CENSORSHIP
Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria. Storie dal confino
di Silvia Calvarese

Ci sono situazioni in cui l’immagine, facendosi simulacro, toglie complessità alla narrazione. L’articolo che segue ne è privo. La mia è una scelta. Ho voluto dare spazio alle parole. Sono le voci dei protagonisti a costruire quei discorsi che nel tempo sono stati dimenticati o, semplicemente, non ascoltati.

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Il buldozer s’avventa contro un tronco di muro ancora in piedi e i blocchi di tufo si rovesciano al di là, la pala li raccoglie, li spinge avanti nel gran mucchio delle macerie. Un lavoro di demolizione come tanti altri.
No. Questo buldozer sta demolendo un pezzo della storia italiana. Quelli che crollano sono i muri della cittadella confinaria, i padiglioni che ospitarono, dagli anni trenta alla caduta del fascismo, gli antifascisti che Mussolini aveva qui relegati in confino coatto, i nomi maggiori della sinistra italiana, molti dei quali avrebbero poi contribuito a rendere l’Italia democratica, come Pertini, Di Vittorio, Secchia, Terracini, Rossi, Spinelli. È una Ventotene che scompare.

Remo Lugli, articolo uscito su La Stampa, 22 aprile 1980

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A guardarla oggi quest’isola non si direbbe; è d’una serenità tale che sfugge al nostro abituale modo di vivere. Ventotene fa parte delle Pontine, è una piccolissima isola dalle coste frastagliate, a strapiombo sul mare. Accarezzata e schiaffeggiata da tutti i venti, è un luogo dove cielo e mare mescolano i loro colori, dove la notte le stelle ti guidano lontano e il canto delle sirene d’Ulisse accompagna il sonno di ognuno. Un luogo di solitaria bellezza, dove la grande storia si confonde con il mito, articolandosi in un racconto che dura da più di 2000 anni.

L’isola è lunga meno di due chilometri, larga fra duecento e ottocento metri, solo leggermente ondulata, sì che i venti la spazzano liberamente, ed è quasi priva d’alberi. Normalmente non si vedeva tutt’intorno che mare e cielo, ma quando non c’erano brume sull’orizzonte, alcune finestre delle case di Gaeta scintillavano riflettendo a noi i raggi del sole al tramonto, quasi a ricordare che il «continente» – come si diceva correttamente – nel quale, da Gaeta a Canton, un gioco terribile stava decidendo le sorti dell’umanità, non era dopotutto così lontano.1

Più che un’isola è una barca, ché da qualunque parte ci si volga, dopo pochi passi si è vicini al mare. Dalla piazzetta inferiore si domina il più largo orizzonte, con vicinissima Santo Stefano, occupata in gran parte dall’ergastolo, più lontana Ischia, ed in fondo, in fondo, quando l’aria è limpida, i monti del continente.

Ernesto Rossi, lettera alla moglie del 26 novembre 19392

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L’ombelico delle tempeste l’ha definita Ernesto Rossi, riferendosi al fatto che l’isola era esposta a tutti i venti. Ma si può leggere in questa sua frase amara anche un riferimento alle “tempeste dell’animo” anzi, delle anime che l’hanno attraversata. Da Giulia, figlia del primo imperatore romano Cesare Ottaviano Augusto, ai primi cristiani, fino ad arrivare ai confinati recenti, di cui questa articolo tratta.
Eppure non è tanto il tempo a dar vita a questa storia, ma lo spazio. Le storie di Ventotene nascono dalla sua geografia e si legano tra loro “grazie” a essa. Solo con gli anni recenti le date hanno cominciato a essere importanti per la sua memoria, dal momento in cui i luoghi non potevano più raccontare nulla. Ridotti al silenzio a causa della loro cancellazione.
Vi sto per raccontare di un museo sentimentale […] la Storia in forma di storia privata, la memoria in forma di biografia.3 Un’esplorazione ben oltre il paesaggio fisico e naturale: un tour de force narrativo, entro confini stabiliti.

