LIQUID BORDERS
L'isolario delle 12 miglia
di TooA

TooA (Donatello De Mattia e Francesca Cogni) nel 2006 ha avviato una ricerca sui confini nel Mediterraneo, sugli scambi e i movimenti che lo attraversano, 12 Nautical Miles Isolario.
Abbiamo inizialmente lavorato sul canale d’Otranto e sulla relazione tra la Puglia e il resto del Mediterraneo.
Da qualche anno ci stiamo invece concentrando sull’isola di Lampedusa e sugli aspetti geopolitici, economici, simbolici e storici.
TooA ha un metodo di lavoro basato sull’ascolto, la relazione con le persone e con il luogo, e sulla restituzione poetica della ricerca in forma personale, collettiva o laboratoriale. Spesso altre persone partecipano ai progetti, producendo ulteriori lavori e riflessioni.

12 Nautical Miles Isolario, Gibilterra // TooA 2006

“Osservare il Mare Mediterrano dalla parte del mare significa escludere la terraferma, immaginandola solo come la delimitazione di un perimetro. Il mare, appunto. All’interno di questo territorio fluido si creano geometrie a pelo d’aqua, politiche e commerciali. Emerge un arcipelago al contrario, fatto di isole liquide in cui prendono forma gli accordi tra le nazioni confinanti. Un isolario di territori emersi attraverso una raccolta di ‘esperienze del mare’. I luoghi nel Mediterraneo in cui si concentrano le frizioni politiche sono determinati dall’intersezione delle acque territoriali, delle fishing zones, dei corridoi di navigazione, delle zone economiche esclusive (ZEE). Le acque territoriali sono definite come estensioni della sovranità di uno Stato al di là della terraferma e delle acque interne, per uno corridoio generalmente di 12 miglia marittime che comprende anche lo spazio aereo sovrastante e il fondo e sottofondo marino. Per chiunque è possibile il passaggio ma non la sosta immotivata. In questi luoghi, la prossimità delle linee di confine di Stati confinanti ridisegna la carta e le sue regole, creando una geografia eccezionale e in continuo mutamento, che tiene conto al suo interno delle pratiche legate alla navigazione e alla pesca in mare aperto. Queste isole d’acqua rappresentano il condensato di accordi internazionali, interessi commerciali, questioni politiche più o meno risolte. Sono delle nuove ‘terre emerse’, luoghi in cui avvengono le relazioni tra esseri umani e tra nazioni, regolate dal codice del mare (fatto di luci, suoni, segnali, carte) e dalla pratica, dall’esperienza diretta dei naviganti. L’isolario delle 12 miglia è fatto di carte, di racconti e di esplorazioni che raccolgono la biografia di questi luoghi. Traccia una ‘talassonomia’, una collezione di visioni che trae spunto dal concetto greco di thalassa, mare come esperienza e avvenimento. “
12 Nautical Miles Isolario, F. Cogni e D. De Mattia, “Going Public 06”, a cura di Claudia Zanfi/aMAZElab, Silvana Editore, 2007

Antongiulio Galeandro al porto di Bari durante Bari Porta a Levante // TooA 2008

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Laboratorio Bari Porta a Levante

La prima isola che abbiamo affrontato è il breve spazio d’acqua che separa la Puglia dalla costa dirimpetto. L’abbiamo chiamato Laboratorio Bari Porta a Levante, chiedendoci quante volte Bari fosse stata una porta ad Oriente. Volevamo togliere il velo di quotidianità dai luoghi che hanno ospitato eventi storici ormai quasi dimenticati. Per fare questo, abbiamo organizzato un laboratorio itinerante e aperto a tutti che, in 5 appuntamenti, raccontava delle storie di migrazione, scambio, accoglienza durante la Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo del 2008. Seguendo l’areale dell’ulivo abbiamo definito, insieme a Luigi Guarrera dell’AIAB di Bari lo stato sovranazionale dell’Olea Oleaster; grazie ad Angelo Amoroso d’Aragona abbiamo rivissuto lo sbarco della Vlora al porto di Bari nel 1991; alcuni rappresentanti della comunità armena ci hanno raccontato la storia del villaggio armeno di Nox Arax, campo profughi a Bari per le vittime dell’olocausto armeno e scuola di tappeti; la musica di Antongiulio Galeandro ci ha connessi con i suoni radio di tutto il bacino mediterraneo. Il diario di quel laboratorio, a cui ha preso parte anche Pierfabrizio Paradiso realizzando un suo lavoro video, è sul blog bari-portalevante.blogspot.com

