§Americhe. Riemergenze, pluriversi e resistenze
Mujeres Creando, grafiteadas poetico femministe
di Giorgia Pinzauti
No se puede descolonizar, sin despatriarcalizar. FB Mujeres Creando

In Abya Yala, nome della lingua Chibchan dei Kuna col quale si definiscono le due parti del continente sud americano, sostituendo il termine coloniale America, si riscontrano diversi esempi di attivismo artistico femminista e di azioni di riappropriazione culturale.

Prima di addentrarci nel vivo della questione di cosa sia l’artivismo femminista latinoamericano e di come opera il gruppo che qui si prenderà in considerazione, le Mujeres Creando in Bolivia, si spenderà una piccola riflessione sul nome del continente e sul processo di riconoscimento della propria terra da parte delle popolazioni indigene. 

Il cosiddetto nuovo continente venne battezzato dagli europei con il nome America, un’attribuzione occidentale che oggi viene messa in discussione da diversi gruppi indigeni che invece nominano la terra sulla quale vivono e dalla quale giovano nutrimento Abya Yala, auto-definendola quindi con un termine che significa “terra in fiore” o “tierra en plena madurez[1] (Espinosa Miñoso Y., Gómez Correal D., Ochoa Muñoz K, 2014). Francesca Gargallo in un suo saggio sul femminismo, più precisamente sui femminismi che prendono forma nel continente, racconta da dove derivi il termine: 

«Abya Yala es el nombre kuna que, en especial en América del Sur, es utilizado por los y las dirigentes y comunicadores indígenas para definir al sur y norte del continente, siendo América un nombre colonial con el que no quieren identificar su territorio común» [2]. (Gargallo, 2014) 

L’imposizione del nome America si correla al dominio sul territorio e sulle persone, con la conquista delle proprietà e la supposta civilizzazione delle popolazioni autoctone. Il concetto di colonizzazione che qui viene messo in discussione non riguarda unicamente i territori geografici, si estende infatti alle donne e alle persone queer o disidentes, dominate e sottoposte a tecniche di disciplinamento e controllo del corpo e della sessualità. La colonizzazione dell’America Latina non ha imposto dunque unicamente il dominio delle terre, ma i colonizzatori hanno instaurato un dominio patriarcale che si è protratto per secoli strutturando la condizione subalterna della donna e delle minoranze locali. 

«Coincidimos con los intelectuales de la decolonialidad o descolonización que la modernidad nace con la invasión y dominio colonial sobre los territorios de Abya Yala, la naturaleza y quienes la habitan» (Paredes, 2011) [3]

Per disinnescare la subalternità imposta e memorizzata collettivamente – con la stratificazione tanto della colonizzazione storica di mezzo millennio sui popoli originari, quanto delle politiche dei governi neoliberali più recenti (Rivera, 2010) [4] – i gruppi e le correnti diversificate dei femminismi latinoamericani adoperano diversi strumenti in quello che si definisce un processo di decolonizzazione culturale. Tale processo passa necessariamente attraverso la de-patriarcalizzazione della società e una sua conseguente riscrittura in termini di: visibilizzazione socioculturale delle soggettività invisibilizzate e soppresse storicamente, accettazione delle differenze (allontanamento e rifiuto di un modello unico egemonico), cura delle relazioni e perseguimento del vivir bien

«Entendemos el feminismo como el conjunto de luchas y rebeldías de las mujeres tanto individuales como colectivas para enfrentar y desobedecer los mandatos patriarcales, luchas acontecidas en todas las culturas, sociedades, regiones y tiempos. Cuando hablamos de feminismo, hablamos, por eso, de un fenómeno planetario; no hay sociedad, cultura ni región donde no haya feminismos» (Galindo, 2014) [5].

