§Rumore.
Ambiente, pratiche sociali e produzione musicale
Il rumore ci appartiene.
Frammenti dalla pratica musicale di Alberto Novello, Franco Degrassi, Alessandro Seravalle, Francesco Pellegrino, Luca Miti e Mia Zabelka
a cura di Stefano Giust

Una mia vecchia amica mi raccontò che dormire a casa della figlia il fine settimana, era per lei un supplizio perchè la casa era isolata nella campagna e durante la notte non si udiva alcun rumore, mentre lei era abituata da cinquant’anni al suo appartamento, in un condominio al lato di una statale, trafficatissima ad ogni ora, rumorosa, con i tanti suoni differenti che la caratterizzavano: quelli dei vari ciclomotori, delle moto di grossa cilindrata, delle utilitarie, dei camion, dei claxon e delle sirene di ambulanze…
Insomma: lei non riusciva a dormire nel silenzio della casa della figlia! Invece il rumore del traffico le conciliava il sonno, le dava pace. 

Vedremo qui di seguito alcuni punti di vista personali sul rumore, di artisti che hanno collaborato al catalogo dell’etichetta discografica Setola di Maiale che dirigo dal 1993 e che, ad oggi, ha raggiunto oltre cinquecento titoli. La label si occupa di musiche sperimentali, dalla musica improvvisata alla musica classica contemporanea, dal free jazz alla musica elettronica di ricerca per arrivare alle musiche incatalogabili: nel corso degli anni sono oltre mille i musicisti con cui si è avviata una collaborazione, molti dei quali artisti di primo piano nei rispettivi ambiti e quasi tutti coinvolti in qualche modo con l’arte del rumore, in maniera più o meno complessa. Se chiedessimo a ciascuno di loro perché il rumore sia divenuto importante in musica, le risposte partirebbero da considerazioni comuni, pensieri ed esperienze che abbiamo appreso dai compositori che ci hanno preceduto e che per primi hanno affrontato la questione, per poi rapportarvici personalmente, esplorando in prima persona le potenzialità che il rumore offre in campo compositivo e improvvisativo, ovviamente con la propria sensibilità e il proprio percorso artistico. 

Il rumore ormai non è più un problema per nessuno, è stato ampiamente sdoganato ed è una conquista legata certamente ai musicisti delle avanguardie del XX secolo. Russolo è un precursore, eppure la sua influenza sui compositori è stata, in realtà, piuttosto marginale, al contrario di quanto invece è accaduto per John Cage. Una volta aperto il vaso di Pandora, il rumore è entrato negli ambienti più avventurosi delle musiche non solo cosiddette colte, ma anche popolari, diventando elemento da utilizzare creativamente negli arrangiamenti, oppure come elemento in primo piano del brano (si pensi ai pezzi che resero famosi i Public Enemy, con veri e propri sibili rumoristici in loop e sui quali la musica è costruita). Questo approccio lo ritroviamo in altre musiche di largo consumo, come nella acid house della seconda metà degli anni ’80 e nella techno che ne è conseguita. Ma i primi a rendere il rumore centrale sono stati, nella seconda metà degli anni ’70, i Throbbing Gristle e con loro l’industrial music e il suo sottobosco seminale; certo prima di loro altri gruppi e artisti hanno affrontato il rumore, ma nessuno con un focus tanto esplicito al punto da marcare tutta la propria discografia.
Merzbow, Einstürzende Neubauten, Autechre, il Survival Research Laboratory, sono solo alcuni degli artisti che hanno nel rumore la base di partenza, spesso utilizzato anche in senso politico, di denuncia, di sofferente e rabbiosa esorcizzazione.

Anche il free jazz degli anni ’60 e ’70 si è relazionato al rumore, ricercato e liberato dai musicisti attraverso i loro stessi strumenti e perfino, in qualche occasione, utilizzando oggetti come ready-made sonori per trarne rumori e suoni marcatamente urbani e alienanti. Il Revolutionary Ensemble ne può essere un esempio storico, così come vecchie registrazioni di Peter Brötzmann e Han Bennink, o alcuni dischi di Evan Parker con Paul Lytton, dove anche l’elettronica rumoristica fai-da-te e semplici registratori a cassetta diventano parte dell’improvvisazione e quindi della proposta musicale nel suo insieme.

