Vuoto apparente
Il vuoto come capitale pubblico
di Alberto Iacovoni - ma0

C’è un luogo, uno spazio pubblico reale e vissuto dei più stupefacenti che si conosca, che deve la sua fortuna all’essere semplicemente un vuoto all’interno di più reti continue che attraversano la città cui appartiene. Alfred Hitchcock nel 1956 lo sceglieva per le prime battute del rifacimento de L’uomo che sapeva troppo come ambientazione perfettaper un intrigo internazionale che troverà epilogo in una sala da concerti di Londra: siamo alle porte della medina di Marrakech, in Marocco, in un luogo celebre, divenuto con gli anni una delle attrazioni turistiche principali della città. Anticamente deputato alle pubbliche esecuzioni, ma già da tempo immemorabile punto di contatto e snodo tra le carovane provenienti da Sud e le attività commerciali del suk adiacente, Place Jemaa el-Fna è un paradosso per chi si interessa di forme dello spazio pubblico: spianata triangolare in lieve discesa verso la moschea della Koutoubia, è uno dei luoghi che ribolle delle attività più disparate, nonostante recenti norme che tentano di ordinarne il caos permanente.

Durante il giorno, oltre al viavai di turisti e locali che attraversano la piazza per entrare nella medina e nel suk, sopravvivono ai regolamenti di decoro urbano due ali di venditori di succhi di frutta, con il loro carretto dove si ammucchiano ordinate le arance, deformate dal loro stesso peso, struttura minima di appoggio per il piano di cristallo su cui si prepara e si serve la spremuta, che si abbassa man mano che la scorta diminuisce. Ma è verso il tramonto che la piazza recupera in parte l’aspetto che l’ha resa unica e celebre: decine di ristoranti mobili all’aperto, ognuno specializzato in uno o più piatti – quelli più tradizionali servono teste d’agnello, uova sode, taijin o pesce fritto, mentre quelli più turistici hanno con il tempo sviluppato un menù più ricco – si dispongono su file ordinate, sollevando colonne di fumo che producono una nuvola permanente sospesa su questa sorta di ristorante urbano, dove si paga e si cambia tavolo tra un piatto e l’altro. Più in basso, verso la punta del triangolo che scende verso quello che era l’esterno della città, si radunano saltimbanchi, incantatori di serpenti e soprattutto cantastorie di miti e leggende che radunano attorno a sé folle di marocchini e di turisti incuriositi, totalmente all’oscuro di quanto si dica, visto che nessuno di questi narratori pubblici parla un qualche idioma internazionale, ma assolutamente affascinati da tanto autentico folclore – per cui la piazza è stata dichiarata recentemente dall’Unesco patrimonio orale dell’umanità. C’è anche chi allestisce ogni sera un gioco per la pesca delle bibite.

01 - A-Hitchcock_L'uomo che sapeva troppo_1956

Place Jemaa El-Fnaa da Alfred Hitchkock L’uomo che sapeva troppo 1956

Questa piazza è uno degli spazi pubblici più intensi che si conosca, luogo informe e mutevole, vuoto assoluto altrettanto quanto il deserto che si estende aldilà delle montagne dell’Atlante, verso l’est e il sud ma, per ragioni stratificate nel tempo, nodo inestricabile di flussi che hanno portato mercanti, viaggiatori, contadini a incontrarsi e a scambiare merci e storie. E questa piazza è un paradosso poiché non vi è nulla nella sua forma che abbia il merito di tanta vitalità, così come rivela il suo nome, enigma che si risolve in parte andando indietro nel tempo: nell’antico luogo dei supplizi pubblici – per cui alcuni traducono il nome in “Assemblea dei morti” – doveva sorgere nel XVII secolo una moschea chiamata Jemaa El Fna “Moschea della quiete”. Le fondamenta di questo grande edificio “caddero in rovina durante una terribile epidemia di peste che decimò il paese” e per questo “l’umore popolare trasformò il nome della moschea in moschea dell’annientamento, o Jemaa El Fna”2, da cui deriva una delle interpretazioni più affascinanti, che svela la natura intima di questo playground spontaneo: piazza del nulla.

