ENGAGEMENT AND CONFLICT
L’Arte Attiva. Rossella Biscotti e l’arte come mezzo di trasformazione sociale
di Francesca Blandino

Il Processo, 2010,
8h loop, reinforced concrete casts, various sizes / installazione sonora, 8 ore in loop, calchi in cemento armato, dimensioni varie. “Premio Italia Arte Contemporanea”, MAXXI, Rome.
Photo: Sebastiano Luciano. Courtesy the artist

L’opera d’arte può essere strumento di trasformazione sociale ed economica, oltre che culturale e artistica. Umberto Eco, nel suo saggio Opera Aperta, sviluppa un modello di opera d’arte in divenire, “sostanzialmente aperta ad una serie virtualmente infinita di letture possibili”1, in cui artista e pubblico sono soggetti attivi del processo artistico. L’opera entra nel quotidiano e l’artista compie viaggi in dimensioni multidisciplinari, passando da un settore all’altro e partecipando attivamente al proprio fare artistico. Se l’opera d’arte è una sfida alla delimitazione ed è partecipata, nel senso che abita lo spazio sociale, allora la sua funzione è di essere nella e per la società civile. Antonio Gramsci, figura di spicco del marxismo italiano e segretario del Partito Comunista Italiano oltre che grande intellettuale, sosteneva che la supremazia di una classe sociale si dovesse manifestare attraverso la forza e soprattutto la direzione intellettuale e morale. La forza è un elemento appartenente alla politica, mentre il consenso è lo strumento della società civile, affidato agli intellettuali, definiti “organici” perché depositari del compito di condurre la società civile verso il cambiamento. Gramsci era fermamente convinto del ruolo fondamentale che la cultura viene ad assumere come campo di confronto e di lotta fra egemonie diverse, apportando una riforma intellettuale e morale della società civile2. Sorge spontaneo a questo punto domandarsi se spetta all’arte affrontare il discorso storico – politico del nostro paese, che sempre più spesso tenta di oscurare periodi del passato per lasciare spazio alla neutralità.  Rossella Biscotti è una giovane artista che con il suo lavoro di ricerca, riflette sul concetto di Storia e i suoi contrasti interni, indagandone il “rimosso”. Documenti, fotografie e materiali d’archivio vengono tradotti in video, sculture, perfomance, installazioni e registrazioni audio, per tentare di offrire una visione soggettiva della realtà3. Le parole rivestono un ruolo importante nella sua poetica, in cui prendono forma brevi racconti fatti di Pentothal e immaginari cinematografici, personaggi laterali, episodi storici irrisolti, città contraddittorie, archivi e viaggi. I suoi progetti spesso traggono spunto dal mondo del cinema per narrare e reinterpretare eventi storici della memoria collettiva. Riportando lo slogan coniato da Mussolini per l’inaugurazione degli studi di Cinecittà La cinematografia è l’arma più forte, prima sul muro interno della Fondazione Olivetti di Roma e, in seguito, all’interno di un cinema, la Biscotti dimostra che la macchina cinematografica è stata ed è un importante mezzo di produzione di pubblicità, in grado di creare immaginari forti e durevoli, una sorta di post-produzione della memoria. La sua attenzione è spesso rivolta alla Storia italiana recente. Nel 2010 è stata vincitrice del Premio Italia Arte Contemporanea con l’opera Il processo, titolo che si riferisce al famoso processo del Sette Aprile del 1979 tenutosi nell’Aula Bunker del Foro Italico, sede dei più importanti casi della nostra storia, come i crimini di mafia e il processo Moro. Gli imputati del sette aprile erano collegati al movimento politico Autonomia Operaia Organizzata e furono accusati di associazione sovversiva, organizzazione e partecipazione a banda armata. Alcuni di loro dovettero rispondere anche all’accusa di insurrezione armata contro lo Stato e di aver partecipato al delitto Moro. L’intento attuale delle autorità governative sarebbe quello di smontare la gabbia usata per gli imputati e restituire l’aula alle persone. L’artista ha, di conseguenza, elaborato una serie di calchi di cemento tratti dai luoghi dell’Aula Bunker e realizzato un’installazione sonora contenente le registrazioni degli interrogatori e le testimonianze degli imputati. Il meccanismo di quest’opera, esibita a dOCUMENTA(13),  si basa sul gesto di introdurre un evento storico dentro la cornice artistica, tramite la riproduzione dei calchi in cemento dei luoghi in cui si è svolto il processo e le registrazioni dirette dei testimoni. L’opera d’arte diventa in questo caso un riattivatore di memoria, strumento capace di fare luce su un episodio buio della Storia italiana come quello degli anni di Piombo, senza avere la pretesa di verità. Ascoltando le registrazioni, lo spettatore ha la possibilità di interpretare la ricostruzione dell’evento storico, partecipando attivamente all’elaborazione della stessa che non è mai esaustiva. Gli Anarchici non archiviano è il titolo dell’opera presentata al progetto espositivo La Storia che non ho vissuto (testimone indiretto) promosso e organizzato nel 2012 dal Castello di Rivoli e dedicato ai giovani artisti nostrani, volto a ridare all’arte un ruolo politico attivo. Tavoli ricoperti di lastre che riportano frammenti di testi composti con vecchi caratteri tipografici in piombo, visualizzano brani di opere letterarie anarchiche, leggibili parzialmente. La non totale decifrabilità permette allo spettatore, in tal caso più un lettore, di divenire co-interprete delle opere, di finirle secondo la sua conoscenza e il suo immaginario. Secondo Walter Benjamin “uno dei compiti principali dell’arte è stato da sempre quello di generare delle esigenze che non è in grado di sfruttare attualmente”4.

