§Graphic Realities
Ostinata e contraria: la nona arte in Turchia
di Valentina Marcella
  1. Il fumetto turco ieri e oggi

La Turchia vanta una lunga tradizione di fumetti e graphic novel. Infatti, l’arte sequenziale ha attraversato la storia della Turchia repubblicana fin dalle sue origini. Una prima data fondamentale nella storia del fumetto turco è il 1928. La repubblica era stata proclamata appena cinque anni prima e da allora il suo fondatore, Mustafa Kemal Atatürk, aveva iniziato a promuovere una serie di riforme volte a modernizzare il Paese in chiave occidentale e ad abbandonare ogni retaggio dell’ormai decaduto Impero ottomano in favore del neonato Stato-nazione. Una di queste riforme, la più drastica secondo alcuni storici (tra questi Zürcher, 2004, p. 188), sancì l’abbandono dell’alfabeto ottomano a vantaggio di quello latino. La riforma venne annunciata ufficialmente nell’agosto del 1928 e nel novembre dello stesso anno una legge impose l’adozione del nuovo alfabeto a partire dal primo giorno dell’anno successivo. Nel breve periodo tra la promulgazione della legge e la sua attuazione, a fine dicembre 1928 vide la luce Çocuk Sesi (La voce dei bambini), di fatto la prima rivista per bambini ad adottare il nuovo alfabeto.

Il passaggio all’alfabeto latino fu rapido ma non indolore. Nello smarrimento iniziale originato da un cambiamento di tale portata, le immagini acquisirono un ruolo centrale nell’aiutare i lettori a riorientarsi; di conseguenza, in questa fase l’elemento visivo divenne preponderante nei quotidiani e nelle riviste. Come argomentato altrove (Marcella, 2018), in alcuni casi le illustrazioni non si limitarono ad accompagnare i testi redatti nel nuovo alfabeto ma contribuirono attivamente all’assimilazione di quest’ultimo.

Non c’è quindi da stupirsi se Çocuk Sesi, oltre ad esser stata la prima rivista per bambini scritta in caratteri latini, detiene anche il primato di rivista che nel periodo immediatamente successivo alla riforma dell’alfabeto contribuì più attivamente alla diffusione delle storie a fumetti. Dalla minuziosa ricostruzione a opera di Levent Cantek (1996), uno dei massimi esperti di fumetto turco, si evince infatti che nella prima metà degli anni Trenta Çocuk Sesi fu la rivista dei fumetti per antonomasia, la rivista che più di ogni altra diede spazio tanto alle storie a fumetti locali quanto a quelle straniere. Negli anni successivi e fino alla sua chiusura nel 1948, fu affiancata in questa duplice missione da altri periodici anch’essi indirizzati ai più giovani, su tutti Afacan (Dispettoso) e Çocuk Haftası (La settimana dei bambini).

Eppure tra i primi fumetti turchi non si annoverano solo esempi per bambini e ragazzi. Destinato a un pubblico adulto, nel 1929 nasceva dalla matita di Cemal Nadir il personaggio Amcabey (Amcabey) [1]. Cemal Nadir – o “il Walt Disney turco”, come viene ricordato – occupa un ruolo di rilievo nella storia del fumetto e congiuntamente della satira in Turchia. Negli anni Venti fu il primo illustratore ad essere assunto da un quotidiano in qualità di vignettista, sancendo il riconoscimento di questo mestiere e la divisione di ruoli tra scrittori e illustratori. Occorre infatti precisare che prima di allora l’illustrazione era ritenuta una forma espressiva collaterale nella stampa e a cimentarvisi erano gli stessi letterati che contribuivano ai quotidiani e alle riviste in forma scritta.