In Italia pochi sanno dove sia Ventotene. E ancora di meno conoscono la sua lunga storia e il suo lungo e triste destino. Un destino insito nella sua posizione e nella sua geografia, nel suo essere isolata da tutto il resto. Piccola, scarsamente abitata e con difficili approdi, era un luogo facilmente controllabile, un’ideale prigione a cielo aperto messa a disposizione di un tiranno crudele, da un Dio ringhioso e vendicativo. Le nude mura, quel mare piatto, vuoto, infinito, che vi circonda come un anello insuperabile, catenaccio di una robustezza a tutta prova, sentinella mai sonnecchiante.4

Nel 1926 vengono emanate dal Regime fascista le Leggi di Pubblica Sicurezza. Con queste furono aboliti i partiti e i loro giornali, i sindacati, le associazioni antifasciste. Venne istituito il confino, una misura preventiva per liberarsi degli oppositori politici senza ricorrere a un processo, colpevoli di nulla, solo di pensare in maniera differente dal regime. L’intento era di renderli innocui, di togliere loro dignità. Confino significa molte cose; significa privazione materiale e mancanza di sicurezza. Significa disperazione e perdita di dignità. Significa essere esposti a grandi rischi e ad alti sacrifici. Significa sopportare il peso dell’isolamento insieme alla furia del vento e del mare. È la disuguaglianza materializzata, toglie valore alle sue vittime.
L’obiettivo era di rendere queste persone innocue. Il regime non avrebbe mai pensato che, riunendole tutte insieme in quel luogo di villeggiatura5, in quella cittadella confinaria, in quel pollaio, la segregazione avesse sugli uomini confinati l’effetto contrario. Si coalizzarono in una comune lotta al fascismo, nonostante le provenienze politiche e partitiche diverse, gli ideali differenti, creando le condizioni per far nascere un’Italia migliore, un’Europa libera e unita.
La storia del confino politico di Ventotene inizia nel 1930; le altre isole predisposte al tempo ad accogliere questi uomini erano Lipari e Ponza. Lipari, considerata poco sicura e poco controllabile fu presto chiusa, mentre Ponza, a causa delle proteste della popolazione che vi risiedeva, lo fu il 15 luglio 1939. Tutti a Ventotene quindi. In questa minuscola isola, in condizioni disagiate, nasce una vera e propria cittadella confinaria. Furono costruiti 13 casermoni per ospitare i nuovi arrivi, controllati da 350 agenti delle squadre fasciste.
Oggi di questi padiglioni non c’è più t
raccia (ne è rimasto solo uno, sede della guardia di finanza). In realtà, non c’è più traccia di nulla. Tutto è stato distrutto. In Italia c’è una vera e propria cultura della rimozione per quanto riguarda le memorie ingombranti. Il volto dell’isola è stato trasformato, e con questo la sua relazione con il passato. In questo luogo, tanto per chi ci abita quanto per chi la visita, la storia ha lasciato degli spazi vuoti, bianchi, a causa delle sue varie cancellature. I luoghi serbano gli strati di una scrittura che è possibile cancellare e scrivere e riscrivere più e più volte, come se si fosse perennemente alle prese con una stesura di una minuta. I luoghi sono la sede di un palinsesto mnemonico.6
La storia include contenitori e persone. In questo caso, le persone sono rimaste le sole a contenere testimonianze preziose. Con i loro racconti l’architettura scomparsa riappare sotto forma di un’architettura della memoria, grazie alla quale l’isola di oggi si trasforma nell’isola di ieri. Un luogo, tante epoche. Una forza che muove tutto, munita del potere di interpretare e di trasmettere. Spazi popolati e narrazioni situate. Si tratta in entrambi i casi di luoghi abitati, di spazi da abitare, che il movimento converte in narrazione. Dimore di questo tipo costruiscono sempre una soggettività. La loro soggettività è un sé fisico che occupa uno spazio narrativizzato, che lascia tracce della propria storia.7
Vivere isolati; lontano da tutto, dalla propria vita, dai propri affetti, dagli avvenimenti politici che da sempre erano stati al centro dell’interesse di questi intellettuali.
Ventotene è piccola, ma per i confinati lo era ancora di più. Non potevano superare un certo limite. L’isola di Ventotene è quasi uno scoglio, un chilometro e mezzo quadrato […] ma per i confinati era ancora più piccola: i cameroni, il cortile, una breve salita fino alla piazza e una stradina in discesa, sei minuti in tutto a passo normale.8

