NURTURE o dell’educazione libertaria
You Poor Actor
di Chiara Guidi

Tra le parole e la voce cerco la percezione di una realtà che sia una realtà di composizione, una realtà capace di farmi sentire che l’apparenza delle cose racchiude un’immagine.
Avevo scoperto tra voce e parola l’immagine che mi spingeva ad andare oltre l’apparente significato. O meglio cercare di andare oltre. Oltre la realtà.
Lì, tra il suono della voce e il suono della parola, io vedevo e avevo sentito il valore dell’immagine, il calore dell’immagine e quell’immagine era il suono stesso. Orecchio e occhio si toccavano. Il teatro e la musica erano la stessa cosa. Quale potenza può avere una lingua non ancora affacciata sul senso del discorso?  Può la meccanica vocale  commuovere in sé e per sé solo per il fatto di appartenere a qualcuno in carne e ossa?
E se è vero che il verso di una scimmia, il canto di un uccello, il suono inudibile di un pipistrello mi commuove come lo può fare una poesia, perché questo avviene? Come questo avviene? Quali toni tocca, o meglio, con quali toni mi tocca? Con quali timbri mi tocca? Attore lo chiedo a te.
Mi tormenta la composizione dei gesti della voce, i passaggi, la concertazione dei pieni e dei vuoti.
Come se volessi con la voce ritrovare la complessità e la stratificazione dei suoni e delle emozioni della vita. Come se volessi con la voce ritrovare la complessità e la stratificazione dei passaggi di una sinfonia. Sono sempre alla ricerca di strategie per domare il teatro.
Lo faccio con la musica, partendo dalla voce.

 A te, povero attore!
La mia attenzione va innanzi tutto alla tua voce perché, con il suono che genera, il palcoscenico possa interrogare lo sguardo e predisporre il pubblico all’ascolto.
Tu suonala  prima di entrare nella dimensione della parola e  vedere come si articola e a cosa allude!
Non nascondere la tua musica nella massa del testo.
Non soffocarne l’eco con definizioni e circoscrizioni.
Non seguire il tono della narrazione ma usa le parole per suonare la tua voce, per ascoltarla e conoscerla, perché devi sapere dove si trova mentre cavalca le parole.
Guardala, toccala, trasformala come se fosse distaccata da te, mentre è dentro di te.
Per farlo utilizza i concetti, ma fa sì che diventino tutti uguali.
Afferrali insieme e mettili contemporaneamente in movimento. Non opporre resistenza al disordine, resisti e pensa che sia la ragione a far confusione.
Cosa succede? Leggi e non capisci quello che dici eppure senti che la tua voce suona?
Se questo accade allora vuol dire che la stai ascoltando. Dedicati ad essa.
Studiala e pian piano scoprirai che dalla tua bocca esce un corpo che crea una nuova relazione con il tuo corpo, ma anche con le cose e le persone che ti circondano.
Attore, riesce la tua voce a partorire una figura sonora?
Perché se questo accade allora quelle parole di cui sospendevi il senso ricompaiono e risalgono al loro mobile significato. Ma non puoi fermarti, devi continuamente generare suoni perché il significato non sta fermo e, dopo alcune pause, se ne va. Si dà mentre trascorre, mentre si sottrae, mentre tende al silenzio.
Attore, come un piccolo embrione di canguro che con le sue sole forze  se ne va risalendo dall’utero al marsupio, tu prima ascolta la tua voce, lasciati impressionare da essa e scrivine la partitura e poi sali, sali, sali ed entra in scena per interpretare quella forma sonora che su quelle parole la tua musica ha generato.
Ma per interpretare entra in una tasca. Sta’ nascosto. Mimetizzati. Qualcuno ti chiama? Rispondi, ma non farti vedere.
Qui sta la mia ricerca sulla voce, e per renderla sistematica  da alcuni anni leggo e rileggo “Macbeth” non per metterlo in scena, ma per lasciarmi sorprendere dal profondo pensiero che lega la figura dell’attore a questa tragedia di Shakespeare.
Nel testo è nascosto l’attore che inseguo e ne sento la voce.
Continuerò a cercarlo finché non mi orienterà verso un’altra voce.
Di voce in voce: qui sta l’essenza del mio lavoro.
Ora, io mi rivolgo a “Macbeth” perché le streghe non dicono tutto, lasciando nelle mani del presunto Re il caos delle interpretazioni possibili. Per questo Macbeth va a cercare lo sguardo del pubblico sul boccascena.
Avanza per non farsi sentire da chi è alle sue spalle e per affidare al silenzio degli occhi che si guardano lo stupore di una scoperta: Per me non esiste niente altro al di fuori di quello che non esiste.
Questo pensiero, attore, deve essere un’ossessione per la tua voce!
Non puoi interpretare se non sospendi il significato che la parola di per sé manifesta.
Contro ogni evidenza: questo deve essere il tuo progetto. Qui deve nascere la tua musica.

