(IM)MOBILITY
Lettere dal CIE
di Mario Badagliacca

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Da diverso tempo appare chiaro come il concetto di mobilità alla base dell’apertura delle frontiere interne all’Europa, sia stato messo in crisi dagli stessi governi europei che avevano siglato gli accordi di Schengen. Sebbene capitali e merci continuino a circolare liberamente, lo stesso non si può dire delle persone, e dopo soli 26 anni dalla caduta del muro di Berlino sono riapparse le barriere, gli argini e i soldati a far fronte ai migranti che in questi anni cercano di muoversi liberamente in Europa. Il controllo militare della mobilità non si esaurisce però solo lungo i confini esterni dei paesi europei. Questo è il caso dell’Italia impegnata a pattugliare i suoi confini nel Mediterraneo e al tempo stesso a gestire un ‘fronte interno’ attraverso i Centri di idenficazione ed espulsione (CIE). Filo spinato, soldati, gabbie a cielo aperto, cani e fanali nella notte sono i tratti distintivi di questi luoghi difficili da definire anche da un punto di vista tecnico – giuridico. I CIE in questo modo producono una sorta di zona ‘grigia’, una ‘confine sospeso’ – dal punto di vista delle norme che definiscono lo stato di diritto – che è volto a controllare i corpi degli individui, non solo gestendone o impedendone il movimento nello spazio, ma anche svuotandoli della loro soggettività e storie di vita per ridurli a un mero numero di matricola.

La cosa che più colpisce all’interno dei CIE è il disorientamento totale al quale si è sottoposti, e che colpisce tutti coloro i quali hanno a che fare con i CIE: dagli avvocati giornalisti e attivisti, fino ai migranti trattenuti. La prima volta che entrai a Ponte Galeria non riuscivo più a trovare dei punti di riferimento mentali e immaginari che mi dessero la possibilità di spiegare a me stesso il luogo che stavo visitando. Vedere le persone dentro gabbie a cielo aperto, il sistema di varchi e cancelli, mi ha riportato subito a pensare ai CIE come a dei campi di internamento nel cuore delle città italiane. Questo disorientamento colpisce ancora di più i migranti trattenuti che non riescono a spiegarsi la ragione della prigionia forzata, a differenza di un normale detenuto nelle carceri. Anche la legge italiana è molto ambigua riguardo questo aspetto, chiamandoli ufficialmente “ospiti”.

Lettere dal CIE fa parte di un progetto di documentazione visiva ampia che comprende attualmente un reportage fotografico e un cortometraggio multimediale, svolto nell’arco di tre anni tra il CIE di Roma Ponte Galeria e Bari Palese. Il progetto più che spiegare l’aspetto tecnico dei CIE è volto principalmente ad accompagnare lo spettatore dentro ai luoghi dei CIE mostrando la vita quotidiana dei detenuti. Lo scopo è spingere il pubblico a interrogarsi sulle dinamiche tra detenuti e staff interno, sulle relazioni di genere, sulla lotta per le esigenze più basilari che dentro il CIE si legano alla sopravvivenza, sulle forme e i meccanismi di resistenza agli effetti devastanti del trauma. Un esempio è la storia di Lassaad Jelassi, – il protagonista del corto multimediale Lettere dal CIE. Lassaad vive in Italia da 25 anni. Dopo aver avuto problemi con il permesso di soggiorno è stato rinchiuso per 4 mesi nel CIE di Roma Ponte Galeria. Alla fine Lassaad ha vinto il ricorso giuridico ed è stato rilasciato, e attualmente lavora come mediatore culturale in un centro per minori stranieri a Roma. Anche se adesso è libero, Lassaad si porterà dietro per tutta la vita il trauma legato al trattenimento forzato e alle violenze subite a Ponte Galeria.

 

Per maggiori informazioni riguardo il progetto:

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Mario Badagliacca è nato a Palermo nel 1980. Si è laureato in Scienze Internazionali e diplomatiche all’Università di Napoli L’Orientale. Durante i suoi studi ha collaborato con diverse associazioni non profit. Nel 2012 si è diplomato in fotografia documentaria e fotogiornalismo a Roma dove attualmente risiede. I suoi lavori sono focalizzati su tematiche sociali, ed è impegnato in progetti di lungo periodo sulle comunità migranti, ponendo particolare attenzione agli aspetti culturali delle migrazioni. Collabora con differenti ricercatori e università (tra cui St. Andrews University, University of Oxford, L’Orientale di Napoli, S. Diego State University) e le sue fotografie sono pubblicate da giornali e magazine italiani e stranieri. Attualmente sta sviluppando un lavoro sulle emigrazioni italiane tra Londra, New York e Buenos Aires per il progetto Transnationalizing Modern Languages: Mobility Identity and Translation in Modern Italian Cultures’ supportato dall’Arts and Humanities Research Council of UK. Esposizioni Solo exhibition “Letters from the CIE” – San Diego University of State, San Diego, USA 2015 – 2016. Collective exhibition Prisma Human Rights – Monastero di San Nicolò, Venezia Lido, Italy 2015. Solo exhibition “Migrations lives” Being Human Festival – St. Andrews University, Scotland 2014. Awards MIFA Moscow International Foto Award, Honorable mention, Letters form the CIE, Moscow, 2015. PRISMA Human Rights finalist, Italy 2015 Audience Engagement Grant “Letters from the CIE” – Documentary Photography Project, New York, USA 2014.  (http://www.mariobadagliacca.com/)