La musica improvvisata contemporanea – che è l’alternativa alla scrittura musicale, sia essa tradizionale o meno, essendo aderente all’idea di composizione, seppure istantanea ed estemporanea – ha ereditato e implementato varie tecniche esecutive delle avanguardie storiche, chiamate tecniche estese per i risvolti non ortodossi e non convenzionali della produzione sonora, e sono spessissimo utilizzate dai musicisti creativi per ottenere e indagare suoni alternativi e persino occulti dei propri strumenti, ampliandone di fatto le possibilità espressive. In questi processi il rumore ha un ruolo importante, viene ricercato, studiato e infine domato, entrando compiutamente nei processi creativi della musica stessa. Se alcuni artisti tendono ad ammansire il rumore, rendendolo “musicabile”, altri lo utilizzano per quello che è, diventando mero elemento di contrasto e di rottura all’interno della musica.

Personalmente, come musicista e strumentista, considero il rumore come parte integrante del mio approccio al suono e al ritmo: ne faccio continuamente uso, integrandolo in maniera organica con i suoni di tamburi e piatti della batteria, così che lo strumento superi i suoi limiti, diventando un cantiere di suoni molto allargato, una batteria espansa ed espansibile, con materiali aggiunti e procedure preparate, tecniche estese, che nell’insieme restituiscono una dimensione addirittura sinfonica. I rumori che utilizzo sono soprattutto acustici, prodotti da ogni elemento strutturale dello strumento (bordi e fusti dei tamburi, oltre che dalle aste) e da altri piccoli strumenti e oggetti aggiuntivi. Battenti diversificati, sfrigolii, sovrapposizioni, piatti su piatti o sulle pelli dei tamburi per produrre altri suoni indeterminati e rumoristici, vengono inglobati nei ritmi o ne diventano, dall’interno, parti complementari o perfino solistiche, che possono emergere in primo piano ed anche dissolversi nella polifonia e nella poliritmia del momento. Importantissime sono la dinamica e il timbro. Dal pulviscolo ai massi. Ma è possibile fare rumore anche suonando le parti ortodosse dello strumento, con ritmi asimmetrici e dinamiche esasperate, tanto da riuscire a somigliare, per esempio, a barili e oggetti riversati e ruzzolanti sul selciato di un vicolo, suoni che appunto vengono percepiti come rumori, mentre in realtà portano spesso con sé timbri e colori particolarissimi e intriganti (se mettessimo in loop una parte significativa di questo caos rotolante, apprezzarlo diverrebbe più facile perché ne risulterebbe un ritmo preciso che è un collante efficace e facilmente percepibile in quanto ordinato nella sua reiterazione).

Il musicista ha chiara la sostanza della musica, mentre questa non è necessariamente importante per i sound designer o gli artisti visuali che utilizzino nei loro lavori e installazioni il suono, il rumore, e questo perchè hanno una prospettiva diversa, mossa principalmente dall’evocazione, dalla suggestione psicologica, dal contrasto e dalle sinergie suono/immagine/ambiente, in altre parole non hanno la necessità di affrontare quelle che sono le qualità, i parametri, che la musica in generale richiede (intensità, altezza, durata e timbro, ma anche ritmo e melodia). Si creano tuttavia percorsi, sollecitazioni e accostamenti di grande interesse e proprio per questo anche il musicista “puro” può integrare o indirizzare la sua estetica a questo atteggiamento, diciamo psicologico, di organizzazione dei suoni (si pensi alla field recording) anche prescindendo dalle regole elementari della teoria musicale. Quello che conta alla fine, è la capacità espressiva di ciò che si produce e si ascolta.

Setoladimaiale Unit & Evan Parker - Angelica Festival (Bologna)

Dice Alberto Novello, musicista, compositore, improvvisatore e scienziato:

«I nostri sensi si sono sviluppati per estrarre significato dal mondo circostante, in particolare essi rilevano strutture, individuano e separano oggetti in base alla ripetitività ed altre leggi della psicologia cognitiva, per esempio della gestalt. Il fatto di avere elementi coerenti, come linee in un’immagine o di armonici in un suono permette al nostro cervello di creare significato, isolare strutture e classificare. Cio’ che invece non presenta ripetitività, che in qualche modo sfugge ai nostri sensi, ha difficile interpretazione e viene percepito e definito come rumore. Il rumore è caos, imprevedibilità, errore. Nella storia umana è stato spesso associato con qualcosa da eliminare, da risolvere, qualcosa di non voluto.