L’insieme di lotte e ribellioni delle donne e delle soggettività dissidenti nel contesto latinoamericano si avvale dei saperi delle comunità indigene, e traspone in forme contemporanee conoscenze e visioni ancestrali. Facendo tesoro dei principi della cosmovisione andina e delle altre cosmovisioni amerindie, i gruppi femministi sono capaci di intessere relazioni comunitarie, di ri-attualizzare le idee di reciprocità, rispetto e interdipendenza con le forme di vita umane e non-umane, in un quadro di valorizzazione della Pachamama (Madre Terra) e di rispetto dell’esistenza (Caballero, 2019) [6]

Alle visioni e ai saperi ancestrali, pre-coloniali, si aggiunge la creatività artistica come strumento per la riabilitazione delle identità subordinate. I gruppi femministi adottano i linguaggi dell’arte, non da intendersi come volontà di inserimento nel circuito dell’arte istituzionale e dei suoi luoghi ufficialmente deputati, quanto piuttosto come canale creativo e immaginifico, da usarsi come strumento di trasformazione sociale e che ha come teatro d’azione principale le strade e i luoghi urbani con valenza simbolica.

Le pratiche odierne di attivismo artistico femminista tentano di analizzare il sistema cis-eteropatriarcale e le imposizioni della cultura coloniale per svelarne i meccanismi e sabotarli, attraverso la formulazione di saperi collettivi, pratiche di resistenza artistica e ri-scrittura delle possibilità del reale. 

Nelle parole di Julia Antivilo Peña l’artivismo femminista si definisce come: 

«una práctica política estética que trabaja en lo social y cultural. […] la producción del artivismo feminista desde las visualidades impacta en la cultura visual de Latinoamérica, pues como discurso posee una agudeza en el campo de la subversión de todo el esquema de representación androcéntrica. Constituye una vindicación de un territorio para la autorrepresentación de las identidades». (Antivilo Peña, 2018) [7]

Se i lavori delle artiviste non possono sempre considerarsi a pieno titolo opere d’arte, si possono invece definire strumenti di ri-scrittura culturale. Poiché la cultura visiva crea l’immaginario collettivo, i lavori delle artiviste femministe si inseriscono nel campo della cultura visuale proponendo narrazioni di corpi, sessualità e modi di essere non conformi con i modelli androcentrici ed eteronormanti della cultura egemonica. Le pratiche artiviste femministe sfidano la cultura patriarcale proponendo visioni alternative, erranti e non conformi, pericolose per l’ordine androcentrico, ma liberatorie per quanto riguarda l’espressione dell’identità e delle possibilità auto-immaginative di ogni soggettività subordinata. 

Produrre immagini che sfidino l’apparato visuale egemonico significa dare visibilità a corpi e modi di sentire solitamente eclissati o stereotipati. Oltretutto compiere quest’atto di ribellione creativa dai margini e rivendicare l’appartenenza positiva a tale luogo, significa appropriarsi e rivalutare un’esclusione non scelta ma imposta dal pensiero del logos androcentrico che designa la donna a essere altro e a vivere nel luogo dell’esclusione della soggettività. Parlando dal margine, inteso tanto come luogo fisico della strada e dello spazio pubblico, quanto dell’identità femminista e dissidente, le artiviste rivalutano la marginalità e la rendono una posizione valida per l’enunciazione. 

Scegliendo di esprimersi in prima persona e di auto-narrarsi dispiegano il potenziale offerto dal parlare con un punto di vista incarnato e sessuato. Con il concetto di “punto di vista incarnato” si intende riprendere il pensiero già espresso da Rosi Braidotti quando parla del nostro corpo come l’ancoraggio materiale al mondo, il mezzo che ci permette di posizionarci nella realtà, «il corpo è ciò in cui si inscrive il pensiero stesso e da cui prende avvio uno sguardo che non può mai essere disincarnato» (Timeto, 2008) [8]. Noi siamo in base al nostro corpo, non in una concezione biologica quanto esperienziale, poiché il corpo è «il luogo in cui si sovrappongono quelle determinazioni “materiali”, simboliche e sociali che partecipano alla strutturazione della soggettività» (Timeto, 2008) [9]

Nella memoria del corpo si ritrovano gli effetti dell’esperienza della discriminazione eteropatriarcale. Si tratta di una violenza che agisce tanto nella dimensione delle dinamiche quotidiane, linguaggio sessista, ricatto emotivo, svalorizzazione, colpevolizzazione, violenza psicologia o fisica, ma anche nelle norme statali, le limitazioni sull’uso di anticoncezionali e l’illegalità dell’aborto.

