IL PARTITO PRESO DELLE COSE
La natura umana delle cose (display-lexicon)
Dedicato a Ettore Guatelli (1921-2000) di Mario Turci

Cara Giulia, rispondo con piacere al tuo invito a pubblicare un testo per roots&routes nell’ambito del numero “Il partito preso delle cose”, proponendo due interventi. Uno per l’uscita del 1 febbraio ed uno per quella del 15 marzo. Seppur in due uscite, vorrei comporre un unico lavoro diviso in due interventi con nature diverse, ma strettamente legati e correlati. Un primo “Display e Lexicon” dedicato ad una lista commentata della Cucina delle meraviglie del Museo Ettore Guatelli (display) ed alla scelta di 10 termini, a mio giudizio utili per una riflessione critica sull’ (etnografia) della Cultura Materiale (lexicon) ed un secondo che denominerei provvisoriamente “L’oggetto è la relazione dedicato ad una riflessione sulla sostanza degli oggetti, nel senso del loro stare al mondo secondo dinamiche di relazione (sino a scomparire in esse). Ambedue gli interventi potrebbero stare sotto il titolo di “La natura umana delle cose”.

Vorrei dedicare “La natura umana delle cose” a Ettore Guatelli a quindici anni dalla sua scomparsa. Per tal motivo sceglierei di corredare i testi di immagini del Museo di Ozzano Taro, in forma di contrappunto. Inoltre t’informo che maggio prossimo La cucina delle meraviglie sarà al centro di una iniziativa del Museo Ettore Guatelli “Ricettacolo” dedicata alle memorie femminili dei patrimoni immateriali relativi alle ricette familiari.

Un caro saluto,
Mario.

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Display
La cucina delle meraviglie

Battilarda, pentola, pentolino, setaccino, griglia, saliera, padella, bilancia, bilancino, padellini, mestoli, scolini, scolapasta, grattugia, forma per dolci, piatto fondo, coperchi piccoli, scalda polenta, grattugino, scalda-pane, coltella da carne, coltello da pane, forchette, cucchiai, coltelli, serra tovaglioli, cuccuma, caffettiere, rete per frutta, retino per uova, testo di terracotta, lunetta, cavatappi, netta-tagliere, tagliere, mattarello, zuppiere, orcio per olio, bottiglie, orcio da aceto, fiaschi, tostatrice, schiaccianoci, lama da burro, lama da formaggio, piattini, tazze in legno, tazze in porcellana, tazzoni, sassole, orologi da muro, ramaiole, conche da lardo, pestelli, bicchieri, imbuti piccoli, imbuti medi, imbuti grandi, fruste, piastre, filtri, saliere da muro, palette, affettatrice, anelli taglia pasta, apriscatole, brocche, colino a maglie fini, colino a maglie larghe, forbici, lecca-pentole, cava-torsoli, mortai, pentole in rame, pinze, ramina, raschia, rotelle liscia, schiumarola, spianatoi, stampi ad anello, tegami, teglie, tira-sfoglia, tostacaffè, trinciacarne, portauova, tritacarne, barattoli da zucchero, scaldino, treppiede da fuoco, cucchiai di legno, trincia-pollo, canovacci, macinapepe, mezzaluna, oliere, portaposate, spatole, palette, taglieri semplici, tagliere con coltello, vassoi, paioli, terrine, cappe di terracotta, mastello da impasto, radimadie, pale da forno, spazzaforno, attizzatoi, napoletane,  piatti piani, zuppiere per anolini, stai, scalda vivande, catena da fuoco, sporte, scalda acqua, forchettoni, grattugia-formaggio.

Fotografia di Enzo e Paolo Ragazzini

La stanza: catalogo

Interstizi, clausure, liste, cumuli, rattoppi, angoli, primi piani, migrazioni, profondità, sono le coordinate del catalogo alimentare, fra le tante categorie in cui è possibile suddividere gli oggetti della cucina delle meraviglie.

Cucina Guatelli 6

© Archivio Fotografico Museo Ettore Guatelli

Il sesto lato

Su una delle sei facce della cucina stanno appese pentole e contenitori che, per la loro natura di oggetti mansueti al contenere, sono disposti a comporre una “lista celeste” della cucina delle meraviglie.

Cucina Guatelli 5

© Archivio Fotografico Museo Ettore Guatelli.

