§Rumore.
Ambiente, pratiche sociali e produzione musicale
StraniVari: quando “la roba” fa politica
di Edoardo Urso

Siamo abituati ad immaginare le orecchie ai lati della testa, perché sì, perché siamo fatti così. Ma le orecchie vanno dove conviene, perché servono a mettersi in ascolto dei predatori. Molte farfalle hanno le orecchie sulle ali, sintonizzate sulle stesse frequenze che emettono i rapaci. Il fatto è che molte specie di farfalle sono mute, cioè non fanno nessun verso, e quindi non si ascoltano a vicenda: l’udito serve a sentire tutto quello che è diverso da loro. (Porcelluzzi, 2024)

Strepitare in uno spazio pubblico è socialmente poco tollerato, perché il rumore è un visitatore sgradevole. Non possiamo farlo a scuola o in ufficio, al supermercato o al parco, al museo o in chiesa. È ammesso, invece, quando è controllabile e limitabile: ai concerti, nelle rage room, durante un corteo di protesta.
Ad un certo punto, una o più frequenze che stridono all’orecchio arrivano a noi e la nostra testa si volta per capire quale sia la sorgente di quelle onde sonore. Che si tratti di un urlo di orrore, un attacco di singhiozzo, o un principio di acufene, la nostra attenzione si decentra da ciò che stiamo facendo, come risposta involontaria ad un ancestrale senso di pericolo. 

Le farfalle di cui Nicolò Porcelluzzi parla nel podcast Sonar hanno sviluppato un udito basato sullo stato di allerta, un po’ come delle bambine che giocano a nascondino e tendono l’orecchio per assicurarsi che nessuno scricchiolio le tradisca. Tra loro comunicano con feromoni, vibrazioni e segnali visivi, ma l’apparato uditivo ha il solo scopo di intercettare i rumori sospetti dei predatori, anziché quelli delle proprie simili.
Mi sembra che questa modalità di “udire per stare al sicuro” sia assimilabile allo stile di ascolto che i media contemporanei ci spingono ad adottare nei confronti del mondo. Ci collochiamo in un periodo storico in cui siamo costrettə ad assistere a eventi tragici, esito dei giochi di potere della classe dirigente e sui cui raramente interveniamo. Le cose vanno bene così e non abbiamo nulla da contestare? Vorremmo agire, e tuttavia abbiamo troppa paura di ciò che potremmo perdere? Proviamo a gridare, ma qualcunə ci censura dall’alto? In ogni caso, ci ritroviamo mutə come lepidotteri. Siamo sconvoltə, amareggiatə, disillusə per la svolta che sta prendendo la realtà e, incastratə tra il silenzio e il senso di colpa, la nostra tendenza all’ascolto entra in risonanza con la vigente politica del terrore. In questa atmosfera di turbolenza, che come ci ricorda Emanuele Braga in Moleculocracy è parte integrante del ciclo di vita degli organismi viventi (Braga, 2024), che ne è della politica del piacere? Dove possiamo trovare un margine di bilanciamento per non lasciarci andare alla distopia?

La politica del piacere a cui mi riferisco attinge dalle teorie dell’attivista e autrice adrienne maree brown, raccontate nella sua opera Pleasure Activism. Le sue idee si fondano su un principio di cura che parte dalla domanda “cosa mi dà piacere, e perché?”: è una postura che ci permette di costruire ambienti liberi e allineati con i nostri desideri, non un approccio dagli intenti edonisti o collezionistici.
Come riconosciamo quali pratiche ci fanno stare bene come individui e come collettività? Una volta individuate, come le possiamo replicare per abitare un contesto in cui il potere è compartecipato? In questa narrazione, il potere smette di essere uno strumento finalizzato a controllare il prossimo e si trasforma in una risorsa da condividere e negoziare costantemente, elevando a potenza il punto di vista, la storia e le abilità di chi normalmente non riveste un ruolo di protagonismo sul piano politico e sociale. 