Fig. 1 Tus razones para abortar siempre serán las correctas. (FB Mujeres Creando)

In America Latina esistono molteplici collettivi e gruppi che si battono per rendere visibili discriminazioni, malesseri, ma anche passioni e affetti legati alle storie e alle resistenze locali, coniugando arte e attivismo. Alcuni di questi operano dagli anni Novanta, come il gruppo anarco-femminista Mujeres Creando, creato da María Galindo e Julieta Paredes (di discendenza aymara), all’epoca coppia nella vita affettiva e nell’attività politica, alle quali si integra dal primo momento anche Mónica Mendoza, a La Paz, Bolivia, nel 1992. Hanno iniziato la loro attività creando il Cafè Carcajada, un centro culturale femminista nel quartiere de Las Delicias, e facendolo divenire polo d’incontro e d’azione. Negli anni hanno attivato diverse iniziative, tra le quali la Despensa de la Abuela (distribuzione alimentare), il Panal de las Abejitas (biblioteca e luogo pedagogico per bambine e bambini) e creato laboratori dedicati alla salute, all’alfabetizzazione, oltre chè una rivista autofinanziata Mujer Pública (1995), che sostendendosi con la vendita in strada, le ha portate ad organizzare azioni teatrali e performance finalizzate al sostenimento della stessa, e una emittente radiofonica, Radio Deseo 103.3 fm,  trasformando quegli spazi in luoghi di applicazione della metodologia femminista comunitaria. 

Il movimento sociale [10], nonostante la sua scissione nel 2002  in due gruppi diversi, da una parte Mujeres Creando comunidad, fondata da Julieta Paredes, e dall’altra Mujeres Creando, portata avanti da María Galindo, continua ancora oggi a destabilizzare la società boliviana dando vita a dibattiti e interventi legati ai temi dell’autodeterminazione, della violenza etero-patriarcale, del lavoro sessuale, della difesa del territorio, della rivalutazione della cucina popolare e della visibilizzazione delle identità indigene. 

In un’operazione di destrutturazione di ogni forma di potere, le Mujeres Creando mirano alla de-patriarcalizzazione e quindi alla decolonizzazione della società. Come descrive María Galindo: 

«Nuestra acción política tiene un carácter histórico y subversivo para la sociedad boliviana. No es un conjunto de acciones lo que les estamos presentando, sino un conjunto de propuestas teóricas nacidas de la acción política en la calle; eso coloca el valor de las palabras en otro lugar. La propuesta de la despatriarcalización que lanzo nace en el sur del mundo y como parte de la lectura del proceso constituyente que vive la sociedad boliviana» (Galindo, 2014) [11]

Poiché, come spiega anche Julieta Paredes, il sistema patriarcale è: 

«El sistema de todas las opresiones, todas las explotaciones, todas las violencias, y discriminaciones que vive toda la humanidad (hombres, mujeres, personas intersexuales) y la naturaleza, históricamente construido sobre el cuerpo de las mujeres, es decir, un sistema de muerte» (Paredes, 2011) [12].

Le Mujeres Creando si definiscono come movimento autonomo, rispetto alle istituzioni pubbliche e private, e autogestito, femminista e anarchico, che si organizza nei termini della diversità:

«Locas, agitadoras, rebeldes, desobedientes, subversivas, brujas, callejeras, grafiteras, anarquistas, feministas, lesbianas y heterosexuales, casadas y solteras, estudiantes y oficinistas, indias, chotas, cholas, birlochas, señoritas, viejas y jóvenes, blancas y morenas, somos un tejido de solidaridades, de identidades, de compromisos, somos Mujeres Creando». 