La seconda isola è il canale di Sicilia, e Lampedusa.

Lampedusa // TooA 2011

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Raccontare Lampedusa?

Negli anni ci sono stati numerosi momenti di riflessione sulle modalità di lavoro di TooA e su sviluppi possibili, che diventavano quasi naturali visto il corso che prendevano le ricerche personali e collettive. Inoltre, altri progetti di TooA portati avanti parallelamente all’Isolario hanno perfezionato, nutrito e modificato le visioni e i linguaggi. Il tema della migrazione, del meticciato, delle influenze reciproche sono tra gli assi portanti della ricerca di TooA e nostri singolarmente, con lavori che riflettono sullo scambio, la convivenza e la contraddizione, la storia dei luoghi e le suggestioni che da esse derivano. Qui però, parlando di Lampedusa e in generale degli sbarchi oggi, il confronto pareva più diretto, l’argomento più vasto e complesso, la posizione da prendere più urgente.
Abbiamo iniziato a lavorare accerchiando il tema, attraverso articoli di giornale, romanzi, confronti, film, incontri…
L’intento era quello di capire realmente quello che stava succedendo, al di là dei mass media. Di parlare con le persone. E di capire quale fosse la nostra posizione.

Trovare una rinnovata sintesi tra la nostra vita quotidiana (interessi e partecipazione politica) e il nostro lavoro, in un racconto che provasse a sperimentare nella sua forma, un racconto documentario ma poetico. Questo si è inserito in un processo di intima messa in crisi dello statuto dell’artista e del suo legame e potere di azione sul mondo circostante.
La parola “artista” ci pareva non riuscire più a contenere la complessa relazione che stavamo cercando tra il nostro lavoro e la situazione politica; allo stesso modo, sentivamo chiaramente che un lavoro che riflettesse anche sulla forma dell’immagine e sul linguaggio, con espansioni “poetiche”, contenesse un potenziale politico, mettendo in discussione e modificando l’immaginario. Ciclicamente, negli anni, ci siamo sempre posti queste domande, cercando via via delle risposte che si traducessero in pratiche.

Ma, seppure queste riflessioni avessero animato TooA fin dalla sua fondazione, incontrandosi con Lampedusa la contraddizione è deflagrata: qual’è il ruolo dell’artista e del videomaker? Quale potere esercita sul soggetto che tratta? Quale relazione mette in campo con le storie che raccoglie e racconta? Quando la consegna di una storia avviene su un piano completamente orizzontale, e in che modo la relazione è sincera e di reale scambio biunivoco? Quando, l’artista che si confronta con la realtà che lo circonda, incide su di essa cercando il confronto con il mondo attorno, e quando invece la utilizza per creare un’opera autoreferenziale? Qual’è la relazione tra poesia e politica?

Non volevamo lavorare su una riflessione distaccata dalla realtà, dall’alto, che “colonizzasse” un luogo con una pratica esterna, assorbisse quello che le interessava e poi se ne andasse senza lasciare nulla, per dedicarsi  ad altro. Ma nemmeno prendere la parola al posto di qualcun’altro – perpertrando una visione mediaticamente subalterna dell’alterità – , o riproporre etichette e stereotipi che nutrono un’idea inesolrabilmente distante e distaccata (sia in senso positivo che negativo) dell’ “altro”, del “loro”.
Oltretutto Lampedusa rappresentava per noi un luogo simbolico, sintomo e indizio di molti altri argomenti.
È possibile trovare una struttura sufficientemente aperta per poter porre delle domande, a noi in primis, sul dove ci collochiamo rispetto a questo argomento, in quanto cittadini italiani ed europei ed esseri umani? In che cosa, questo discorso ci riguarda?

