IL PARTITO PRESO DELLE COSE
New development pathways: La ragione delle mani
Piccolo saggio con oggetto allegato
di Pasquale Napolitano

«quella che si chiama la fine o la morte dell’arte non è altro che la crisi dell’oggetto come valore»
G.C. Argan, 1980

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Questo piccolo testo vuol essere una tappa, solo parziale, all’interno di una delle “industrie creative” più vive del mondo.
“La ragione delle mani” è un progetto artistico, che intende l’arte come forma di ricerca sui piani dell’estetico, e che è in grado nel migliore dei casi di utilizzare gli strumenti ed i metodi analitici delle scienze sociali in maniera consapevole, e consapevolmente de-strutturarli attraverso soluzioni non-lineari, transcodificandole su un piano materiale.
Un viaggio nella manualità, fatto di esperienze uniche che il microcosmo ancestrale del centro storico di Napoli riesce ad offrire declinandola attraverso una infinità di casi: dall’Università della Strada di Riccardo Dalisi a Rua Catalana – in cui un designer di fama mondiale insegna (e si fa insegnare) ai ragazzi dei quartieri metodi di progettazione partecipata – alla storia di Teresa, figura unica ed inimitabile di via S. Gregorio Armeno, che nella vita costruisce fiori di carta crespa. Un microcosmo che in questo momento storico si mostra come l’avanguardia estetica di una filiera produttiva fatta di mani, di perizia, di precisione, di creatività, di ingegno, di sudore.
Lo aveva capito già la sensibile lungimiranza di Gillo Dorfles, che in una sua recente lezione presso la Domus Academy alla domanda “chi è oggi il maestro?” risponde: “Il falegname”, perché: “L’artigiano è l’unico lavoratore che usa il cuore, la mano e la testa in perfetto equilibrio tra loro.” (Currie, 2014)
Non parliamo della consueta retorica meridiana, parliamo della capacità di fare produzione culturale in modo inusitato, ma che contemporaneamente coinvolge categorie profondamente sensibili all’interno dei numerosi aspetti del dibattito contemporaneo: dal tema delle smart specialization a quello delle industrie creative intese come volano per la rigenerazione urbana  – in virtù dalla forte concentrazione delle attività nel territorio e dell’importanza delle relazioni faccia-a-faccia che legano tra loro le attività economiche (Storper 2013); a quello del making – una sorta di versione ante litteram della pratiche sperimentali di digital manufacturing – come nuova forma contemporanea e resiliente di produzione culturale.
Parliamo di un segmento dell’industria culturale per anni misconosciuto da un modello sociale fatto di pubblico impiego, rendite e clientele e che negli ultimi anni è divenuto oggetto di studio, soggetto a cui è stato finalmente attribuito nuovo valore strategico, come nel caso del progetto di ricerca RICArt Campania, una mappatura in progress della rete dell’industria creativa campana condotta in seno all’Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo (IRISS) del CNR, una analisi dei casi di successo di rete di produzione di eccellenza in ambito artigianale del territorio campano.
“I ruderi e gli spazi interdetti apparvero, questa volta, come luoghi nuovi pieni di potenzialità, nascosti, decentrati o centrali.” (Persico, 2011)
Analizza Pasquale Persico, lungimirante interprete delle forme più avanzate della rigenerazione urbana, in uno dei saggi più brillanti e lucidi sul tema: “Napoli adda murì accussì (che poi significa deve vivere così), come dicono gli artigiani del presepe, quelli diventati ricchi per caso a San Gregorio Armeno, quelli incapaci di immaginare un riposizionamento collettivo di quel patrimonio di identità? Napoli […] potrà essere nuovamente una capitale di niente, a dispetto di quanto la politica della comunicazione propone ogni giorno?” (Persico, 2011, p. 70)

Particolare attenzione quindi deve essere rivolta all’artigianato e alla sua nuova evoluzione, rendendone necessario un riposizonamento semantico nelle nuove politiche urbane come forma di cultura materiale, di sapere non-verbale che, in questa particolare riconfigurazione sembra far proprie alcune categorie dell’arte contemporanea più stretta, penso in particolare a quelle di “remixability” e “post-produzione” intese però in chiave non soltanto concettuale, ma proprio come interfaccia di nuova saldatura tra un rapporto altrimenti reciso nell’attuale divisione del lavoro, quella tra mani e testa (e cuore) (Moretti 2013): l’uso delle mani all’interno dell’industria culturale nei suoi vari ambiti, persino in quegli universi che si credevano ormai completamente appannaggio della serialità industriale industrial design, visual design, multimedia. Un processo leggermente diverso dal ciclo storico in cui gli artisti si appropriano della cultura popolare, poi la cultura popolare che si appropria dell’opera degli artisti ad libitum. (Frunke, 2009)

