§Fascismi
Tre curve della schiena
di Gianni Moretti

Proprio 10 anni fa, a Berlino, ho iniziato a lavorare a un’idea. Più precisamente ho sentito il bisogno di dare forma a un’ossessione nei confronti di un piccolo gruppo di immagini in bianco e nero in cui mi sono imbattuto visitando la Topografia del Terrore di Berlino. Durante quel sopralluogo venni attratto da un gruppo di immagini fotografiche ritraenti corpi di internati che cercarono di fuggire dai campi di concentramento e che vennero uccisi e fotografati, nel luogo della loro morte, dai soldati nazisti. Erano corpi abbandonati perlopiù sui prati, vestiti, in pose casuali, come raggelati in un movimento di passaggio. Mi sembrava non ci fosse nulla di definitivo in quei corpi, sembrava e sembra che stiano per rialzarsi e ricominciare a camminare. Ma non tanto questo, non tanto il prato, non tanto il fatto storico in sé, prepotente e pesantissimo nella sua vastità. Non tanto questo mi colpì quanto la solitudine. Erano corpi soli, abbandonati in un luogo qualsiasi con nessun altro corpo attorno. Nulla della drammatica austerità delle immagini di guerra che ho in mente in cui, seppur abbandonati o ammassati, i corpi spesso si toccano, sono vicini, a volte in fila, sono parte di un tutto più grande, sono parte di qualcosa che li contiene. Sono riconducibili a una comunità, a un gruppo, sono corpi che appartengono, a qualcuno e a una Storia, seppure ai suoi margini. 

La biblioteca di ghiaccio e di sale (2015) galleggia in questo pensiero di non appartenenza così come galleggia in un luogo di passaggio senza alcuna coordinata precisa. Corpi non cancellati ma dimenticati, semplicemente tralasciati, come sospesi. Il lavoro è composto da una struttura in legno, la cui forma ricorda l’angolo di una scaffalatura da biblioteca, e 9 stampe su carta velina delle immagini di cui sopra. In ognuna di queste immagini sono intervenuto incidendo in strisce sottili la figura umana senza asportarla ma lasciandola attaccata solo per alcuni lembi. 

La biblioteca di ghiaccio e di sale, 2015, legno, stampa digitale e tagli su carta velina, 480x270x400 cm. Veduta di installazione: Museo CAOS, Terni. Courtesy: l’artista

Ho cercato di dare una forma a uno stato di mezzo e di passaggio, una condizione a metà. I corpi umani di quelle immagini sono visibili integralmente solo per alcuni momenti, quelli in cui la figura si ricompone per caso, per poi scomparire di nuovo, cadere, quasi sciogliersi e liquefarsi.
Nel realizzare questo lavoro mi sono sentito come un animale avvinghiato a un tronco mentre cerca di sfuggire al pensiero, alla paura, di questo stato di passaggio che viviamo, senza aggrappante. Ecco, la paura di scivolare via e basta. 

L’etimo latino del termine attenzione parla di “volgere l’animo a qualcosa”.
Come si fa a indurre l’animo a volgersi verso qualcosa? Ho pensato a come cambia il mio sguardo quando si posa su una superficie verticale o orizzontale. Non lo fa nello stesso modo. Se voglio studiare qualcosa ho bisogno di poggiarlo su un tavolo, ho bisogno che le parole riposino su un piano orizzontale. Nel realizzare La biblioteca di ghiaccio e di sale ho pensato a quelle immagini che ruotano e passano da un piano verticale (di osservazione) a uno orizzontale (di attenzione). Ho pensato altresì a una biblioteca, in cui le parole e le immagini passano continuamente da un piano verticale, mentre sono stipate sugli scaffali, ad uno orizzontale, quando vengono distese su tavoli, aperte, lette e accolte.

La biblioteca di ghiaccio e di sale, 2015, legno, stampa digitale e tagli su carta velina, 480x270x400 cm (dettaglio). Veduta di installazione: Museo CAOS, Terni. Courtesy: l’artista

Una biblioteca, il luogo di attenzione per eccellenza, custodisce anche pagine che raccolgono fatti, soggetti, eventi che sono passati nell’ombra, che sono stati persi e dimenticati, come se fossero stati sepolti sotto uno strato di ghiaccio che ricopre campi, strade, vegetazione e il mondo intero. Poi può capitare che arrivi una manciata di sale a mangiare quel ghiaccio, che faccia tornare a respirare ciò che dorme sotto di esso, qualcosa che non è perso del tutto, che non è morto ma solo addormentato. Credo che buona parte del mio lavoro e della mia ricerca stia lì, nel tentativo di trasformarsi in quella manciata di sale gettata a ventaglio sopra il ghiaccio che ricopre le cose.