Dopo il razionalismo, il ventesimo secolo ha portato alla rottura di molte certezze. La fisica quantistica, con il principio di indeterminazione di Heisenberg, introduce nuovi concetti per descrivere la nostra incapacità a prevedere esattamente le proprietà dinamiche di un oggetto. Possiamo stabilire probabilità, ma non certezze assolute. Il determinismo si trasforma in statistica, il rumore è qualcosa di cui non possiamo disfarci, elemento intrinseco della natura con cui dobbiamo convivere.
Il rumore è stato analizzato e categorizzato: i rumori procedurali (Perlin/Simplex/Voronoi) sono comunemente utilizzati nella computer grafica per generare texture ed effetti. Offrono maggiore controllo e sono spesso utilizzati nella generazione procedurale per simulare texture naturali.
Quando i primi sintetizzatori sono stati costruiti, le loro funzioni di base per la creazione sonora erano cosi’ deterministiche e precise che mancava respiro ed imprevedibilita’ nel suono: il suono sintetico era troppo “perfetto”. Così i primi designers di sintetizzatori tra cui Don Buchla, introdussero il “noise”. Un segnale imprevedibili che puo’ essere cautamente iniettato nei vari stadi dell’architettura della sintesi di un suono per creare movimento, realismo e persino autonomia: le composizioni generative sono opere d’arte che creano strutture che evolvono diversificandosi in eterno tramite un sapiente equilibrio tra caos e regole deterministiche.
Ci si collega facilmente alla prassi improvvisativa, soprattutto musicale, in cui l’intuizione istantanea, spesso reagisce a situazioni inaspettate ed errori. La reazione immediata alle mutevoli condizioni circostanti, l’adattabilita’ al contesto musicale che evolve in modo non lineare, conseguenza di feedback complicati tra i vari musicisti, apre occasioni di creazione di composizioni istantanee impossibili da immaginare e catturare tramite spartito; si aprono nuovi linguaggi e possibilita’ che abbracciano il caso e l’opportunismo dell’istante. L’errore diventa occasione, e grazie alla giusta e pronta reazione, si trasforma in coerenza. Il Rumore viene allora glorificato, come ultimo passaggio del secolo scorso da accettazione a celebrazione totale».

 

Del resto, Franco Degrassi, compositore acusmatico, rincalza: 

«Il rumore ha un duplice destino. Da un lato, “suono non richiesto ma imposto”, è dominatore assoluto della vita quotidiana come prodotto inevitabile dei macchinari o, con velleità “musicali”, di altoparlanti onnipresenti, in ogni frangente dell’esistenza, dal bar al mattino fino alle segreterie telefoniche dei ministeri. Dall’altro, “suono ad altezza indeterminata, o solo parzialmente determinata”, è potente risorsa delle arti sonore che si affrancano, soprattutto a partire dalla fine del 1800 in occidente, dal dominio del “razionalismo” notale e tonale, per accogliere: 

  1. nella Musica di Performance, sovrapposizioni di note che annullano la percezione delle note singole (clusters ad esempio) ed uso non ortodosso degli strumenti tradizionali o della voce che ne accentuano le caratteristiche “rumoristiche” (pianoforte preparato ad esempio);
  2. nell’Acusmatica, qualunque “rumore” che normalmente viene “subìto” (frenata di un treno in stazione ad esempio) mentre, adeguatamente registrato, processato ed inserito in un contesto di arte sonora, può manifestare una insospettabile ricchezza ed interesse “poetico”.

Oggi anche gli spazi chiusi dove l’ascoltatore consapevole si era ritirato (R.Murray Schafer) per conservare possibilità di “discernimento sonoro” (sala da concerto, abitazione) sono stati minati dall’irruzione dei dispositivi sonori “indossabili”. Anticipati dai lettori di audio cassette e poi dai lettori CD portatili e dagli Ipod, gli smartphone stanno rivoluzionando completamente il modo di fruire il suono ed il comportamento degli ascoltatori. Perché hanno reso dominante l’ascolto con auricolari in qualunque situazione senza più fare avvertire la necessità di una “ritirata” in luoghi favorevoli alla fruizione concentrata ma subendo inconsciamente la permeabilità delle cuffiette ai suoni esterni. Perché inseriscono la fruizione sonora nel flusso della vita dominato dai social media, rendendo l’ascolto eternamente intermittente, componente di un “multitasking umano” sempre più accentuato e vorticoso. Perché tale situazione in parte permane anche negli spazi chiusi un tempo soggetti al tabù della distrazione: nelle sale da concerto fanno la loro comparsa comportamenti “turistici”, dalla ripresa degli artisti durante la performance allo squillare delle suonerie all’uso massiccio della messaggistica per “commentare” quello che accade.
Indispensabile è, allora, un progetto di educazione all’uso dei media e, soprattutto, una riflessione collettiva profonda, basata sul concetto di Limite, in merito alla dimensione onnipresente e insensata della Tecnica e del Profitto».