Una assoluta peculiarità di questo universo espressivo si connota, pur nella variatissima molteplicità di pratiche e forme espressive, proprio in un passaggio, consapevole o meno, tipico delle forme artistiche più evolute: il passaggio dalla produzione alla post-produzione, o meglio, la post-produzione intesa come forma di produzione: molti degli artefatti di questa peculiare forma di artigianalità lavorano infatti sullo scarto, sull’accumulazione, sulla possibilità di inusitate relazioni inter-soggettive ed inter-oggettive, e sull’ibridazione delle iconografie, sulle potenzialità dell’oggetto come dispositivo relazionale (visionario a questo proposito il modo di dire tipico della lingua partenopea: non è cosa per identificare un processo ancora soltanto ipotetico, di una ipoteticità irreale).

L’humus riconosciuto è quello della community come rete di attori (artigiani-designers) accomunati da valori derivanti dall’identità urbana (gioco, sperimentazione) e del “fare sociale” (Vittoria & Lubrano Lavadera, 2014).
Pertanto il territorio urbano ritorna ad essere database di apprendimento in cui il settore può acquistare nuova visibilità per integrarsi con le capabilities esistenti per fare affluire nuove competenze alle organizzazioni cittadine e per offrire all’esterno capacità nuove per affrontare i temi dello sviluppo economico, sociale e umano.

In sintesi: la prima tappa di questo percorso di scoperta, e la sintesi di quest’ultimo, è rappresentata da una unicità assoluta all’interno del panorama del visual design: la storia di Pasquale, l’artigiano che dipinge a mano i numeri civici ed i cartellini dei prezzi per tutta la città di Napoli, e che, ad opinione di chi scrive, sintetizza tutti gli aspetti evocati fin d’ora, in particolare per quanto riguarda il ruolo ancora essenziale che riveste la manualità.
L’uso delle mani all’interno dell’industria culturale nei suoi vari ambiti, persino in quegli universi che si credevano ormai completamente appannaggio della serialità industriale, come il graphic design, ed addirittura, come nel caso di Pasquale,  – il design di font. Con la sua attività apparentemente anacronistica, o meglio anacronica, nel senso di “dire ciò che l’opera fa quando è ritardataria, quando ripete, quando esita e ricorda, quando proietta un futuro possibile” (Chiodi 2014), l’artigianato si permea di dispendio, fa in maniera difficile e problematica quello che un qualsiasi software di editing grafico farebbe in maniera veloce, tacita, e priva di conflitto. Ed è pertanto proprio in queste increspature, oltre che in questa sublimazione del gesto di matrice orientale, che la capacità artigiana abbraccia le categorie della ricerca artistica (si pensi alla massima picassiana “io non cerco, trovo”) come fattore evolutivo, proprio in quanto non vincolato alla mera finalità, bensì ad uno sviluppo in termini di senso, possibile soltanto attraverso l’allontanamento da un pensiero “cogitante”, basato sui principi di funzionalità e di mutua-esclusione. (Damasio 1995, Grechi 2012)
“La storia”, diceva William Morris, “ricorda i re ed i guerrieri perché distruggevano; l’arte ricorda le persone, perché creavano”. Anche se si basa su entrambe, il sistema capitalista privilegia lo scambio e il consumo rispetto all’uso e alla produzione, e questo significa in parte nascondere la creazione delle cose ed il loro uso. Chi vende viene ritenuto superiore a chi produce, e ciò che è nuovo e perfetto viene ritenuto superiore a ciò che è vecchio e sa di antico. (Currie 2014)..