Opposto positivo di tante architetture progettate incapaci di produrre un decimo di tanta effervescenza sociale, questa piazza sembra essere quel che è per la semplice ragione di essere uno spazio aperto nel posto giusto; aperta verso i viaggiatori da paesi lontani e allo stesso tempo foce di quel sistema di affluenti che dai vicoli porta flussi sempre più consistenti di persone attraverso le gallerie del suk fuori dalla medina, Jemaa El Fna è un immenso gorgo che può aver luogo proprio perché è uno spazio indefinito, un nulla dove tutto può accadere. Potremmo allora parlare di questa piazza come di un terrain vague pavimentato, realizzazione di un’urbanità instabile, mobile e nomade tante volte pensata e progettata dagli architetti. Questa piazza è la dimostrazione di quanto in uno spazio urbano sia necessario allentare i vincoli che legano uno spazio ad una funzione, armare il progetto di quegli strumenti appena indispensabili, costruire lo spazio con elementi e materiali capaci di definire un campo di indeterminazione aperto a mille possibilità. L’elemento costitutivo di spazi come questo è il vuoto: quel vuoto che altrove è riduttivamente ciò che resta tra le cose, diventa qui struttura primaria della città, assenza positiva che trova le proprie ragioni e la propria vitalità in relazione a un contesto di cui convoglia flussi, attrazioni, tensioni. La materia prima di questo vuoto non è il nulla: sono le forze che vi si incanalano, modulate e intrecciate da un sistema di superfici plastiche, aperte ad usi molteplici, veicolate da tracciati, soglie, connessioni. In questo vuoto dove l’indeterminazione riduce l’architettura al minimo “spazio vuol dire libertà”3.

Ossesionati da questa piazza, abbiamo cercato di mettere in pratica la lezione di Jemaa El Fna, lavorando con il luogo come figura in più progetti, partendo dalle reti naturali e pubbliche per disegnare l’estensione della città di Almere in Olanda, aggiungendo un terzo palcoscenico aperto alla città nella Nouvelle Comedie di Ginevra, o ancora innalzando le aule del nuovo campus della Alvar Aalto University, accogliendo la piazza all’interno dell’edificio e facendola diventare più cose: atrio, biblioteca, ristorante, luogo di incontro. Section d’Or è l’ultimo esperimento che abbiamo fatto, scavando dentro la massa dell’architettura, condensandovi le attività pubbliche del programma, facendo diventare questi spazi collettivi interni parte di una rete continua più ampia, a scala urbana. Il Centre Culturel Chatelaine si apre con un grande ingresso/foyer verso la piazza che diventerà in futuro il centro pulsante del quartiere, sezionato da una strada interna che prosegue questi spazi di accesso fino alla più intima piccola piazza a sud dove si affacciano le residenze studentesche. Il sistema ingresso-foyer-strada interna diventa il cuore del nuovo quartiere, accolto e protetto dal CCC e segnalato con un trattamento in oro che contrasta con il grigio delle pareti esterne in cemento. Il vuoto diventa così il segnale di un nuovo patrimonio per la collettività, un capitale pubblico che risplende sul quartiere e la città.

Section d’Or, progetto ammesso alla seconda fase per il Concorde Secteur A a Vernier, Ginevra 2015.

.

.

ma0: Associazione tra professionisti attiva dal 1997 a Roma, ma0 ha sviluppato negli anni una capacità professionale trasversale alle diverse scale e tematiche progettuali, dal progetto urbano all’allestimento di interni. In un feedback continuo tra teoria e pratica stimolato dagli incarichi professionali, i concorsi, le conferenze, i laboratori, le pubblicazioni, ogni progetto diventa dunque occasione di studio del rapporto tra forma e ruolo sociale dell’architettura che diviene per scelta opera aperta, interattiva e processuale. I progetti costruiti sono attualmente la biblioteca per la Scuola Lombardi a Bari, la Scuola Maria Grazia Cutuli School ad Herat (Afghanistan), Piazza Risorgimento e il giardino pubblico in via Matarrese, sempre a Bari, ed una piazza con parcheggio sotterraneo Macomer. I progetti più rilevanti in corso sono un centro multifunzionale in costruzione a Xi’an in Cina, e un nuovo quartiere con servizi pubblici a Torre a Mare, Bari. Il lavoro dello studio è stato premiato in concorsi internazionali ed è stato incluso in importanti mostre come le Biennali di Architettura di Venezia, Archilab Orleans, la prima Biennale di Architettura di Pechino.
Lo studio è stato nominato per il Marcus Prize 2015. Architetti associati: Ketty Di Tardo (Bari 1967), Alberto Iacovoni (Roma 1966) e Luca La Torre (Monza 1964).