Interstizi

In cui, principalmente piatti e zuppiere, cercano e trovano, spazi di riposo. Interstizi, come sono i condominii, in cui si vive spesso come in isole..

cucina 7 e 8

© Archivio Fotografico Museo Ettore Guatelli

Clausure e migrazioni

Dove gli oggetti sono ad una tappa fondamentale del loro viaggio, o trasformati nella forma, per rispondere a quesiti diversi (il barattolo che diventa abito per il fiasco) o reclusi e celati agli occhi.

cucina 9 e 10

© Archivio Fotografico Museo Ettore Guatelli

Primi piani

Fra cumuli e liste che la cucina rende evidenti, si riconoscono le individualità delle cose che ribadiscono la sostanza esistenziale della presenza al mondo dei manufatti.

cucina 11 e 12

© Archivio Fotografico Museo Ettore Guatelli.

Profondità

La cucina delle meraviglie non solo si esprime nello spazio dei sei lati, ma in profondità, per rendere evidente che fra gli oggetti intercorrono dialoghi e si tessono trame.

Cucina Guatelli 13

© Archivio Fotografico Museo Ettore Guatelli.

Lexicon
Dieci voci commentate, finalizzate alla composizione di un lessico per una critica della cultura materiale

Lessico tutto personale e costruito attraverso la raccolta e sintesi di appunti, note e tracce di progetti, in un taccuino di lavoro.
Voce / Museo / Oggetti migranti / Incorporazione / Vita delle cose / Obsolescenza / Il pensiero delle cose / Sistemi / Contenitori esistenziali / Scheda, sono voci di un sentiero di “campo” e di riflessione sulla natura umana degli oggetti e quindi sulla sostanza delle loro relazioni e del loro stare al mondo (stare al mondo delle cose).
Voci per un’etnografia della dimensione immateriale della cultura materiale che tracci possibili vie d’indagine e studio dei nostri apparati d’orientamento e navigazione nel mondo e nella vita, costituiti dai sistemi oggettuali.

Ad ogni voce appartiene un incipit in forma di sottotitolo, che ha il compito di indicare un primo orientamento sul tema o sui temi che saranno trattati. Segue il commento/trattazione, a cui è stato dato l’impegno di fornire “pillole” argomentative.
Ad ogni voce è associato un bandolo in forma d’indicazione bibliografica, non tanto perché il testo proposto può condurre allo sviluppo di temi e argomenti trattati nella voce, ma piuttosto ad un’apertura, delle molte possibili, nel bosco delle associazioni produttive su sentieri da intraprendere, appunto: un bandolo.
Ad ogni voce inoltre è associata un’immagine del Museo Ettore Guatelli al fine di dedicare il lessico al ricordo di Ettore a 15 anni dalla scomparsa.

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© Archivio Fotografico Museo Ettore Guatelli.

Voce
La voce delle cose nell’ordinata solitudine della lista o nella folla dei cumuli

Organizzati in liste o riuniti in cumuli gli oggetti parlano con tono e forza diversi. Ordinato in una lista o associato ad un cumulo, lo stesso oggetto si esprime con voce diversa e diverso carattere.

LISTE – Insieme organizzato in cui ogni oggetto ha una propria posizione relazionandosi agli altri componenti della lista attraverso la sua propria individualità.

Voce
Lista: ogni oggetto parla con voce propria 

Poetica e descrizione
Lista: la lista è descrittiva, è un discorso strutturato 

Interlocutore
Lista: la lista va interrogata (esiste l’interlocutore) 

Appartenenza e autonomia
Lista: nella lista ogni oggetti è rafforzato dall’appartenenza all’insieme (la lista permette la relazione organizzandola)

Caos e senso
Lista: il caos della lista è nella forma patchwork in cui le “pezze” si presentano come isole di senso

CUMULI Insieme non organizzato in cui ogni oggetto cede posizione e parte della propria individualità, relazionandosi con gli altri componenti del cumulo nel gioco di somma, sovrapposizione, mascheramento

Voce
Cumulo: la voce di ogni oggetto si perde nell’insieme

Poetica e descrizione
Cumulo: è l’aspetto creativo, poetico e a volte perturbante del gioco di sommatoria

Interlocutore
Cumulo: il cumulo va esplorato (l’interlocutore tende sfuggire)

Appartenenza e autonomia
Cumulo: nel cumulo l’oggetto perde la propria autonomia e partecipa al discorso decostruendosi (il cumulo permette la relazione fagocitandola)

Caos e senso
Cumulo: nel cumulo il caos trova espressione nel “caso”, qui il senso è nella casualità dell’incontro fra le cose

Una proposta in forma di bandolo: E.L. Doctorow, Homer & Langley, Mondadori, Milano, 2010.

G 01

© Fotografia di Mauro Davoli.

