TO PLAY
Dalla gamification all’interattività polisensoriale
Nuove dinamiche ludiche nell’arte contemporanea
di Chiara Canali

Uno dei fenomeni della società contemporanea che sta rapidamente prendendo piede è quello della “gamification”, termine coniato nel 2010 da Jesse Schell che indica la tendenza a introdurre le modalità di pensiero e i meccanismi del gioco in diversi campi e aspetti della vita.
Con la gamification ci si propone di applicare dinamiche ludiche ad attività che non hanno direttamente a che fare con il gioco, per modificare il comportamento delle persone e favorire la partecipazione attiva degli utenti verso il messaggio da comunicare, anche in ambito aziendale.
Jane McGonigal, figura chiave dell’Institute for the Future e autrice del libro La realtà in gioco. Perché i giochi ci rendono migliori e come possiamo cambiare il mondo1, tra le prime ha intuito le potenzialità dell’esperienza motivazionale del gioco e della connettività del web per dare vita a una relazionalità sociale più forte e, al tempo stesso, per ridisegnare la realtà esterna.
La gamification recupera quindi gli stilemi del gioco, con massima propensione nei confronti di quelli digitali, come i videogames, proprio perché i giochi sono degli “ostacoli non necessari” che generano accessibilità, interesse e felicità, partendo dal presupposto che anche i videogame iniziano con un livello base (tutorial) per poi elaborare schemi di comportamenti e azioni sempre più complesse in modo da far vivere al giocatore la sua esperienza ludica.

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Jane McGonigal, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, 2011

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I quattro elementi fondamentali del gioco (obiettivi, regole, feedback, volontarietà della partecipazione) teorizzati dalla McGonigal e i criteri di accesso, flusso e fruizione sono presenti in alcune delle più recenti tendenze dell’arte contemporanea: gli artisti utilizzano spesso le stesse regole della gamification per offrire inizialmente al pubblico una visione semplice e immediata della loro opera, che attivi emozioni felici e positive, per portarlo poi verso elaborazioni più articolate e comprensioni più profonde ed epiche, stimolando l’indagine dei molteplici significati che l’autore ha nascosto sotto i vari livelli di lettura.
Grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie e di dispositivi di tipo interattivo, gli artisti si sono riappropriati di una concezione video-ludica del fare, partendo da sperimentazioni che utilizzano proprio i videogames come principio che consente un accesso rapido e immediato all’opera d’arte.
Tra i primi artisti a indagare le intersezioni tra arte e videogame, in chiave critica, come medium da manipolare, decostruire e ricostruire, è Cory Arcangel, che nel 2002 tra le sue prime opere decise di alterare una vecchia versione del videogame di Super Mario Bros rimuovendo i personaggi, le scenografie e i suoni, così che nulla fosse lasciato sullo schermo ad eccezione delle nuvole che lo attraversano. L’installazione, che ora fa parte della collezione permanente del Whitney Museum2, può essere allestita in modi diversi, ma la console Nintendo è sempre messa in bella vista assieme ai proiettori, agli schermi e ai fili di collegamento, creando l’archetipo di un’esperienza ludica che milioni di teenager, ora adulti, hanno vissuto in prima persona.
Molti altri artisti, dopo Cory Arcangel, hanno utilizzato schermate, formule ed elementi dei videogames all’interno di progetti artistici come per esempio Alessandra Rigano e Federico Castronuovo di “Serenata”, IOCOSE, Mauro Ceolin, Eva & Franco Mattes, Carlo Zanni , Miltos Manetas, e altri ancora, tutti protagonisti della mostra Neoludica. Art is a game 2011-1966, evento presentato alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte – Biennale di Venezia. L’arte è un gioco, diceva anche Duchamp, e i giochi sono arte. Secondo i curatori del progetto “i videogiochi sono anch’essi un’arte e hanno avuto, negli ultimi anni, un impatto determinante sulle altre arti: dal cinema alla letteratura, dalla musica alle arti visive”. In particolare, i più recenti prevedono un’interazione più diretta tra il corpo del giocatore e l’azione su schermo, ed è soprattutto la dimensione software del videogioco a offrire spunti di riflessione sul suo carattere di fruibilità interattiva che sta diventando predominante anche in certe pratiche artistiche contemporanee.

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Federico Castronuovo e Alessandra Rigano (Serenata), 011101110110000101101110, 2011, Pixel art, 40 x 70 cm
courtesy l’artista


È il caso del progetto Street Crosser di Noobware & Nutone, parte del programma Participatory City 2014 – From Passive Consumers to Active Citizens3, ha messo in scena un’installazione interattiva in forma di videogame, studiata per far insorgere consapevolezza sociale e intellettuale in merito ad uno dei grandi problemi diffusi nella città di San Paolo: gli incidenti stradali che coinvolgono i pedoni. I giocatori, attraverso una consolle, sono introdotti in uno scenario in cui devono attraversare la strada in un punto in cui mancano i semafori, cercando di scansare auto, bus, scooter e bici nel tentativo di arrivare sani e salvi a destinazione.