Gli appunti sono cresciuti, i confronti si sono moltiplicati, per capire cosa stavamo facendo e cosa poteva emergere da tutto il materiale e dalle relazioni umane sviluppate in parallelo intorno al progetto.

Il documentario Lampedusa Next Stop, a cura di InsuTv e Radioazioni, 2011

Dopo un paio di anni di lavoro dalla distanza, siamo arrivati al 2011, con le rivoluzioni arabe e l’incremento massiccio degli sbarchi, le grida all’invasione, l’isola abbandonata a se stessa, il sindaco che incitava alla rivolta e il presidente del consiglio Berlusconi che, per uscire dall’emergenza, dichiarava di aver acquistato una casa sull’isola. Quell’estate siamo scesi a Lampedusa.

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Diario dall’isola

Ovviamente quello che cercavamo si è rivelato molto diverso da come lo immaginavamo.
L’incontro fondamentale  è stato con Askavusa, l’associazione culturale lampedusana che è da anni presidio sull’isola, portando avanti dibattiti e battaglie su temi come la migrazione e il turismo sostenibile. Sono dei ragazzi che la fanno vivere e che dal 2009, insieme ad altre realtà, organizzano LampedusaInFestival, “festival della migrazione e del recupero della storia orale”. Che hanno inventato il bellissimo Museo della Migrazione, inizialmente una stanza stipata di oggetto trovati nei barconi e che ora sta crescendo in un progetto più grande.
Dentro ed attorno ad Askavusa sono nati in questi anni decine di progetti culturali, film, musica e azioni politiche che raccontano l’isola dall’interno (“dalle viscere” si dice nel progetto Lampemusa).

Askavusa è stata la nostra giuda per conoscere e capire i meccanismi che sottostanno alle emergenze ordinarie e strumentali. Con le loro indicazioni abbiamo girato l’isola in cerca di quei luoghi che ci parevano forti ed importanti da raccontare: il cimitero, il cimitero delle barche, il centro di primo soccorso e accoglienza, il molo dei trasferimenti.
La frustazione principale, o forse quello che non ci aspettavamo di incontrare, è stata – in quel frangente – l’assenza totale di contatto con la questione migrazione: in un’isola letteralmente blindata da tutte le forze dell’ordine italiane, invasa da turisti, gli sbarchi sono in sordina, prevalentemente di notte, e comunque senza far entrare i barconi in porto, ma facendo piuttosto un trasbordo in alto mare sulla barca della guardia di finanza. Sono un tocco di colore per le ragazze che si fanno una foto davanti al mucchio di barconi sfasciati accatastati accanto al campo sportivo, al porto.
Avevamo parlato con delle persone, avevamo letto giornali e libri e caricato di aspettative quel momento anche simbolico del lavoro che era il nostro arrivo sull’isola, il vedere con i nostri occhi, verificare. Ma la questione migratoria era negata, nascosta. Appena accennata ai tavolini del bar quando, sedendoti, il cameriere ti dice “c’è stato qualche problema in primavera ma sono i giornali che hanno esagerato, comunque adesso va tutto bene, pensiamo alle cose belle” oppure, invitandoti a un giro in barca “dopo aver guardato gli sbarchi venite a vedere com’è l’isola veramente”. Il resto era un andirivieni di camionette dell’ esercito, di carabinieri, ambulanze, pullman con i vetri oscurati di Lampedusa Accoglienza, diretti al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza, nascosto nell’entroterra.
Avevamo così cercato l’incontro con gli sbarchi a Lampedusa, che la mancanza di contatto creava una strana atmosfera, con decine di operatori umanitari, attivisti, giornalisti indipendenti che sciamavano insieme a noi, come mosche, al primo avvertimento di uno sbarco imminente, per osservare da lontano, carpire qualche immagine, capire.
Si trattava di seguire tracce nascoste, imparare a riconoscere i movimenti che segnalavano che qualcosa stava per succedere, perdersi per ore in motorino cercando il CPSA, interpretare una frase di un marinaio per  sapere quando avverrà il trasferimento in continente.
[Tra questi appostamenti, visioni da lontano, abbiamo assistito ad un respingimento in mare: una barca della guardia di finanza con un gruppo di persone a bordo è entrata in porto, ma dopo pochi minuti, senza neanche attraccare, ha fatto manovra ed è tornata in mare aperto, per poi consegnare alla marina militare tunisina i suoi passeggeri. Senza averli identificati, aver verificato il loro stato di salute e se avevano diritto di chiedere asilo politico, e dunque con un’operazione completamente illegale. Di questo i giornali non hanno quasi parlato.]