Agiscono dal margine [13], dalla strada, con azioni e interventi diretti contro il machismo sociale. Nella loro cassetta degli strumenti la creatività e le forme artistiche non istituzionali rivestono un ruolo essenziale e il contesto callejero permette la realizzazione di atti di militanza politico-femminista. In quanto collaborazione tra pratiche di attivismo politico e articolazione di linguaggi artistici, le modalità dell’artivismo femminista che le Mujere Creando adottano, comprendono svariate tipologie e medium. Si passa dal graffitismo, alla performance, al teatro di strada, a forme di musicalità, incontri pubblici, presentazione di libri tra le altre.

«Las integrantes consideran que la creatividad es el instrumento más eficaz para la acción. Ocupan el espacio con sus acciones callejeras y sus grafiteadas (mixtura entre la escritura cursiva y la pintura mural), donde la palabra y el lenguaje se transforman en elemento de cambio para hablarle directamente al público. La provocación, el escándalo, la rebeldía y el uso propio de símbolos sacros son las armas de agitación y lucha por la despatriarcalización» (Alonso, 2020) [14]

Le grafiteadas sono uno dei principali strumenti di espressione creativa poetico-politica adottato dalle Mujeres Creando, si tratta di messaggi scritti direttamente sui muri della città di La Paz, concepiti come lavagne, visibili a chiunque passi in strada e per tale motivo pensati come portali comunicativi per ogni persona che transita nello spazio pubblico. La strada riveste un ruolo essenziale in Bolivia per le donne, come racconta Danitza Luna, un’altra delle integranti del gruppo: 

«La calle es el elemento por exelencia de la lucha social y además, en Bolivia, la calle se ha vuelto prácticamente un espacio de supervivencia para las mujeres. La calle es un espacio no regulado y para intervenir sobre el no hay que esgrimir ningúna sutileza creativa: o estás o no estás, o provoca o no provoca»

La creatività è lo strumento di elaborazione propositiva delle forme oppressive del patriarcato e il laccio per creare alleanze tra donne di diversa estrazione sociale, etnia, orientamento sessuale, abilità, professioni, età. Imprimere dei messaggi sui muri significa quindi rendere pubblici gli agenti delle ingiustizie, vuol dire assegnare nomi e denunciare apertamente chi opera violenza patriarcale. Nella creatività come forma di lotta trovano posto l’ironia, il sarcasmo, la rabbia e il piacere. Tutto ciò si fonde per sabotare l’apparato di produzione dell’immaginario collettivo che ha soggiogato storicamente le donne come soggetti minori e riprendere lo spazio dal quale erano state escluse. 

Per quanto riguarda l’estetica delle grafiteadas (grafiti+pintada), lo stile col quale espongono i loro messaggi è una fusione tra la scrittura corsiva e la pittura murale. L’idea di mantenere uno stile che ricordi il gesto della scrittura manuale serve come formula stilistica di distanziamento dalla comunicazione istituzionale e dai gruppi della sinistra rivoluzionaria che negli anni 80 avevano usato il graffitismo come mezzo di comunicazione politica. Rispetto ai graffiti usati dai gruppi della sinistra, che riflettevano nei caratteri retti e tendenzialmente cuadrados, «o derivadas del cuadrado» (Paredes, 1999) [15] il portato della struttura autoritaria dei partiti politici, le Mujeres Creando optano per una calligrafia elementare, che sembra estratta da una pagina di quaderno scolastico. Il riconoscimento della calligrafia manuale, eseguita con bomboletta spray o pennello, stimola la percezione di un nesso emotivo con le persone che vi passano davanti, puntando sulla confidenza e familiarità piuttosto che sull’imposizione dei messaggi. «Nosotras creemos que la forma expresa el contenido y que el contenido a su vez crea las formas» (Paredes, 1999) [16]

La prima volta che apparve un graffito firmato Mujeres Creando è stato nel 1993, tra le strade di un quartiere popolare di La Paz, tra un alimentari e la fermata del trasporto pubblico:

No quiero ser reina, no quiero ser magnífica, quiero ser libre y plebeya.

