Discomfort
Ausländer Raus!
Paradosso, disagio e agitazione nella performance di Christoph Schlingensief
di Paola Bommarito

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The almost unanimous disapproval
may betray a reluctance
to confront the uncomfortable
(Löhndorf, 1998)

 

Correva l’anno 2000 quando, nel mese di giugno, vennero collocati tre container da spedizione, recintati da delle grate di protezione e adattati a uso abitativo, nel bel mezzo di una delle principali piazze di Vienna, la Herbert-von-Karajan-Platz, luogo in cui si trova il teatro dell’opera cittadino. Su uno di questi container dominava un cartello con su scritto “Ausländer Raus”, fuori gli stranieri dal paese. Attorno all’intera struttura, sventolavano le bandiere blu dell’FPÖ come se fosse questo partito politico a pubblicizzare l’evento. Si trattava invece di un’azione performativa ideata dall’artista-regista-attivista Christoph Schlingensief, presentata nell’ambito del Festival Internazionale di Vienna, il Wiener Festwochen.
Questi container furono adibiti a ospitare dodici persone, di diverse nazionalità e lì introdotti in quanto richiedenti asilo politico, i quali trascorsero una settimana dentro quegli spazi, con sorveglianza a videocamera permanente, costantemente ripresi delle telecamere. Le immagini della loro vita all’interno dei container erano trasmesse su internet, dove chiunque poteva guardarle. Come in un reality show, il pubblico aveva la possibilità di votare il proprio personaggio preferito. Ogni giorno le due persone che avevano ricevuto meno voti erano espulse, dunque deportate, mentre il personaggio più amato dal pubblico riceveva un premio in denaro, 30.000 scellini austriaci, e l’opportunità di ottenere la cittadinanza attraverso il matrimonio con un residente austriaco.

In Ausländer Raus! Bitte liebt Österreich di Christoph Schlingensief vi era un chiaro riferimento al formato televisivo del “Big Brother”. Su un canale dedicato, in una WebfreeTv, per 24 ore al giorno era possibile vedere la vita dei migranti clandestini all’interno dei container. La condizione di queste persone veniva così spettacolarizzata, ne era mostrata la loro scomoda situazione. Al contrario di qualsiasi show del Grande Fratello, all’interno della “casa” non si trovavano persone in cerca di popolarità e successo, vi stava chi era in lotta per assicurarsi il diritto a ottenere lo status di rifugiato politico. Dopo aver assistito e giudicato i comportamenti dei richiedenti asilo, il pubblico poteva partecipare all’azione con un semplice click sul pulsante “vote”, esprimendo così la propria preferenza. I due meno votati venivano espulsi ogni mattina, alle otto in punto.

Christoph Schlingensief, Ausländer Raus! Bitte liebt Österreich, Wiener Festwochen, 2000. © David Baltzer

Christoph Schlingensief, Ausländer Raus! Bitte liebt Österreich, Wiener Festwochen, 2000. © Paul Poet

Secondo Theron Schmidt, Schlingensief non utilizza lo spettacolo per attivare il pubblico. Produce una rappresentazione della sfera pubblica per esplorare il funzionamento della rappresentatività stessa, per costruire un macchinario che causi disordine tra le immagini. E l’immagine che Schlingensief sconvolge più di tutte è quella della sfera pubblica stessa (Schmidt, 2011).
Silvija Jestrovic, nel descrivere l’operazione di Schlingensief, utilizza il termine “hyper-authentic” riprendendo il concetto di iper-realtà utilizzato da Baudrillard per descrivere un insieme di simulacri che non avevano più riferimenti con gli oggetti originali, interrogandosi così sull’idea di autenticità. L’iper-autentico viene prodotto da tensioni tra presenza e rappresentazione, teatralità e performatività, immediatezza e mediazione, «embodies expectations of the beholder and the tendency of the performing subject to meet those expectations» (Jestrovic, 2008). Schlingensief agisce attirando l’attenzione sulla posizione degli immigrati clandestini. L’iper-autenticità, in questo caso, diviene una strategia di traduzione che incarna l’estraneo attraverso il linguaggio dell’ospitante. L’iper-autentico si trova tra le aspettative degli osservatori, i presupposti su cosa sia un “vero” richiedente asilo e la necessità di legittimare il proprio status, di dimostrare la propria autenticità.