Akşam (Sera), il quotidiano a cui si deve la formalizzazione della professione di illustratore, fu lo stesso in cui debuttò Amcabey. Tre anni dopo la sua prima apparizione, le avventure di questo personaggio furono raccolte nell’album Amcabey’e Göre (Secondo Amcabey). Sebbene questo non fosse il primo esperimento di Cemal Nadir con l’arte sequenziale, gli esperti concordano nel reputarlo il primo veramente significativo (Cantek, 1996, p. 311; Öngören, 1998, 133).

L’opera di Cemal Nadir spazia dalle vignette satiriche alle storie a fumetti e ai disegni animati, passando per la calligrafia e la pittura di insegne. Questa visione poliedrica della propria professione lo accomuna a molti artisti sia coevi che successivi. In particolare il dedicarsi parallelamente al fumetto e alle vignette satiriche è una tradizione che si è tramandata fino al presente e in molti casi i grandi nomi che hanno fatto la storia della satira grafica sono al contempo i protagonisti della storia del fumetto turco. Tra le molte matite illustri vale la pena citare Selma Emiroğlu, ufficialmente la prima donna a svolgere questa professione, a partire dagli anni Quaranta; Turhan Selçuk, la cui lunga e intensa carriera vanta anche una collaborazione italiana, con il settimanale umoristico Il Travaso delle Idee negli anni Cinquanta [2]; e Oğuz Aral, che negli anni Settanta creò una vera e propria scuola dalla quale provengono molti nomi di punta del panorama attuale [3].

Malgrado lo scopo di questo articolo non consenta di approfondire ulteriormente l’origine e l’evoluzione del fumetto turco, questi brevi cenni storici suggeriscono la sua importanza, varietà e apprezzamento. Senza dubbio nei suoi 99 anni la Repubblica di Turchia ha sviluppato una vastissima produzione fumettistica, dalla quale ieri come oggi emergono artisti che godono di fama internazionale. Oltre al già citato Turhan Selçuk, basti menzionare tra i contemporanei Ersin Karabulut, i cui lavori esportati in Francia dalle case editrici di fumetti Fluide Glacial e Dargaud stanno riscuotendo un enorme successo nel pubblico francofono. Ancor più emblematico è il caso di Özge Samanci, artista e accademica di stanza in Illinois che ha pubblicato il suo primo graphic novel, Dare to Disappoint: Growing Up in Turkey, direttamente in lingua inglese per la casa editrice newyorkese Farrar Straus Giroux. Solo successivamente l’autrice ha deciso di riscriverlo nella sua lingua madre, consegnandolo ai suoi connazionali con il titolo omonimo Bırak Üzülsünler: Türkiye’de Büyümek per mezzo della prestigiosa casa editrice İletişim [4].

  1. L’elemento politico nel fumetto turco

Il fumetto è politico per definizione? Il dibattito che scaturisce da questa domanda vede da sempre esperti, studiosi e intellettuali confrontarsi in maniera accesa. Lungi dal voler fornire in questa sede una risposta semplice a questa questione complessa, ci limiteremo a sottolineare che la storia del fumetto turco è costellata di esempi che in maniera più o meno esplicita alludono, commentano, riflettono, criticano aspetti della società e della politica. Ciò è vero fin dai tempi di Amcabey e negli anni la gamma di personaggi e codici narrativi è andata ampliandosi sempre più [5].

Lo studioso Can Yalçınkaya, esperto di fumetto e fumettista a sua volta, osserva che nei fumetti degli ultimi 30-40 anni la politica è emersa dal sottotesto alla superficie (Yalçınkaya, 2015, p. 6). Partendo da questa constatazione generale, la disamina del caso turco permette di individuare più recentemente un ulteriore punto di svolta. Infatti, nella produzione dell’ultimo decennio l’elemento politico ha assunto nuove, diversificate connotazioni, inserendosi non solo in superficie ma distintamente al centro dei contenuti e, prima ancora, degli intenti di una serie di novità editoriali. A contribuire a questa svolta sono non solo i fumettisti di professione ma anche altri attori politici, quali giornalisti, accademici, artisti e attivisti. Questi nuovi attori sono inconfutabilmente accomunati da una profonda conoscenza del Paese e da una visione impegnata. Alcuni risiedono in Turchia e altri all’estero, e mentre alcuni dei lavori in questione sono stati pubblicati all’interno del Paese, la maggior parte ha visto la luce altrove.