Mi rivolgo a  “Macbeth” perché l’incipit dell’opera nasce dall’ascolto.
E quando Macbeth ascolta suona e suonando qualcosa in lui muta.
Tu attore quando interpreti avverti in te una metamorfosi? Le tue cellule cambiano e restano mutate per sempre, anche quando lo spettacolo è finito?
Ipotizziamo che debba dare voce a Lady Macbeth e, sebbene le magistrali parole me la indichino, tuttavia io non posso essere  una  Lady Macbeth. Essa è un mare di persone diverse riassunte in un’ unica impressione, complessiva e inconfondibile. È un ordinato caos che muta in continuazione. Come, dunque,  restituire la complessità della figura senza ridurla a  personaggio?
Come suonarla, orchestrarla?
Incomincio con il lanciare davanti a me le parole che la riguardano. Leggendole e rileggendole le allontano, le svuoto di senso, le rendo libere, indipendenti come unità fluttuanti che creano tuttavia  un  universo coerente sul quale posso camminare.
Le suono come si suona un suolo coperto di foglie secche:  appoggio il piede e faccio una pausa, lo sollevo e lo riabbasso velocemente, striscio, schiaccio….spingo  poi lo rialzo di poco in un’ improvvisa impennata del timbro. Ogni passaggio deve avere una forza espressiva.    Quel tappeto di foglie (di parole) imparo a conoscerlo, diventa intimamente parte di me finché traccio una partitura: è l’andatura della mia voce sul testo di Lady Macbeth.
Mi appartiene. La scrivo, la studio e ne cerco il senso nascosto per interpretarla (interpreto la partitura della voce, non le parole di Lady Macbeth!) perché lì, nella partitura che il suono della mia  voce ha costruito, ricompare la forza della poesia di Shakespeare.
Mi rivolgo a “Macbeth”  perché,  pur essendo l’opera più breve e concentrata del corpus shakespeariano, sa creare un rallentamento sul piano psicologico e morale, sino a produrre un effetto di dilatazione che la voce deve assumere, ingigantendosi e assorbendo non solo il suono delle parole ma anche i rumori dell’ambiente, la brughiera, dove la trappola del crimine ha compimento. Per questo ho chiesto ad un ornitologo di insegnarmi il canto degli uccelli che dal mattino alla notte attraversano la terra di Macbeth. Ne ho voluto conoscere il suono esatto.
Non posso separare la voce di Lady Macbeth dal suono degli uccelli al tramonto e delle mani che strisciano tra di loro nel tentativo di cancellare la macchia. Lo sfregare unito al canto è diventato  l’intonazione del timbro e la spinta del tono.
Attore, quando interpreti,  assumi nel suono della tua voce anche la voce dello spazio? Diventa la tua intonazione? O fingi che la lo spazio, gli oggetti, la sedia sulla quale ti siedi, le scarpe che porti….non abbiano voce? Senti che la tua voce si mescola al mondo che la circonda stratificando una serie di rimandi?
Il rapporto con lo spazio arricchisce e al contempo corrompe il suono che tu produci. Ti accoglie e ti altera.  Elargisce e toglie per cui se credi che la tua voce possa esistere di per sé sei già sconfitto.
E questo  ancor prima che il pubblico si dimentichi di te.
Povero attore!

Infine mi rivolgo a “Macbeth” per il tempo delle pause che, come lunghe ombre della sera, dilatano la voce dei personaggi.  Tu, attore, devi crearle, annotarle , interpretarle perché il silenzio lascia in scena una scia sonora che va scritta e ascoltata come una musica.
E mentre il pubblico entra i personaggi si collocano insieme nel golfo mistico, come gli strumenti di un’orchestra.
Sono raccolti per una sola concertazione. E si apre il sipario sul loro combattimento.
E tu, attore, mentre i personaggi lottano sei  in una tasca del palco?
Se ti trovi lì allora  la tua voce saprà risuonare ciò che l’evidenza della tua arte nasconde e che la rende unica e importante mentre dice ciò che Shakespeare non ha scritto.

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In copertina: Still dal video To You, Poor Actor

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Chiara Guidi, fondatrice con Romeo e Claudia Castellucci della Socìetas Raffaello Sanzio, sviluppa una personale ricerca sulla voce come chiave drammaturgica nel dischiudere suono e senso di un testo, ma anche come corpo, azione, disegno, rivolgendo la propria tecnica vocale sia a produzioni per un pubblico adulto, sia elaborando una specifica concezione di teatro per l’infanzia. La Socìetas in un percorso ormai trentennale ha realizzato spettacoli presentati nei principali festival e teatri internazionali di tutti i continenti, nei quali Chiara Guidi ha esplorato la dimensione sonora della scena, in collaborazione con il compositore americano Scott Gibbons in opere come Il Combattimento, su musiche di Claudio Monteverdi, fino al ciclo della Tragedia Endogonidia (2002-2004) nelle maggiori capitali europee. Accanto alle produzioni, Chiara Guidi nel 2009 ha diretto il festival Santarcangelo dei Teatri, e dal 2008 assumendo la musica come paradigma dirige Màntica, un programma di teatro e musica al Teatro Comandini di Cesena. Nel 2011 inaugura Puerilia, festival di puericultura teatrale. Fra le opere recenti lo spettacolo Poco lontano da qui con Ermanna Montanari, e La Bambina dei Fiammiferi per un pubblico di adulti e bambini con il pianista Fabrizio Ottaviucci, con il quale crea nel 2013 il monologo Tifone da Joseph Conrad. Nel 2013 ottiene il Premio al Maestro – Premio Nico Garrone, e il Premio Speciale UBU per i festival Màntica e Puerilia. Nel 2014 produce presso Campbelltown Arts Center, in Australia, lo spettacolo per l’infanzia Jack and the beanstalk, in collaborazione con Adelaide Festival, e debutta in Italia con Macbeth su Macbeth su Macbeth. Uno studio per la mano sinistra. Dal 2015 al 2018 è nominata Artiste Associée al Théâtre Nouvelle Génération di Lione, Francia.
www.raffaellosanzio.org