Schlingensief crea una sorta di “spazio paradossale” in cui i confini chiari delle cose sono aboliti e le contraddizioni, invece, integrate. L’installazione dei container s’impone prepotentemente al centro della piazza e con la sua estetica da centro di detenzione occupa lo spazio pubblico. Il suo essere chiusa rispetto il suo esterno, differente rispetto ciò che la circonda, ricorda la costruzione urbana delle gated community.  Queste comunità “recintate” nascono principalmente per soddisfare le esigenze di famiglie di ceto medio-alto, legate al loro bisogno di evadere dalla città e alla necessità di assicurarsi una maggiore sicurezza. All’interno della dimensione pubblica dello spazio, prende vita una comunità basata sulla proprietà privata. Le gated community realizzano un ambiente dotato di ampi spazi verdi, servizi di alta qualità e ogni sorta di comfort. Al contrario, il container di Schlingensief è concepito come un progetto che mira a dimostrare che tutti hanno lo stesso diritto di residenza, si appropria con forza dell’idea di spazio pubblico come bene comune. All’interno vi è una comunità inclusa in una situazione di discomfort, per la quale la fuga e la vigilanza hanno altre connotazioni, impegnata a lottare per i propri diritti negati.

Kirsten Weiss colloca il lavoro di Schlingensief all’interno di una tradizione austro-tedesca che affronta con disagio e agitazione la situazione di produzione di comunità come oggetto estetico, poiché tale impresa risulta problematica dato il retaggio del fascismo statale (Weiss, 2001). Nei suoi film controversi, nelle produzioni teatrali, e nelle azioni provocatorie che hanno occupato lo spazio pubblico, il lavoro di Christoph Schlingensief ha rappresentato una fonte di attrito nei macchinari politici e suscitato dibattiti politici ed etici nei media tedeschi. In questa zona ambivalente tra politica e teatro, sfocando i confini tra artificio e realtà, svelando le contraddizioni socio-politiche fino a spingerle ai loro estremi, Schlingensief ha sempre lavorato a progetti per sfidare l’impotenza politica della società tedesca. In Ausländer Raus, come in molti dei progetti di Schlingensief, lo spettro del fascismo statale non è relegato a una posizione marginale, piuttosto è palesemente rivelato.

Christoph Schlingensief, Ausländer Raus! Bitte liebt Österreich, Wiener Festwochen, 2000. © David Baltzer

Questa azione performativa nella piazza viennese, nasce proprio come reazione alle proposte avanzate da Jörg Haider, ai tempi alla guida del FPÖ il Partito della Libertà dell’estrema destra austriaca, per risolvere il “problema stranieri” in Austria. Haider è stato un leader carismatico che ha contribuito alla crescita del FPÖ: dal 5% ottenuto alle elezioni del 1986, il partito riesce ad attestarsi il 27% alle elezioni del 1999, divenendo l’anno successivo, anno della presentazione di Ausländer Raus, il secondo partito della coalizione al governo, insieme all’ÖVP il Partito Popolare Austriaco (Ingram, 2012). In questo esecutivo ai liberali del FPÖ toccarono cinque ministri, tra cui quelli della giustizia, della difesa e delle politiche sociali. La campagna elettorale di Jörg Haider fu connotata da una dura politica anti-immigrazione. Il leader nostalgico rimproverava al governo precedente di non aver fermato la penetrazione straniera in terra austriaca, la Überfremdung, per cui proponeva di adottare misure drastiche nei confronti dei clandestini: Keine Gnade!  In quell’anno le strade di Vienna erano spesso attraversate da cortei di manifestanti contro le politiche di Haider. Diverse preoccupazioni venivano chiaramente dall’Unione Europea, che nelle azioni del partito non vedeva rispettati i valori della comunità Europea, quali la tutela dei diritti umani e la democrazia, la tolleranza delle differenze religiose e raziali.

Schlingensief, con Ausländer Raus!, ha fatto di questa situazione politica uno spettacolo, ha contribuito ad alimentare un intenso dibattito pubblico, richiamando l’attenzione mediatica e di enormi folle di persone. L’azione performativa è stata documentata per l’intera settimana, e ne è stato prodotto un film diretto da Paul Poet. In diverse scene del film di Poet è possibile vedere Christoph Schlingensief con il megafono in mano, mentre incita la gente che si accalca ai piedi dei container. Urla alla folla “Benvenuti, signore e signori! Entrate nel peepshow!”, esorta il pubblico “Guarda e scegli il tuo richiedente asilo!”, incoraggia i turisti a fotografare la “terra dei fascisti”.