Non potevano nemmeno parlare con la popolazione locale. Sono tre popolazioni diverse… – i confinati, i cittadini e i poliziotti – Che se si mescolano non si confondono mai: simili a tre liquidi di peso specifico differente9. Una frattura dovuta alla paura degli abitanti di essere perseguiti se si fossero messi a simpatizzare con i confinati. In più, questi ultimi, consideravano gli isolani semianalfabeti, diffidenti, gente dal dialetto incomprensibile. Tante sono le descrizioni delle persone del posto su Sandro Pertini, su Camilla Ravera e su molti altri. I loro rapporti erano consentiti solo se puramente materiali; in questo i Ventotenesi erano contenti. I confinati facevano girare un po’ di economia. Con il tempo nacque tra loro una silenziosa complicità. Un sentimento di solidarietà mai esternato per paura delle guardie fasciste. Era abissale la differenza tra i due mondi, ma entrambi sottostavano a regole e limitazioni molto simili. E, in più, furono uniti dalla fame. La situazione era pesante, soprattutto con l’entrata in guerra. Se il cibo e le risorse primarie mancavano sulla terraferma, figurarsi se ci si curava dei sovversivi, degli oppositori. La situazione divenne drammatica.

Ventotene è uno scoglio squallido, un atomo di miseria nella distesa immensa del mare. E nel suo breve circuito il governo infame aveva raccolto, ammucchiato, stipato centinaia e centinaia di buoni italiani del cui amore di libertà temeva per la fortuna delle sue forsennate imprese. Ma Ventotene, ingrata già ai suoi pochi abitanti, non poteva ora sostenere tanta gente, alla quale non offriva né cibo per sfamarsi né spesso l’acqua sufficiente a dissetarsi. E poiché l’inizio delle ostilità aveva d’un subito disorganizzato il già scarso servizio di sgangherati piroscafi che irregolarmente univano l’isolotto alla terraferma, i rifornimenti erano quasi cessati, imponendo alla popolazione decuplicata le più dure privazioni.10

Sono più di 800 i confinati: 400 sono comunisti, poi anarchici, socialisti, repubblicani. Tra i nomi più significativi troviamo quelli di Ernesto Rossi11, Eugenio Colorni12, Altiero Spinelli13, Sandro Pertini14, Camilla Ravera15, Umberto Terracini16.
Tra loro c’è anche Alberto Jacometti17; sarà lui nel 1974 a pubblicare un testo in cui denunciava le condizioni in cui vivevano i confinati a Ventotene. Appena arrivati, ognuno di loro doveva consegnare i documenti personali, ricevendo in cambio un libretto rosso, una carta di permanenza da portare obbligatoriamente sempre con sé. Il confinato perdeva così la sua identità, uniformandosi agli altri. Su questa carta erano trascritte anche le regole che ognuno doveva seguire. – scrive Jacometti – il confinato s’impara cosa non deve fare.
Deve trovarsi un lavoro, facile a dirsi, in un’isola minuscola dove già la popolazione era di troppo. Non può varcare il limite del confino. Non può assistere alle funzioni religiose senza un permesso speciale. Non può varcare la soglia di nessuna abitazione privata. Non si può cambiare mensa. In un caffè o in una trattoria non ci si può sedere. Non si possono ricevere da casa libri o riviste. Non si può parlare una lingua estera. Scrivere su quaderni o fogli non timbrati. Leggere un giornale ad alta voce affinché gli altri sentano. Non si può in certi periodi portare calzoni corti. Oltre queste regole e molte altre proibizioni, non vi erano vere e proprie leggi. Questo rendeva la situazione ancora più drammatica. Dove non ci sono regole precise, non vi è tutela. Ciò che rende la vita insopportabile è l’arbitrio. Il sopruso, il sadismo dei pazzi, la malvagità, l’odio di ogni poliziotto, ogni milite. Il confinato tace, si morde le labbra a sangue, caccia indietro l’urlo di rivolta e il singhiozzo.18
Gli apparati della sorveglianza, la loro pianificazione degli spazi, sono parte essenziale dell’esperienza della guerra e del confino. Sono forme di controllo e distruzione della libertà umana.