Museo (etnografico)
L’abbraccio affettuoso e/o soffocante degli oggetti

Ci sono i piatti, ma non l’appetito.
Le fedi, ma non scambievole amore
[…]

C’è il ventaglio – e i rossori?
C’è la spada – dov’è l’ira?
E il liuto, ma non un suono all’imbrunire
[…]

La corona è durata più della testa.
La mano ha perso contro il guanto.
La scarpa destra ha sconfitto il piede.

[…]

Wislawa Szymborska, (Museo, 1962)

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Quanto sono etnografici i nostri musei d’etnografia, ovvero, quanto aderiscono a quello statuto che fa dell’etnografia innanzitutto lo studio delle relazione e dei processi umani? Vorrei rispondere al quesito iniziando, per necessità di sintesi, col chiedere aiuto alla prospettiva dei tre mondi di Karl Popper – il Mondo 1, quello dei corpi fisici e degli oggetti; il Mondo 2, quello dei processi mentali, delle decisioni, delle esperienze soggettive; il Mondo 3, il mondo dei prodotti della mente umana – per sostenere che una criticità sostanziale della museografia etnografica sta nell’adesione al Mondo 1, quello dei corpi fisici, al fine di sostenere l’esistenza del Mondo 3, quello dei prodotti della mente, tralasciando spesso il Mondo 2, quello dei processi e delle relazioni, difficilmente catalogabili e di certo più sfuggenti.
Una criticità di molta museografia etnografica sta nell’assenza o nella bassa densità delle espressioni del Mondo 2, quello in cui abitano le negoziazioni e i dialoghi relazionali, i processi collaborativi che realizzano e sostengono i tratti culturali delle espressioni umane.
Il museo che intende perseguire una prospettiva etnografica non ha che concedersi a due sfide: la prima legata ad una critica al museo etnografico, come lo conosciamo nelle diverse espressioni della sua recente storia, quale progetto bisognoso di una prospettiva che lo interroghi sulle sua stessa ragion d’essere, la seconda propria di una expografia etnografica quale spazio di scrittura attiva e quindi riluttante al museo quale luogo della “dimostrazione” e spazio della perentorietà delle forme allestitive (in molti casi l’esposizione si presenta quale gamba zoppicante delle intenzioni etnografiche del museo stesso).

Una proposta in forma di bandolo: I. Karp, C-A. Kratz, L. Szwada, T. Ybarra-Frausto, Museum Frictions. Public Culture/Global Transformations, Duke University Press, Durhan-NC, 2006.

G 02

© Fotografia di Mauro Davoli.

Oggetti migranti
Il progetto e i brandelli dell’anima

Oggetti la cui forma attuale è il risultato di un ripensamento, di una riprogettazione della loro utilità, una sorta di sviluppo di uno dei caratteri della loro originaria identità verso nuove configurazioni, nuove cittadinanze nel mondo degli oggetti. Interventi sugli oggetti che, forzandone la struttura e i materiali, li introducono in nuovi ambiti d’uso. Spesso opera forte, a volte radicale, capace di far migrare un oggetto da un corredo ad un altro (ad esempio, l’elmetto che diventa scaldino, barattoli che diventano valigia, bossolo che concorre a realizzare uno spaventapasseri, ecc.).
Ma cosa ha stimolato tali trasmigrazioni? Che cosa ha permesso il ripensamento? A volte la duttilità della materia, a volte la funzione (saper contenere, saper risuonare, saper…) a volte la disponibilità della forma, a volte il bisogno d’espressione creativa, a volte il piacere della prova.
Nel gioco del ripensamento è interessante notare non tanto il risultato ottenuto, quanto quel tratto di pensiero e di pratica manuale che si sono espressi e sviluppati fra il prima e il dopo di quel che oggi ci appare dell’oggetto, cioè quel tempo creativo della transizione fra prima (com’era) e dopo (com’è). In tale tratto hanno giocato la propria partita la creatività e l’aver “saputo vedere” nella forma originale degli oggetti le potenzialità per una possibile trasformazione: una migrazione da un uso ad un altro e conseguentemente da una forma ad un’altra.

Una proposta in forma di bandolo: V. Archipov, Design del popolo. 220 invenzioni della Russia post-sovietica, Isbn Edizioni, Milano, 2007.

G 03

© Fotografia di Mauro Davoli.

