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Gitanos de papel di Rogelo Lopez Cuenza & Elo Vega
a cura di Viviana Luccisano

Sin título (de la serie Gitanos de papel)

“ (…) roots§routes attraversa le pratiche estetiche e antropologiche nella costruzione di un discorso sull’identità e sulla differenza, esplorandone il potenziale critico e di rottura epistemologica.”

Voglio proporvi una coppia di artisti contemporanei, che fanno appunto dell’ “identità” e della “differenza” i punti focali attivatori della propria cifra stilistica: Rogelio Lopez Cuenca e Elo Vega. La loro ricerca degli ultimi anni gravita attorno ai processi di costruzione identitaria in relazione all’alterità e, nello specifico, all’analisi della costruzione del ruolo della comunità Rom nell’immaginario spagnolo, tentando di scardinare la potente influenza della contaminazione massmediale. La loro poetica visuale affonda le proprie radici in un atipico risvolto ironico-politico, teso ad analizzare la teoria barthiana della semiotica della paura, attraverso un approccio fortemente indagatorio e critico della società.

Da ciò nasce il progetto Gitanos de Papèl, che si sviluppa attraverso un libro d’artista, collages visuali costituiti da pannelli fotografici, video-costellazioni citazionali di frame derivanti da documentazione audiovisuale sulla cultura gitana, conferenze e workshop internazionali.

“Non è la minaccia che crea la paura, è la paura che crea la minaccia. L’oggetto della paura risulta essere una costruzione sociale, la creazione di codici semiotici, con l’aiuto dei quali la società in questione codifica se stessa e il mondo circostante.”
Yuri Lotman
Yuri Lotman, semiologo russo, principale rappresentante della Scuola del Tartu, nel testo Caccia alle streghe-semiotica della paura, apre un indagine sui meccanismi semiotici che si sviluppano nelle culture della paura. Nei documenti del passato, la coscienza di massa vi si riflette in modo alterato. L’oggetto non è dato direttamente dal documento, è necessario ricostruirlo. Fare attenzione nel riconoscere il carattere mistificatorio dei meccanismi di trasmissione delle informazioni è fondamentale nella contemporaneità per l’affermazione di una cultura ibrida e sincretica che rifiuti l’esclusione sociale.  Il 26 febbraio di quest’anno, in occasione dell’esposizione del loro progetto artistico presso la Real Academia de Espana en Roma, curata da me per l’evento finale del collettivo C16 del Master per Curatore Museale dello IED di Roma, Elo Vega mi disse che il loro lavoro partì inizialmente con il titolo “No soy racista, pero…“ mi fece riflettere parecchio e lo trovai ancor più appropriato del titolo scelto successivamente.  Il sito web dell’ Osservatorio Spagnolo del razzismo e della xenofobia del Ministero del lavoro e degli affari sociali recita che:
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Studi condotti nel 2007 dal Centro di Ricerca
(CIS) rivelano che il 52% degli intervistati affermano di avere poca
o nessuna simpatia per gli zingari, che il 38% afferma che sia sufficiente
la protezione offerta da parte dell’amministrazione di Rom e immigrati, e che solo un
Il 20% ritiene che l’aiuto sia eccessivo1.
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La rappresentazione del razzismo e della xenofobia da parte dei mass media, si realizza normalmente attraverso immagini di alta conflittualità e di violenza estrema tendenzialmente ubicate in luoghi e tempi remoti. Questa rappresentazione dovrebbe sembrarci inaccettabile, tanto più accostandola alla discriminazione che avviene quotidianamente, meno spettacolare ma dagli effetti più potenti, proprio per il suo carattere di routine, e per il suo costituirsi base di un’esclusione istituzionalizzata.

In una pubblicazione informativa del 2008 del sito www.gitanos.org emerge che tra i cittadini più razzisti sono molto pochi coloro che, in un modo o nell’altro, cerchino di sfumare i loro commenti con qualche particella che possa mitigare, scusare, argomentare o in qualche maniera modificare la narrazione (…). Il paradosso risiede nel fatto che Coloro che esercitano la discriminazione con frequenza non ne sono pienamente consapevoli. La società spagnola (69,7 %) si dichiara, in sintonia col discorso dominante nei media, chiaramente a favore della diversità per origine razziale, religiosa o culturale2.

