BURNING ARCHIVES
Intervista disorganizzata a Canecapovolto
di Paola Bommarito

PB La tematica e la problematica dell’archiviazione è uno degli elementi che si riscontra spesso nel vostro lavoro. In che modo sviluppate questa pratica? E in che modo questo aspetto influenza la vostra produzione?

CC Catalogare e archiviare informazioni è una tematica che ci interessa praticare alla luce di due prospettive: una prettamente ecologica, legata sostanzialmente allo spazio (fisico e mnemonico), l’altra, opposta, di continua rielaborazione e stratificazione del dato. Questa seconda pratica, viene da noi ultimamente affrontata con il progetto Stereo_verso Infinito, un video infinito e instabile che consiste in un contenitore di 30 sequenze numerate della durata di 30 secondi ciascuna. L’instabilità del lavoro è data dal fatto che vengono prodotte variazioni di montaggio (una ogni 40 giorni) così che ogni prodotto ed ogni proiezione siano uniche ed irripetibili.

PB Stereo_Verso Infinito è un progetto che prende avvio nel 2000 con l’obiettivo di creare un sistema dinamico per classificare suoni, immagini e testi. Ci raccontate in che consiste questo lavoro? E in che cosa viene tradotto questo sistema di catalogazione e classificazione audiovisiva?

CC In realtà quando nel 2000 abbiamo montato il primo Stereo #0 il nostro interesse era principalmente rivolto alla struttura, e a dinamiche percettive più connesse allo sguardo che alla visione. Avevamo anche la necessità di superare una lunga fase del nostro lavoro legata alla serie dei Plagium, dei quali però abbiamo conservato la nostra passione per il reperto.  Nei Plagium i vari reperti, intesi sempre come elementi visivi, sonori e testuali, venivano da noi accostati in maniera deliberatamente forzata al fine di provocare quella che chiamavamo “dissonanza cognitiva”: un produrre continuo di senso attraverso la sua stessa perdita. Così i “droni” di Stereo contengono fotografie, immagini in movimento, testi, suoni e musiche in combinazioni molto semplici, quasi a rappresentare le lettere di un ideale alfabeto, o una parte di un “tutto”. Ma avendoli isolati gli uni dagli altri li abbiamo restituiti ad una lettura libera da presupposti ideologici. In definitiva abbiamo spostato l’asse del nostro intervento politico dal contenuto al contenitore.

PB In questo lavoro emerge un utilizzo mobile del montaggio. Costruite un sistema in cui i diversi droni prendono posto in una composizione smontabile e rimontabile, in cui ciascun elemento funziona attraverso un lavoro di montaggio continuamente modificabile. Che rapporto avete con questo “movimento”, questa evoluzione che rende l’opera un continuo divenire?

CC Il nostro rapporto con questo dispositivo è sicuramente gioioso in quanto ci porta ad un continuo esercizio di sintesi. Gli Unfixed (cioè i diversi montaggi di Stereo_verso Infinito) sono retti da una logica anti-gerarchica, in quanto la loro struttura è essenzialmente matematica. In ogni caso l’instabilità è una condizione mentale ed etica molto importante. Inoltre abbiamo “smascherato” il montaggio, quasi per definizione da sempre inteso come espressione ideologica. Lo abbiamo scisso in due strategie, una personale, intima, diremmo “poetica” (se il termine non ci apparisse improprio) nel “costruire” i singoli droni. L’altra dinamica, “mobile” come giustamente dici tu, che non ci appartiene mai fino in fondo se non come espressione incidentale, approntando un dispositivo che per un verso si autogenera, per un altro ha bisogno di essere continuamente alimentato da nuove cellule, da noi predisposte, per non invecchiare. In questo senso lo abbiamo definito un esperimento di “metalinguaggio”: come l’insieme delle definizioni di un dizionario lo sono della rispettiva lingua.

PB Al tempo stesso questo movimento di scomposizione-ricomposizione, questo vostro modo di non dare un ordine esatto alle cose, si fonda sulla logica dello shock legata a dinamiche percettive che costituisce un punto fondamentale della vostra ricerca. In che modo lo spettatore viene coinvolto e poi reagisce in questo processo di straniamento?

