TACTILE EYES – HAPTIC VISUALITY
In superficie: lo spazio aptico
di Giuliana Bruno

In superficie: lo spazio aptico1

“Che cos’è, oggi, un’immagine per gli studi visuali?” Per me l’oggetto degli studi visuali non è (solo) l’immagine. Ciò che mi sta a cuore non è semplicemente visuale, bensì tangibile, spaziale e ambientale: vale a dire, materiale. Dovrei dunque riformulare la domanda e chiedere: “Che posto occupa la materialità nel mondo virtuale in cui oggi viviamo?” Per misurarci con la materialità, suggerisco di pensare alle superfici piuttosto che alle immagini e di esplorare i tessuti del visivo e la tensione sulla superficie dei media. Fautrice di un nuovo materialismo, propongo di compiere atti critici che indaghino la superficie, focalizzandosi in particolare sulla superficie dello schermo e mobilitando l’ampio potenziale di espressione materiale che caratterizza gli “schermi” dei diversi media.
….. Sostengo da tempo che, per capire la spazialità concreta delle arti visive, le loro mobili, abitabili sedi, e l’esperienza intima che esse offrono allorché percorriamo gli spazi pubblici che le ospitano, è necessaria una diversa messa a fuoco, un passaggio dall’ottico all’aptico.2 L’aptico, modalità relazionale derivante dal senso del tatto, è ciò che rende “capaci di entrare in contatto con” le cose. Questo mutuo contatto fra noi e gli oggetti o gli ambienti avviene sulla superficie. È grazie a questo contatto epidermico, “superficiale”, che comprendiamo l’oggetto artistico e lo spazio dell’arte, trasformando il contatto nell’interfaccia comunicativo di un’intimità pubblica.
….. Ecco perché preferisco parlare di superfici piuttosto che di immagini: per sperimentare come il visuale si manifesti materialmente nella superficie delle cose, dove il tempo diventa spazio materiale. Scavando negli strati delle immagini mentali e insinuandosi attraverso le loro superfici, l’intreccio teorico dei materiali da me proposto mette in evidenza le strutture reali del visuale: lo stato della superficie, la sua apparenza esteriore e il supporto nonché la collocazione dell’opera, tela, parete o schermo che sia. Mi interessa in particolare quello che potremmo chiamare il fenomeno del “diventare schermo”, vale a dire il gioco della materialità portata insieme alla luce su diversi schermi intersecati, e dare veste teorica all’assunto che il tessuto reale dello schermo è uno spazio-superficie materiale. Mi interessano altresì i modelli migratori di questi costrutti visuali, di cui mi preme tracciare la storia materiale e la geografia mutevole. Così facendo, intendo ripensare la materialità e mostrare quanto pesi la superficie nei tessuti del visuale.

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IL PESO DELLA SUPERFICIE NEI TESSUTI VISUALI

In quest’epoca di virtualità, caratterizzata da una rapida trasformazione di media e materiali, che ruolo può avere la materialità? In che modo si modella nelle arti o si manifesta nella tecnologia? È possibile ridisegnarla? Sono convinta che la materialità non riguardi i materiali, bensì la sostanza delle relazioni materiali. Pertanto, al fine di aprire uno spazio teorico che consenta di re-inventarla, voglio esaminare anzitutto in che modo la superficie medi le relazioni materiali.
….. Suggerendo che la nostra attenzione si rivolge alla superficie e si misura con le pieghe e le increspature che formano il tessuto del visuale, desidero al riguardo seguire quella che Gilles Deleuze chiama “texturologia”, una concezione filosofica e estetica dell’arte in cui “la materia è rivestita, ove ‘rivestita’ sta a indicare… il tessuto stesso o la veste, la texture che avvolge”.3 Compiere questo spostamento strutturale significa individuare quello che potremmo definire l’involucro “modellante” dell’immagine e insinuarlo nei diversi media.
….. Ciò richiede che pensiamo alle immagini nella loro materialità, in altre parole che le vediamo come texture, tracce o addirittura macchie. Il testo visivo è fondamentalmente una struttura dotata di consistenza, e lo è in tanti e diversi modi. La sua forma ha una sostanza reale. È fatta di piani e tessuti. Contiene strati, sedimenti e depositi. È costituita come un’impronta, che lascia sempre una traccia dietro di sé. Un testo visivo è una struttura dotata di consistenza anche per i modi in cui riesce a mostrare le trame della storia, sotto forma di rivestimento, di “film” o di macchia. Si può dire che un testo visivo è addirittura in grado di indossare la propria storia, inscritta come un’impronta nella grana della propria superficie. Ed è altrettanto capace di mostrare delle emozioni. Dopo tutto, il moto stesso di un’emozione può essere tracciato sulla superficie, nella forma di una linea o nello spessore aptico di un pigmento, oppure rivelato da una carrellata. Di fatto un’emozione è portata sulla superficie facendola scorrere nel tempo sotto forma di macchie residuali, tracce e consistenze. Nella cultura visuale la superficie ha peso e profondità.
….. Per capire la materialità abbiamo quindi bisogno di esporre l’opera della superficie e di mostrare come vi si manifestano gli elementi strutturali. Sondando la profondità delle superfici che circondano la cultura visuale, possiamo osservare altresì quanto profondamente esse ci avvolgono. Nel rasentare la superficie possiamo non soltanto intrecciare i filamenti dell’esistenza visuale esponendo le loro tracce in strati di esperienza, ma anche rintracciare modelli di trasformazione. La superficie ha peso soprattutto in quanto sito in cui possono avere luogo differenti forme di mediazione, trasmissione e trasformazione.