Incorporazione
Oggetti, corpo, tecniche

Che cos’è la valigia se non il prolungamento di un corpo incapace di portare in viaggio tutte le cose sulla testa o sulle braccia? La valigia è una protesi per il viaggiare. Viaggiando secondo le possibilità offerte anche dalla valigia, percepisco lo spazio e il tempo, e le possibilità di gestione del mio corpo nello spazio e nel tempo influenzano e intervengono sulla mia visione del mondo e quindi sulla mia percezione della realtà. La disponibilità della valigia quindi partecipa al mio essere-al-mondo e conseguentemente alla mia percezione della realtà. Se assumo il mondo delle cose, come l’insieme dei manufatti/protesi che condizionano la percezione del mondo e del mio “essere al mondo”, posso guardare agli oggetti non solo come espressione di capacità e saperi tecnici, ma come testimoni/condensatori di esistenze e quindi di pensiero.
Esistono bisogni e necessità che richiedono, o hanno richiesto nel tempo, soluzioni pratiche capaci di “corredare” il nostro corpo di oggetti utili alla gestione dei suoi bisogni e relazioni. Il corpo percepisce e concepisce il tempo e lo spazio, organizza possibilità e progetti anche, e in buona parte, in relazione agli oggetti disponibili. In tal senso il mondo degli oggetti è un vasto insieme di “protesi” e corredi incorporabili per il “prolungamento” delle nostre prerogative fisiche e relazionali.

Una proposta in forma di bandolo: J-P. Warnier, Construire la culture materielle. L’homme qui pensait avec ses doigts, PUF, Paris, 1999.

G 04

© Fotografia di Mauro Davoli.

Vita delle cose
Preistoria e storia. Produzione e vera vita

La vita delle cose (prima vita) è sostanzialmente (e sommariamente) divisibile in tre tempi, quello della loro produzione, quello del loro uso/utilizzo, quello della loro obsolescenza. Se la prima vita è quella legata alla tecnica e ai saperi pratici e organizzativi della produzione (domestica, artigianale, industriale) e la terza è quella in cui gli oggetti si dirigono, se non ripensati in forme di riuso (oggetti migranti), verso la loro fine funzionale e poi della loro presenza pratica nel quotidiano, la seconda è quella della loro vita relazionale, dell’intensità della loro presenza.
Se conoscere le “vite e vicende” degli oggetti significa indagarne i tre tempi, quello di mezzo si presenta più pertinente ad un’indagine della loro “vita vera” capace di esprimersi un biografie. Indagare la biografia delle cose può significare quindi assumere gli oggetti quali condensatori di relazioni e tratti esistenziali del quotidiano. Voce, biografia e pensiero sono prerogative anche delle cose, perché negli oggetti, sulla loro superficie e nella loro densità, sono iscritte voci, biografie e pensieri dell’incontro con l’umano.
Se prerogativa delle vita è l’unicità, ogni cosa ne possiede i tratti. Uscito dalla propria preistoria (produzione – tempo primo), simile o identico ad ogni altro, ogni oggetto c’incontra per entrare nella nostra vita (uso e vita – tempo secondo) per assumere l’unicità esistenziale del suo “essere con noi”. Nella nostra indagine non troveremo mai due oggetti identici (anche se usciti dallo stesso stampo) perché ognuno di loro sarà ciò che avrà vissuto con noi.

Una proposta in forma di bandolo: V. Dassié, Objets d’affection. Une ethnologie de l’intime, Editions du CTHS, Parigi, 2010.

G 05

© Fotografia di Mauro Davoli.

Obsolescenza (e nuova vita)
La vita delle cose. Crisi e seconda vita

Sono quegli oggetti, ancora presenti nella memoria del quotidiano recente, che hanno subito un lento o repentino invecchiamento a partire dalla “crisi” del loro uso. Sono oggetti ancora presenti nei luoghi che frequentiamo, quindi ancora disponibili, ma non più usati. Non più usati perché sostituiti da altri oggetti, perché non più “pratici”, in via di lenta obsolescenza, messi in disparte da un’esigenza scomparsa o in via di trasformazione. Oggetti destinati a raggiungere il “punto zero” della loro esistenza (fine del valore d’uso) quando, oltre a non essere più utilizzati, non saranno neppure più presenti negli spazi del nostro quotidiano (fine della presenza). Giunti al punto zero, gli oggetti prendono vie diverse: musei, collezionisti, sepolti in cantina o definitivamente dissolti nel tempo e solo ricordati.
La rapidità delle trasformazioni, le accelerazioni che il “mercato delle cose” imprime ai nostri rapporti con gli oggetti, ha l’effetto di segnare per questi quel cambiamento di rotta che li indirizza al loro punto zero, attraverso la sempre più stretta convergenza fra la linea di obsolescenza dell’uso (crisi dell’uso) e quella di obsolescenza della presenza (crisi della presenza). La convergenza è provocata dal lento o rapido indebolimento della “vita piena” degli oggetti, che giungerà a relegarli nel ricordo, a volte nel catalogo, a volte nel museo.
È ovvio che la vita piena degli oggetti del contemporaneo, quella parte della loro vita che li vede presenti e utili per le nostre faccende, necessari, apprezzati, non sia di lungo periodo. L’ingresso e l’uscita dall’orizzonte del nostro quotidiano porta gli oggetti a sostenere forme di protagonismo e d’indebolimento che, se indagate e studiate, possono dirci molto del nostro “stare al mondo”.