Da quel momento la pratica è andata avanti tappezzando i muri con frasi decise a interpellare la società in un processo di sovversione linguistica. Qui di seguito sono riportate alcune delle grafiteadas che negli anni sono apparse e che riassumono i concetti trattati fino a questo momento: 

 

No se puede descolonizar sin despatriarcalizar.
No soy originaria, soy original.
Mujer ni sumisa ni devota, libre, linda y loca.
Lucha ama a Victoria.
No saldrà Eva de la cultura de Evo.
No hay nada más parecido a un machista de derecha,
que uno de izquierda.
Desobediencia, por tu culpa
voy a ser feliz.
Ni Dios,
ni amo,
ni marido,
ni partido.
Para todos lo sistemas
de machos y fachos
la mujer es una puta.
Mueran los sistemas
vivan las putas.
Cuando una mujer ama
la tierra da además de
rotaciones y traslaciones, revoluciones.
El Príncipe azul no existe, el macho violento y posesivo sí.
Nuestros sueños son sus pesadillas.
Desde tu púlpito o tu palacio las leyes que dictas son un pecado
Ni la tierra ni las mujeres somos territorios de conquista [17]

 

In ognuna di queste poesie-politico visive si racchiudono le idee che sostengono il movimento sociale delle Mujeres Creando, dal rifiuto dell’autorità e della dipendenza da ideologie dominanti, siano esse religiose o politiche, (Né Dio, né padrone, né partito), l’identificazione del sessismo a prescindere dall’appartenenza politica, come sistema oppressivo da sradicare in ogni persona, tanto di destra quanto di sinistra (machista de derecha e izquierda), il rifiuto della narrazione dell’amore romantico (il principe azzurro non esiste), la lotta (la disobbedienza) come pratica che dà gioia, che serve a creare relazione e a uscire dal giogo delle dinamiche di oppressione. 

Fig.2 Mejor no gratas y rebeldes que sumisas y complacentes. (FB Mujeres Creando)

La pratica del graffitismo continua inoltre ad essere usata perché permette una larga ricezione a fronte di un minimo dispendio economico, per quanto riguarda il recupero dei materiali, e offre ai corpi storicamente esclusi dallo spazio urbano l’occasione di riappropriarsene e di incidere con messaggi provocatori e irriverenti nell’immaginario collettivo. Il graffitismo non necessita inoltre di aver appreso delle abilità artistiche specifiche che necessiterebbero studi appropriati, ciò lo rende eseguibile da mani diverse. Il graffitismo si può svolgere senza dover attendere una legittimazione da parte di spazi artistici ufficiali, si può praticare collettivamente e permette di ri-pensare il tessuto urbano come spazio proprio, rompendo la divisione tra privato e pubblico. 

La strada diventa estensione dello spazio domestico trasformandosi in scenario dove rendere socialmente visibile la voce delle donne e gridare (ormai non più tra quattro mura chiuse ma su muri attraversabili dallo sguardo di chiunque) parole di liberazione, di riappropriazione di sogni, corpi e felicità che ognuna dovrebbe poter vivere. 

Nelle grafiteadas convergono sentimenti diversi perché ciò che si scrive e si veicola come messaggio arriva dall’elaborazione di esperienze vissute in prima persona, perché:

«La aplastante violencia de lo cotidiano se revuelve y grita en las paredes de la ciudad; los muros son esa conciencia social modificada que hay que corromper» (González Mari, 2013) [18]. 