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LA TENSIONE ALLA SUPERFICIE DEI MEDIA: SCHERMO, TELA, PARETE

Allorché le immagini attraversano la superficie di diversi media, ha luogo una trasformazione materiale.
….. Molti cambiamenti derivanti dalla migrazione delle immagini avvengono sulla superficie e si manifestano strutturalmente sotto forma di una sorta di tensione della superficie, che incide sulla stessa “pelle” delle immagini e sullo spazio della loro diffusione. In tal senso sostengo che gli incontri estetici sono di fatto “mediati” sulla superficie e che questi incontri mediati impiegano forme di proiezione, trasmissione e trasmutazione.
….. Facciamo qualche esempio per rendere più concreto questo aspetto della fabbricazione del visuale e della sua relazione con la tensione della superficie. Nell’architettura contemporanea, come dimostra il lavoro di Herzog & de Meuron, le facciate degli edifici sono usate come superfici. Più duttili e leggere, queste superfici possono essere ravvivate da giochi di luce, decorate come se fossero delle tele, tese come membrane e trattate sempre di più come involucri.4 Anche nell’arte contemporanea questa tensione della superficie si è manifestata come una forma strutturale di modellamento dell’immagine e, come concetto, sta guidando uno sviluppo estetico che enfatizza l’abbigliamento dello spazio visuale.5 Questo ammantamento delle superfici è un fenomeno importante, che arte e architettura condividono con il cinema. Pensate al cinema di Wong Kar-wai, dove le forme atmosferiche delle immagini sono cucite sulla superficie in modelli visuali sartoriali. Siamo di fronte a una densa superficie galleggiante, nella quale si avverte la sostanza della luce e il tessuto del colore, enfatizzati dalle pieghe visive del montaggio che a sua volta crea volume e profondità, grana e granularità: l’effetto finale è che i residui e la sedimentazione appaiono conservati nella superficie satura. Non vediamo quasi mai chiaramente attraverso il tessuto di questo schermo, perché i tanti rivestimenti e le svariate superfici planari sono fatti di materiali diversi e poi ripiegati l’uno sull’altro. Gli strati da attraversare sulla superficie sono talmente numerosi che lo stesso schermo, stratificato come stoffa, acquista volume e diventa uno spazio di dimensioni reali.
….. Quando viene attivata su piani visuali, la condizione di superficie modifica il nostro modo di pensare che cosa costituisca il supporto dell’immagine e come essa si collochi in un medium. Intendo dimostrare che questa nuova forma di materialismo innesca una profonda trasformazione. Se osserviamo da vicino questa forma strutturale di modellamento delle immagini, la stessa natura di ciò che conosciamo da sempre come tela e parete muta per incorporare una nuova forma: lo schermo. Proprio in questo snodo affiora un’architettura delle trasformazioni mediatiche. La tensione della superficie può trasformare tanto la facciata quanto l’immagine inquadrata in qualcosa che somiglia a uno schermo. Questo schermo filmico, lungi dal rappresentare un qualsiasi ideale prospettico, non è più una finestra, ma si riconfigura come una nuova superficie. Fatto di tessuto traslucido, è più simile a una tela, un lenzuolo, o un sipario. Parete divisoria, riparo e velo, può essere un involucro architettonico permeabile. A questo livello materiale, l’intersezione corrente tra tela, parete e schermo è un luogo in cui le distinzioni fra interno e esterno si dissolvono momentaneamente nella profondità della superficie. Lo schermo stesso diventa una piega, sulla cui superficie – quella tela riflettente e fibrosa abbigliata dalle proiezioni luminose – tutto sembra aprirsi.

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UN’ARCHEOLOGIA DEI MEDIA MIGRANTI

