POLITICS AND POETICS OF DISPLAYING
Display dell’effimero e progettualità contemporanea
Intervista a Renato Nicolini
a cura di Rossana Macaluso

Ricordo perfettamente quando ho contattato per la prima volta Renato Nicolini. Fu da subito disponibile ad incontrarmi. Da giovanissima curatrice reputavo indispensabile un confronto con lui per poter arricchire la mia tesi di master il cui tema verteva sul riuso degli spazi storici in chiave contemporanea, con un particolare focus sulla Cultura del monumento radicata in Italia. Bastarono dunque poche parole sul concept della mia ricerca per ottenere un confronto e il risultato fu l’intervista che segue, presentata come materiale di ricerca nell’ambito della mostra Forward Looking presso il MACRO Testaccio di Roma a cura del Master in Curatore Museale di Eventi dello IED di Roma nell’aprile del 2010.
Renato Nicolini rappresenta una figura chiave per delineare una tipologia particolare di professione e di professionista, quella del creativo che mette a disposizione le proprie competenze a favore della collettività. Personaggio chiave della realtà romana la sua attività ha spaziato dalla politica al teatro, dall’attività di architetto a quella di docente. E’ stato professore di Composizione architettonica presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Ha lavorato nel campo della cinematografia, come sceneggiatore e soggettista (in Utopia, utopia del 1969, di Azio Cascavilla o A proposito di Roma, del 1984 di Egidio Eronico). Ma Renato Nicolini è anche, se non soprattutto, l’assessore alla Cultura della città di Roma dei sindaci Argan, Petroselli e Vetere (dal 1976 al 1985). Da assessore si è impegnato in una politica culturale dell’effimero il cui risultato più incisivo fu l’ideazione dell’Estate Romana, realizzata per la prima volta nel 1979, per la quale è stato nominato dall’allora Ministro alla Cultura francese Jack Lang, Officier de l’Ordre des Arts et des Lettres.
Nel complesso rapporto tra spazio moderno e contemporaneo Nicolini ha infatti tenuto sempre una posizione lungimirante e utile a rinnovare la stessa percezione della città di Roma, non solo proiezione romantica legata allo stereotipo della città eterna, ma dimensione urbana e contemporanea da vivere. Dunque non una Roma che si arresta al suo centro storico, non una Roma turistica, ma una Roma viva e da vivere in tutte le sue meraviglie. Con l’assessore Renato Nicolini i totem inviolabili rappresentati dai monumenti classici, imperiali e papali sono diventati luoghi di interazione e integrazione, luoghi in cui poter vivere esperienze creative o ricreative (basti pensare ai ricchi programmi delle estati romane che permisero l’accesso a innumerevoli luoghi storici per assistere a spettacoli teatrali piuttosto che musicali). Renato Nicolini, da architetto, assessore, professore, regista, ha dunque attivato un processo importantissimo per l’Italia, già realtà in altri paesi del mondo, ovvero quello di superare la concezione della città storica come dimensione da preservare dal tempo perché ad essa è stata affidata la propria identità. In Italia ancora molto va fatto per abbattere una concezione limitante del bene comune, soprattutto se storico.
Un esempio molto forte della distanza che separa il nostro paese dagli altri è rappresentato dal Museo del Louvre la cui struttura originaria risale all’epoca di Filippo II (XI secolo), ma i cui impianti contemporanei (la famosa Piramide – ingresso del museo) sono stati costruiti a fine anni ‘80 su progetto di Leoh Ming Pei, grande maestro dell’architettura modernista. Il Louvre non ha perso la sua dimensione storica. Il Louvre è uno dei musei più visitati al mondo. In Italia, molto spesso, le progettazioni contemporanee in contesti fortemente caratterizzati storicamente creano poco dibattito culturale e grandissime polemiche. Basti pensare alla costruzione dell’Ara Pacis di Richard Meier nel centro storico di Roma accusata di essere la costruzione giusta, ma nel posto sbagliato. La storia della città è storia dello sguardo e per dirla con le parole dello stesso Renato, “confido che anche in questi anni duemila, che non sono certo stati brillanti, qualcuno abbia continuato a coltivare l’immaginazione”.

Roma, marzo 2010

RM: In Italia, spesso, intorno a progettazioni architettoniche contemporanee non si sviluppa un dibattito culturale ma solo grandi polemiche. Secondo lei è la preminenza della cultura modernista a stabilire che ogni intervento contemporaneo non debba confondersi con la storia?1 Quanto influisce la paura di infrangere lo stereotipo della città storica e di invalidare il sistema turistico che attorno vi si è creato?
RN: La causa – forse – è piuttosto nel contrario. La cultura modernista attraversa una grande crisi negli Anni ’60. Nel ’65 Robert Venturi scrive “Contraddizioni e complessità nell’architettura” – omettendo per la prima volta dopo Le Corbusier l’aggettivo “moderna”, ristabilendo la continuità storica attraverso il moderno. La nascita del post moderno viene però presa quasi come una dichiarazione di resa. Nel senso comune si rovescia l’idea di Le Corbusier, il cammino degli uomini contrapposto al cammino degli asini; o l’idea di Ranuccio Bianchi Bandinelli, per cui non si deve ricostruire all’identique nei centri storici, ma far vedere la diversità del tempo storico. La modernità come incubo e bruttezza è raffigurata da un grande film di Jacques Tati, “Mon Oncle”. Sempre negli anni ’60 Italia Nostra conosce un grande successo, e si arriva a bloccare il Concorso per la nuova sede della Camera a piazza Montecitorio, iniziando contemporaneamente la politica di acquisizione di palazzi storici per le necessità del Parlamento. Qualcosa che, contrariamente alle aspettative ad esempio di Italo Insolera, farà molto male al centro storico di Roma, da allora a mezzadria tra i palazzi del potere politico ed una sorta di grande shopping mall a cielo aperto. La città storica viene vista scorrettamente come qualcosa da congelare nei suoi edifici; mentre si rinuncia a tutelare la vita che vi si svolgeva. A Roma, per esempio, via Margutta era un sistema di pittori, scultori, artigiani. Gli ultimi sono stati cacciati; e gli edifici sono stati riusati a fini commerciali.