Ma ciò che il governo fascista non riuscì a calcolare, fu la capacità di sodalizio di persone che sulla terraferma non trovavano punti in comune. Nel momento di difficoltà e proibizione, seppero trovare nei loro pensieri delle linee comuni, che andavano al di là delle divisioni politiche. Nei loro discorsi, non era l’odio per il nemico a trovarli d’accordo, seppur la voglia di riscossa era alta, ma vi era la presa di coscienza della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro comune condizione umana. Vi era una volontà d’espressione, una necessità d’espressione, in quelle lunghe giornate dove il tempo sembrava non passare mai, per evadere da quella terra di nessuno, e reinserirsi nel contesto civile, per sentirsi ancora centro di quella rete di rapporti intellettuali, umani e sociali, che rappresentano il suo passato e lo proiettano in un futuro diverso. Un territorio preparato da una continua elaborazione collettiva, da una capacità d’aspirare19 e condividere tali aspirazioni. Quando quello cui si combatte è più forte di quello che vi separa, non si possono chiudere gli occhi o prendere solo le distanze senza agire. C’è un rifiuto nel rispettare i confini, un impulso irrequieto a sfondare i margini.

Il destino ci pone spalla a spalla
e rinnegando l’antico malefizio dei tabù di sangue
frughiamo le macerie delle nostre solitudini
Se il torrente è frontiera
strapperemo al cespuglio la sua fronda
inestinguibile
Se la sierra è frontiera
spezzeremo le mascelle dei vulcani
che sostengono le Cordigliere.
E la pianura sarà spianata all’aurora
Là raccoglieremo le forze sparse
dall’inganno dei nostri padroni
Come la contraddizione dei lineamenti
si risolve nell’armonia del viso
proclamiamo l’unità della sofferenza
e della rivolta
di tutti i popoli su tutta la faccia della terra e pesteremo il
mortaio dei tempi fraterni nella polvere degli Idoli.20

Ed ecco le maniche rimboccate, la penna in mano, le idee che affollano la mente. Lo scambio di materiale illegale, le riunioni proibite nelle mense, la voglia di FARE qualcosa. Steso nel 1941, nasce per opera di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni il Manifesto di Ventotene, per un’Europa libera e unita. Su quest’isola minuscola dimenticata da tutti, nascono i principi e le linee guida della futura Unione Europea. Altiero Spinelli scrisse i capitoli relativi alla crisi della civiltà europea e ad una organizzazione partitica sovranazionale da realizzarsi dopo la guerra. Ernesto Rossi abbozzò delle riforme economico-sociali in chiave continentale. Mentre Eugenio Colorni ne scrisse la prefazione. Ciascuno esaminò attentamente il testo dell’altro. Manoscritte da Rossi sulla carta delle sigarette, uscirono da Ventotene grazie a Ursula Hirschmann, moglie di Colorni e, dal 1945, di Altiero Spinelli.

Poi finalmente, il 25 luglio del 1943 le dimissioni di Benito Mussolini e l’8 settembre del 1943 l’armistizio.

È caduto Mussolini! Sentirò suonare questo grido fino all’ultimo giorno della mia vita. Lo porto in me, come se si fosse scolpito nella mia anima. Trascorrono gli anni, ma esso rimane così nitido, preciso che mi pare che il tempo non abbia potuto affievolirlo e l’aria ne continui a librare.21

Attendendo la libertà in uno stato d’animo febbrile, determinati ad attraversare quel mare che li aveva circondati fino ad allora, alcuni confinati inviarono questo telegramma: Confinati ed internati isola Ventotene nell’atto in cui gloriosamente precipita tra l’esecrazione del popolo e sotto le rovine di una guerra disastrosa il regime fascista, che ha segregato dalla vita nazionale migliaia di cittadini italiani tetragoni alla suggestione del dispotismo ed ha relegato gli stranieri rei di avere difeso la loro patria dall’attacco dell’aggressore; mentre rivendicano tutti i motivi di libertà istituzionali, sociali e nazionali che essi hanno fermamente difeso nelle galere, nel confino, nell’esilio auspicano inserimento dell’Italia nel quadro di una libera Europa; reclamano immediata liberazione condannati e relegati politici come automatica conseguenza della soppressione del regime fascista.