Prestare attenzione significa dedicare del tempo. Cinquemilanovecentosedici minuti per Orlando (2021) è un lavoro sul tempo. 

Il tempo che Orlando Orlandi Posti ha passato in prigione in via Tasso a Roma nel 1944, prima di venire ucciso alle Fosse Ardeatine. Il tempo dilatato e interminabile, passato in carcere, che Orlando ha raccontato nei biglietti che scriveva alla madre durante la reclusione e che le faceva avere clandestinamente, nascosti nei colletti delle camicie che le mandava da lavare.
Il tempo futuro che non ha avuto modo di vivere, quello in cui si immaginava medico, accanto alla ragazza di cui era innamorato.

Cinquemilanovecentosedici minuti per Orlando, 2021, stampa manuale a caratteri mobili su 32 lastre di ottone accoppiate e montate in 16 strutture rotanti di alluminio verniciato, 35x20 cm cad., dimensioni variabili dell’installazione (dettaglio). Veduta di installazione: Galleria Giampaolo Abbondio, Milano. Courtesy: l’artista. Documentazione fotografica: Davide Lovatti

Un terzo tempo, quello che ho desiderato dedicargli fin da subito, quando ho appreso della sua storia al Museo del Diario di Pieve Santo Stefano. Ho passato 5916 minuti della mia vita ricopiando i suoi messaggi, lettera per lettera, su lastre di ottone, cercando di stare accanto a quella vita il più possibile, cercando di dedicargli del tempo, un frammento di quello che gli è stato tolto.
Nelle parole di Orlando ho percepito una vicinanza radicata e profonda nonostante le mille distanze. Una vicinanza a me e al nostro tempo, alle nostre paure e, soprattutto, a un essere adolescente fatto di desiderio famelico nei confronti di un futuro impossibile da mettere a fuoco.
Le persone potranno leggere quei messaggi ruotando le lastre incise e accoppiate, ma dovranno prestare attenzione. Le parole incise sull’ottone scivolano tra i rimbalzi della luce sulla superficie metallica perciò la lettura sarà rallentata e il suo tempo dilatato, il quarto tempo.

Cinquemilanovecentosedici minuti per Orlando, 2021, stampa manuale a caratteri mobili su 32 lastre di ottone accoppiate e montate in 16 strutture rotanti di alluminio verniciato, 35x20 cm cad., dimensioni variabili dell’installazione (dettaglio). Veduta di installazione: Galleria Giampaolo Abbondio, Milano. Courtesy: l’artista. Documentazione fotografica: Davide Lovatti

Quando ho incontrato la storia di Orlando ne sono rimasto colpito e da subito ho sentito il bisogno di trasformarla in un’opera, o di dedicarle un’opera.
Ma cosa mi collega a quel ragazzo? Cosa collega il mio corpo al suo? Come si fa a lavorare sulla Seconda Guerra Mondiale, sul fascismo e sulle atrocità che si portano dietro?
Mi rendo conto che in questi lavori ho cercato, in vari modi, di rendere i soggetti reali, riportarli a una dimensione umana, vicina, qualcosa che potessi avvertire nel mio quotidiano. Ho cercato di dargli tempo e spazio e ho cercato di creare dei dispositivi che siano in grado di indurre me e il fruitore ad una condizione di rallentamento e ascolto. 

Anna – Monumento all’Attenzione (2018 – in corso) è un intervento di arte ambientale partecipato, aperto e inclusivo, dedicato ad Anna Pardini, la più giovane vittima dell’eccidio avvenuto a Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944. Questo monumento, inaugurato il 25 Aprile 2018, è tutt’ora in corso d’opera e si sviluppa lungo la mulattiera che da Sant’Anna conduce a Valdicastello Carducci. 

Studio per un monumento, 2019, monotipo xerografico su carta velina, spilli ricoperti di foglia d’oro, 56x56 cm. Collezione privata, Milano

Anna – Monumento all’Attenzione non si impone alla vista: va cercato, curato e riportato alla luce, come la memoria stessa. È composto da 26.919 elementi, ognuno dei quali rimanda alla forma di un cardo e simboleggia un giorno non vissuto della vita di Anna Pardini, dal momento della sua morte al giorno dell’inaugurazione del monumento stesso, ed è mantenuto in vita da tutte/i coloro che vorranno partecipare alla sua costruzione. 

Anna – Monumento all’Attenzione, 2018 – in corso. Costruzione condivisa del monumento, Parco Nazionale della Pace, Sant’Anna di Stazzema (LU). Prodotto e realizzato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Lucca e Massa Carrara nell’ambito del PAC, Piano per l’Arte Contemporanea 2016 del MiC (ex MiBAC). Courtesy MiC e l’artista. Crediti fotografici: Fosca Piccinelli

In che modo può avvenire questa partecipazione?
Piantando nel terreno della mulattiera uno dei cardi di cui il monumento è composto; la partecipazione alla sua costruzione è libera e gratuita.