 

Open Street Map / openstreetmap.org

Lampedusa è un’isola che per sua natura ha una relazione strettissima con l’Africa. Anche solo per ragioni geologiche, dato che appartiene alla placca africana.
É piatta e sembra un trampolino verso l’Europa, con la sua costa cresce e si innalza sino a diventare un’altissima scogliera nel lato nord. Il resto è un deserto lunare.

Inizialmente disabitata, ci sono testi che raccontano di crociati che si trovarono a passare di là intorno al XII – XIII secolo, e che la descrivono come un’isola lussureggiante piena di fichi e vite. Pare che fosse usanza lasciare in una grotta dell’isola (presso la Madonna di Porto Salvo) dei viveri per i naufraghi e i fuggiaschi che si trovassero a passare di là. La regola implicita era quella di consumare il cibo e lasciare qualcosa in cambio.
Intorno al 1600 la grotta venne abitata da un eremita che, a seconda che la nave approdata fosse saracena o cristiana, officiava le due ritualità diventando prete o imam. Semplicemente, separava la caverna con una tenda che celava la chiesa o la moschea.
Successivamente l’isola venne affidata ai Tomasi (che divennero “di Lampedusa”) e divenne un’isola di confino.
L’isola è abitata da 180 anni circa e tanti sono i pescatori che, pescando in acque tunisine, ancora oggi finiscono per sposarsi con le donne di là, o con le sorelle e le cugine delle mogli dei loro fratelli.

È fisiologicamente una Porta d’Europa.
Ma come Porta d’Europa resta solo la scultura di Paladino.
Troppi sono gli interessi economici e politici perchè questa identità e questo ruolo vengano assunti.
Non tanto dai lampedusani, stressati da questa emergenza ordinaria in cui da 30 anni sono costretti a vivere, che mette a rischio l’unica risorsa economica che l’isola ha mantenuto, il turismo (e questo è un altro capitolo su cui varrebbe la pena di soffermarsi, ma forse non qui. Ci pare interessante in questo, il film Terraferma di Crialese). Ma dalla politica, che genera strumentalmente l’emergenza scegliendo deliberatamente di affrontare questa situazione in modo inefficace e senza appoggiarsi alle reti attive esistenti.
E dalle leggi sull’immigrazione, che generano un impressionante business attorno al fenomeno, a livello locale, nazionale ed europeo. Ha un costo giornaliero tenere una persona rinchiusa nei CPSA e nei CIE, ha un costo trasferirla con delle navi da crociera che applicano prezzi da crociera (nel 2011 erano la Moby e la Grimaldi, con una Tirrenia, pubblica, in fallimento), hanno un costo la militarizzazione dell’isola, che spesso non genera indotto locale, hanno un costo i respingimenti e il monitoraggio delle frontiere. Se ci fosse libera circolazione come avviene per noi, quando decidiamo di passare qualche mese in Tunisia, in Germania o in Marocco, cosa succederebbe?

 

Per approfondire questi discorsi, si possono leggere:
http://fortresseurope.blogspot.it
http://www.meltingpot.org
http://www.storiemigranti.org
http://www.migreurop.org
http://www.borderline-europe.de

Mentre scriviamo (24 settembre 2013), annunciano al radiogiornale che nel Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa ci sono 1250 persone, con una capienza massima di 250.