CC Come dicevamo prima, ad un certo punto ci siamo preoccupati più della pratica dello sguardo che di quella della visione. In un certo senso più per “accarezzare” lo spettatore che per “shockarlo”. L’analisi è stata tutta interna ai media di comunicazione. Sintetizzando attraverso sistemi geometrici semplici possiamo dire che oggi la nostra percezione non è più legata ad una visione orizzontale, diretta della realtà. Ma, strumenti tecnologici e conseguenti mutamenti culturali ci hanno trasformati in “punti”, al contempo ricettori e produttori di una realtà parcellizzata. Il Punto è quindi la figura geometrica che descrive appieno il nostro tempo e lo Sguardo è il senso che lo rappresenta.
Ogni singolo drone di Stereo non richiede più di uno sguardo, e la sequenza dei droni in un Unfixed, casuale ed imprevedibile, ne riproduce il codice. Anche una piccola parte ne rappresenta quindi, in qualsiasi condizione, l’insieme.
PB Dai video ai collage, dai film acustici alla combinazione di testi, i vostri lavori sono delle vere e proprie composizioni di diversi elementi. In alcuni casi l’unificazione avviene secondo associazioni precise o secondo famiglie tematiche con una metodologia che ricorda la “legge del buon vicinato” dell’archiviazione warburghiana. In altri casi la combinazione è affidata al caso, una Macchina Disorganizzata che sperimenta diversi modi di interazione e imprevedibili produzioni di sequenze. In che modo si differenziano e in che modo riescono a dialogare fra loro queste modalità compositive? E quale delle due nel vostro lavoro trova una maggiore applicazione?
CC Il momento determinante di tutti i nostri lavori è l’organizzazione, il montaggio. La pratica dell’associazione è ricorrente negli ultimi lavori in quanto vengono creati artificialmente e non, nessi e parentele tra immagini, testi e suoni…
In questo modo viene creato un “riflesso condizionato” interno ad ogni racconto ed ogni forzatura narrativa diviene credibile perché sono state costruite le condizioni perché ciò avvenga. La combinazione non è mai completamente casuale perché, come si sa, “il caso non è mai a caso”. In Macchina Disorganizzata viene approfondito il rapporto uomo-macchina nel senso che un musicista è portato a reagire musicalmente (o a rimuovere) in tempo reale ad uno stimolo sonoro fornito da un cd riprodotto in modalità “random.”

PB La ripetizione e la riproduzione random si legano a delle ricerche condotte in campo audio. Quando comincia e che importanza assume nel vostro lavoro il rapporto con il suono? Quanto ciò influenza il “montaggio accidentale” che utilizzate?

CC Il progetto Stereo_verso Infinito ha le sue radici in esperimenti condotti in campo audio alcuni anni prima.  Un racconto (o più racconti) suddivisi in brevi frasi diventano altrettante tracce di un cd che va riprodotto in modalità “casuale”. La combinazione di ogni ascolto è incidentale ed irripetibile ed il grande insegnamento morale è rappresentato dal fatto che in questo modo cedevamo una certa parte della nostra autorialità al processore del lettore compact disc, che eseguiva un montaggio tecnico ed estemporaneo di tutte le tracce.

PB Dai video ai collage, dai film acustici alla combinazione di testi, i vostri lavori sono delle vere e proprie composizioni di diversi elementi. In alcuni casi l’unificazione avviene secondo associazioni precise o secondo famiglie tematiche con una metodologia che ricorda la “legge del buon vicinato” dell’archiviazione warburghiana. In altri casi la combinazione è affidata al caso, una Macchina Disorganizzata che sperimenta diversi modi di interazione e imprevedibili produzioni di sequenze. In che modo si differenziano e in che modo riescono a dialogare fra loro queste modalità compositive? E quale delle due nel vostro lavoro trova una maggiore applicazione?

CC Il momento determinante di tutti i nostri lavori è l’organizzazione, il montaggio. La pratica dell’associazione è ricorrente negli ultimi lavori in quanto vengono creati artificialmente e non, nessi e parentele tra immagini, testi e suoni…
In questo modo viene creato un “riflesso condizionato” interno ad ogni racconto ed ogni forzatura narrativa diviene credibile perché sono state costruite le condizioni perché ciò avvenga. La combinazione non è mai completamente casuale perché, come si sa, “il caso non è mai a caso”. In Macchina Disorganizzata viene approfondito il rapporto uomo-macchina nel senso che un musicista è portato a reagire musicalmente (o a rimuovere) in tempo reale ad uno stimolo sonoro fornito da un cd riprodotto in modalità “random.”

PB La ripetizione e la riproduzione random si legano a delle ricerche condotte in campo audio. Quando comincia e che importanza assume nel vostro lavoro il rapporto con il suono? Quanto ciò influenza il “montaggio accidentale” che utilizzate?

CC Il progetto Stereo_verso Infinito ha le sue radici in esperimenti condotti in campo audio alcuni anni prima.  Un racconto (o più racconti) suddivisi in brevi frasi diventano altrettante tracce di un cd che va riprodotto in modalità “casuale”. La combinazione di ogni ascolto è incidentale ed irripetibile ed il grande insegnamento morale è rappresentato dal fatto che in questo modo cedevamo una certa parte della nostra autorialità al processore del lettore compact disc, che eseguiva un montaggio tecnico ed estemporaneo di tutte le tracce.

PB Lo scorso Novembre a Vercelli avete partecipato ad Archivi Affettivi, un convegno di studi internazionale, dove siete stati invitati a realizzare un’opera che partiva da una riflessione comune e affettiva sull’archiviazione. Cos’è stata per voi l’esperienza ad Archivi Affettivi? Qual è stato il processo che ha dato forma a quest’opera?

