Nell’era del capitalismo digitale il rumore entropico delle grandi città- in particolare quelle cinesi- è sempre più imperante costringendo l’ascoltatore a una riconfigurazione costante di quelli che rappresentano i suoni sociali, culturali, politici e dinamici consolidati.
Il rumore non è più considerato, come per le avanguardie del Novecento, il frutto caotico del progresso, ma diventa un campo di battaglia semiotico dove si scontrano identità, memorie e poteri.
Le grida dei venditori ambulanti descritti nelle fotografie di Fan Hou (何藩) lasciano il passo a voci digitali e suoni acuti emessi da media acusmatici collegati a QR code. Un rumore di fondo costante, voci impalpabili ma pervasive, generate e diffuse dalle telecamere di sorveglianza o dai veicoli che mantengono alti e costanti gli stati di allerta, portando alla inevitabile riconfigurazione di molte forme del vivere. Come osserva il filosofo Byung-Chul Han, viviamo in un mondo sempre più popolato da «non-cose» – informazioni, dati, flussi digitali – che hanno sostituito la materialità degli oggetti e delle esperienze tangibili (Byung-Chul Han, 2023). Questo passaggio dall’«era delle cose» all’«era delle non-cose» ha un profondo impatto sulla nostra percezione della realtà, incluso il nostro modo di ascoltare.
Questo “rumore entropico” della modernità non può essere semplicemente riducibile come inquinamento acustico, ma è un agente attivo che modifica le identità territoriali, erodendo il patrimonio sonoro immateriale di un luogo. Di fronte a questa cancellazione, la pratica artistica si erge come forma di resistenza e reinvenzione culturale, trasformando l’assenza in presenza e il residuo in testimonianza. La salvaguardia dell’eredità culturale immateriale di questi luoghi è l’obiettivo che lega il lavoro di molti artisti cinesi tra cui pioniere Zhu Jia (朱加), che con la sua potente installazione sonora The Sound of Silence (1996) modella l’assenza ridandogli forma. L’opera nasce in un momento cruciale per la città di Pechino, segnato dalla demolizione degli hutong – i tradizionali quartieri a corte – per far posto alla modernizzazione e alla speculazione edilizia. Un processo di violenta gentrificazione su scala monumentale, dove Zhu non registra il rumore della demolizione, ma il suo esatto opposto: il silenzio che segue alla distruzione.
Recatosi in questi spazi vuoti, cattura i suoni residui, i fruscii, gli echi, i suoni ambientali che risuonano dove prima c’era vita, e nel trasformare queste registrazioni in un’installazione, Zhu compie un atto di alchimia acustica: convertendo l’assenza fisica in una presenza sonora palpabile.
Il suo lavoro rivela come «il suono possa essere impiegato per rivelare le strutture di potere e le narrative ufficiali che modellano lo spazio urbano» (Zhu Ye ,2019), e concepisce il soundscape di Schafer come un archivio emotivo e politico, una testimonianza di ciò che è stato raso al suolo. Il “suono del silenzio” diventa così una metafora potentissima. Non è un silenzio assoluto, ma un silenzio che parla. È rumore bianco e residuo della memoria che si oppone al rumore assordante del progresso.
Come evidenzia la ricercatrice Rosie Thomas (2021) nella sua analisi sull’arte cinese, il modus operandi di Zhu Jia, in sintesi, è un monumento acustico alla perdita e un atto di resistenza memoriale contro l’oblio imposto dalla pianificazione urbana.
All’assenza, si contrappone la presenza residuale, tema portante del lavoro del giovane artista Zafka (Zhang Anding, 张安定), definito l’archeologo del quotidiano e fondatore della Youthology, la cui ricerca socio-acustica si incentra sulla scoperta dei suoni locali. La sua modalità operativa si configura come un’indagine etnografica condotta attraverso il microfono che cattura le voci dei mercati tradizionali, i clacson dei trasporti pubblici e i dialetti locali che rischiano di scomparire sotto l’omologazione linguistica. Il suo progetto centrale, Voice of the People, è esplicitamente un archivio di «voci e rumori urbani in estinzione» (Zafka, 2024) provenienti dal basso che formano un contrappunto vitale e dissonante rispetto ai “rumori ufficiali” – come i messaggi trasmessi dagli altoparlanti di propaganda nei quartieri – che rappresentano la voce monologica dello Stato .