Gli anarchici non archiviano, 2010.
Installation, metal and lead movable type / installazione, metallo e lettere mobili in piombo.
“Post Monument”, XIV Biennale Internazionale di Scultura di Carrara.
Photo: Gennaro Navarra. Courtesy the artist

L’opera d’arte può assumere le sembianze di una chiave e aprire porte oltre le quali si nasconde un universo illimitato di possibilità altre. La ricerca artistica della Biscotti, che spesso sceglie l’estetica del documentario per entrare direttamente in contatto con il pubblico, dimostra che è impossibile ricostruire la Storia, immaginarla come fosse un racconto finito, in quanto l’interpretazione è un’azione puramente soggettiva. Foucault affermava che sapere è potere, quest’ultimo appartiene, infatti, a colui il quale ha la capacità di “definire” le cose, siano oggetti, concetti, opere d’arte o la Storia stessa. Il potere e il conflitto, elementi indivisibili di una comunità, sono temi che rientrano nell’ambito della ricerca artistica di Rossella Biscotti, creatrice di storie verosimili fatte di persone reali immerse in ambienti altrettanto reali, dai paesaggi marginali, desolati e dai tratti conflittuali. Tra i vari progetti portati avanti dalla giovane artista nello scorso anno, L’isola ha colpito fortemente la mia attenzione. Pensato e sviluppatosi all’interno della vecchia prigione ergastolana di Santo Stefano, un’isola situata nell’arcipelago Pontino a circa 50 km dalle coste italiane, L’isola è un progetto che riflette sulla funzione del carcere e sui suoi effetti sull’individuo, partendo dall’analisi del “Panopticon” di Jeremy Bentham. Il Panopticon, ideato nel 1786, era una prigione basata sul principio dell’ispezione centrale, della sorveglianza generalizzata e di una rigorosa organizzazione dello spazio. Il termine “panoptico”, derivante dal greco, indica un luogo in cui è possibile vedere tutto da un unico punto centrale visivo. Il progetto architettonico era costituito da una costruzione ad anello, al centro della quale vi era una torre tagliata da larghe finestre che davano sulla facciata interna dell’anello. L’edificio periferico era diviso in celle, occupanti tutto lo spessore della costruzione e aventi due finestre, una aperta verso l’interno della torre, l’altra verso l’esterno, per permettere alla luce di attraversare la cella da parte a parte5. Il sorvegliante dalla torre centrale aveva la possibilità di controllare ogni cella e, per l’effetto di controluce, vedere le sagome prigioniere nelle celle della periferia. La prigione di Santo Stefano è stata costruita nel 1793 proprio sul modello del Panopticon, un carcere ideala, adatto a “far vedere tutto”, in cui i detenuti potevano essere tenuti sotto controllo costantemente. Rimasto in funzione fino al 1965, il carcere è stato usato anche per la prigionia politica ed è stato espressione del desiderio dei poteri istituzionali di punire il detenuto e annullare la sua identità, attraverso una sorveglianza continua. La detenzione mette a dura prova il corpo e la mente di un individuo e la Biscotti ha concentrato la sua ricerca sulla funzione distruttrice del carcere. Il progetto, presentato nello spazio espositivo De Kabinetten van de Vleeshal di Middelburg in Olanda, prevede una serie di sculture in lamine di piombo, riproduzioni delle celle e degli altri ambienti del carcere vissuti dai detenuti, documentati in un video; e un’azione Bringing flowers to the cemetery of the detainees that died in life