Anna – Monumento all’Attenzione è nato da due necessità: ricordare e riparare, su un piano simbolico, quello che l’eccidio nazifascista ha distrutto. È un monumento che desidera porre il suo osservatore nella condizione di immaginare il percorso di vita espropriato di Anna, come di tutte le altre vittime.
Il monumento così immaginato è in grado di cambiare il proprio statuto, accompagnando il fruitore da una condizione di osservazione a una di immaginazione e partecipazione attiva, consapevole e attenta.
L’attenzione è un processo cognitivo che richiede alcune condizioni specifiche, tra queste il fatto che il soggetto viva uno stato di prossimità e di misurabilità con l’oggetto al quale presta attenzione, senza che questo venga percepito come distante, pericoloso o fuori dalla propria scala.

Anna – Monumento all’Attenzione, 2018 – in corso. Costruzione condivisa del monumento, Parco Nazionale della Pace, Sant’Anna di Stazzema (LU).  Prodotto e realizzato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Lucca e Massa Carrara nell’ambito del PAC, Piano per l’Arte Contemporanea 2016 del MiC (ex MiBAC). Courtesy MiC e l’artista. Crediti fotografici: Fosca Piccinelli

 

Anna – Monumento all’Attenzione (promessa) è un’integrazione e parte fondamentale del monumento. Ho immaginato la possibilità del monumento di allontanarsi temporaneamente dal territorio di Sant’Anna di Stazzema per tornarvi in altra forma e con un’altra energia. Questa installazione è pensata per diversi luoghi, creando ogni volta un dialogo specifico con lo spazio ospitante. Gli elementi che formano il monumento sono stati poggiati sul pavimento, disposti secondo dei cerchi concentrici che ricordano il movimento di un mandala. A seconda delle dimensioni dello spazio il numero degli elementi che compongono l’intervento può variare da 900 a 2.000. L’installazione così concepita è una forma destinata alla disgregazione, in cui gli elementi a terra sono solo lasciati in deposito temporaneo presso un altro luogo. 

Anna - Monumento all’Attenzione (promessa), 2019 - in corso, da 900 a 2000 elementi circa, 18x4x4 cm l’uno, alluminio e acciaio, installazione di dimensioni variabili. Vedute d’installazione: Casa della Memoria, Milano (2019), Palazzo Marino, Milano (2019), ex deposito carburanti, Monopoli (2022), ex Carcere Sant’Agostino, Savona (2024). Courtesy MiC (ex MiBAC) e l'artista, Crediti fotografici: Fosca Piccinelli, Giuseppe Lacitignola, Michele Alberto Sereni

Chiunque potrà prendere uno dei cardi, ma questa scelta implica una promessa: entro un anno dovrà andare a Sant’Anna di Stazzema per piantarlo nel terreno lungo la mulattiera per la quale è stato realizzato.
In questo intervento la promessa diventa parte fondamentale di quel processo di “vivificazione della memoria” a cui il monumento dovrebbe assolvere. Dal momento in cui la si stipula, la memoria dei fatti legati a Sant’Anna quel 12 agosto 1944 trova uno spazio in noi, si deposita come una piccola spina sotto pelle, senza l’intenzione di produrre un dolore costante ma un piccolo allarme intermittente. Ogni volta che la memoria torna alla promessa fatta significa ricordare l’oggetto della promessa e significa collocarsi in quel paesaggio, diventando forse meno estranei e un po’ meno distanti.

Anna – Monumento all’Attenzione (promessa), 2019 – in corso, 2000 elementi circa, 18x4x4 cm l’uno, alluminio e acciaio, installazione di dimensioni variabili (dettaglio). Vedute d’installazione: Cortile d’onore di Palazzo Marino, Milano, in occasione di MEMI Fest 2019. Courtesy MiC (ex MiBAC) e l’artista