Esponendo pubblicamente una serie di messaggi poetici-politici, si cerca di arrivare a persone con le quali non si ha avuto un dialogo diretto ma con le quali idealmente e politicamente si vogliono creare alleanze ed estendere legami per mutare collettivamente la società.

Raccontare le esperienze quotidiane attraverso le grafiteadas significa usare il linguaggio come possibile strumento per la sovversione dell’ordine simbolico dominante, significa sovrapporre vita e arte, teorizzare il quotidiano e renderlo materiale creativo per la ribellione: 

«porque para nosotras el arte que no se compromete con la vida, no embellece la vida, solo la maquilla, la remienda o la decora, y lo que nosotras buscamos, con nuestro arte es embellecer la vida, la vida de cada día, dar ánimo y solidaridad a las mujeres que luchan contra el machismo, cuestionar a los varones en su complicidad con el sistema patriarcal, hacer reflexionar a las mujeres sobre temas que nos dan miedo como las dictaduras y la historia, apoyar a los varones que luchan contra el fascismo y la dictaduras, que cada loca y loco que cree en el amor, la justicia y la libertad no se sienta solo, que lea y nos sienta sus hermanas» (Paredes, 1999) [19].   

Fig.3 Nuestros graffitis son libertas su hipocresía es complicidad. (FB Mujeres Creando)

«Para ellas (Mujeres Creando) luchar se conjuga con amar, se conjuga con sentir y crear es por ello que el grafiti es un método, una forma o una estrategia de lucha» (Rosa, 2010) [20].

La pratica delle grafiteadas si sviluppa quindi sull’intersezione tra lotta politica, critica femminista comunitaria e poesia, e in essa si leggono sentimenti ed emozioni che ci attraversano quotidianamente e che guidano nella lotta antipatriarcale e decoloniale.

Note

[1] Espinosa Miñoso Y., Gómez Correal D., Ochoa Muñoz K. (editoras), Tejiendo de otro modo: Feminismo, epistemología y apuestas decoloniales en Abya Yala, Editorial Universidad del Cauca, 2014, nota 1, p.13
[2] Gargallo F., Feminismos desde Abya Yala. Ideas y proposiciones de las mujeres de 607 pueblos de Nuestra América, Editorial Corte y Confección, Ciudad de México, 2014, nota 9, p.23.
[3] Paredes J., Una sociedad en estado y con estado despatriarcalizador, Proyecto Fortalecimiento Democrático, Cochabamba, 2011, p.3.
[4] Rivera Cusicanqui S., Violencias (re)encubiertas en Bolivia, La Paz, Piedra rota, 2010.
[5] Galindo M., A despatriarcar! Feminismo urgente, Mujeres Creando 2014, p.136.
[6] Caballero B., Mujeres Creando. El cuidado como maniobra ecológica de re-existencia, in Arte y Políticas de Identidad, 21, 74–95.
[7] Antivilo Peña J., Ni victimxs, ni pasívxs, sí combativxs. Visualidades feministas, autorrepresentación de cuerpos en lucha, Revista Anales, Séptima serie. N°14, 2018, pp. 333-334.
[8] Citazioni presenti in De Maria C., “Soggettività di genere e differenza. La “materia” dei corpi, in Timeto F., Culture della differenza. Femminismo, visualità e studi postcoloniali,UTET, Torino, 2008, p. 31.
[9] Ibidem.
[10] «nosotras no somos un colectivo, somos un movimiento social, para nosotras la diferencia està en que un movimiento social tiene una propuesta, no somos un espacio de amigas, somos un espacio donde nos organizamos, nos auto-convocamos, somos mujeres autónomas, somos feministas y nos organizamos desde el concepto de la heterogeneidad. Es decir, mujeres diferentes, diversas juntas. Yo tengo una frase para decirlo que es: indias, putas y lesbianas, juntas, revueltas y hermanadas» Auto-definizione del movimento Mujeres Creando, parole di Julieta Paredes, in González-Mari X., Mujeres Creando. Sobre graffitis, pucheros y tablas de planchar, Ecléctica, Revista de estudios culturales, 2013, núm. 2, p.133-149, p.137.
[11] Galindo, 2014, op.cit., p. 138.
[12] In Mancosu P., Prospettive epistemiche decoloniali: il progetto di Mujeres Creando Comunidad, XXXVI Convegno Internazionale di Americanistica, Perugia, 6-13 maggio 2014, pp.693-697, p.694.
[13] «Nosotras trabajamos en los márgenes porque no creemos que el cambio se pueda lograr a través de un lugar de ejercicio de poder». Video
[14] Alonso R. (et.al), Mujeres en acción, Buenos Aires, Fundación Proa, 2020, p. 52.
[15] Paredes J., Grafiteadas, Ediciones Mujeres Creando, La Paz, 1999.
[16] Paredes, 1999, op.cit., p.4.
[17] Non si può decolonizzare senza de-patriarcalizzare. Non sono indigena (originaria), sono originale. Donna né sottomessa, né devota, libera, bella e folle. Lucha ama Vittoria. Eva non uscirà dalla cultura di Evo (Morales). Non c’è niente di più simile a un sessista di destra che uno di sinistra. Disobbedienza, per colpa tua sarò felice. Né Dio, né padrone, né marito, né partito. Per tutti i sistemi sessisti e fascisti la donna è una puttana. Che muoiano i sistemi, che vivano le puttane. Quando una donna ama, la terra dà oltre che rotazioni e traslazioni, rivoluzioni. Il Principe azzurro non esiste. Il sessista violento e possessivo sì. I nostri sogni sono i suoi incubi. Dal tuo pulpito o dal tuo palazzo le leggi che emetti sono peccati. Né la terra né le donne sono territori da conquistare. Traduzioni a cura dell’autrice.
[18] González-Mari X., 2013, op.cit., p. 142.
[19] Paredes, 1999, op.cit., pp.12-13.
[20] Rosa ML., En la piel de la ciudad y en el corazón de la institución. El grafiti como ejercicio de la libertad en Mujeres Creando, Carta. Revista de pensamiento y debate del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, N°1, primavera-verano 2010, pp.9-10.