CC Realizzare un documentario di “Archivi Affettivi” ha significato manipolare, attraverso criteri  soggettivi, il senso e l’essenza di tutti gli interventi del convegno. Tradire, travisare, interpretare ha significato intravedere forse un rimosso, dietro le quinte di un’operazione di documentazione parziale, incompleta e di conseguenza fortemente artistica ed autoriale.

PB Il lavoro Hologram è descritto da voi come un dispositivo artistico che rappresenta affetti e opere di una piccola comunità artistica. Da cosa nasce e che cosa viene a comporre questo progetto installativo?

CC La materia di cui è fatta Hologram è costituita dalle persone/autori che sono legate a noi. La principale risorsa sono quindi le persone (non le loro produzioni artistiche), a queste persone abbiamo chiesto e chiediamo semplicemente di potere sovrapporre i loro materiali ai nostri, non di divenire parte di un’organizzazione. In questo modo il cosiddetto “pubblico” può effettuare un montaggio emotivo/intellettuale di suoni, immagini in movimento, immagini bidimensionali (questo era piuttosto evidente a Palermo, dato che tutto era concentrato all’interno di un vero e proprio cubo bianco, proprio come un ologramma proiettato da un altrove dentro un luogo sensibile). Ogni persona e relazione affettiva ed artistica ci ha un po’ cambiato per il solo fatto di essere entrata in collisione con noi, per questo la formula Hologram diventa importante in una prospettiva di intelligenza collettiva.

PB Anche in questo lavoro rimbomba la parola “affettivo”, si individua un forte centro emotivo su cui ruota la raccolta delle opere. Cos’è per voi l’affezione e in che misura, secondo voi, l’aspetto emozionale determina la produzione artistica?

CC Prima ancora che “artisti” siamo persone che curano rapporti personali. In questo senso un progetto come Hologram nasce prima dell’occasione in cui viene esposto… nelle lunghe chiacchierate, passeggiate, scambi continui di idee e progetti ed anche sane bevute…

PB Nel corso degli anni avete avviato solide collaborazioni con diversi artisti, musicisti e teorici, al punto da definirvi “comunità” o “famiglia”. Esiste una volontà da parte vostra di conservare una memoria collettiva?

CC Non esiste un progetto particolare nel conservare una memoria collettiva. Essere una “casa” che accoglie senza presupporre regole è una pratica che ti porta talvolta a lasciarti agire ed a sperimentare lo scambio non solo in termini di convenienza estetico-espressiva.

PB In che modo, secondo voi, il montaggio ha a che fare col ricordo?

CC Beh, siamo più nel campo della psicoanalisi? Possiamo solo rispondere di non saperlo con esattezza, altrimenti verrebbe a mancare quella dose di spontaneità indispensabile. E poi “ricordo” è concetto più ristretto di memoria, sicuramente più personale e indefinibile. Credo che ci interessi di più la “memoria”, questa si può estendere ad una collettività e in ciò arricchirsi, appartiene ad una comunità che può conservarla, elaborarla e farne ricchezza da trasmettere. Il ricordo è al contrario pura pulsione poetica, troppo lontana da noi.

PB Da molti vostri lavori viene fuori un’idea di memoria, di conservazione e di trasmissione capace di eccedere le norme dell’archivio. Come si conserva un presente continuo e in divenire, che non fissa ma che esegue? Come si archivia una produzione artistica, che attraverso una successiva ricomposizione e rielaborazione si trasforma in un’integrità più compiuta?

CC Sicuramente attraverso i due momenti della conservazione e della trasformazione. C’è sempre un momento preciso in cui definiamo chiuso un lavoro, quel punto oltre il quale si altererebbe il suo equilibrio interno. Ma allo stesso tempo lo stesso lavoro può presentare altre potenzialità se ne si rielabora la struttura. In questo senso, nei nostri ultimi lavori, elaboriamo in parallelo diversi modelli di visione: dal video monocanale all’installazione “expanded”, con interazioni di diversi media, dalle stampe fotografiche ai live set. E questo non solo nel video; anche i collages originali, ad esempio, vengono riproposti in stampe di grandi dimensioni o in copie fotografiche “gemelle”. L’inconscio della tecnologia ci affascina quanto quello dello spettatore.

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canecapovolto nasce a Catania nel 1992.
In una continua sperimentazione, supportata dall’uso di vari mezzi quali film acustici, video, installazioni, happening, collages, canecapovolto sviluppa un’indagine sulle possibilità espressive della visione e sulle dinamiche della percezione, adoperando tecniche originali di trattamento e manipolazione dell’immagine. Partendo dal cinema, dunque da esperimenti visivi e sonori inizialmente legati al cortometraggio in super-8, il gruppo ricorre a diverse pratiche di produzione audio-video, “sabotando” l’immagine mediatica di partenza con l’intento di attuare strategie di spiazzamento. Grande attenzione è rivolta ad indagare la matrice scientifica della comunicazione e la sua risposta nello spettatore.