Il “diventare schermo” è un elemento fondamentale della cultura visuale contemporanea. Tale fenomeno è al centro della riconfigurazione materiale dello spazio visuale. Lo schermo è diventato un’onnipresente condizione materiale della visione e ciò avviene, paradossalmente, proprio quando il cinema, nel momento stesso della sua obsolescenza, trova casa nei musei. Nella proliferazione e nello scambio di schermi si sta verificando un rimodellamento delle immagini. Tale rimodellamento dei tessuti del visuale mostra una tensione ai bordi, nello spazio al di là del medium, negli interstizi fra le forme d’arte, nelle giunzioni dove gli spostamenti – trasgressivi o transitivi – da un’arte all’altra diventano palpabili sulla superficie.
….. Lo schermo agisce da superficie su cui questa riconfigurazione ha effettivamente luogo, riportandoci alla materialità assorbente di uno spazio permeabile di proiezioni luminose. Mentre le pratiche artistiche basate su schermo mettono in scena questo ritorno alla materialità enfatizzando la luminosità delle superfici e l’apticità della texture, la memoria del cinema si materializza nell’arte contemporanea. Come The Clock (2010) di Christian Marclay – un’opera filmica incentrata sul tempo – esemplifica, la storia del cinema si apprende nelle gallerie d’arte. Lo schermo si attiva inoltre al di fuori del cinema come spazio storicamente denso: si ripresenta cioè come una tela mnemonica collegata alla tecnologia della luce. Attraversando la galleria d’arte o il museo, incontriamo reti di situazioni cinematografiche, re-immaginate come se fossero raccolte in un unico luogo e di nuovo raccolte su uno schermo che adesso è una parete, un tramezzo, un velo o addirittura un sipario.
….. La duttile superficie della tela dello schermo contiene diversi “strati” del passato che, dispiegati, ci consentono di risalire fino alla nascita della visione moderna e alla storia delle sue superfici visuali. Dopo tutto, il museo pubblico è cresciuto nella stessa epoca del cinema e con esso condivide l’invenzione dell’architettura visuale e teatrale della spettatorialità. Per certi versi si direbbe che gli artisti di oggi strizzino l’occhio al momento fantasmagorico in cui il cinema si è affermato come mezzo visivo. Gli artisti stanno diventando archivisti. Si stanno trasformando in eruditi materialisti. Perché? Cosa c’è da imparare da questa storia materiale delle superfici? Possiamo rimodellarla per il futuro? Se nella cultura del museo e nella rassegna cinematografica si scava come dentro un archivio di tessuti visivi reinventabili, questa archeologia culturale – quando non è nostalgica – porterà alla luce il potenziale dei media artistici: servire da condizione materiale per incontri aptici sullo schermo.

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PROIETTARE LO SPAZIO MATERIALE

Questa geografia delle trasformazioni materiali è l’oggetto principale del mio lavoro nel campo degli studi visuali. È importante misurarsi con i movimenti virtuali che si fanno concreti in questo ambiente di superfici-schermo. Si tratta di un passaggio cruciale, giacché influenza la sedimentazione dell’immaginario visivo, i suoi residui e le sue trasformazioni. Non riguarda soltanto il mezzo, ma anche lo spazio in cui si diffonde l’immagine, le forme del suo situarsi, il modo in cui la si sperimenta.
….. Lo scambio che si è verificato sullo schermo degli archivi visuali incide profondamente sul tessuto e sull’architettura dell’esperienza visiva. Suggerendo che ci insinuiamo nei tessuti visivi e nelle relazioni materiali che concatenano schermo, tela e parete nel tempo, e mostrando i fili che connettono arti visive e spaziali, comprese le migrazioni tra sala cinematografica e spazio museale, aspiro a recuperare la materialità e a promuovere ulteriori esplorazioni nella tensione e nella profondità della superficie. Perché il futuro di un mezzo si vede materialmente e empiricamente sulla superficie, vale a dire nelle pieghe della sua architettura, nello spessore della storia della sua cultura visiva, nella duttilità della sua geografia in movimento.

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1 Questo testo presenta l’itinerario di ricerca del mio ultimo libro Surface: Matters of Aesthetics, Materiality, and Media, University of Chicago Press, Chicago 2014.
….. La traduzione dall’inglese del testo, pubblicato in una precedente versione su Alfabeta, no. 21, luglio-agosto 2012, p. 38, è a cura di di Maria Nadotti.
2 Si vedano anche: Giuliana Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, trad. it. di Maria Nadotti, Bruno Mondadori Editore, Milano 2007; e Giuliana Bruno, Pubbliche intimità. Architettura e arti visive, trad. it. di Maria Nadotti, Bruno Mondadori Editore, Milano 2009.
3 Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il barocco, trad. it. di Davide Tarizzo, Einaudi, Torino 2004.
4 Si vedano, tra gli altri, David Leatherbarrow and Mohsen Mostafavi, Surface Architecture, MIT Press, Cambridge, MA 2002; e Philip Ursprung, ed., Herzog & de Meuron: Natural History, Canadian Centre for Architecture, Montreal 2002.
5 Si vedano, per esempio, David Joselit, “Surface Vision,” in Super Vision, ed. Nicholas Baume, exh. cat., Institute of Contemporary Art, Boston; e MIT Press, Cambridge, MA 2006; Chrissie Iles, “Surface Tension,” in Rudolf Stingel, ed. Francesco Bonami, exh. cat., Museum of Contemporary Art, Chicago; e Yale University Press, New Haven 2007, pagg. 23-9; e Cassandra Coblenz, ed., Surface Tension, exh. cat. (Philadelphia: The Fabric Workshop and Museum, 2003).