 

Prime restituzioni

Siamo tornati un’altra volta sull’isola, e i contatti e relazioni forse porteranno ad altri progetti a Lampedusa. Più che un progetto, quello su Lampedusa appare un processo, lento, speriamo duraturo. Una relazione fuori da emergenze mediatiche e mode passeggere.
Questa esperienza forte e questa riflessione comune stanno producendo alcuni lavori, ancora in evoluzione. Della pratica di TooA abbiamo mantenuto l’idea di condividere una riflessione che porti alla produzione di lavori diversi, indipendenti ma complementari. Sono lavori che possono circolare insieme o singolarmente, e che vogliono essere occasione di dibattito e discussione, confrontandosi con luoghi e situazioni molto diverse tra loro. Ad oggi sono in lavorazione L’isola, di Francesca Cogni e un progetto di Donatello De Mattia (tra cui Lampedusa Migrant Blues).

L’isola, still da video

L’isola
di Francesca Cogni

L’isola è il film in animazione e super8, che prova a ricostruire il viaggio e l’arrivo sulla terra ferma riducendolo all’umano, alla dimensione fisica (suoni, immagini, voci) ed emozionale. Ci sono le onde, il sole, le stelle e la perdita dell’orientamento, c’è il motore che si rompe, c’è un naufragio, ci sono morti che scivolano nell’acqua e persone che cadono e scompaiono nel buio.
Ci sono i corpi biologici che si muovono, anchilosati stretti sulla barca, violentati o disidratati, corpi che partoriscono, che non possono urinare, che soffrono il mare o che pregano.
E poi c’è un momento sospeso, in cui una sottile linea di terra appare finalmente all’orizzonte come un miraggio.
Quella lingua di terra è la concretizzazione fisica della possibilità di un riscatto e di una nuova vita. È la materializzazione del sogno. Lampedusa diventa il simbolo e l’archetipo della Terra. È la terra.
Lampedusa è quindi un luogo denso, che ha a che fare con la proiezione delle proprie paure e dei propri desideri, e dove si sovrappone lo strato dell’autorappresentazione politica.
È il pretesto per raccontare l’esilio, l’attesa, l’impotenza e la violenza, gli oggetti quotidiani portati con sé durante il viaggio.

In parallelo, si intrecciano le storie di cronaca che forse non leggiamo veramente più: dare un’immagine a ciò che non ha avuto testimonianza diretta, cambia la nostra percezione di un fatto? Ci impone di “guardare” qualcosa che, apparentemente ridondante, presumiamo di sapere?
Quello che succede dopo, per chi ce l’ha fatta, è la caduta, lo scontro con i confini e le barriere e le chiusure, la cui materializzazione più crudele è il nulla. Il vuoto, il silenzio, l’attesa. L’invisibilità.
È l’attesa durante il viaggio, l’attesa nel centro di identificazione, l’attesa di sapere il proprio destino, l’attesa del permesso di asilo o di soggiorno. L’invisibilità della condizione “tra”. Tra identificazione ed espulsione, tra legale e clandestino, tra casa ed esilio, tra vivo e morto.
Ci sono i gesti violenti e disperati, ribelli ad un limbo imposto, in cui la domanda è se si esista ancora.

Le scelte tecniche sono molto precise.
L’animazione è realizzata con pittura ad olio su vetro, dove il disegno si crea in negativo, togliendo e grattando la superficie del colore.
Graffito sulle pareti dei cie, ricordo che riaffiora sotto lo strato spesso della memoria di un’esperienza forte, presenza onirica: l’animazione traduce in immagini delle notizie di cronaca, racconta l’indicibile, il non detto, il non visto, con una ricostruzione esplicita ispirata alla tecnica dei disegni graffiati usati dalla scuola di italiano per stranieri Asinitas/Asnada.
Il super8 racconta l’approdo, la terra, il cimitero, Lampedusa come (suo malgrado) Fortezza. L’impasto della pellicola restituisce un luogo senza tempo, fuori dalla cronaca e dall’emergenza, creando un cortocircuito tra l’attualità e l’universalità.
Le immagini e le voci da youtube sono l’unica soggettiva possibile.