Noobware & Nutone, Street Crosser , 2014, installazione ambientale (Participatory City 2014)

 

Non solo i videogames sono sinonimo di opera ludica multimediale, ma esistono altre espressioni artistiche che sfruttano le strutture del gioco, i programmi digitali di simulazione e la stimolazione dei sensi per attivare la partecipazione e la riflessione del pubblico.
L’interattività è sicuramente una delle forme espressive attuali più ludiche che coinvolge gli spettatori in giochi di ruolo, mettendo in primo piano il corpo e la polisensorialità come piattaforme di condivisione. Come afferma Silvana Vassallo, “Il fatto che l’azione di un potenziale pubblico sia inscritta nei parametri compositivi delle opere interattive comporta un radicale mutamento delle condizioni di fruizione: allo spettatore viene richiesto di assumere il ruolo di performer o co-autore, di immergersi in un’esperienza partecipativa e sinestetica, al contempo psichica e fisica, secondo modalità associate frequentemente ad una dimensione ludica”4.
Parte da Berlino ma è attivo in tutto il mondo il gruppo Invisible Playground5, un collettivo di artisti, game designers e studiosi. Invisible Playground collabora con le istituzioni culturali per creare divertissement site-specific and progetti di varia dimensione ed entità. “Progettiamo sistemi giocosi che mettono in cortocircuito le connessioni tra le persone, gli ambienti in cui vivono e le tecnologie che utilizzano. Ci piace quando i giochi sono divertenti e ci fanno stare felici insieme, in questo mondo”. Invisible Playground sviluppa infatti modalità sperimentali di partecipazione interattiva nello spazio urbano, come per esempio in occasione del progetto 72 Hours Urban Action dove sono stati ideati degli interventi nella città di Witten per far divertire le persone nello spazio pubblico e farle intervenire attivamente nella città dando libero sfogo alla loro creatività.
In Italia, dagli anni Novanta, lo Studio Azzurro si appropria di elementi ludici e interattivi per costruire i suoi ambienti sensibili, così definiti perché reagiscono agli stimoli dei visitatori. In questo caso il meccanismo artistico si basa sul tatto e sul respiro che, innescando una reazione negli strumenti tecnologici ormai rigorosamente invisibili, producono un segno, una traccia, anche semplicemente calpestando una superficie come nel caso di Coro.

 

Studio Azzurro, Coro, 1995, ambiente sensibile

 

La sperimentazione poetica del linguaggio di Studio Azzurro mette in luce sia l’aspetto estetico legato alla visione, sia quello antropologico connesso alla reazione emotiva e sensoriale delle persone. Gli ambienti sensibili sono costruiti secondo delle regole che permettano allo spettatore di essere parte integrante dell’evento: l’utilizzo delle mani, delle espressioni corporee, dei movimenti diventano esigenza necessaria affinché lo spettatore, come nei giochi, si possa mettere in contatto con lo spazio circostante e con l’ambiente.
Tra gli autori più giovani dell’ultima generazione che ricorrono a meccanismi di partecipazione che riprendono i temi della gamification, l’artistaVincenzo Marsiglia crea specchi polarizzati dotati di webcam che generano variazioni cromatiche e percettive differenti a seconda dei comportamenti e dei tempi che lo spettatore tiene di fronte all’opera. Mediante le sue opere interattive, collegate a un programma di rielaborazione delle immagini e a un’applicazione appositamente studiata per iPad, il pubblico entra a far parte della texture digitale dell’opera come elemento attivo e performante. Gli specchi polarizzati intercettano l’immagine del fruitore e la rielaborano in una tessitura di stelle digitali, pixel colorati e rumori animati.

Se nel caso di Marsiglia il rispecchiamento dello spettatore, che entra a far parte delle opere, genera un’interferenza visiva che riporta l’attenzione sull’autorialità del codice visuale e linguistico dell’opera, nelle video-installazioni interattive di auroraMeccanica il pubblico è chiamato in gioco attraverso l’interazione gestuale con elementi meccanici, materiali e tangibili (come l’acqua) quale tappa fondamentale per il completamento concettuale dell’opera, per generare significati di “responsabilità” etica o sociale su temi di riflessione universali.
Come tutti i trend che facilitano la fruizione artistica, l’interattività e la dimensione ludica propria della gamification sta riscontrando una sempre maggiore diffusione poiché permette di abbandonare una definizione gerarchica dell’arte a favore di una sua progressiva democratizzazione, ampliandone i livelli di accesso e di comprensione e ottenendo successo in un pubblico sempre più variegato.

auroraMeccanica, Esigue Dipendenze, 2013, installazione, videoproiettore, vaschetta, acqua, computer, sensore capacitivo

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1 Jane McGonigal, La realtà in gioco. Perché i giochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo, Apogeo, Milano 2011.
2 http://whitney.org/ForKids/Collection/CoryArcangel/200510.
3 http://connectingcities.net/city-vision/participatory-city-2014.
4 Silvana Vassallo e Andreina Di Brino, Arte tra azione e contemplazione. L’interattività nelle ricerche artistiche, Edizioni ETS, Pisa 2003.
5 http://www.invisibleplayground.com/en/welcome.

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Chiara Canali (Piacenza, 1978) è critico d’arte, giornalista e curatore indipendente. Dottoranda del Corso di Dottorato di ricerca in “Scienze Umane” presso l’Università degli Studi di Perugia, è ideatrice e promotrice di eventi e iniziative dedicate alle nuove tendenze dell’arte contemporanea.
Nel suo percorso ha dedicato particolare attenzione ai nuovi linguaggi e ai nuovi media dell’arte, con particolare enfasi sulla fotografia, sui new media e sulle tecnologie digitali. Nell’ambito dell’e-festival, Festival della Rete e Social Media week, ha ideato la mostra Arteractive. Arte, Interattività e Reti sociali, presso l’Urban Center di Milano e a Parkissima52, evento collaterale di Paratissima 2011 a Torino. Ha organizzato oltre 200 mostre e progetti per gallerie private e istituzioni pubbliche.