imprisonment, compiuta con un gruppo di attivisti. La politica è un tema ricorrente nel lavoro della Biscotti, come la storia con la “s” maiuscola e la memoria, basti citare la camminata da funambolo effettuata sul perimetro del campo nazista di Bolzano nel 2008, Le Teste in Oggetto presentate alla Nomas Foundation di Roma nel 2009, icone dell’epoca fascista trasformate in merce da immagazzinare per il trasporto e la vendita, o la gabbia metallica contenente libri sovietici di economia, matematica e fisica dell’opera The Library.  In quest’ultima, insieme all’artista olandese Kevin van Braak, la Biscotti costruisce una sorta di prigione in cui rinchiude libri di ideologia comunista caduti nel dimenticatoio in seguito alla caduta del Muro.  Il pubblico è qui invitato a entrare letteralmente nel sapere per farlo proprio, interpretandolo. Politica e parole: fra sapere e potere il nesso è profondo. Come sosteneva Foucault, essi si condizionano reciprocamente e l’uomo naviga nel loro conflitto. L’uomo non è soggetto sovrano dei propri atti cognitivi e linguistici, né padrone della storia di cui crede di conoscere il senso e il fine; è un oggetto in balia delle leggi che presiedono al costituirsi del linguaggio, dei suoi desideri, delle sue azioni, create dalle forme del sapere, come la linguistica o la psicoanalisi. Il soggetto, ritenuto fondamento sicuro, è invece intriso di relazioni di potere che lo fanno essere quello che è, che lo plasmano nei pensieri e nei comportamenti, nei desideri, nel corpo, nei bisogni; in quanto prodotto da quei saperi che con esso nascono e dalle pratiche disciplinari che gli danno un’identità6. Costruendo la storia delle moderne pratiche di potere punitive, Foucault dimostra che il potere non si limita a reprimere ma, disciplinando, produce e il modello ideale del potere disciplinare è proprio il Panopticon di Bentham, che si fonda sull’equazione vedere-potere. Nell’arte italiana degli ultimi tempi le problematiche politiche sembrano suscitare un nuovo e vivo interesse presso i giovani artisti, come temi su cui riflettere e intervenire e il lavoro di Rossella Biscotti ne è un esempio. La memoria collettiva diviene nelle sue opere il luogo di confronto con il presente e l’arte sembra essere l’unico spazio di un possibile cambiamento politico e sociale

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1 Eco U., Opera aperta (1962), Milano, Bompiani, 2006, pag. 60.
2 De Bartolomeo M. – Magni V., Filosofie contemporanee, in “Filosofia”, vol. V, Bergamo, Atlas, 2000.
3 Pratesi L., New Italiana art, Roma, Castelvecchi, 2012.
4 Benjamin W., L’ opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), Torino, Einaudi, 1998, pag. 31.
5 Foucault M., Sorvegliare e punire (1975), Torino, Einaudi, 1995, pag. 218.
6 Foucault M., op. cit.

 

Francesca Blandino nasce a Benevento nel 1986. Specializzata in Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università Suor Orsola Benicasa di Napoli, sviluppa un forte interesse per le pratiche artistiche rivolte al sociale. Nel 2012 frequenta il Master in Curatore Museale e di Eventi Performativi presso lo IED (Istituto Europeo del Design) di Roma, per approfondire le dinamiche curatoriali legate all’arte contemporanea e definire meglio la sua ricerca, intenta a scovare quei mondi in cui il cambiamento del sistema attuale delle cose può essere sovvertito, in quanto l’opera d’arte rappresenta uno spazio libero e aperto verso possibilità altre.