesso al mondo del lavoro è limitato alle briciole degli stage infiniti e del precariato, in cui spesso per avere successo non occorre avere competenze. Per questo abbiamo scelto Zeta, come gli ultimi.

 

DOVE SIAMO ARRIVATI

Il progetto ha vinto la prima fase del bando Mondi Immaginari, che ci ha permesso una residenza [6] a Perugia nel maggio 2023, grazie al supporto delle realtà in rete C.U.R.A. (Centro Umbro di Residenze Artistiche), Micro Teatro Terra Marique, HOME Centro di Creazione Coreografica/Dance Gallery, TIEFFEU (Teatro di Figura Umbro) e SPAZIO MAI (Movement art IS). Questa settimana di lavoro ha sortito un primo studio di circa venti minuti; ci siamo concentrati soprattutto su scrittura coreografica, composizione musicale, scrittura dei testi, drammaturgia e training del performer (qualità di movimento, emissione vocale, tempi scenici, gestione dello spazio scenico, gestualità, interpretazione). È per me la prima creazione come autrice in cui non sono anche interprete ma lavoro unicamente nella guida ‘dietro le quinte’, e per Lorenzo è la prima esperienza come performer solista in un contesto professionale. 

Il lavoro da fare è tanto per entrambi, ma sentiamo che le inesperienze vengono colmate proprio da quell’autenticità che abbiamo difeso nei temi, nella scelta della nostra postura e nei codici, cercando di non snaturarci per allinearci al contesto teatrale e perché, che si tratti di parola, di percussioni corporee o di danza, ci muoviamo nella cornice di una controcultura che non vuole essere edulcorata e quelle che in un ambito più ‘alto’ sarebbero considerate ingenuità, qui rappresentano il colore identitario, arrivano crude, dirette, a tratti grezze, ma assolutamente attuali. In un momento storico in cui la ricerca spasmodica è verso qualcosa di vero e rappresentativo, questa cosa arriva ed arriva come necessaria. Sicuramente in molti potranno rispecchiarsi.

Adesso ci prepariamo alla seconda fase del bando che ci consentirà un’altra residenza finalizzata alla messa a punto dei materiali e soprattutto alla parte laboratoriale, entrando quindi in dialogo con territorio e comunità e trasformando la creazione in un progetto partecipativo a tutti gli effetti. 

Ricordo uno dei commenti che ci è stato fatto da uno dei tutor al termine della condivisione di questo primo studio: “È molto potente, mi fa riflettere e sentire in colpa verso i miei figli, di cui purtroppo ignoro o minimizzo i problemi e le prospettive”. Il risultato prodotto da questo progetto sui genitori non lo vedo come l’obiettivo, ma come un bell’effetto secondario; ciò che sento importante è aiutare i soggetti stessi a prendere consapevolezza, temo possano rendersene conto tardi altrimenti. Le generazioni successive sono troppo piccole, quelle precedenti sono già impostate, si metteranno poco in discussione, cambieranno poco la loro modalità, secondo me. Sui giovani possiamo ancora avere un impatto e innescare nuove dinamiche. La presa di coscienza genera desiderio di cambiamento e nuove modalità di azione. È un modo di restituire la responsabilità in mano ai giovani. Potremmo quasi invertire lo standard con una piccola provocazione e immaginare che i genitori vengano a teatro gratis, che paghino il biglietto solo i figli.  

Io sento che il cambiamento nella relazione arriva da entrambe le parti e, a cascata, si riversa sulle rispettive realtà quotidiane. La mia esperienza mi dice che la mia generazione (Gen X) ha fatto uno scatto di consapevolezza rispetto ai genitori che avevano pochissimi strumenti emotivi e di rielaborazione, erano poco abituati al dialogo e a considerare la possibilità di nuove strade. Oggi leggo molte fragilità ma anche maggiori conoscenze e possibilità ampie, che in qualche modo invidio a quest’epoca e che mi spingono a grande fiducia. 

Ci confrontiamo a lungo con Lorenzo anche su questo, e ancora una volta lui è in grado di restituirmi il rovescio della medaglia. 

Il facile accesso a tante opportunità rischia di farti annoiare presto della cosa e crea saturazione in tutti gli ambienti (lui allude all’ambito della produzione musicale, ma è un ragionamento estendibile agli interessi personali, al tempo libero). Non ho il tempo di capire se qualcosa mi piace, non riesco a diventare bravo, c’è un livello a cui devo tendere troppo alto, misurandomi con un gruppo che non è più quello del quartiere ma una rete di migliaia di persone. Indubbiamente ci sono mezzi che anche solo dieci anni fa erano impensabili e si possono raggiungere facilmente risultati professionali e tecnici in molti ambiti (foto, video, produzioni musicali, etc.), ma non è altrettanto semplice districarsi nella quantità e nella sovraesposizione di stimoli. Si vive costantemente nella frustrazione: se anche si ottengono dei risultati è difficile mantenere la costanza di resa ed è anche peggio quando qualcosa non ti viene subito. Sei continuamente in balia della ricerca di riconoscimento, di successo, di like, di seguito. Altre volte l’obiettivo sembra così difficile che neanche ci provi, non riusciresti a ottenere ciò che ti aspetti. Questo determina una continua volatilità di posizioni e interessi. Tutto è effimero. E tu sei esposto. Diventano allora fondamentali persone esterne che ti aiutano a tenere il focus: un potenziale pubblico, le figure educative, gli amici … in questa età in cui devi ancora trovarti è raro che tu abbia una motivazione interna solida.