Bibliografia

Alonso Rodrigo (et.al), Mujeres en acción, Buenos Aires, Fundación Proa, 2020.
Antivilo Peña Julia, Ni victimxs, ni pasívxs, sí combativxs. Visualidades feministas, autorrepresentación de cuerpos en lucha, Revista Anales, Séptima serie. N°14, 2018.
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Espinosa Miñoso Yuderkis, Gómez Correal D., Ochoa Muñoz K. (editoras), Tejiendo de otro modo: Feminismo, epistemología y apuestas decoloniales en Abya Yala, Editorial Universidad del Cauca, 2014.
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Gargallo Francesca, Feminismos desde Abya Yala. Ideas y proposiciones de las mujeres de 607 pueblos de Nuestra América, Editorial Corte y Confección, Ciudad de México, 2014.
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Rivera Cusicanqui Silvia, Violencias (re)encubiertas en Bolivia, La Paz, Piedra rota, 2010.
Rosa María Laura, En la piel de la ciudad y en el corazón de la institución. El grafiti como ejercicio de la libertad en Mujeres Creando, Carta. Revista de pensamiento y debate del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, N°1, primavera-verano 2010.
Sanchez Acevedo Ana, Para una práctica plebeya (¿de la performance?): María Galindo y Mujeres Creando, Cuadernos del CILHA, n° 35, 2021.

Giorgia Pinzauti, storica dell’arte e ricercatrice indipendente, al momento a Bologna. Laureata in Arti Visive con la tesi Forme grafiche di artivismo femminista in Argentina. Il caso studio delle Mujeres Publicas. Le mie ricerche si svolgono principalmente nei campi dei femminismi, dell’attivismo politico e della militanza artistica, in particolare nel contesto sudamericano.