Se mettiamo sotto la lente di ingrandimento il concetto di potere, possiamo considerare il rumore come un subdolo dispositivo di comunicazione per scatenare la paura collettiva nei regimi di oppressione: l’esplosione di una bomba su un edificio civile, la disperazione di una madre che ha perduto un figlio sotto le macerie, cori fascisti che urlano “presente!”.
Allo stesso modo, è un ingrediente fondamentale nella politica del piacere, perché diventa il canale di espressione di quelle lotte ritenute poco piacevoli all’orecchio della classe dominante: le parole di chi vive al margine (simbolicamente e geograficamente), di chi è statə costrettə ad emigrare, di chi subisce repressione a causa di una pacifica manifestazione di dissenso. Rumori diversi hanno come obiettivo l’instaurazione di spazi di piacere differenti, perché il piacere ha infinite forme, esattamente come le persone che lo praticano.
Il dissenso è un dispositivo che assomiglia ad un chiassoso concerto in cui il direttore d’orchestra fugge, sopraffatto dalla cacofonia. Eppure, anche la cacofonia è una struttura organizzata, è una rete di corpi che si interscambiano nel ruolo di direzione, contrariamente alla conformazione degli organi di potere che prediligono gerarchie verticali e rispettose del silenzio. Questo aspetto appare evidente se, per esempio, pensiamo al caso che ha coinvolto di recente la parlamentare neozelandese Hana-Rawhiti Maipi-Clarke, e più ampiamente la comunità maori. Durante la seduta parlamentare riguardante il Treaty Principles Bill, nel novembre 2024, l’MP ha dato il via ad una protesta attraverso l’haka, una danza tradizionale maori che prevede un’introduzione cantata, utilizzata specialmente per incoraggiare lə alleatə e intimorire l’avversariə in un confronto bellico. Essa può esprimere rabbia e dolore – come in questo caso specifico – ma anche gioia e vivacità, perché ha un legame profondo con la componente spirituale e religiosa (Bongiolatti, 2025). Il coro iniziale è potente, intimidatorio, ma non per questo disorganizzato: la protesta è stata partecipata dagli altri membri di partito, così come dalle persone che, fuori dal Parlamento, manifestavano per sostenere i diritti dellə maori. È riuscita così tanto nel suo intento da sfociare in una sospensione dall’attività parlamentare per Maipi-Clarke e due suə compagnə, Rawiri Waititi and Debbie Ngarewa-Packer.

“We will never be silenced, and we will never be lost,” Maipi-Clarke, who at 22 is the youngest MP, said at one point, holding back tears. “Are our voices too loud for this house – is that why we are being punished?” (Ng, 2025)

[“Non verremo mai silenziatə, e non ci sconfiggeranno mai.” dice Maipi-Clarke, che a 22 anni è il membro più giovane del parlamento, trattenendo le lacrime. “Le nostre voci sono troppo forti per questa camera – è per questo che veniamo punitə?” (Ng, 2025)]

Ciò che l’ha resa potente, non è stato solo il supporto ramificato e radicato negli strati più profondi della società neozelandese, ma anche il fatto che il rumore dell’haka si manifestasse per rivendicare uno spazio di potere che rischiava di essere messo alla gogna dalla nuova proposta di legge. È stato messo in atto dallə maori, per lə maori, e aperto al mondo.
Quando, invece, il dissenso assume la forma di una protesta silenziosa, la sua forza emerge proprio attraverso la volontaria sottrazione del rumore. Esemplare è la Silent Parade che ha avuto luogo nel 1917 a New York, coinvolgendo circa 15mila afroamericanə, per porre l’attenzione sui temi della discriminazione razziale e le violenze subite.
Il rumore e la sua negazione, dunque, diventano il mezzo per esprimere un bisogno di riconoscimento di un’identità, di uno spazio di dialogo, di premesse e pratiche per stare meglio.

Silent Parade di New York, 1917

Il dissenso è un mezzo che appartiene anche alle entità non-umane, e il rumore che producono quando vengono stimolate ne svela una natura inaspettata.
È il caso di StraniVari, il sentiero di ricerca del giovane artista e sound designer Leo Monti, accompagnato dal duo artistico di Francesca Cinalli e Paolo De Santis (Associazione Tecnologia Filosofica). Il progetto, a cavallo tra un laboratorio creativo e un rave improvvisato, nasce dall’idea che qualsiasi conglomerato di oggetti possa essere un potenziale strumento musicale e che, fatto suonare insieme ai suoi simili, può dare vita ad un rumorificio che libera la loro essenza. Se solo alcuni violini hanno il pregio di essere Stradivari, in StraniVari tutto può diventare un violino, e anche di più.