Ventotene, in quei giorni di libertà e attesa, appariva bella come non mai. Compivo lunghe passeggiate nei luoghi dell’isola che per l’addietro ci venivano vietati dai limiti di confino e, a notte, sedevo su qualche roccia, lasciandomi cullare dalla monotona musica della risacca, dalla voce più acuta, più grave del vento. Erano circa quattro anni che non sapevo cosa fosse rimanere fuori, la notte, smarrire lo sguardo nel cielo stellato.22

Ed ecco finalmente la partenza raccontata dalle parole di Altiero Spinelli:

Guardavo sparire l’isola nella quale avevo raggiunto il fondo della solitudine, mi ero imbattuto nelle amicizie decisive della mia vita, avevo fatto la fame, avevo contemplato come da un lontano loggione la tragedia della seconda guerra mondiale, avevo tirato le somme finali di quel che andavo meditando durante sedici anni. Avevo scoperto l’abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l’ebbrezza della creazione politica, il fremito dell’apparire delle cose impossibili. Nessuna formazione politica esistente mi attendeva, né si prestava a farmi festa, ad accogliermi nelle sue file. Con me non avevo per ora, oltre che me stesso, un manifesto, alcune tesi e tre o quattro amici.

Oggi Ventotene è un’isola turistica, che non serba tracce degli avvenimenti passati. A raccontare questa storia sono rimasti un casermone, due monumenti, e la tomba di Altiero Spinelli. Le testimonianze più importanti però vengono dagli abitanti dell’isola, i quali non hanno nessuna intenzione di dimenticare.

Perché dimenticare, tacere a se stessi, significa essere complici, assolvere, chiudere gli occhi. Significa essere responsabili di un’azione che condanna noi tanto quanto disonora loro. Non bisogna lasciare le mani libere a individui che disprezzano l’umanità, l’intelligenza, la pluralità. Bisogna sporcarsi, poiché se riuscite, in apparenza, a non farlo, sperando che le cose cambino, è perché altri si sporcano al posto vostro.23 In passato come ora. Ciò che è successo negli anni può benissimo riaccadere. Bisogna ricordare per cambiare. Bisogna usare le parole.

Parlo per me per il mio paese / per quella parte che tace / e non dice che gli soffoca in gola uno strillo per lo sgomento di uno spettacolo indegno / per cui paga e non lo ha scelto.
E allora una parola lanciata nel mare con un motivo e un salvagente che semplicemente fa il suo dovere, una parola che non affonda che magari genera un’onda, che increspa il piattume e lava il letame.24
Niccolò Fabi, Fuori o dentro, brano tratto dall’album Solo un uomo, 2009
(Un ringraziamento particolare all’artista Niccolò Fabi per la concessione di questo brano)
 

 