In virtù delle caratteristiche qui solo succintamente delineate, che saranno oggetto di approfondimento nelle prossime sezioni, sarebbe impreciso definire i titoli di questa nuova tendenza come parte della produzione fumettistica turca tout court. Al contrario, appare più appropriato parlare di lavori concernenti la Turchia. Ad ogni modo, al di là delle definizioni e categorizzazioni generiche, i lavori che contribuiscono a questo nuovo trend presentano delle specificità che meritano di essere analizzate.

  1. “Niente sarà più come prima”: il fumetto dopo Gezi

Che questa tendenza sia emersa nell’ultimo decennio non è un caso. A fine maggio 2013 una protesta scoppiata in difesa del parco urbano Gezi a Istanbul si è estesa nel giro di pochi giorni a tutto il Paese, trasformando la piccola mobilitazione ambientalista in una contestazione antigovernativa su scala nazionale. La protesta è proseguita tutta l’estate, assumendo di volta in volta nuove forme in reazione alla repressione governativa. Diventata la protesta di massa più grande della storia della Turchia, già nei primi giorni era chiaro ai più che quell’esperienza avrebbe costituito uno spartiacque nella cultura politica, dell’attivismo e della militanza nel Paese. Per dirlo con uno slogan dell’epoca, “niente [sarebbe stato] più come prima” (artık hiçbir şey eskisi gibi olmayacak).

A posteriori, è possibile affermare che questo slogan si confà anche al campo del fumetto. Fumetti e vignette sono stati tra i protagonisti indiscussi della cosiddetta “estate di Gezi”, dando un contributo significativo soprattutto in chiave satirica (Carney e Marcella, 2017). Ma ciò che è più rilevante in questa argomentazione sono due pubblicazioni ultimate in seguito, rispettivamente nel 2014 e nel 2015.

Il primo è un graphic novel a doppia firma, scritto dal giornalista Erkan Yıldız e illustrato da Arda Güler. Degna di nota è, innanzitutto, la casa editrice che ha pubblicato questo lavoro. Difatti Yazılama, questo il nome, è vicina al Partito Comunista di Turchia (TKP) e dedita alla pubblicazione di opere sul pensiero politico, prevalentemente sul pensiero di sinistra.

La scelta della casa editrice è solo uno degli elementi che permettono di inquadrare fin da subito questo lavoro come un graphic novel dissidente. In copertina è raffigurato a tutta pagina un manifestante che indossa una maschera antigas, elemento imprescindibile per chi alla protesta ha partecipato in prima linea esponendosi ai gas lacrimogeni della polizia. Il titolo è ancora più esplicito: #isyan ovvero “#rivolta”, uno degli hashtag più ricorrenti durante questa protesta che, come molte altre nell’era digitale, è stata portata avanti unitamente in piazza e attraverso i social media. Inoltre, il libro è dedicato alle 8 vittime che a Gezi hanno perso la vita sotto il fuoco della polizia o per mano “ignota”.

Il tempo di #isyan si colloca nel periodo successivo a Gezi, quando centinaia di manifestanti sono finiti sotto processo. La narrazione si concentra su alcuni personaggi giovani e meno giovani che si trovano in tribunale “rei” di essersi uniti alla protesta in varie città. A turno li vediamo rispondere alle domande dei giudici e gli interrogatori danno luogo a diversi flashback sulla protesta, con rappresentazioni realistiche di momenti che sono tuttora ben impressi nella mente di chi all’epoca ha partecipato o seguito gli eventi da vicino.