In questo riconosciamo il potenziale di Zeta e ne spingiamo l’azione: una luce, una lente di ingrandimento, una presa di coscienza, tanto più ampia perché costruita dal nostro dialogo continuo, rappresentanti di due punti di vista non opposti ma complementari, la cui risultante non è una somma delle parti ma una nuova prospettiva il cui valore aggiunto è proprio la diversità. 

In ambito educativo la condivisione/fare comunità (commoning) “è innanzitutto un risultato ottenuto da persone di generazioni differenti. (…) Per condividere e al contempo educare, devo fare uno sforzo immaginativo per dare forma alla mia esperienza in modi che la rendano vicina alle vostre, così che possiamo – in un certo senso – percorrere la stessa strada e, così facendo, produrre insieme significato. Non si tratta di ritrovarsi con un pezzo di sapere che prima era appartenuto a me e ora è impiantato nella vostra mente, arriviamo piuttosto a una sorta di armonia che è nuova per entrambi. L’educazione è trasformativa” (Ingold, 2018, p. 37).

In ambito educativo la condivisione/ fare comunità (commoning) ‘è innanzitutto un risultato ottenuto da persone di generazioni differenti. (…) Per condividere e al contempo educare, devo fare uno sforzo immaginativo per dare forma alla mia esperienza in modi che la rendevano vicina alle vostre, così che possiamo – in un certo senso – percorrere la stessa strada e, così facendo, produrre insieme significato. Non si tratta di ritrovarsi con un pezzo di sapere che prima era appartenuto a me e ora è impiantato nella vostra mente, arriviamo piuttosto a una sorta di armonia che è nuova per entrambi. L’educazione è trasformativa’ (Ingold, 2018, p.37).
Zeta. Foto di Giorgia Ponticello

Credits progetto

IDEA, DIREZIONE ARTISTICA E COREOGRAFICA: Federica Loredan
TESTI E PERFORMANCE: Lorenzo Zuliani aka 14498
MUSICHE 14498 Nils Frahm, Luca Simone Esseyenne
FOTO E VIDEO: Giorgia Ponticello

Note

[1]  registrazione della conferenza Intrecci di corpi e di sguardi: l’antropologia e la danza, LINK.
[2]  Allusione alla famosa opera di James Scott Il dominio e l’arte della resistenza
[3] Si intenda lo sforzo di guardare contemporaneamente a due sistemi di valori e di credenze, seppur facenti parte di una stessa cultura.
[4]  In antropologia indica la prospettiva interna al gruppo considerato, il punto di vista degli attori sociali.
[5] Twenge situa la iGen tra 1995 e 2012, per altre fonti l’arco temporale sarebbe di poco posteriore.
[6] Per residenza artistica si intende un tempo e uno spazio di lavoro dedicati, solitamente sostenuti economicamente, che possano permettere agli artisti di sperimentare, comporre, definire i vari aspetti della creazione, dall’ideazione alla messa in scena. 

Bibliografia

Berzano L., & Genova C., Sociologia dei Lifestyles, Carocci Editore, Roma, 2011.
Ingold T., Anthropology and/as education, Routledge, New York, 2018.
Pontremoli A., Rossi Ghiglione A., Il teatro è un determinante di salute?, Trascrizione dell’intervento al convegno Performare il sociale. (p.1-8) Milano, 2019.
Sansi R., Art, Anthropology and the Gift, London New York, Bloomsbury Academic, 2015.
Taylor D., Performance, politica e memoria culturale, Artemide, Roma, 2019.
Twenge J. M., Iperconnessi, Einaudi, Torino, 2018.

Federica Loredan è danzatrice, musicista, formatrice e antropologa. Si definisce an anthropologist mind in a groovy body, unendo nelle sue pratiche gli aspetti culturali a quelli artistici attraverso esperienze molto diversificate: dalla scena underground della street dance a quella del teatro contemporaneo, dall’ambito accademico alla ricerca scientifica, passando attraverso la body music come strumento per costruire comunità. Considerata una delle pioniere dell’hip hop italiano, da sempre ha cercato di creare spazi per la scena femminile e di dedicarsi alla trasmissione del suo background alle nuove generazioni.

Lorenzo Zuliani aka 1 44 98. Giovane ed eclettico artista hip hop. Laureato in Scienze e tecniche psicologiche, lavora dal 2020 presso l’ospedale civico di Settimo Torinese. Danzatore da sempre, da circa tre anni scrive e co-produce in maniera indipendente musica rap, con all’attivo circa 30 brani. Vanta un bagaglio artistico e culturale interessante e decisamente alternativo, all’interno del quale riesce ad unire danza, rap, musica, fotografia, psicologia e attivismo.