Vuoto apparente
(Un Anno di silenzio). Il vuoto come laboratorio di nuova urbanità
di Pasquale Napolitano

Il punto zero del silenzio non vuol dire assenza di rumore, è piuttosto un atteggiamento di ascolto dell’altro, del mondo che ci circonda: il punto zero spaziale, il punto della nostra gravitazione, quel punto altamente individuale e universale al tempo stesso, definisce anche una posizione etica. Nel senso che “nel momento di essere cosciente di questo punto, posso aprire la mia percezione del mio essere nello spazio, posso rendermi conto della mia responsabilità nell’occupare quella posizione, posso rendermi conto del mio ruolo di essere un’essere umano.” (Von Drathen, 2011).

Dal 1999, l’artista Ugo Marano, aiutato dagli abitanti del luogo, dal naturalista Nicola Di Novella e dall’economista Pasquale Persico, nel ricercare un luogo adatto ad accogliere la “Casa di Pitagora”, una nuova casa per l’uomo del terzo millennio, ha poggiato sul territorio alcune opere, espressione di una “Certosa esplosa” nel Parco del Cilento, opere capaci di decodificare l’importanza dei luoghi, di aiutare gli abitanti a riscoprire se stessi e di incoraggiarli a ricercare le nuove attività del fare e del tempo liberato.

Sul Monte Cervati (Salerno) l’ipotesi di poggiare sulla vetta più alta del Parco e della Campania – un vuoto paradigmatico – una nuova piazza di legno, la Piazza dei Flauti, per rilanciare i temi della comunicazione e dell’incontro, è servita a chiarire ai comuni non in amicizia che questo approccio poteva riconciliarli sui temi dell’incontro tra la natura e l’uomo. 
In un luogo lontanissimo dalla città si poteva riprovare a divenire nuovamente fabbricanti della conoscenza e così il Monte Cervati è stato riscoperto una volta in più; nuovi percorsi e nuovi incontri si sono rivitalizzati: hanno trovato nuove interrelazioni con il territorio e con l’ambiente esterno, infine: nuove direzioni del saper fare.

Oggi, l’opera di Ugo Marano è già archeologia, dissolta e metabolizzata dai rigori degli inverni. Alla ricerca costante di un’estetica dell’insuccesso, in cui l’opera diviene, per sottrazione, parte ineludibile del paesaggio. Un’opera pensata già come mortale, e perciò, viva: per i lombrichi, per i tassi, “per gli uccelli” (come non notare un parallelo con uno dei grandi esegeti del silenzio quale John Cage), infine per gli umani.

Con questa, così come in numerose altre opere di arte pubblica disseminate nel Parco del Cilento (raccolte da Pasquale Persico e Remo Bodei nel volume “Certosa Esplosa”, 2011) l’artista si mette al servizio di una comunità, intendendo l’opera e la sua genesi come processo di sperimentazione territoriale: ogni opera, realizzata, o anche solo progettata, è un laboratorio.

immagine 3 - ugo marano - tavolo del paradiso

Ugo Marano, Tavolo del Paradiso

Qui l’artista, mettendosi in relazione con lo spazio, riafferma il potenziale di metamorfosi dell’oggetto culturale, inteso anche e soprattutto come processo sociale. La sua capacità latente di intervenire nel tessuto della realtà e delle relazioni umane, per illuminarli e mutarli dall’interno: “L’opera d’arte è una liberazione, ma perché è una lacerazione di tessuti propri ed alieni. Strappandosi, non sale in cielo, resta nel mondo. Tutto perciò si può cercare in essa, purché sia l’opera ad avvertirci che bisogna ancora trovarlo, perché ancora qualcosa manca al suo pieno intendimento” (Longhi, 1950).

Ho avuto la fortuna di incontrare Ugo Marano in quel periodo di grazia in cui l’arte, in una zona temporanea e vitale, ha dialogato con un pensiero lungo sui luoghi e sulle comunità, e di poterlo testimoniare. Ho seguito la genesi del suo lavoro nel vuoto del Monte Cervati, così come il suo naturale tornare al vuoto.