“ il “gitanismo” diventa il contrasto morale del mondo “civile “, l’antisocietà…
capri espiatori che portano i peccati di Spagna e anche dell’Europa
intera, i Rom sono sottoposti ad un vero e proprio esorcismo […] Zingari, incarnazione
della libertà- quella di circolare a volontà per le strade, sfuggire alle leggi del lavoro e della produzione,
ma anche del costume e soprattutto della
sessualità, come abbiamo visto-,
vanno a diventare il simbolo del disordine.”3

Bernard Leblon

“La conversazione in un campo Rom è capricciosamente illogica, salta da un tema all’altro, così come i gitani non sono logici. Il loro linguaggio si basa su certe parole fondamentali che esprimono il loro nomadismo.”4

Walter Starkie

“Gli Zingari sono un’intera razza di delinquenti e ne
riproducono tutti i vizi e le passioni: l’oziosità, l’ignavia,
l’amore per l’orgia, l’ira impetuosa, la ferocia e la
vanità. Essi infatti assassinano facilmente a scopo
di lucro. Le loro donne sono più abili nel furto e vi
addestrano i bambini.”5

Cesare Lombroso

Sin título (de la serie Gitanos de papel)

“Le opere d’arte generano idee circa il valore, la viltà, il bene ed il male, il brutto ed il bello, gli eroi ed i cattivi, il pericolo, l’autorità, il giusto… fantasie che finiamo per assumere come se si trattasse di riflessioni realizzate a partire dalla nostra propria osservazione e ragionamento. La maggiorparte delle opinioni che abbiamo circa il mondo si basano su narrazioni colme di immagini potenti prodotte per la cultura alta o radicate nelle culture popolari , riprodotte insistentemente per mezzo della comunicazione massiva.”6
John Berger

“Il Romanticismo prima e il Realismo dopo recupereranno come eroi letterari gli emarginati: pirati, vagabondi o proletari… Espronceda, Dickens, Zola o Galdòs si convertono in sostenitori dei più svantaggiati.”7

Josè Ortega

“Come è possibile che gli zingari, parte essenziale dell’ Europa( 8-10 milioni di persone,costituiscono la principale minoria etnica del continente, la loro musica e la loro cultura hanno impregnato paesi interi ) ancora causino disgusto e paura?”8

Joan M. Oleaque

Sin título (de la serie Gitanos de papel)


GITANOS DE PAPEL

Rogelio López Cuenca & Elo Vega

Parece que los gitanos y gitanas solamente nacieron en el mundo para ser ladrones: nacen de padres ladrones, críanse con ladrones, estudian para ladrones y, finalmente, salen con ser ladrones corrientes y molientes a todo ruedo; y la gana del hurtar y el hurtar son en ellos como accidentes inseparables, que no se quitan sino con la muerte.

Miguel de Cervantes, La gitanilla

En España, la presencia de comunidades gitanas se remonta a más de 600 años. El documento escrito más antiguo que da fe de ello data de 1425. Se calcula que en la actualidad viven en España son entre medio millón y 800.000 personas. Su historia es prácticamente la de su rechazo y su persecución, que comienza en 1499 con la nefasta obsesión por la homogeneización cultural y religiosa de los Reyes Católicos, y que continuarán las monarquías de los Austrias y los Borbones, con oprobiosos pasajes, reales decretos y pragmáticas específicamente dictadas contra la comunidad  roma.

Hasta mediados del XX existen leyes específicamente antigitanas: en 1933, la Ley de vagos y maleantes; en 1937, en plena expansión nazi-fascista en Europa, se condena a reclusión mayor a quienes casen con “individuos de raza inferior”; en 1941, se prohibirá cualquier lengua distinta al español o castellano; y en 1942, se reforma la Ordenanza de la Guardia Civil, a la que se encomienda la vigilancia, el control y la represión de los gitanos, donde se lee :

Se vigilará escrupulosamente a los gitanos, cuidando mucho de reconocer todos los documentos que tengan, confrontar sus señas particulares, observar sus trajes, averiguar su modo de vida y cuanto conduzca a formar una idea exacta de sus movimientos y ocupaciones, indagando el punto al que se dirigen en sus viajes y el objeto de ellos.

Sólo la entrada en vigor de la Constitución de 1978, que en su artículo 14 condena todo tipo de discriminación “por razón de nacimiento, raza, sexo, religión, opinión o cualquier otra condición o circunstancia personal o social”, derogará toda la legislación contra los gitanos y reconocerá a la comunidad roma en España la plena ciudadanía y la igualdad ante la ley.