StraniVari si è tenuto il 21 e 22 dicembre 2024, nell’ambito del progetto Campi Gravitazionali, frutto della collaborazione tra la Lavanderia a Vapore di Collegno (Centro di Residenza per la Danza) e l’Associazione Tecnologia Filosofica, che da anni si occupa di arti performative sul territorio piemontese. Il progetto ha raccolto attorno a sé un gruppo di 20 giovani performer di Torino e aree limitrofe che, guidato da Monti, ha organizzato un ambiente artigianale, prossimo ad una falegnameria. A partire da vecchie scatole di legno, a cui sono state aggiunte molle, elastici, catenine, e tanti altri materiali di recupero, ciascunə artista ha scandagliato l’immaginazione per creare uno strumento musicale unico.
Il giorno successivo, hanno raffinato le modalità per attivare queste scatole sonore, dando il via ad un movimento di protesta di tutti quegli oggetti dimenticati nel nostro passato. Percussione, sfregamento, pressione dell’aria: tutto era permesso.
I suoni sono stati amplificati, rielaborati, e restituiti in tempo reale al gruppo da alcuni dei performer, grazie ad un mixer e di alcuni piezo, navigando in una zona ibrida tra il caos totale e una disarmonia organizzata ad hoc. L’azione di dissenso delle cose è culminata in una danza attorno ad un totem composto a sua volta da oggetti di recupero, fino all’esaurimento delle energie e dei rumori.
Dopodiché un lungo silenzio.

Andrea Macchia, 2025.

StraniVari è una ricerca fondata sul rumore come segno di liberazione, è un’indagine che gravita attorno ad alcune tematiche che risuonano con l’attualità.
Anzitutto, la questione ecologica. A partire dalle scatole in legno, moltissimi materiali sono stati forniti dal team curatoriale, e allə partecipanti è stato chiesto di portare da casa quegli oggetti che da tempo erano abbandonati in anfratti fisici e della memoria. Nulla è stato acquistato appositamente, perché l’obiettivo era proprio quello di restituire uno spazio di protagonismo all’inutilizzato. A posteriori le scatole sonore hanno trovato posto in altri momenti performativi di Tecnologia Filosofica – come in Alloro di Francesca Cinalli e Paolo De Santis – e per un’apertura pubblica di StraniVari nell’ambito del festival Spring Rolls di Lavanderia a Vapore. Siccome il sentiero di ricerca è ancora in essere, gli strumenti vengono utilizzati anche per ulteriori proposte laboratoriali del gruppo di Campi Gravitazionali.

Il tema della sostenibilità ecologica trova una consonanza con la componente di slancio immaginativo, e insieme questionano attivamente uno dei più grandi mostri dell’Occidente: il consumismo.
Tra i diversi obiettivi del lavoro, l’intento era quello di superare l’uso normato degli aggeggi per stimolarli in modi anticonvenzionali, riplasmandone forma e senso, e disegnando futuri altri per quegli oggetti.
Non si è trattato di ricreare un clarinetto o un pianoforte, ma di lanciarsi nella costruzione di qualcosa che ancora non esiste. E questo è un atteggiamento estremamente affine alla politica del piacere, che è esplorativa per sua natura. Essa vive in una costante postura di indagine e concretizzazione di idee apparentemente improbabili.
L’invito di Monti-Cinalli-De Santis a concentrarsi sul rumore che i materiali abbandonati emettono, anziché sulla loro uso consuetudinario, rappresenta una sfida al sistema consumista che mira a stimolare l’acquisto compulsivo di prodotti dallo scopo sempre più specifico. Basta aprire Temu per acquistare un portauova girevole, la spazzola universale per la pulizia delle cornici delle finestre, o l’ultimo modello di bavaglino per la rasatura della barba. Gli utensili che ci circondano sono già ultra-indirizzati all’obiettivo per cui sono stati progettati, tanto che la nostra interazione con loro diventa esclusiva e limitata ad azioni specifiche, riducendola a gesti meccanici e prevedibili.
Tornare in contatto con essi nel nome dell’imprevedibilità e del piacere significa sperimentare il risveglio di parti differenti, uscendo dalla logica di sovrapproduzione. Vuol dire dedicare cura e ascolto ad un oggetto, supportarlo nel far sentire la sua voce, liberarlo. Si instaura così un legame paritario tra persona e strumento musicale, che rifiuta di incastrarsi in un perverso regime di sfruttamento e plana verso un orizzonte di sostegno reciproco. Questa relazione paritaria e anticonsumista affonda le radici nel concetto di libertà, germogliando in esercizi democratici dello stare bene insieme.