1 Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, Il Mulino, Bologna, 1999. Pag. 262
2 In Miserie e splendori del confino di polizia, Lettere da Ventotene 1939 – 1943, a cura di Manlio Magini, Feltrinelli, Milano, 1974. Pag. 21
3 Giuliana Bruno, Atlante delle emozioni, Bruno Mondadori, 2006. Pag. 122
4 Alberto Jacometti, Ventotene, Marsilio, Padova, 1974. Pag. 12
5 La definizione del Confino di Ventotene come luogo di villeggiatura, è di Arturo Bocchini, capo della polizia fascista.
6 Giuliana Bruno, op. cit., pag. 199
7 Giuliana Bruno, op. cit.
8 Felice Dessì, L’Italia del coprifuoco. Il 25 luglio a Ventotene, Frosinone, 1991. Pag.16
9 Alberto Jacometti, op. cit., pag. 25
10 Umberto Terracini, dal Discorso pronunziato in occasione della traslazione e del seppellimento della salma di G. Piancastelli. Imola, 9 gennaio 1954
11 Ernesto Rossi (Caserta 1897 – Roma 1967), animò con Gaetano Salvemini il foglio clandestino Non mollare!. Fu tra i fondatori della colonna italiana di “Giustizia e Libertà”, divenendone dirigente. Condannato dal Tribunale Speciale a venti anni di carcere, ne scontò nove a Regina Coeli e quattro a Ventotene, dove fondò con Altiero Spinelli il Movimento Federalista Europeo e scrivendo il “Manifesto per un’Europa libera e unita” divenuto noto in seguito come “Manifesto di Ventotene”. Dopo la liberazione aderì al Partito d’Azione e nel 1955 partecipò alla fondazione del Partito Radicale.
12 Eugenio Colorni (Milano 1909 – Roma 1944), nel 1937 divenne dirigente del Centro interno socialista. Nel 1938 fu arrestato a Trieste come ebreo e antifascista militante. Dal 1939 al 1941 fu confinato a Ventotene, dove aderì alle idee federaliste e scrisse la prefazione del “Manifesto” elaborato dai suoi amici. Diresse l’Avanti clandestino.
13 Altiero Spinelli (Roma 1907 – Roma 1986), iscritto giovanissimo al Partito Comunista. Arrestato nel 1927, fu condannato a sedici anni e otto mesi di carcere per cospirazione contro i poteri dello Stato. Carcerato a Roma, Lucca, Viterbo, Civitavecchia e poi in confino a Ponza e a Ventotene, scrive il “Manifesto per un’Europa libera e unita”. Dopo la caduta del fascismo fonda il Movimento del federalismo europeo. Dal 1970 al 1976 è membro della Commissione Europea. Eletto quell’anno deputato al Parlamento italiano ed europeo.
14 Alessandro Pertini (Stella-Savona 1896 – 1989), condannato dal Tribunale Speciale nel 1929 a dieci anni e nove mesi di carcere. Scontò un anno a Santo Stefano, trasferito poi a Pianosa e a Turi e in seguito a Ponza, alle Tremiti e a Ventotene. Deputato per cinque legislature, Presidente della Camera dei deputati dal 1968 al 1972, fu poi Presidente della Repubblica, fino a fine mandato nel 1985.
15 Camilla Ravera (Acqui Terme 1889 – Roma 1988), nel 1919 entra a far parte della redazione dell’Ordine Nuovo di Gramsci. Nel 1921 è tra le fondatrici del Partito Comunista. Arrestata nel 1930 è condannata a quindici anni di reclusione. Ne sconta cinque in cella, poi mandata prima a Ponza e poi a Ventotene. Nel 1945 è eletta membro del Comitato Centrale. Nel 1982 è nominata da Sandro Pertini senatrice a vita.
16 Umberto Terracini (Genova 1895 – Roma 1983), fu tra i fondatori di “Ordine Nuovo” e protagonista della scissione comunista di Livorno. Condannato dal Tribunale Speciale a ventidue anni e nove mesi di reclusione, scontò un periodo in carcere a Santo Stefano e fu mandato poi in confino a Ponza e in seguito a Ventotene, dove per un dissidio per il patto sovietico-tedesco, fu espulso dal collettivo comunista dell’isola. Rientrato nel Pci nel 1944, fu Presidente dell’Assemblea Costituente, eletto deputato alla Camera, Presidente, dal 1958 al 1972 del gruppo parlamentare comunista al Senato. Fu senatore fino al 1983.
17 Alberto Jacometti (San Pietro Mosezzo 1902 – Novara 1985), militante socialista dal 1924. Fu mandato al confino a Ventotene. Dopo la liberazione fu eletto deputato alla Costituente.
18 Alberto Jacometti, op. cit.
19 Termine preso da un saggio di Arjun Appadurai, Le aspirazioni nutrono la democrazia, et al. / edizioni, Milano, 2011.
20 Frantz Fanon, Pelle nera maschere bianche. Il nero e l’altro, Marco Tropea editore, Milano, 1996. Pag. 118.
21 Giorgio Braccialarghe, Nelle spire di Urlavento, Fratelli Frilli editore, 2005. Pag. 125.
22 Giorgio Braccialarghe, op. cit., pag 137.
23 Francis Jeanson, Cette Algérie conquise et pacifiée…, Esprit, aprile 1950, in Frantz Fanon, op. cit., pag. 81.
24 Niccolò Fabi, Parole che fanno bene, estratto del brano n°10 dell’album Solo un uomo, 2009.