Copertina del graphic novel #isyan di Erkan Yıldız e Arda Güler; illustrazione di Arda Güler; © Yazılama Yayınevi.

Dalle risposte che i protagonisti forniscono ai giudici è evidente che hanno partecipato a Gezi spinti da ideali di giustizia e solidarietà. Dai flashback emergono chiaramente il carattere pacifico della protesta e, parallelamente, le reazioni smisurate della polizia. Alla domanda se siano pentiti di aver partecipato, tutti gli interrogati rispondono di no, confermando coraggio e alta statura morale. In breve, attraverso questi processi #isyan difende le modalità e le istanze della protesta contro le accuse faziose mosse nel mondo reale dagli ambienti vicini al governo e in primis dall’allora premier Recep Tayyip Erdoğan. Come si legge nella quarta di copertina, #isyan è un piccolo tassello della grande storia scritta quell’estate.

Simile nell’intento ma decisamente diverso per genesi e contenuti è il secondo titolo nato dall’esperienza di Gezi. Resist Comics: Scenes from the Gezi Resistance è un’antologia curata dal già citato Can Yalçınkaya, frutto di un lavoro collettivo concepito nello spirito del do it yourself e realizzato grazie a un finanziamento dal basso. Come spiegato nella prefazione (Yalçınkaya, 2015, p. 6) e sulla pagina web del crowdfunding (Yalçınkaya, 2014), il progetto affonda le radici nei primi giorni di Gezi quando Yalçınkaya, che vive in Australia, decide di partecipare alla protesta pur nell’impossibilità di unirsi ai manifestanti di persona. Insieme ad altri 29 tra accademici, traduttori, artisti, critici e scrittori di stanza in Australia, Francia, Germania e Turchia, decide di contribuire per mezzo del fumetto.

L’idea iniziale è quella di realizzare delle strisce da far circolare online, ma in un secondo momento il collettivo opta per una soluzione più permanente, che resti nel tempo a testimonianza di un capitolo così importante della storia turca. Da qui l’antologia, che esce sia in inglese che in turco (con il titolo equivalente Diren Çizgi Roman: Gezi Direnişinde Çizgiler), rispettivamente autopubblicata in Australia e affidata alla casa editrice Esen in Turchia.

Copertina dell’antologia Resist Comics: Scenes from the Gezi Resistance a cura di Can Yalçınkaya; illustrazione di Okan Bülbül; © Okan Bülbül.

Significativamente, come #isyan anche Resist Comics dedica la copertina ai protagonisti in prima linea, ritraendo una giovane manifestante che indossa la maschera antigas e tiene tra le mani un albero, simbolo del parco dove la protesta ha avuto inizio. Al suo interno l’antologia gioca con più registri, alternando testi scritti, illustrazioni singole e storie a fumetti. Queste ultime costituiscono il corpus principale e una di queste si sviluppa a episodi lungo tutto il libro.

Le parti scritte appaiono come una sorta di punto di riferimento generale. In particolare, la timeline ripercorre i fatti salienti della protesta, partendo non dai suoi primi giorni bensì dagli antefatti dei due anni precedenti. E il glossario finale, che ospita anche note esplicative e traduzioni di, ad esempio, scritte sui muri che compaiono nei fumetti, fornisce la chiave per comprendere a pieno le storie illustrate, soprattutto per chi ha meno familiarità con la Turchia e con le vicende di Gezi (non a caso è presente solo nell’edizione inglese). Questi testi dimostrano che Resist Comics intende arrivare ai lettori in maniera profonda ed essere più di un prodotto di intrattenimento.