Tuttavia, Zafka non si limita unicamente ad un’operazione di archiviazione. Attraverso il collettivo Sound and City (suono e città), infatti, rielabora queste registrazioni con live electronics, trasformandole in performance e composizioni musicali ed alle volte vere e proprie installazioni come nel lavoro del 2015 Ruins of Voices del progetto Everyday Life Alchemy: Sound Imagination, Sound Writing and Self-Revision (fig.1). In questo processo, i rumori residui cessano di essere mere reliquie e diventano strumenti attivi di riappropriazione critica di echi del passato sitespecific. Come afferma lo stesso artista, si tratta di «usare il suono per esplorare le dinamiche sociali e le emozioni della vita urbana contemporanea» (Zafka, 2023). La performance sonora diventa, per tanto, un modo per reimmaginare e riconquistare lo spazio acustico, storicamente controllato e monopolizzato dal potere, offrendo la possibilità gli ascoltatori di essere eticamente partecipi e attivi nella pratica dell’ascolto.

Come etico è il lavoro The Shanghai Soundmap che rappresenta il culmine di questi approcci artistici consapevoli e responsabili sul paesaggio acustico. Queste mappe sonore collaborative, aggregative di energia collettiva de-localizzata, spesso open-source, che permettono agli utenti di geolocalizzare e condividere registrazioni audio della città metropolitana. Non si tratta più di un archivio centralizzato, ma di una cartografia viva e collettiva, la cui continua costruzione, decostruzione, riconfigurazione e riscrittura dell’urbano muove dal basso.
Attraverso questa operazione libera, in tempo reale e collettiva, The Shanghai Soundmap descrive, definisce le nuove geografie sociali della metropoli e documenta non solo i suoni in via di estinzione- che in questa operazione diventano memorie condivise- ma anche i nuovi paesaggi acustici generati dal digitale, trasformandosi nel materiale memoriale primario delle generazioni future, dando vita ad un ritratto complesso, polifonico e in continuo divenire della città cinese.
Questo progetto, inoltre, incarna alla perfezione l’idea di un’ecologia sonora dove gli artisti e i cittadini diventano co-autori di un archivio vivente, opponendo alla logica del rumore entropico e del controllo, quella della comunità e della condivisione.
Gli approcci, appena descritti seppur diversi, riconfigurano il rumore residuo da scarto della modernizzazione a forma di resistenza culturale. Trasformano i suoni in via di estinzione in un archivio vivente, un repository della memoria collettiva che sfida le narrative ufficiali e la standardizzazione dello spazio. In un mondo di “non-cose”, questi artisti restituiscono materialità acustica all’esperienza, dimostrando che ascoltare i resti, i residui e i margini sonori della città è un atto profondamente politico di reinvenzione della propria identità e del proprio spazio.
Bibliografia
Byung-Chul Han, Le non cose: Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi, 2023.
Thomas R., Art and Photography in China: The Politics of the Icon,2021.
Zafka (Zhang Anding), Progetto Voice of the People: archivio sonoro sociale– archivio di voci e rumori urbani in estinzione, 2023.
Zhu Ye, Noise and Capitalism in China, in L. Chumley & N. A. Caldor (Eds.), Sound and Power in China: The Politics of Audibility. Harvard University Press.2019.
Zhu Jia, The Sound of Silence. Installazione sonora, 1996.
Aurora Vivenzio è nata a Napoli nel 1991. Nel 2016 si laurea con lode alla magistrale in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo-Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Dal 2016 ad oggi è cultrice della materia in Storia dell’arte moderna e contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove dal 2017 è anche collaboratrice-tecnico dell’Ufficio Internazionalizzazione. Nel 2017 ha conseguito il master in Didattica dell’Italiano L2 presso l’Orientale di Napoli, e nel 2019 ha insegnato come docente L2 presso la Dante Alighieri di Torino. Dal 2024 è docente a tempo determinato per le scuole secondarie di primo e di secondo grado in Arte e Immagine e Disegno e Storia dell’arte. Dal 2020 è dottoranda presso la CAA di Hangzhou (Cina).