 

Alessandro Seravalle, musicista, compositore e improvvisatore friulano, vede “Il rumore come grimaldello per l’abbattimento della tirannia delle note.”

Dice: «Se, come credo fermamente, Luciano Berio è nel giusto quando afferma che “la musica è tutto quello che si ascolta con l’intenzione di ascoltare musica” allora diventa evidente come la scelta arbitraria di determinate frequenze (le note) che godono di uno statuto speciale nell’ambito della gamma di risposta del nostro orecchio appare ingiustificata. La musica ha dunque non solo il diritto ma anche il dovere di espandersi fino a conquistare nuovi territori frequenziali e morfologici. Naturalmente la questione non è nuova, basti pensare al significativo aumento dell’importanza delle percussioni ad altezza indeterminata o all’utilizzo sempre più strutturale del glissando nel corso del secolo scorso. Perché allora non esplorarne le potenzialità espressive sganciandosi da un purismo sonoro insostenibile? La musica della tradizione occidentale ha sempre teso a lavorare con sonorità “regolari” a scapito delle onde caotiche (questa è in definitiva la natura fisica di ciò che chiamiamo rumore). Si tratta di quella che chiamo “tirannia delle note”. Percepisco una sorta di volontà di espansione che porti la musica ad abbracciare l’intera gamma dell’udibile. Ritengo che il musicista dovrebbe dedicare i propri sforzi all’inclusione, si potrebbe dire, “democratica” di ogni risorsa il suono/rumore gli metta a disposizione in direzione di una “musica totale”. Il principio organizzante che è alla base dell’opera compositiva non è più auto-limitato all’angusto regno delle note ma si apre al possibile del suono/rumore. La tecnologia, anche scorporando la delicata questione dell’Intelligenza Artificiale, consente un lavoro minuzioso di costruzione del suono/rumore (penso in particolare alla sintesi granulare) che mi sembra insensato non perseguire tenendo al centro del proprio agire l’evocazione di una sorta di “utopia aurale” e la connessa questione di una Hörbildung (formazione dell’udito? Educazione all’ascolto?). È auspicabile che lo “scarto” di tutta una gloriosa tradizione artistica si prenda finalmente la scena e dialoghi da pari a pari con le note alfine detronizzate.”

 

Per Francesco Pellegrino, giovane musicista, compositore e improvvisatore bolognese, il rumore è percepito “Come postura d’ascolto”. 

«Ricordo precisamente la sensazione all’uscita del conservatorio, appena dopo la prima lezione dedicata a John Cage: l’udito si comportava in maniera diversa, seguendo ogni suono che, di colpo, sembrava aver guadagnato un senso all’interno del mio ascolto. Un senso nelle nuove possibilità di comporre con suoni che prima sembravano extra-musicali, ma soprattutto un senso nella possibilità di ascoltare il mondo: è questo che intendo per postura d’ascolto. Questo rumore è ben diverso dal rumore di Russolo o di Pierre Schaeffer; parlare di “oggetto sonoro” significa da una parte voler aprire il mondo della composizione a tutti i suoni che erano considerati extramusicali, ma dall’altra costringerli subito a un’unica possibilità, quella di oggetto, che come l’idea di nota, può entrare finalmente a far parte del comporre, aumentandone a dismisura le possibilità».

 

Luca Miti, pianista e compositore romano, ricalca:

«La questione non (mi) sembra essere più quella tra suono e rumore – questa infinitamente superata da decenni, da secoli (i futuristi, Varèse, Cage… ne abbiamo già parlato tanto…).
È una questione di linguaggio, forse.
Linguaggio cosiddetto umano e linguaggio cosiddetto animale: azzeriamo la differenza.
Suono, rumore, musica, linguaggio: tutto sullo stesso piano, insomma.
Vediamo un po’. Un gatto, ad esempio, ha un suo «linguaggio» (e questo non è neanche da dimostrare): vocalizzazioni (non verbali, antropocentricamente parlando). (Cos’è, suono, rumore o…?).
Parliamo per un momento di contemporaneità di eventi sonori.
Brusio. Un vociare confuso. Indistinguibile il significato della «parola», di ciò che si dice – si dice? E le differenze tra questo brusio e quelle vocalizzazioni? Perdita del significato – del senso (ancora, antropocentricamente).
Dunque, tutto è azzerato: suono, rumore, linguaggi – linguaggi.
Nessuna differenza, nessuna distanza – e allora tutto è musica, oppure niente è musica – non esiste la musica.”