Nella pratica sonora di Stranivari la liberazione avviene su e grazie a corpi visibili e invisibili: il corpo del rumore, il corpo degli oggetti, il corpo di chi li attiva.
Esattamente come in un grande Pride, il grido delle cose nasce da un dolore interiore – il rammarico di essere abbandonati, per gli oggetti; la sofferenza di essere oscurata o discriminata, per la comunità Queer -, e contemporaneamente dalla gioia di essere vivə.

Il tema della felicità è molto importante in politica, ho sempre pensato che le manifestazioni femministe e i Pride, più di ogni altro tipo di manifestazione, abbiano la capacità di consegnarti questo senso di felicità, della gioia di essere corpi tra corpi nella stessa piazza. E quindi del fare politica tra corpi insieme, liberando energie dei corpi ballando… (Serughetti, 2025)

Il corpo del rumore incontra i corpi umani, li muove da dentro, rivitalizzandoli, tanto che lo strumento stesso ha possibilità di emergere. Questo approccio orizzontale di concepire le onde sonore non ci permette solo di “liberarci da”, ma anche di “liberarci per”, facendo luce su ciò che desideriamo, anziché su ciò che ci imprigiona. Collaborando, umani e non-umani partecipano alla propria liberazione, e il fatto di avere un “per” in comune chiarisce la meta a cui tendiamo. Esplicita l’intento della nostra rivendicazione e le modalità, promuove il rumore come strumento di emancipazione, evitando che venga prodotto e percepito come puro elemento di inquinamento sonoro. Come in un atto di fotosintesi, i suoni ci attraversano e convertono il nostro urlo in un gesto di manifestazione politica consapevole. Grazie ad esso, abbiamo l’opportunità di fuggire da un passato museale che suscita timore riverenziale, così come di spostare il focus dal presente che ci terrorizza: vuol dire decollare verso un futuro che strizza l’occhio all’inatteso in cui rivendicare il nostro io-collettivo. Un io-collettivo che, nella sua forma più vitale, accomuna le lotte che l’egemonia prova a frammentare riducendole a dei gadget di Temu.
La proposta, dunque, è di una pratica di kintsugi sociale, dove i valori per cui combattiamo assumono una funzione di collante.

La difficoltà di costruire soggetti collettivi significativi capaci di avere peso, si accompagna a questo inganno dell’identità che ha assorbito troppe energie, forse anche alimentate dal capitalismo incline a fare delle identità un valore di mercato. […] Non possiamo solamente stringerci intorno alle nostre classiche battaglie senza interrogarci oltre. (Serughetti, 2025)

Nel lavoro di Leo Monti il tema dell’attraversamento del corpo acquisisce un ulteriore livello di stratificazione, dal momento che diversi degli strumenti costruiti vanno indossati per poterli suonare. Crinoline tintinnanti, gonne con corde da pizzicare, copricapi futuristici da attivare con il mento. Rumori che attraversano corpi, ma anche corpi che attraversano le fonti di rumore. 

Andrea Macchia, 2025.

In StraniVari il rumore è l’atmosfera stessa del progetto, oltre che il tema di indagine. Lə giovani artistə erano costantemente circondatə da fragori generati da martelli, cacciaviti e trapani in movimento per la creazione delle scatole sonore. Parlavano tra loro, si confrontavano su cosa costruire e come far parlare il proprio strumento. E nonostante questo – anzi, proprio grazie a questo -, era uno spazio che trasudava di creatività.
Per raggiungere questo livello di immersione, il gruppo ha incarnato il concetto di rumore. Questo passaggio è fondamentale: se il “cosa facciamo” aderisce al “come lo facciamo”, allora sappiamo di essere sulla giusta strada. “Liberare il rumore da corpi trascurati” non è solo l’oggetto di studio della ricerca artistica, è anche lo spirito con cui lə partecipanti hanno affrontato il laboratorio. La stessa operazione di liberazione è stata compiuta dalle scatole sonore sullə performer, tessendo insieme relazioni di cura che hanno trasformato entrambə. Una cura che è cominciata sin dalla fase di assemblaggio: la scelta di unire un materiale con un altro non è mai stata casuale, ma cominciava dalla domanda “che cosa mi dà piacere?”. Non era una regola scritta, né un task assegnato da Monti, e in maniera genuina lə artistə procedevano nella creazione delle scatole assecondando le proprie sensazioni tattili e sonore.