A realizzare fino in fondo questi intenti sono tuttavia i fumetti. Le storie propongono una grande varietà di personaggi, trame, stili e linguaggi. Ci portano a Istanbul, prevedibilmente, ma anche ad Ankara e Adana; nel passato, all’estate di Gezi, ma anche in un futuro distopico. Ci presentano, per citarne solo alcuni, giovanissimi manifestanti coraggiosi, barbieri con le idee confuse sulle notizie riportate dalla stampa, gruppi punk che clandestinamente organizzano la resistenza, amori che a Gezi nascono e cuori che si infrangono. Infine, questi fumetti raccontano Gezi dalle prospettive più inaspettate, non ultima quella del peperoncino urticante usato contro i manifestanti. Nel loro complesso le caratteristiche qui esposte fanno di Resist Comics un caso unico, nel contesto turco, nel coniugare fumetto e attivismo in una visione collettiva.

  1. “Non è facile essere curdi”, o il fumetto come rivendicazione identitaria

La centralità dell’elemento politico nel fumetto concernente la Turchia non è rimasta confinata all’esperienza di Gezi e in anni più recenti altre novità editoriali hanno dato prova di come l’arte sequenziale possa diventare il mezzo per rivendicazioni politiche più ampie.

L’asserzione dell’identità curda è elemento fondamentale nel graphic novel Prigione N°5 e prima ancora nella vicenda della sua autrice. Zehra Doğan, artista e giornalista curda, co-fondatrice dell’agenzia di stampa di sole donne Jinha chiusa forzatamente nel 2016, è stata arrestata nello stesso anno dopo aver pubblicato su Twitter un suo disegno che ritraeva la distruzione per mano dell’esercito turco della città a maggioranza curda di Nusaybin, dove era arrivata in qualità di giornalista alla fine del 2015 restando bloccata per 5 mesi per via del coprifuoco. Rilasciata dopo 141 giorni, nel 2017 è stata nuovamente arrestata e condannata a 2 anni, 9 mesi e 22 giorni, che ha scontato nelle carceri di Diyarbakır e Tarsus, facendo così esperienza (a 28 anni) di due degli istituti penitenziari più critici quanto a trattamento dei detenuti e in particolare di quelli curdi.

Dal carcere Doğan approfitta di una delle poche concessioni che le vengono fatte, ovvero intrattenere un carteggio con l’amica giornalista Naz Öke, chiedendo a quest’ultima di scriverle sempre con la stessa carta e di occupare un solo lato del foglio. Sull’altro, lei stessa comincia a disegnare nonostante le regole carcerarie lo vietino, dunque di nascosto e con materiali di fortuna. Sfidando ulteriormente i divieti riesce a far arrivare le illustrazioni a Öke. Dopo la scarcerazione, questi frammenti di arte clandestina vengono ricomposti in Prigione N°5 e Prison N°5. Infatti il graphic novel esce contemporaneamente in Italia e in Francia, per BeccoGiallo, che pubblica libri a fumetti d’impegno civile, e oltralpe per Delcourt, altra casa editrice di fumetti.

Copertina del graphic novel Prigione N° 5 di Zehra Doğan; illustrazione di Zehra Doğan; © BeccoGiallo Editore.

Prigione N°5 è la testimonianza dell’esperienza carceraria dell’autrice. Partendo dagli antefatti che l’hanno condotta a Nusaybin ripercorre il suo arresto, la paura di come sarà accolta dalle compagne di cella e la sorellanza che non tarda a manifestarsi. Doğan ci proietta nella realtà della prigione mostrando la quotidianità e i piccoli atti di resistenza, ma anche il sovraffollamento, la negligenza nei confronti delle detenute con problemi di salute, i trasferimenti forzati, il dramma dei piccoli figli delle detenute che crescono in carcere insieme alle madri.

A più riprese, partendo dal proprio vissuto e da quello delle sue compagne di cella, Doğan allarga lo sguardo sulla questione curda a livello più ampio. “Non è facile essere curdi”, si legge nelle prime pagine (Doğan, 2021, p. 15). E infatti il racconto non manca di toccare alcuni degli aspetti più dolorosi della storia dei curdi in Turchia, quali gli arresti di massa all’indomani del colpo di Stato del 1980, le tristemente note torture nel carcere di Diyarbakır (lo stesso dal quale disegna lei), gli scioperi della fame e i suicidi come atti estremi di protesta, i desaparecidos e l’instancabile lotta per la verità portata avanti dai loro familiari.