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L’azione di Schlingensief ha causato un grande tumulto a Vienna. Molte le domande che balzavano alla mente di chi guardava il container show, sia trovandosi nello spazio pubblico sia sul sito internet. Quelle persone erano veramente dei richiedenti asilo che venivano puntualmente deportati ogni mattina? O erano solamente degli attori? I messaggi e i banner legati al FPÖ erano davvero autentici? Nel corso della settimana l’agitazione è cresciuta sempre più, vi sono stati diversi assedi e atti vandalici verso il sito della manifestazione. Qualcuno ha tentato di strappare il banner che recitava “Fuori gli stranieri!”. Altri hanno utilizzato un liquido infiammabile per cercare di dar fuoco all’intera struttura. Un gruppo di attivisti di sinistra ha cercato di assaltare il complesso reclusorio per cercare di liberare i richiedenti asilo. E soprattutto il Partito della Libertà FPÖ non solo ha cercato un voto di sfiducia nei confronti del consigliere comunale che aveva approvato l’evento, ma ha avviato azioni legali per l’utilizzo improprio di loghi e simboli del partito.

Oltre le bandiere del FPÖ, i brani dei discorsi del presidente Jörg Haider risuonavano su Herbert-von-Karajan-Platz. Chiunque passasse ha potuto costatare, ascoltando le parole di Haider e guardando l’installazione di Schlingensief, cosa significasse prendere seriamente i suggerimenti del politico per affrontare la questione migranti.
Inke Arns e Sylvia Sasse, nel descrivere il lavoro di Schlingensief, parlano di “affermazione sovversiva”, una pratica artistico-politica che consente di partecipare a determinati discorsi sociali, politici o economici, affermandoli ma contestandoli allo stesso tempo. I metodi di affermazione sovversiva si sono sviluppati in contesti politici repressivi e totalitari a partire dagli anni Venti, in particolare nella tarda avanguardia russa, nel concettualismo moscovita, e in contesti artistici non ufficiali di tutto l’ex blocco sovietico. Questi metodi sono stati poi ripresi nelle pratiche di alcuni artisti negli anni Novanta, tra cui Schlingensief, come forma di attivismo, azione e performance artistica. Le due curatrici si chiedono come tale pratica possa continuare a essere importante anche ai giorni nostri, in un contesto politico, sociale ed economico sicuramente diverso e più “liberale”. Al contrario di ciò che poteva accadere in un sistema apertamente repressivo, oggi esiste una grande libertà di espressione, soprattutto con internet, ma allo stesso tempo si assiste a una maggiore manipolazione delle informazioni. Diviene difficile assumere una distanza critica «in this situation brought about by the strategy of total recuperation and appropriation of critical viewpoints by the dominant political and economic system it is rather the viral-like stealth tactics of subversive affirmation that still seem to hold a potential of resistance» (Arns, Sasse, 2005). Nell’affermazione sovversiva si verifica un distanziamento da ciò che viene affermato, una tattica di esplicito consenso che pone lo spettatore in una condizione tale da fargli assumere una posizione critica.
Con Ausländer Raus!, Schlingensief si appropria delle affermazioni anti-immigrazione di Haider, ci gioca portandole ai loro estremi fino a ottenerne un’immagine speculare. Utilizza una tattica che rivela come funziona il discorso mirato, il discorso rivolto alla collettività, senza però distanziarsi da esso. Mette in atto una ripetizione, un re-enactment delle pratiche totalitarie ideologiche, e nel produrre un’esagerazione imitiativa di esse, aliena e svela la violenza implicita nel discorso.

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Bibliografia

Arns I., Sasse S., Subversive Affirmation. On Mimesis as Strategy of Resistance, in Irwin East Art Map, London/Ljubljana 2005
Ingram S., Schlingensief’s Container: Translating Europe in the Age of Media Spectacle, in Reisenleitner M., Ingram S., (a cura di), Historical Textures of Translation: Traditions, Traumas, Transgressions, Mille Tre Verlag, Vienna 2012. pp. 165-174.
Löhndorf M., Totally confusing supposed unambiguities, in Kunstforum, vol. 142, October 1998. pp. 94-101
Jestrovic S., Performing like an asylum seeker: paradoxes of hyper-authenticity, in RiDE Research in Drama Education, vol 13, 2008. pp. 159-170.
Poet P., Ausländer Raus! Schlingensiefs Container, Monitorpop Entertainment, 2005.
Schmidt T., Christoph Schlingensief and the Bad Spectacle, in Performance Research, vol. 16, 2011. pp. 27–33
Weiss K., Recycling the Image of the Public Sphere in Art, in Thresholds Journal vol. 23, 2002. pp. 58-63.