Marano è stato soprattutto, a mio avviso, artista di paesaggio, il paesaggio inteso – accezione contenuta per la prima volta nei codici costituzionali che hanno preceduto l’Italia Repubblicana1 – come “bene culturale”, come opera dell’ingegno umano a pari di un’opera d’arte, l’opera d’arte più democratica e condivisibile possibile, a scala urbana, atta a ospitare l’attività umana in equilibrio con la natura – come evidenzia Salvatore Settis: Secondo il Viaggio in Italia di Goethe, le architetture inserite nel paesaggio italiano sono «una seconda natura destinata alla pubblica utilità […] che opera a fini civili». (Settis, 2012).

Raccogliendo la riflessione di Cristian Caliandro sulle pagine di Artribune, inerente la rara capacità degli artisti italiani contemporanei di rappresentare e costruire paesaggio “Da molti decenni, e con pochissime eccezioni (una è Tullio Pericoli), gli artisti non ci prestano più i loro occhi e le loro mani per vedere e sentire il paesaggio italiano”, credo che una delle esperienze che si inseriscono in questo vuoto sia proprio quella dell’opera di Ugo Marano, con il progetto Città del Parco, o Città del Quarto Paesaggio: città a misura estesa, identificabile con l’area del Parco del Cilento e delle sue reti antropiche e naturali in equilibrio. Ancora una volta, e molto prima che diventasse un tema centrale nel dibattito, l’esperienza artistica viene intesa come strumento di decodifica del potenziale territoriale.

Nella definizione canonica di paesaggio, infatti, rimane ancora nascosto il tema della soggettività della Natura come forza autonoma e non sempre assoggettabile, mentre la visione del paesaggio implicita nella definizione di Città del Parco nasceva proprio su quest’esigenza, come campo di esperimenti capaci di convincere un numero consistente di attori ad aprire un laboratorio di ecologia della mente che contenesse azioni di riconoscimento sul potenziale (tangibile e non) per allargare il campo delle opportunità, per guardare la città con occhi nuovi: “Una città capace di riconoscere la soggettività della Natura, percorso già fatto per millenni, per riposizionare nel contemporaneo valori e nuovi stili di vita.” (Persico – Giarletta, 1999, Manifesto della Città del Quarto Paesaggio, in Persico 2011).

Gli abitanti della Città del Parco dovevano riconoscersi in un nuovo spazio mentale dove il modello cooperativo e concorrente della Natura fosse sposato per mantenere e trasmettere, innovandolo, il modello di biodiversità naturale, sociale e culturale. Le metafore della Piazza dei Flauti, così come della Valle delle Orchidee, della Valle degli Asini, della valle Delle Farfalle, della Casa del Filosofo, della Casa del Pastore, della Fontana quando Piove, erano e sono luoghi reali di percezione dell’architettura del paesaggio presenti nella Città del Quarto Paesaggio.

Gli Statuti della municipalità di Siena (1309) in virtù dei quali colui «che governa la città deve in primo luogo assicurare la sua bellezza e il suo ornamento, essenziali alla felicità e alla gioia dei forestieri, ma anche all’onore e alla prosperità dei senesi». In centinaia di documenti come questo leggiamo gli stessi principi: bellezza, abbellimento (decorum), dignità, onore pubblico, bene comune o publica utilitas. Queste regole trovavano il loro fondamento giuridico nella nozione di publica utilitas che, come ho già spiegato, risaliva al diritto romano. Per esempio, la Costituzione apostolica Quae publice utilia ac decora di Gregorio XIII (1574) affermava espressamente l’assoluta priorità del bene pubblico sugli interessi privati nell’edificazione. È su questo principio che si è esplicitamente fondato l’editto del 1733 che legava le collezioni di antichità a Roma, come le leggi che l’hanno seguito, a Roma come a Napoli e altrove. (Settis, 2012)

immagine 0 - Ugo Marano - fontana quando piove - progetto

Ugo Marano, Fontana quando piove, Progetto.

Immagine 1 - Ugo Marano - fontana quando piove - Laurito

Ugo Marano, Fontana quando piove, Laurito

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Ugo Marano, Città del Parco. Museo che non teme i furti

Il territorio per rendersi nuovamente protagonista delle attività dell’uomo deve poter moltiplicare i percorsi, le relazioni tra i luoghi, anche per questo l’immagine del Parco come area protetta in cui coesistono uomo e natura ha visto, con l’intervento di Marano, il passaggio verso un sistema immaginario capace di fornire prospettive nuove alle attività dell’uomo, siano queste di carattere produttivo o quelle del tempo libero e della ricerca espressiva. Quest’operazione consente di riassegnare al territorio un nuovo ruolo di referente, di spazio culturale da dove ripartire per programmare l’esistente, rimettendo al centro dell’esperienza creativa, in un periodo in cui non era certo un tema maggioritario, la prossemica del laboratorio. Ogni opera di ascolto e decodifica della natura messa in atto da Marano nella Città del Parco innesca, programmaticamente, nuove reti umane, esperimenti di un nuovo vivere sul (nel, per, del) territorio, i cui frutti germogliano ancora oggi, con nuova consapevolezza, nelle generazioni successive, nell’ottica di quella portata rivoluzionaria che il saper fare porta con sé.