Prigione N°5 riesce pertanto a essere un atto di disobbedienza e resistenza a più livelli. Il narrato é il vissuto, ma anche e soprattutto il piano individuale si interseca con quello collettivo. Attraverso queste molteplici dimensioni questo graphic novel partecipa alla lotta per il riconoscimento e rispetto dell’identità curda, indubbiamente, ma anche per la libertà dei prigionieri politici e più in generale per la libertà di espressione e di opinione [6].

  1. Can Dündar, dal giornalismo “classico” al graphic journalism

Se nell’affidare al fumetto il racconto della propria esperienza Zehra Doğan ha coniugato due elementi già propri della sua identità professionale – arte e giornalismo -, più inaspettata è stata la decisione di ricorrere all’arte sequenziale da parte del noto giornalista Can Dündar.

Pluripremiato giornalista e documentarista, Dündar è l’ex direttore del quotidiano dell’opposizione laica kemalista Cumhuriyet (Repubblica). Nel novembre 2015 è stato arrestato (insieme al collega Erdem Gül) in seguito alla pubblicazione di un’inchiesta sul trasporto illegale di armi in Siria da parte dell’intelligence turca, accusato di spionaggio e additato pubblicamente da Erdoğan come “traditore della patria”. Rilasciato tre mesi dopo, è stato vittima di un tentato omicidio e attualmente vive in esilio in Germania.

In carcere Dündar non ha mai smesso di scrivere, in nome della giustizia e della libertà di stampa; nel 2016 questi scritti sono diventati il libro Tutuklandık (Siamo stati arrestati) [7]. Con la missione di continuare a difendere il diritto all’informazione libera anche in esilio, in Germania Dündar ha fondato il giornale indipendente online dall’eloquente titolo #özgürüz, (#siamoliberi). Nel 2021 #özgürüz è diventato un progetto più ampio con il lancio della casa editrice #ÖZGÜRÜZPress, che si propone di “far arrivare in ogni angolo del mondo i libri che si è tentato di cancellare dalla faccia della terra” (Dündar, 2021, p. 319). A inaugurare la casa editrice è stato il graphic novel Erdoğan, scritto dallo stesso Dündar e illustrato da Mohamed Anwar, artista egiziano-sudanese che con il giornalista turco condivide lo status di esule politico in Germania da quando nel 2019 è stato arrestato e poi estradato dall’Egitto [8].

Copertina del graphic novel Erdoğan di Can Dündar e Anwar; illustrazione di Anwar; © CORRECTIV.

Erdoğan ripercorre l’ascesa politica del presidente turco, ricostruendo la traiettoria che dietro la facciata dell’Islam moderato ha permesso a Erdoğan di diventare il nuovo “sultano” della Turchia. Significativamente, nella prima di copertina Anwar ritrae Erdoğan a mezzo volto mentre l’altra metà è affidata alla quarta e qui il presidente appare con indosso un turbante. A parte questa interpretazione, ben poco è lasciato alla finzione: Erdoğan è un’opera che si colloca a metà strada tra il fumetto biografico e il graphic journalism e a dominare è il reale. Sia la prefazione (Dündar, 2021, pp. 8-14), anch’essa in forma di graphic novel, che una nota finale (Dündar, 2021, pp. 314-315), svelano aspetti della sua realizzazione dai quali emerge un grande rigore scientifico. Si legge che Dündar ha attinto a fonti giornalistiche, d’archivio, dichiarazioni di Erdoğan e testimonianze di figure a lui vicine, incrociando i dati ed escludendo le informazioni non confermate. Con altrettanto rigore, per le illustrazioni Anwar si è basato su immagini di repertorio.