Aun así, todavía hoy todos los estudios de opinión apuntan a la comunidad gitana como la peor valorada socialmente por el conjunto de la sociedad española. El rechazo social que padecen se concreta con demasiada frecuencia en prácticas discriminatorias que se manifiestan diariamente tanto en el ámbito social como en el dominio institucional. Una situación que reduce notablemente sus posibilidades de promoción en igualdad de oportunidades con el conjunto de la sociedad.

El origen de la común identificación de los gitanos como ladrones debemos buscarlo -y no por casualidad encontraremos ahí los primeros testimonio escritos- alrededor de siglo XV, es decir en el periodo inicial del momento histórico que conocemos como Renacimiento – que, a su vez, es el correlato cultural de los albores del sistema de explotación capitalista y su condena y persecución de cualquier actividad o modo de vida en el cual no sea posible apreciar directamente su carácter productivo.

Pero es más tarde, a mediados del siglo XIX cuando se consolidan en Europa los prototipos folklóricos, y lo harán, de un modo que a primera vista parece  paradójico, como parte de los procesos de modernización. El poder proyecta sobre el Otro una imagen de primitivo, de no civilizado, que les niega su carácter histórico y los presenta como entes estáticos, inamovibles, fijos. El estereotipo folklórico es un instrumento de la modernización, que persigue la  homogeneización de la identidad nacional, lo que implica la supresión de la diversidad cultural mediante la estigmatización de lo diverso, lo diferente, lo otro.

Los estereotipos llevan a cabo la marginación del Otro en una doble dirección, subrayando y aislando, por una parte,  los aspectos que configuran una idealización positiva (el gitano, epítome de la libertad, además goza de belleza física, dotes de seducción, atractivo sexual, expresividad artística, creatividad, desinterés por los bienes materiales, fidelidad al grupo, vida en contacto con la naturaleza, nomadismo…) reivindicada desde el Romanticismo hasta el primitivismo de las vanguardias de principios del siglo XX, a través de numerosas prácticas artísticas fascinadas con ese “otro”. Al mismo tiempo, esta configuración de la alteridad excluyente se remacha con toda una batería de rasgos negativos, entre los cuales destacan la pereza, la violencia, el egoísmo, la incultura, la venganza, además del arraigado paradigma del ladrón; en resumen, de fuera de la ley.

Lo que percibimos como “lo real” está en gran medida contaminado por la imaginación y la memoria: los estímulos sensoriales traen a la mente antiguas imaginaciones y recuerdos, que se mezclan dando lugar  a nuevas imágenes, que no están basadas en nuestras experiencias directas sino que frecuentemente nacen inspiradas por imágenes fruto de la creación artística, tanto las bellas artes, la pintura o la escultura, como la ficción literaria, las novelas, los cuentos infantiles, la poesía, las canciones, el refranero, las frases hechas, así como en la publicidad comercial y, cómo no, actualmente, sobre todo en los poderosos medios de comunicación masiva.

Las representaciones del Otro son siempre a la vez representaciones indirectas del yo: son una contraimagen. “El salvaje” es indispensable a la hora de fijar la frontera, los límites de “la civilización” – a través de una escala que abarca desde el buen salvaje al ingenuo e infantiloide, y del caníbal feroz al más o menos pero nunca completamente civilizado, entendiendo su integració como occidentalización.

De vinilo o celuloide, de barro o bronce, en 3D, al óleo, en cuatricromía, virtuales en las pantallas… imágenes impactantes, procedentes de películas, de pinturas, de grabados, de narraciones escritas y orales, de cuentos y de canciones, de refranes y frases hechas, de rumores, chistes, series de televisión, fotografías, novelas, del teatro…La imágenes del Otro no se producen y difunden porque sean reales sino porque reflejan las preocupaciones (las fantasías, los miedos, las obsesiones) de quien produce esas imágenes y de quien las consume. Este trabajo, pues, no habla tanto del otro sino de nosotros, de cómo a través de la fabricación de la imagen del otro estamos haciendo un autorretrato en negativo sobre el que proyectamos tanto nuestras fantasías, como nuestros miedos y obsesiones.

Una especial atención en este sentido merecen las producciones cinematográficas, dada su poderosa capacidad de construcción de estereotipos  a través de su importancia en la cultura popular del siglo XX: desde el género folklórico, inventado y promovido oficialmente  durante  la II República y su continuación y explotación durante el franquismo a las más contemporáneas,, por norma general, cuando los gitanos aparecen en el cine lo hacen como pícaros, ladrones y delincuentes. Incluso los más recientes títulos los siguen mostrando según esos estereotipos atávicos que relacionan el mundo de los gitanos con la delincuencia y la marginación.