Fotografia di Amedeo Benestante

Con la storia di Pasquale parliamo di una intera città che cerca nell’ingegno, nella cultura materiale, nella riconfigurazione dell’antico, la strada per una nuova storia urbana ed individuale, con una definizione davvero efficace parliamo di queste figure come di Rilevanti Presìdi Culturali Intangibili, “gli intangibili non sono importanti per ciò che davvero sono, ma per quello che sanno.” (Currie 2014); parliamo di esperimenti come “I Love Porta Capuana”, progetto di rigenerazione urbana, fatto dell’incontro di tre componenti: passeggiate, artigianato e cucina, per innescare un processo attraverso cui si agisce sulla città per darle un aspetto nuovo, non solo tramite la sua riqualificazione fisica, ma anche con interventi di natura culturale, sociale, economica ed ambientale.
Parliamo di realtà luminose quali Made in Cloister, progetto nato nel 2011 dal desiderio di coniugare l’operato di promozione e di innovazione della tradizione artigianale con la salvaguardia del patrimonio architettonico. Che ha portato come suo primo straordinario risultato il restauro, finanziato con una intelligente campagna di crowdfounding, del chiostro cinquecentesco di Santa Caterina a Formiello, massimo esempio di architettura rinascimentale a Napoli: “Made in Cloister” nasce dal desiderio di proteggere, di promuovere e di innovare la tradizione del fare artigianale, nonché dalla volontà di non assistere inermi alla dolorosa implosione di una città nota nel mondo per la sua ricchezza culturale e umana. L’individuazione e l’acquisto degli immobili situati all’interno del complesso del Lanificio, già convento dell’adiacente chiesa di Santa Caterina a Formiello, hanno permesso di dare uno spazio fisico al progetto, collocandolo in uno dei centri nevralgici della città. Proprio da questo luogo, gli artefici del progetto si propongono di far risorgere, attraverso l’articolazione di attività culturali, progettuali, conservative e imprenditoriali, alcune tra le più antiche tradizioni artigianali della città, e soprattutto, di innovarle facendole interagire con artisti, designer, e operatori culturali particolarmente attenti al valore etico del progetto. Un punto di incontro tra artigiani, artisti, architetti, operatori cultuali e istituzioni. Made in Cloister sceglie di enfatizzare la protezione e soprattutto l’innovazione della cultura artigianale, perché in essa individua quella forma di sapere non verbale continuamente minacciata da modalità produttive e esistenziali del mondo globalizzato, in cui l’umanità viene forzata entro logiche di consumo che ne sviliscono la propria natura. Convinti che l’artigianato di innovazione possa essere nutrito da un continuo scambio di saperi e di competenze acquisite e tramandate nel tempo, con strategie progettuali più dinamiche e mirate all’interpretazione di nuove tecnologie, “Made in Cloister” vede nel dialogo e nel confronto tra artigiani, artisti e architetti il requisito necessario affinché quelle regole preziose che definiscono il “fare” artigianale possano essere creativamente re-inventate, interpretando, in questo modo, le nuove istanze del contemporaneo.

Una domanda necessaria da porsi in questo senso riguarda il fatto se tutte queste realtà creative siano o meno in rete tra loro, e se abbiano consapevolezza di appartenere a questo nuovo assetto sociale che stiamo cercando di delineare, cioè  a quella di una categoria estremamente eterogenea ma che ha in comune la relazione diretta con le risorse, la possibilità di una sussistenza legata all’industria creativa così come “una attività di relazione sociale che si basi non sulla artificialità dei rapporti finanziari bancari, ma sulla concretezza delle relazioni umane, assistenza ai vicini, reciprocità, servizi di quartiere, istruzione autogestita” (La Cecla 2014).
Allo stato attuale la rete è piuttosto frammentata, e la consapevolezza è tutta da costruire, anche per quanto riguarda il nostro caso di studio.
Nei segni e nelle parole di Pasquale non vi è la consapevolezza della unicità del suo lavoro, quanto piuttosto la fierezza nell’essere il protagonista di una operazione di resistenza nel continuare un mestiere che facevano tutti i maschi della sua gente, da almeno due secoli, e che ora resta l’unico a fare in città, senza però essere riuscito a tramandare questo sapere ad altri. Stessa sospensione precaria si può riscontrare quando si tenta una analisi della rete di questa bottega artigiana con le altre della città: questa infatti c’è – Pasquale ha lavorato per importanti chef così come per Roberto De Simone ed il Teatro San Carlo – ma non è organizzata con sistematicità: sembra più una forma di resistenza che una effettiva forma di investimento sul futuro. Nonostante ciò il contesto in cui lavora – lo storico mercato della Duchesca, quartiere di grandissima tradizione popolare ai bordi di Porta Capuana – è di una soffocante, amorale, intossicante vitalità.
Inoltre, Pasquale non è soltanto un oggetto di studio, ma il suo ingegno e la sua maestria sono stati messi a disposizione di Routes-Roots e di chi scrive secondo il principio del dono. Come si può vedere dal breve video di documentazione, ha condiviso con il team che ha lavorato a questo articolo il progetto da realizzare.
Abbiamo documentato la genesi di un’opera unica, mai completamente serializzabile, fatta apposta per il magazine. Da parte di chi scrive, essere all’interno di questo paradossale cluster creativo è stato in un certo senso come assistere di nascosto a qualcosa che è quasi tabù: la produzione non industriale di un manufatto, da parte di un artigiano di cui conosco nome e opinioni e di cui posso vedere il volto.

