INVISIBILE
Invisibilia. Di tutte le cose visibili e invisibili. Pensieri liberi su Gianfranco Baruchello
di Marika Rizzo

Gianfranco Baruchello al Roma Contemporary 2012, Stand RAM radioartemobile, photo credits Yamina Tavani.
Special thanks to Fondazione Baruchello, RAM radioartemobile

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Chi da bambini non ha disegnato o scritto per aria, evolvendo con dita curiose e svelte in fantastiche capriole?
Io l’ho fatto e ho desiderato rifarlo non troppo tempo fa.
Durante l’ultima Fiera d’Arte Contemporanea di Roma, sono nello stand di RAM radioartemobile con una cuffia audio alle orecchie seduta in poltrona, elemento dell’installazione di Gianfranco Baruchello.
Le mani sui braccioli rossi e lisci. Le trattengo dal muoversi.
Sorrido, poi rido, anche rumorosamente,  quasi vergognandomi e assicurandomi che lì, in quel posto adibito alla sacralità dell’arte contemporanea, nessuno mi abbia sentito. Trattengo ancora le  mani, le dita si muovono, lisciano il legno sotto i polpastrelli, non so bene che tipo di movimento stiano simulando. Però so che gli altri non lo vedono.
Una voce mi sta dando degli ordini su come montare un’improbabile arma. No, la voce non dà a me gli ordini, ma ad una classe. Forse di militari. Sono comandi. Sì.
A questo punto, sono quasi del tutto convinta di essere diventata invisibile per tutti gli altri. Sono in un angolo, comodamente seduta su una poltrona, ho le cuffie e non vedo più il resto. Quindi, per forza di cose, se io non vedo te, tu non vedi me. Non ci sono più.
Ironici lamenti sommessi, la lettura in rima di un quotidiano in tre tempi, un romanzo scozzese letto con sonorità diverse, espressioni dubbiose,  una bandiera, dal tessuto molto pesante, che viene piegata e ripiegata, respiri e rumori sembrano seguire delle istruzioni ben precise. Segni di stupore, dubbio e perplessità si palesano e diventano protagonisti, anche se per quell’unica frazione di secondo in cui vengono pronunciati, di una storia più grande.
Sono gli Esperimenti sul suono, anche, con ironia che Gianfranco Baruchello registra tra il 1962 e il 1965.
Già da qualche anno prima l’artista sperimenta l’oggetto quotidiano (bottiglie, fotografie), il disegno, la pittura e le azioni, in quegli anni i suoi esercizi vanno al di là della semplice sperimentazione1.
Le istruzioni per costruire un’arma inesistente si insinuano proprio in quel momento storico in cui si viveva con i fatti (gli orrori) della Guerra del Vietnam, con falsi eroismi e atteggiamenti celebrativi.  Il 14 ottobre 1966 l’artista scrive al Pentagono, proponendo al Segretario di Stato per la Difesa il Multipurpose Object, un oggetto pacifista, antistress per i soldati, “per il rilassamento delle Forze Armate degli Stati Uniti”. L’ “arma” appare assolutamente inerte, emettendo un suono metallico, col solo scopo di mantenere in esercizio “la mano guerriera rendendola inoffensiva”2.
Il 15 Novembre 1966 il Pentagono risponde di non essere interessato nel testare e produrre l’invenzione descritta3.
Ecco nuovamente la voce di Gianfranco Baruchello, voce e tamburo, per la precisione.
Nel suono, l’artista sperimenta uno dei suoi infiniti. Già nelle sue pitture, il segno non è legato allo spazio, ma rimanda al tempo, come da un punto a un altro possa passare un’eternità o anche solo qualche secondo. È quello che si prova ascoltando attentamente la sua voce. Baruchello la registra con un microfono, senza particolari espedienti. Registra elementi effimeri su nastro magnetico, fa rime, distrugge le sillabe, le ricostruisce secondo schemi nuovi e vestendole di sonorità inaspettate.
Intanto, continuo a trattenere le mie mani sul rosso e liscio bracciolo della poltrona. Vorrei piegare la bandiera, stropicciare (fino a distruggerlo) il quotidiano, sfogliare The Wind in the Willows, il classico della letteratura scozzese di Kenneth Grahame, assemblare l’arma inesistente. Non lo sto facendo, ma lo sto facendo.
Per quanto invisibili siano queste azioni, io le vedo.
La potenza del suono è “un aspetto importante  del modo in cui percepiamo un luogo, pari al modo in cui esso ci appare. Le installazioni sonore  fanno uso del suono per creare luoghi immaginari da esplorare uditivamente, o semplicemente per ritrovarsi.”4
L’orecchio è un ottimo osservatore non solo dello spazio, ma anche del tempo. L’orecchio è lo strumento percettivo che segue percorsi imprevedibili, forse perché ha a che fare con l’invisibile5.
La teorica del suono Helga De La Motte-Haber  nel suo articolo “Esthetic perception in new artistic contexts- aspects-hypotheses-unfinished thoughts”6 sostiene che sia l’occhio che l’orecchio possiedono una percezione olistica oltre che una maggiore  sensibilità e abilità nella distinzione. Dopo essersi  soffermata sul  range più ampio in cui insistono l’occhio e l’orecchio rispetto agli altri due sensi, include la vista e l’udito come maggiormente coinvolti nella costruzione della nostra visione dello spazio e del tempo7.

Riparte il loop delle registrazioni, ascolto l’incipit di Comandi militari e istruzioni per armi inesistenti.  La voce intima “STOP”.
Sfilo le cuffie e mi alzo.

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1 Carla Subrizi, “Baruchello. Esperimenti sul suono, anche, con ironia 1962-1965”. Testo critico per l’installazione di Gianfranco Baruchello presso lo stand di RAM radioartemobile, Roma Contemporary 2012.
2 Maura Favero in “Baruchello. Certe Idee”,  (a cura di Achille Bonito Oliva e Carla Subrizi) catalogo della mostra Certe idee, Roma Galleria Nazionale d’Arte Moderna 21 dicembre 2011- 4 marzo 2012.  Milano 2011,Electa.
3 La lettera e le immagini dell’oggetto Multipurpose Object furono pubblicate nella rivista “Marcatrè. Rivista di Cultura Contemporanea”. Marcatrè fu una rivista che, divisa per settori, si occupava di arti visive, letteratura, musica e architettura nata nel 1963 e attiva fino al 1969/70  legata al GRUPPO 63(n.d.a.).
4 Ida Giannelli e Antonella Russo (a cura di), “Max Neuhaus. Evocare l’udibile”, Castello di Rivoli, Torino 1995, Charta.
5 Si veda in proposito un mio articolo sulla rivista Autoportet, 3[35]2011 pp.60-62.
6 Helga de la Motte-Haber, “Esthetic perception in new artistic contexts- aspects-hypotheses-unfinished thoughts”  pagg.33-35, in Resonances-Aspects of Sound Art, Kehrer, 2002.
7 Vedi nota 6.

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Marika Rizzo è nata in Sicilia nel 1979. Dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali all’Università di Palermo si trasferisce a Roma e frequenta il Master in Curatore Museale e di Eventi Performativi presso l’Istituto Europeo del Design e ottiene il diploma in Tecnica e Linguaggio Fotografico presso il Centro Sperimentale di Fotografia Ansel Adams.
Attenta alle contaminazioni tra i diversi linguaggi artistici, è collaboratrice  della galleria RAM radioartemobile di Roma, piattaforma internazionale per l’arte contemporanea, che, tramite diversi canali, tra i quali una web radio, indaga le relazioni tra spazi non specificatamente dedicati all’arte e la sound art.