Solo a mo’ di campione2:

Sotto quest’ottica il progetto Città del Parco è intrinsecamente allineato alle posizioni di Richard Sennet, nelle magnifiche pagine che dedica alla centralità del laboratorio, in cui alla retorica e al conformismo del lavoro di gruppo viene contrapposto il faccia a faccia del laboratorio “secondo il modello della bottega artigiana” (Sennett 1999, pp. 59). Mentre “i gruppi hanno la tendenza a restare uniti limitandosi a sfiorare la superficie delle cose” (Sennett 1999, p. 109) e ad assolvere incarichi a breve termine, il laboratorio è il luogo nel quale il sapere tacito si trasferisce per contatto, attraverso la relazione e lo scambio continuo tra artigiano e i suoi collaboratori, in questo caso collaboratori divengono tutte le persone di buona volontà (e per tanto “creative”, mutuando da Joseph Beuys tale visione olistica) che hanno voluto e vorranno mettersi in discussione in questo territorio.

Una tensione innovativa ante litteram, che ha potuto vantare su un visionario sostegno istituzionale3, teso a trovare la cornice, o il “pezzo mancante” dell’innovazione sociale, pensando a nuovi modelli di investimento sul capitale sociale e culturale, nel tentativo di intraprendere un nuovo comportamento operativo in grado di riconoscere il potenziale evolutivo del patrimonio culturale ed aprire scenari di scelte connesse a questa rinnovata comprensione: l’economista responsabile del piano socio economico del Parco ha chiesto ad un artista contemporaneo di valore internazionale ed agli abitanti del luogo, di aiutarlo a decodificare le valenze del territorio, inteso questo come spazio delle opportunità, dove i legami sociali, le memorie, la storia dei luoghi, gli interessi vitali, le conoscenze e le vocazioni possono aiutare a costruire i progetti mentali di partenza per la conoscenza e per il vivere.

Tale ricerca è per forza di cose, e con consapevolezza, costantemente protesa alla ricerca dell’insuccesso, categoria questa intesa come unica possibile pratica di sperimentazione, tipica del disordine, delle ambiguità, delle relazioni e delle confusioni che trovano il loro ambiente di sviluppo proprio nelle relazioni faccia a faccia del laboratorio. Crescendo attraverso gli errori, che bisogna accogliere e riconoscere come parte integrante di ogni pratica, sempre con Sennett: “La tecnica si sviluppa grazie alla costante dialettica tra il modo corretto di fare una cosa e la disponibilità a sperimentare l’errore” (Sennet, 2008 p. 157).

In ultima istanza, la natura viene riscoperta come nuova soggettività di riferimento per stabilire nuove relazioni di senso, nuove storie, nuovi attraversamenti: costruire una Città del Parco diventa, pertanto, operazione indispensabile per dare direzioni nuove alle attività possibili, per consentire ai luoghi di divenire nuovamente luoghi, prima di tutto per gli abitanti del Parco che in tal modo iniziano a progettare le proprie biografie, con gentilezza.

Si chiede a proposito della latitanza di investimento pubblico sulle imprese creative Barbara Imbergamo (2015) “Ma siamo sicuri che sia davvero produttivo far sbizzarrire cervelli su processi e prodotti socialmente innovativi, lasciarli soli senza sostegni e vedere che succede? […] È corretto che singole persone investano con i soli propri mezzi accettando tutto il rischio per innovare settori che – diciamocelo senza peli sulla lingua – per tenersi in piedi hanno assoluta necessità di finanziamenti pubblici come il sociale e la cultura? E che tanto se [gli innovatori sociali] non ci riescono ci va bene lo stesso perché il rischio è stato tutto loro e nel frattempo si è costruita una potente retorica che autorizza a tagliare [le risorse pubbliche].”

per ugo maranoPer Ugo Marano. La valle delle Orchiedee. Testo di Nicola Di Novella