La forma che avevo immaginato per Anna – Monumento all’Attenzione è cambiata nel tempo, si è allargata e ha assunto un’autonomia che non avrei potuto immaginare. Negli anni è stata adottata dal Museo Storico della Resistenza di Sant’Anna di Stazzema che ne porta avanti il senso e gli intenti. Ci sono persone che hanno letteralmente attraversato l’Italia per partecipare alla sua costruzione piantando il proprio cardo lungo il percorso. Durante questi anni di costruzione del monumento sono venuto a contatto con decine, se non centinaia, di racconti legati all’esperienza fatta e ognuno di questi riporta un diverso modo di relazionarsi al luogo e alla Memoria di quei fatti.
«Il monumento non interroga la storia, vuole essere la storia. Il più delle volte la statua eretta sul basamento può essere interpretata come quell’unico ‘io’ che esclude la presenza di un ‘noi’» (Parola, 2022). Credo che il monumento contemporaneo (o antimonumento) rappresenti un cambio di posizione e di narrazione, attraverso un ampliamento delle sue possibilità, e che dia forma plastica alle nuove relazioni dell’individuo, e del gruppo, con la Storia, con la Società e con la Memoria. Più vado avanti più comprendo che la mia relazione con la Memoria passa inevitabilmente attraverso una riflessione sul corpo, personale e collettivo. Ciò che dovrebbe rendere il monumento nella contemporaneità “differente” è la sua capacità di ascolto e accoglienza delle istanze sia del singolo che della collettività. Non un’imposizione dall’alto con un modello unidirezionale ma un dialogo orizzontale che porta con sé una ridistribuzione di pesi e responsabilità. «Il monumento istruisce: impartisce precetti, definisce canoni che concernono comportamenti collettivi e individuali, che regolano i meccanismi di inclusione o di emarginazione, tutto secondo la misura fornita dal disegno del potere. E molto raramente, o potremmo dire quasi mai, esprime in modo diretto lo spirito di una comunità, la cultura dei gruppi sociali. La Storia, assieme all’autenticità delle comunità, trova scarsa cittadinanza sul piedistallo» (Gaglianò, 2016).

Anna - Monumento all’Attenzione, 2018 - in corso. Costruzione condivisa del monumento, Parco Nazionale della Pace, Sant'Anna di Stazzema (LU). Prodotto e realizzato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Lucca e Massa Carrara nell’ambito del PAC, Piano per l’Arte Contemporanea 2016 del MiC (ex MiBAC). Courtesy MiC e l'artista. Crediti fotografici: Fosca Piccinelli

Ancora parlando del corpo. Sento il bisogno di creare strutture che diano spazio di movimento al corpo del fruitore, che lo interroghino e gli diano voce. Sta al singolo decidere se partecipare o meno a questo dialogo: può decidere di rimanere in silenzio o di prendere voce e posizione. Sta al singolo raccogliere l’invito ma se lo fa è consapevole della responsabilità che l’azione che intraprende porta con sé. In questo caso l’oggetto (il cardo) che la persona raccoglie e fa proprio diventa un attivatore. Il suo possesso temporaneo si traduce in un impegno nell’andare verso un luogo, nel trasformare l’oggetto in un vettore verso qualcun altro. Mi rendo conto che i miei interventi non sono pensati per fruizioni di gruppo; nascono spesso in quella dimensione ma, man mano che la relazione con l’opera si intensifica, lo spazio si stringe come in un imbuto e il proprio corpo rimane isolato dagli altri. Quell’isolamento e quel silenzio sono necessari per due motivi: per permettere di focalizzare

le proprie intenzioni ed energie verso qualcosa e per far sì che il corpo dell’altro non rappresenti un alibi né uno scudo. Bisogno avere il coraggio di affrontare certi passaggi da soli. Trovo che la moltiplicazione degli elementi celebrativi in Anna – Monumento all’Attenzione vada di pari passo con una parcellizzazione di spazio e di tempo attorno al fruitore: una riduzione di scala che lo aiuti a individuarsi nella massa, un piccolo aiuto nell’abbassare il rumore di fondo per ascoltarsi e ritornare poi a una dimensione collettiva più aperti e attenti.

Bibliografia 

Parola L., Giú i Monumenti? Una questione aperta, Einaudi, Torino, 2022
Gaglianò P., Memento. L’ossessione del visibile, Postmedia, Milano, 2016
Zevi A., Monumenti per difetto. Dalle Fosse Ardeatine alle pietre d’inciampo, Donzelli editore, Roma, 2014 

Gianni Moretti (Perugia, 1978), vive e lavora Milano. Artista visivo con all’attivo mostre e residenze artistiche in Italia e all’estero e docente all’Accademia di Belle Arti L’Aquila. Uno dei filoni principali della sua ricerca verte sulla decostruzione e ricontestualizzazione delle forme del monumento pubblico. È Accademico di Merito dell’Accademia di Belle Arti di Perugia e Fellow di Civitella Ranieri Foundation (New York). I suoi lavori sono presenti in collezioni private e pubbliche: Palazzo Poggi, Bologna; Museo d’Arte Contemporanea, Lissone; Museo MAR, Ravenna; Museo della Resistenza, Stazzema (LU); Museo dell’Accademia di Belle Arti, Perugia.