Dopo una lavorazione durata 3 anni e mezzo, oltre 300 pagine ricostruiscono la biografia del protagonista partendo dalla sua nascita e passando per la carriera calcistica poi abbandonata in favore della politica. La lunga e tortuosa ascesa al potere di Erdoğan è narrata con dovizia di particolari, senza tralasciare scandali insabbiati e in parte dimenticati. Allo stesso tempo la voce narrante non è una voce giudicante – a tale proposito nella prefazione Dündar puntualizza lo sforzo fatto per restare oggettivo senza cedere alla rabbia (Dündar, 2021, p. 12). A parlare sono i fatti e il giudizio è lasciato ai lettori.

Conclusioni

Si è visto che il fumetto in Turchia ha una storia ricca e dinamica, caratterizzata fin dalle sue origini da autori illustri e punti di svolta rilevanti. Sebbene il fumetto sia da sempre legato alla storia politica e culturale del Paese, soffermandoci su alcuni titoli si è visto come questo legame si sia rafforzato in maniera indissolubile nell’ultimo decennio con pubblicazioni dichiaratamente in opposizione al potere egemonico. Prima che nei contenuti, il carattere politico di questa nuova tendenza risiede nell’autorialità, non più limitata ai fumettisti in senso stretto. E prima ancora, risiede nella persecuzione politica subita da questi autori: come cittadini, come intellettuali e artisti, o come membri di una collettività della quale decidono di farsi portavoce. Il fatto che artisti, giornalisti e accademici si affidino alla nona arte dimostra la capacità di quest’ultima di elevarsi ad arte impegnata anche nel contesto turco, e di creare nuovi spazi di resistenza nonostante il – o, è il caso di dire, proprio in virtù del – contesto sempre più repressivo.

Note

[1] Il nome “Amcabey” è composto da amca (zio) e bey (signore), la sua traduzione letterale sarebbe dunque “Signor zio”. La combinazione di questi due appellativi, che coniugano registro formale e familiare, denota insieme rispetto e affetto.
[2]La genesi della collaborazione di Turhan Selçuk con Il Travaso delle Idee è indagata in Marcella, 2022.
[3] Sul progetto editoriale di Oğuz Aral di quegli anni si rimanda a Marcella, 2021.
[4] Per un’analisi del graphic novel di Samanci si veda Marcella, 2017.
[5] Si veda ad esempio lo studio di Pierre Hecker (2022) sull’elemento non religioso e blasfemo nel fumetto turco e sul suo significato nel contesto del conservatorismo islamico.
[6] Per approfondimenti su Zehra Doğan si rimanda agli scritti di Elettra Stamboulis (tra cui 2018; 2021), curatrice di diverse iniziative che hanno visto l’artista curda protagonista in Italia, non ultima la mostra Zehra Doğan – Avremo anche giorni migliori. Opere dalle carceri turche (Brescia, novembre 2019 – marzo 2020).
[7] L’anno dopo Tutuklandık è uscito anche in Italia, con il titolo Arrestati per Nutrimenti edizioni nella traduzione dal turco di Giulia Ansaldo.
[8] È di prossima uscita l’edizione italiana Erdoğan. Il nuovo sultano, anche questa tradotta dal turco da Giulia Ansaldo per Nutrimenti edizioni.

Bibliografia

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Valentina Marcella è una studiosa della Turchia contemporanea, ricercatrice e docente presso l’Università di Napoli L’Orientale, co-fondatrice dell’associazione culturale Kaleydoskop – Turchia, cultura e società e del progetto editoriale omonimo. I temi principali della sua attività scientifica e divulgativa riguardano il genere satirico, fumetto e graphic novel, il rapporto tra cultura e potere e le relazioni Italia-Turchia. È autrice del volume Laughing Matters: Graphic Satire Reckoning with the 1980 Coup in Turkey (IPOCAN, Roma 2022).