Grazie alla ricerca di StraniVari, lə partecipanti hanno avuto occasione di far protestare la roba. “Roba” intesa sia come un conglomerato di oggetti non più distinguibili dalla loro forma originaria, sia come un insieme di cose che apparentemente hanno poco valore. Secondo Treccani, “roba” deriva probabilmente dalla parola germanica “rauba” che significa “preda”, perché così veniva definito il bottino che si otteneva dai prigionieri di guerra (cioè, dalle prede).
Il rumore, allora, ci insegna come infrangere l’involucro di cristallo della politica del terrore, temprato sulla base delle dicotomie di preda/predatore, invasə/invasore, odiante/odiatə. La “roba” di StraniVari non è né preda, né predatrice, ma è tanto protagonista quanto chi la stimola. Jane Bennett, probabilmente, direbbe che è un esempio di materialismo vitale.

Per ‘vitalità’ intendo la capacità delle cose – commestibili, merci, tempeste, metalli – non solo di impedire o bloccare la volontà e i progetti degli esseri umani, ma anche di agire come quasi-agenti o forze con traiettorie, propensioni o tendenze proprie. La mia aspirazione è di articolare una materialità vibrante che scorra accanto e all’interno degli esseri umani, per vedere come le analisi degli eventi politici potrebbero cambiare se dessimo alle forze delle cose più considerazione. (Bennett, 2023)

Oggi il sistema di potere è biologicamente (dis)umano e monopolizzato da chi detiene il capitale. La sensibilità del non-umano ci offre una via di fuga, ricorda che continuare a negoziare il nostro potere con lə altrə non costituisce una perdita del privilegio, ma una moltiplicazione delle idee e delle modalità di stare bene.
Il rumore è tanto simbolo di lotta, quanto di una festa in cui celebrare insieme il piacere. La roba, attraverso il rumore, ci invita a fare politica.

Andrea Macchia, 2025.

Bibliografia

Bennett J., Materia vibrante. Un’ecologia politica delle cose, Timeo, Palermo, 2023
Bongiolatti G., Cos’è la haka, la tipica danza neozelandese, e qual è il suo significato, per Geopop, Napoli, 2025: LINK.
Braga E., Moleculocracy. Ecologie, Conflitti, Turbolenze, NERO Edizioni, Roma, 2024
brown a.m., Pleasure Activism. La politica dello star bene, NERO Edizioni, Roma, 2022
Butler J., L’alleanza dei corpi, nottetempo, Milano, 2023
Comisso F., Perlo L., Vecellio M. (a cura di), Comp(h)ost. Immaginari interspecie, NERO Edizioni, Roma, 2021
hooks b., Elogio del margine. Scrivere al buio, Tamu Edizioni, Napoli, 2020
Murgia M., Futuro interiore, Giulio Einaudi editore, Torino, 2016
Ng K., Three Maori MPs suspended over ‘intimidating’ haka, per BBC News, Londra, 2025: LINK.
Porcelluzzi N., Sonar, podcast per Il Post, Milano, 2024: LINK
Serughetti G., Il privilegio del centro, in Tuaillon V., Associazione Vanvera (a cura di), Il cuore scoperto. Per ri-fare l’amore, (pp.172-182), add Editore, Torino, 2025.

Edoardo Urso, classe 1998, lavora dal 2021 come curatore culturale per la Lavanderia a Vapore di Collegno, nell’ambito delle traiettorie per le Nuove Generazioni. Cura il progetto Forever Young, che comprende percorsi con adolescenti, giovani artistə, e docenti, basati sulla sperimentazione di spazi di apprendimento orizzontale, attraverso l’immaginazione e la creazione di scenari pedagogici alternativi.