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1 Gli Statuti della municipalità di Siena (1309) in virtù dei quali colui «che governa la città deve in primo luogo assicurare la sua bellezza e il suo ornamento, essenziali alla felicità e alla gioia dei forestieri, ma anche all’onore e alla prosperità dei senesi». In centinaia di documenti come questo leggiamo gli stessi principi: bellezza, abbellimento (decorum), dignità, onore pubblico, bene comune o publica utilitas. Queste regole trovavano il loro fondamento giuridico nella nozione di publica utilitas che, come ho già spiegato, risaliva al diritto romano. Per esempio, la Costituzione apostolica Quae publice utilia ac decora di Gregorio XIII (1574) affermava espressamente l’assoluta priorità del bene pubblico sugli interessi privati nell’edificazione. È su questo principio che si è esplicitamente fondato l’editto del 1733 che legava le collezioni di antichità a Roma, come le leggi che l’hanno seguito, a Roma come a Napoli e altrove. (Settis, 2012)
2 Per altri spunti di sicuro interesse si veda:http://www.paliodelgrano.it/campdigrano/ e anche: http://www.societing.org/2013/07/una-scuola-che-cambia-e-uno-stato-che-arretra/
3 Si chiede a proposito della latitanza di investimento pubblico sulle imprese creative Barbara Imbergamo (2015) “Ma siamo sicuri che sia davvero produttivo far sbizzarrire cervelli su processi e prodotti socialmente innovativi, lasciarli soli senza sostegni e vedere che succede? […] È corretto che singole persone investano con i soli propri mezzi accettando tutto il rischio per innovare settori che – diciamocelo senza peli sulla lingua – per tenersi in piedi hanno assoluta necessità di finanziamenti pubblici come il sociale e la cultura? E che tanto se [gli innovatori sociali] non ci riescono ci va bene lo stesso perché il rischio è stato tutto loro e nel frattempo si è costruita una potente retorica che autorizza a tagliare [le risorse pubbliche].”

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Bibliografia

Busacca, M., 2013, Oltre la retorica della Social Innovation, Impresa Sociale.
Clement, G., 2005, Manifesto del Terzo Paesaggio, Quodlibet.
Cage, J., 1999, Per gli Uccelli, Testo e Immagine.
Caliandro, C., 2015, Paesaggio Italiano, oggi, in Artribune: http://www.artribune.com/2015/11/paesaggio-italia-contemporaneita/
Caliandro, C., 2015, Retoriche della cultura e dell’innovazione, in Che Fare, https://www.che-fare.com/retoriche-della-cultura-e-dellinnovazione/
D’Avossa, A., Cavadini N. O., 2012, Joseph Beuys. Ogni uomo è un artista. Manifesti, multipli e video. Catalogo della mostra, Edizioni Silvana.
Imbergamo, B., Innovazione sociale: una questione di metodo e di politica, in Che Fare, https://www.che-fare.com/innovazione-sociale-una-questione-di-metodo-e-di-politica/
Longhi, R., 1950, Proposte per una critica d’arte, Portatori d’Acqua.
Marano, U., 2011, Certosa Esplosa, La Città degli Uomini (Testi di Pasquale Persico e Remo Bodei)
Persico, P., 2011, Dalla Città del Parco ai Laboratori del Quarto Paesaggio, in La città degli Uomini http://issuu.com/cittadelparco/docs/quarto_paesaggio/113
Sennet, R., 1999, L’uomo flessibile, Feltrinelli.
Sennet, R., 2008, L’uomo artigiano, Feltrinelli.
Settis, S., 2012, La tutela del patrimonio e del paesaggio in Italia: una lunga storia, una crisi di grande attualità, conferenza tenuta domenica 29 maggio 2012 al primo Festival di Storia dell’Arte nel Castello di Fontainebleau, in Il Giornale dell’Arte numero 324, ottobre 2012.
Von Drathen, D., 2011, Vortex of silence. Preposition for an art criticism beyond aesthetic categories, Charta.

 

 

Pasquale Napolitano è studioso di visual design e multimedia art. E’ docente di Digital Video presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, all’interno del corso di Nuove Tecnologie dell’Arte. E’ borsista presso l’Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo del CNR. Artista multimediale, video-maker e video-artista, partecipa a numerose mostre, rassegne, residenze, ha partecipato ad alcuni dei festival di new media art più significativi in ambito italiano ed europeo.