El “primitivismo” gitano ha formado siempre parte de una economía capitalista, desde las narraciones de los viajeros románticos, los “curiosos impertinentes”, Merimée, Washington Irving, a la contemporánea industria del espectáculo. La apropiación de lo gitano por parte de la cultura andaluza (y de ésta, a su vez, por la española) se ha realizado en todo momento bajo la lógica de su rentabilidad económica, y es en ése contexto donde la relación interactiva entre “primitivo” y “civilizado”, entre “colonizado” y “colonizador” muestra cómo tiene lugar por parte del “estereotipado” una lectura inequívocamente subversiva de la imagen  impuesta, ya sea mediante el melodramatismo excesivo (el histrionismo de las folklóricas, por ejemplo) o directamente a través de la parodia, pero siempre poniendo en evidencia su condición de representación.

Nuestro trabajo quiere utilizar esos mismos instrumentos: elaborar un discurso que incluya las potencialidades críticas de la ironía, parodia y la caricatura, y desvelar los mecanismos de esos dispositivos de  representación: Gitanos de Papel se propone desvelar los mecanismos de los dispositivos de representación mediante un acercamiento crítico al papel  que la producción de ficciones culturales ejerce en el interior de los procesos de construcción de la identidad, su inevitable relación dialéctica con el concepto de alteridad, y su rol capital en el edificio y la justificación de la exclusión social.

En resumen, Gitanos de papel tiene como tema de trabajo la construcción, a través de las imágenes, del rol de la comunidad gitana en el imaginario español, analizando el modo en que se heredan y actualizan los tópicos del pasado, a través de una red de interferencias por la cual nuestra percepción viene determinada por esas imágenes previamente adquiridas y cómo nuestra experiencia mediada /mediatizada proporciona nuevas imágenes a esa cadena de interrelaciones. Porque el Otro es siempre plural, tan diverso y contradictorio como nosotros mismos y su identidad, su cambiante, evolutiva identidad varía según el tiempo y el espacio, y el status social, la economía, el género y las relaciones sociales. Probablemente el objetivo central de las representaciones de la otredad no sea otro que el de establecer y mantener la desigualdad social.

Gitanos de papel se desarrolla en forma de proyecto multimedia de investigación y creación en tres planos complementarios: una exposición, una publicación, que además de una obra autónoma, un libro de artista, cumple el papel de documentación de los trabajos de investigación realizados, y una serie de conferencias públicas y talleres que, en cada ocasión en que la muestra se presente, sirva como detonante para la reflexión y el debate público en relación con el contexto concreto.
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Sin título (de la serie Gitanos de papel)

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Opiniòn de los espanoles en materia de racismo y xenofobia. Observatorio Espanol de l racismo y xenofobia. Ministero del trabajo y asuntos sociales, http://www.oberaxe.es/files/ datos/47a1f84c5596e/opinion2007.pdf
Discriminación y comunidad gitana. Informe anual 2008: http://www.gitanos.org/ publicaciones/discriminacion08/
LEBLON, Bernard, Los Gitanos de Espana, Barcelona, Gedisa, 1993, in Gitanos de Papel, Rogelio Lopez Cuenca y Elo vega, Cajasol Obra Social, Junta de Andalucìa, 2007 , pag.52
STARKIE, Walter, Spanish Raggle-Taggle, Londra, John Murray, 1934, in Gitanos de Papel, Rogelio Lopez Cuenca y Elo vega, Cajasol Obra Social, Junta de Andalucìa, 2007 pag.34
LOMBROSO, Cesare, L’Uomo Delinquente, Milano, Hoepli, 1876.
BERGER, John, Ways of seeing, Londra, Penguin Books, 1972, in Gitanos de Papel, Rogelio Lopez Cuenca y Elo vega, Cajasol Obra Social, Junta de Andalucìa, 2007
ORTEGA, Josè, Los gitanos y la literatura, Quadernos Hispanicoamericanos, n’481, Agencia Espnola de Cooperaciòn Internacional, 1990, in Gitanos de Papel, Rogelio Lopez Cuenca y Elo vega, Cajasol Obra Social, Junta de Andalucìa, 2007
OLEAQUE, Joan M, Gitanos : un exodo de mil anos, El paìs semanal, 24 junio 2008