Una prima versione del montaggio de L’isola è stato proiettato al LampedusaInFestival il 21 luglio 2013. E’ in produzione un libro serigrafato a mano che contribuirà a finanziare il film con un finanziamento dal basso: isolafilm.wordpress.com

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Lampedusa Migrant Blues
di Donatello De Mattia

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Orizzonte Lampedusa, respingimenti

Domenica 21 Agosto 2011 ore 16:00 (circa)
Siamo nella sede dell’associazione culturale Askavusa. Arriva la notizia. Un nuovo arrivo dall’Africa.
Corriamo verso l’imboccatura del porto, sulla scogliera, al lato del faro verde.
Gli abitanti dell’isola con i binocoli aspettano. Anche loro sanno di un nuovo arrivo.
Con il binocolo, sotto il sole, aspettiamo.
Di solito nel porto sono ormeggiate 3 motovedette della Guardia di Finanza 3 dei Carabinieri e 3 della Capitaneria di Porto.
Manca una motovedetta della Guardia di Finanza.
Ecco quel punto all’orizzonte che tanto attendevamo. Interrompe la continuità della linea che separa i due blu. Il cielo e il mare. Anche se lontana, è inconfondibile, è lei, la motovedetta.
La riconosciamo per la maniera con cui solca il mare, è ben diverso da come lo fanno tutte le altre imbarcazioni. Veloce e potente, taglia in due il mare.
Passa il tempo, la visione si fa più chiara. Sul ponte c’è gente dall’altro continente. Africani. Del nord, del sud, del centro, in viaggio, in fuga.
Arrivano.
Sono stanchi, sono affamati, hanno sete, hanno sonno, hanno paura, devono pisciare, devono cacare, hanno freddo, non capiscono nulla di ciò che gli si chiede, sono contenti, sono arrivati, sono emozionati. Forse qualcuno che ha viaggiato con loro non ce l’ha fatta.
Centinaia di chilometri in mare. Senza bussola, senza mappe. Inscatolati e stretti, in una barca da pesca scassata che mentre naviga imbarca acqua. Intorno solo mare.
Arrivano in porto a bordo della motovedetta, sono circondati, sono stati catturati.
Qualcuno del gruppo alza il braccio con le dita a V, vittoria, ce l’abbiamo fatta, siamo vivi.
Rallenta il moto, sono pronti gli ormeggi, sono tutti pronti, siamo tutti pronti.
Siamo in porto, tutti aspettiamo.
Arriva l’ordine.
La motovedetta quasi all’ormeggio gira su se stessa, 360 gradi. Rombo di macchine a tutta forza. Le eliche agitano il mare a poppa: nervosamente, rapidamente, la motovedetta riparte.
Verso l’orizzonte da cui tutti l’avevamo vista arrivare. In un viaggio a ritroso. In un viaggio che sembrava finito e tutti erano in salvo.
Respinti, Riportati indietro. Al punto di partenza, da dove erano partiti, da dove erano fuggiti.

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Lampedusa CPSA – Centro di Primo Soccorso e Accoglienza

Nascosto in una ex cava di pietra c’è il CPSA (Centro di Primo Soccorso e Accoglienza)
edificio prefabbricato costruito in 2 mesi.
La capienza è di 250 posti. Abitato da 838 persone ( 569 uomini,142 donne, 127 minori )
Provenienti da: Tunisia, Libia, Eritrea, Somalia, Gambia, Etiopia, Ghana, Siria, Nigeria, Guinea Bissau, Bangladesh, Algeria …
La strada di accesso è presidiata da decine di mezzi delle forze dell’ordine.
E’ impossibile avvicinarsi.
Ci arrampichiamo sulle rocce che lo circondano e lo nascondono alla vista dell’isola. Osserviamo, ascoltiamo. Gli altoparlanti del centro chiamano e contano. Numeri e nomi.
Cerchiamo di capire cosa sta avvenendo. Alcuni ospiti del centro ci scoprono. Urlano e cercano invano il contatto con noi, il contatto con l’esterno.
Elicotteri sorvolano l’area.
Il CPSA è circondato da un recinto molto alto di rete e filo spinato. Assomiglia ad un campo di concentramento.