La ragione delle mani, di Flaviano Esposito

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L’opera, infine, è stata donata alla redazione del Magazine, come segno di amicizia e condivisione.

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In conclusione, c’è da auspicare una consapevolezza maggiore nei confronti di strategie di pianificazione orientate all’urban smart specialization ed alla cultura del rammendo antropologico come compito specifico della comunicazione visiva, nella speranza che facciano il loro ingresso nuovi attori nel processo, in modo da costruire un nuovo livello di questa storia così come delle miglia di storie annidate nei distretti creativi delle città ed ancora da raccontare; purché però questi nuovi attori non mettano in discussione il portato semantico della comunicazione gestuale, che è patrimonio inestimabile di cultura materiale e vettore di costruzione di valore: “Tutti possiamo diventare città […] per tutti coloro che avevano deciso di vivere di Napoli fino a dare densità alla loro città; la somma di queste città singolari sarà la città che verrà. Napoli accoglie ancora tutta la ricerca da fare sullo spazio pubblico e quello privato, è una delle poche città del mondo che possono diventare laboratorio contemporaneo sulla città degli uomini e delle donne, la città fatta del vivere di originalità e diversità, accanto al saper vivere di semplicità. La malvagità della finanza che insegue il caos nelle città del mondo potrà essere sconfitta.” (Persico, 2011, p. 128)

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Bibliografia

– Argan, G.C. (1980), Crisi del design, in Storia dell’arte come storia della città, Editori Riuniti, Roma 1983
– Bourriaud, N. (2010), Estetica Relazionale, Postmedia, Milano
– Bourriaud, N. (2004), Post-Production – Come l’arte riprogramma il mondo, Postmedia, Milano
– Chiodi S. (2014), Immagini, immaginari, immaginazioni, Doppiozero, reperibile all’url: http://www.doppiozero.com/materiali/anteprime/immagini-immaginari-immaginazioni
– Currie N. (2014), Puts on video – Mousse Magazine, issue 41, dec 2013-January 2014, Milano
– Da Empoli G. (2014), Contro gli specialisti. La rivincita dell’umanesimo, Marsilio, Venezia
– Damasio, A. R. (1995),  L’errore di Cartesio . Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi
– Dorfles, G. (2001), Ultime tendenze nell’arte d’oggi. Dall’informale al neo-oggettuale, Feltrinelli, Milano
– Grechi, G. (2013), I miei occhi non hanno abbastanza mani. EXHIBIT B, Routes-Roots, reperibile all’url: https://www.roots-routes.org/?p=10501
– La Cecla, F. (2014), Pensare come uno stato – Il pensiero di James Scott, Doppozero, reperibile all’url: http://www.doppiozero.com/materiali/teorie/pensare-come-uno-stato
– Funcke B. (2009), Pop or Populus – Art Between High and Low, Sternberg press, Berlin
– Niessen B. M. (a cura di) (2013), Sociale, digitale. Trasformazione della cultura e delle reti, Edizioni Doppiozero, Milano
– Moretti, V. (2013), Testa, mani, cuore, Ediesse, Roma
– Persico P. (2012), Perché Napoli, Vivere e Morire di Napoli, Graus edizioni, Napoli
– Scott, J. (2014) Elogio dell’anarchismo, saggi sulla disobbedienza, l’insubordinazione e l’autonomia, Eleutheria, Milano
– Storper M. (2013) , Keys to the city. How Economics, Institutions, Social Interaction and Politics Shape Development, Princeton University Press
– Vittoria M. P. &  Lubrano Lavadera G. (2014), Knowledge networks and dynamic capabilities as the new regional policy milieu. A social network analysis of the Campania biotechnology community in southern Italy Routledge, Taylor & Francis Group, New York

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Pasquale Napolitano è studioso di visual design e multimedia art.
E’ docente di Digital Video presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, all’interno del corso di Nuove Tecnologie dell’Arte. E’ borsista presso l’Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo del CNR.
Artista multimediale, video-maker e video-artista, partecipa a numerose mostre, rassegne, residenze, ha partecipato ad alcuni dei festival di new media art più significativi in ambito italiano ed europeo.