RM: Quando realizza un progetto si pone il problema dell’accettazione del suo lavoro? Pensa che riceverà critiche la realizzazione del suo vincente progetto di riqualificazione dell’area di piazza Augusto Imperatore promosso dal Comune di Roma?
RN: Non è che l’architetto “si pone il problema”, glielo pone la società e prima ancora la committenza. Non per ragioni di qualità architettonica, ma sempre con l’assillo del “fare presto”. Faccio l’esempio di Largo Augusto. Il Comune ci ha chiesto di rinunciare all’esecutivo, per poter andare in gara col meccanismo dell’appalto integrato, con cui è la ditta vincitrice a dover predisporre l’esecutivo.

RM: L’identità visiva di Roma è legata ai monumenti, ma oggettivamente non si arresta ai confini del centro storico. Perché i maggiori progetti di riqualificazione vertono su questo?
RN: In parte perché all’interno della mura c’è una maggiore concentrazione di monumenti; in parte perché dopo il 1962 c’è una incredibile pigrizia urbanistica. Basti pensare alle “nuove centralità” del PRG approvato recentemente, senza nessun collegamento con la storia della città o con un’idea di città. Il Comune ha rinunciato ad un’idea di Roma, tutti noi ne soffriamo le conseguenze.

RM:Cosa ne pensa della mia bizzarra teoria di applicare le teorie brandiane della reversibilità e della riconoscibilità agli interventi progettuali contemporanei?
RN: Non la trovo affatto bizzarra, Cesare Brandi ha ancora ragione. Certo, il sentimentalismo oggi è molto diffuso, e porta con sé un plotone di restauratori all’identique. Vorrei aggiungere che un’altra cosa è la capacità artigianale di interventi di manutenzione, che saranno sempre prevalenti nella città storica. Finchè un edificio sta in piedi, si deve mantenerlo. Quando è crollato, come a Largo Tassoni, è bizzarra l’idea di ricostruirlo in forme anodine, volendo perseguire l’anonimato si raggiunge la mediocrità.

RM: Un progetto di appendici di vetro su palafitte che vadano a ricoprire le parti mancanti del Colosseo. Toccare il più grande totem romano. Cosa pensa sia possibile fare? Pensa sia davvero inviolabile?
RN: Ho sempre pensato che sui monumenti si possa scrivere ancora. Oggi possiamo vedere il Colosseo per gli interventi di Stern nel ‘700. Tanto più per allestire delle mostre. La giunta Vetere, nel 1982, ricostruì una sezione effimera del monumento. Lo penso da quando mi sono laureato, con una tesi che prevedeva di costruire sul Monumento a Vittorio Emanuele delle architetture leggere. Anche se poi si rivelò così complicato che finii per demolirlo…

RM: È l’assessore più creativo e all’avanguardia che l’Italia possa vantare. Cultura dell’effimero e progettualità concreta. Come riesce ad incanalare la sua creatività in entrambe le attività?
RN: Non so se ci riesco. L’effimero di quando ero assessore a Roma non è solo merito mio, ma di una generazione che aveva coltivato grandi immaginazioni nei tempi bui della Roma democristiana. Confido che anche in questi anni duemila, che non sono certo stati brillanti, qualcuno abbia continuato a coltivare l’immaginazione.

1 G. Pullara, Felici Dissonanze, dal Corriere della sera del 24.09.05.

Bibliografia ragionata

AA.VV. Trentotto Proposte per la sistemazione di Piazza Augusto Imperatore, Prospettive Edizioni, 2003.
G. Accasto, V. Fraticelli. R. Nicolini, L’architettura di Roma capitale: 1870 – 1970, Edizione Golem, Roma, 1971.
R. B. Bandinelli, Roma. L’arte romana nel centro del potere, Rizzoli, Milano, 2002.
P. Ciorra, Ara pacis, su il sipario, Il Manifesto, 21.04.2006.
G. Cuccia, Urbanistica Edilizia Infrastrutture di Roma Capitale 1870 – 1990: una cronologia, Laterza, Roma – Bari, 1991.
M. N. De Luca, Ara Pacis, la teca di Meier una festa tra le polemiche, La Repubblica, 22.04.2006.
V. Emiliani, Costruire in centro? Non facciamo come Parigi, Corriere della sera, 10.05.2004.
B. Ferriani, M. Pugliese, Monumenti effimeri. Storia e conservazione delle istallazioni, Milano 2009.
L. Garrone, La nuova piazza dell’Ara Pacis, Corriere della sera, 22.04.2006.
F. Giovanetti (a cura di), Manuale del Recupero del Comune di Roma, Tipografia del genio civile, Roma, 1997..
F. Giuliani, La polemica – Anche il centrodestra contro l’opera “Una ferita al centro”. La Repubblica 24.09.2005.