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Cimitero di barche

Motopesca MO 758
Monastir – Lampedusa
164,36 Km di distanza, velocità media 24 km/h, 7 ore di navigazione

Motopesca SF 1886 LASSED
Sfax – Lampedusa
188,27 Km di distanza, velocità media 24 km/h, 9 ore di navigazione

Motopesca HS Z56
Houmt Souk – Lampedusa
243,10 Km di distanza, velocità media 24 km/h, 11 ore di navigazione
queste e altre decine di imbarcazioni popolano il cimitero di barche
arrivate dall’Africa fino a Lampedusa.

Una barca tirata a secco e abbandonata in un campo, è come un pesce fuor d’acqua, giace accasciata su di un fianco, ha smesso di nuotare.

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Museo delle migrazioni

Una raccolta di oggetti ritrovati in mare, sulle spiagge, nelle imbarcazioni

vestiti, vestiti tradizionali, scarpe, monete, teiere, the, cappelli, pentolini, caffè, pacchetti di sigarette, foto-ricordo (genitori, parenti, amici), salvagente, corani, vangeli, bibbie, immagini di santi di madonne e di cristi che scendono dal cielo e salvano esseri umani dal naufragio, talismani preparati dagli Imam come buon augurio per il viaggio e per la vita che verrà, pentole, scatolette di tonno, scatolette di sardine, portafortuna, pezzi di imbarcazioni, cordame …

Ognuno di noi quando parte porta via con se qualcosa: oggetti, foto, parole, sensazioni, odori canzoni.
Porta via qualcosa per la durata di un viaggio o per sempre.

Cose che ci appartengono, alle quali siamo affezionati e ci fanno ricordare chi siamo e da dove veniamo.
Soprattutto quando non viviamo più nel posto in cui siamo nati e ritorniamo di tanto in tanto, oppure non ritorneremo mai più.

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TooA è un’associazione culturale che produce progetti di ricerca su popolazioni, luoghi e culture usando i linguaggi e le pratiche dell’arte, per creare scambi e connessioni tra realtà, persone e saperi differenti. L’associazione promuove progetti culturali che indagano la realtà contemporanea e ripercorrono la memoria dei luoghi in un’ottica di svelamento delle somiglianze, di scambio e relazione, di diversità e incontro, di meticciato culturale. TooA utilizza pratiche di ascolto e di intrusione lenta e “residenziale”, creativa, rispettosa ed effimera nel territorio, producendo una ricerca su di un tema (generalmente a partire da un luogo: un edificio, un percorso, un quartiere, una comunità, un territorio…) attraverso esplorazioni, relazioni, interviste, osservazioni, per poi produrre un “oggetto”, una sintesi poetica (reale o immateriale, o un dispositivo) che racconti e condivida le riflessioni generate da questa ricerca. Queste restituzioni possono essere sviluppate singolarmente, come lavoro collettivo o sotto forma laboratoriale. E’ molto importante per TooA la fase di restituzione pubblica dell’ “oggetto”: si tratta spesso di occasioni di confronto, socializzanti, decentrate, conviviali, che cercano di uscire dai luoghi canonici della fruizione culturale coinvolgendo direttamente i territori. I materiali riproducibili prodotti da TooA sono sempre disponibili online con licenza Creative Commons. TooA ha prodotto negli anni film, ricerche fotografiche, mappe, bandiere, opere grafiche, giochi di società, installazioni ed ha organizzato laboratori, festival, incontri, mostre.


É stata fondata nel 2008 dal duo di artisti Donatello De Mattia e Francesca Cogni.