 

La violinista, compositrice e improvvisatrice austriaca Mia Zabelka approfondisce ulteriormente:

«Ludwig van Beethoven’s Grosse Fuge and Arnold Schönberg’s “Twelve-tone music” sounded like noise to their audience at the time. John Cage’s composition 4’33, in which an audience sits through four and a half minutes of “silence” represents another excellent example of noise music. Noise at different times is defined as “intrusive, unwanted” or “not being appropriate or understood”. It can therefore be stated that every advance in music production is initially perceived as noise.
Noise musicians interact as if in a laboratory and engage in the process of research. This is an essential fact of this genre. Ultimately, for me, music has less to do with emotions, taste, or entertainment than with the description of a state.
My music is about the magic of a sonic journey into the world of subatomic interactions. My aim is to explore the translation of chemical and structural processes into sounds and make them perceptible in the audio field. By improvising on the violin, I explore the microcosm of sounds, microtonality and thus create a very specific noise music. The violin is probably the most suitable instrument for these investigations. Compositional design is very important to me and the violin is of course still the main instrument. It is about creating a unique, original musical language from the interaction of these components with the violin, my voice and the electronic sounds of the devices.
In my music I explore the processes of modulation, elimination and the oscillation of elementary particles. Beyond melodies, harmonies and rhythm, the aim is to make automatic processes audible – noise, movement, division, symbiosis, dissonance and resonance. Referencing back to the category of imagination as a profoundly human force, I have the artistic vision, that the fundamental principles of the universe, encapsulated in the behavior of elementary particles, hold the key to future discoveries and the potential evolution of life. By understanding and “listening” to the music of these particles, we gain insights that could lead to significant advancements and a broader understanding of life’s possibilities in the future».

Stefano Giust (1968) è un musicista improvvisatore, batterista, compositore e factotum dell’etichetta discografica Setola di Maiale. Il suo lavoro come musicista è focalizzato nell’ampio spettro della musica sperimentale e si sviluppa in direzioni diverse, nelle quali l’improvvisazione ricopre un ruolo centrale. Da circa quarant’anni indaga questi aspetti in campo acustico, elettrico, elettronico e performativo. Ad oggi ha pubblicato oltre 120 album a suo nome e come co-leader, negli ambiti della musica di improvvisazione contemporanea, del free jazz e della musica elettronica. Ha tenuto concerti in Italia, Inghilterra, Scozia, Paesi Bassi, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Svizzera, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Belgio, Polonia, Croazia, Brasile e Vietnam. Ha suonato con alcuni tra i più importanti musicisti improvvisatori internazionali come Giancarlo Schiaffini, Evan Parker, John Butcher, Thomas Lehn, Gianni Gebbia, Gino Robair, Thollem McDonas, Tobias Delius, Giuseppe Giuliano, Tristan Honsinger, Steve Beresford, Giorgio Pacorig, Alessandro Bosetti, Philip Corner, Patrizia Oliva, Burkhard Beins e Lotte Anker. Alcuni posti in cui ha suonato: Hanoi New Music Festival (Vietnam), Angelica Festival (Bologna), Jazz Cerkno (Slovenia), Mostra SESC de Artes (Brasile), MIBnight Jazz Festival (Germania), Vortex/Mopomoso (Londra), Area Sismica (Forlì), Jazz Club Ferrara, Sonoscopia (Porto), TAC-Temporary Art Center (Eindhoven), 48ma Biennale di Venezia, ZDB (Lisbona), Fondazione Mudima (Milano), Resonance 104.4FM (Londra).
Ha sonorizzato cortometraggi, film sperimentali e video arte. Ha fondato e tuttora gestisce Setola di Maiale, etichetta discografica votata alla musica creativa e sperimentale dal 1993, con la quale ha pubblicato il suo lavoro e quello di numerosi musicisti internazionali: finora ha prodotto oltre 500 titoli coinvolgendo circa 1000 musicisti e gruppi di tutto il mondo.
Dal 2016 è tra i curatori di Angelica – Festival Internazionale di Musica (Bologna).