Una proposta in forma di bandolo: L. Flem, Come ho svuotato la casa dei miei genitori, Archinto, Milano, 2005..

G 06

© Fotografia di Mauro Davoli

Il pensiero delle cose
Plastica della valigia

[…]
E all’improvviso sono io a parlare: sapete,
cose, cos’è la sofferenza?
Siete mai state affamate, sole, sperdute?
Avete pianto? E conoscete la paura?
La vergogna? Sapete cosa sono invidia e gelosia, i peccati veniali non inclusi nel perdono?
Avete mai amato? Vi siete mai sentite morire
Quando di notte il vento spalanca le finestre e penetra
Nel cuore raggelato? Avete conosciuto la vecchiaia,
il lutto, il trascorrere del tempo?
[…]

Adam Zagajewski, (Dalla vita degli oggetti, 2002)

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Pensiamo che una cosa sia sostanza in sé, verificabile concretamente nella sua consistenza e disponibilità ad essere osservata. Pensiamo che una valigia sia sempre una valigia e lo sia per ogni sguardo, che essa esista in quanto presente alla vista. Pensiamo che quella valigia sia assumibile, alla nostra percezione, perché poggiata su un piano di realtà che la rende, per quel che crediamo sia, presente qui e ora. Crediamo, inoltre, che essa possa essere “se stessa” per ognuno, sincera e schietta, nel suo presentarsi, per ogni sguardo. Ma che pensa la valigia di tutto ciò?
Che pensa la valigia della nostra ansia della partenza, o dell’insistenza a volerla riempire in eccesso? Cosa pensa dell’investimento che facciamo nel viaggio, della nostra capacità o goffaggine nel trascinarla per treni ed aerei. Che pensa delle altre valigie? Un quesito, quest’ultimo, che ci obbliga ad un chiarimento, e cioè che la valigia di cui stiamo parlando è la nostra, quindi una valigia che conosciamo bene, che abbiamo scelto, che riempiano e vuotiamo, in cui riconosciamo i segni dell’usura e che ci introduce a ricordi di viaggio e che quindi il suo sguardo sulle altre sia fortemente condizionato dalla relazione che ha con noi. La sua visione delle altre valigie sarà, in termini riflessivi, generata della nostra storia.
La mia valigia, come ogni altro oggetto, ha vissuto un periodo della propria vita in cui tutto era proteso alla sua realizzazione. Prima di entrare sui binari della nostra relazione (la sua/nostra storia), ha vissuto una preistoria in cui la realtà della sua esistenza è stata sostenuta della produzione e in molti casi dall’avvio nella rete dello scambio. Nella sua preistoria, è stata una valigia come tante, indagabile nella forma, funzione e utilità, commerciabilità, esposizione, pubblicità, evidenza di contenitore utile, interessante o alla moda. Poi arrivò un momento in cui la mia idea di valigia fu costretta al confronto con l’offerta, con quel mercato della valigia che già mi costringeva al compromesso fra il desiderabile e il possibile. Una volta scelta, ebbe inizio la sua/nostra storia, al punto che potrei chiamarla a testimone di viaggi, ritardi, sorprese. Ebbe inizio la storia dei nostri pensieri al punto che la mia valigia potrebbe essere assunta come una delle forme plastiche del mio viaggiare, una mia protesi capace di offrirmi tutta una serie di opportunità nello spostamento e nell’organizzazione del tempo.

Una proposta in forma di bandolo: D. Miller, Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra, il Mulino, Bologna, 2014..

G 07

© Fotografia di Mauro Davoli.

Sistemi
Che ne è del ronchetto senza la vigna?

Conoscere gli uomini attraverso lo sguardo sulle cose richiede, e non solo ammette, che oggetti e cose siano contestualizzati in insiemi costituiti dalle relazioni fra oggetti e oggetti e fra oggetti e individui, e inoltre da quei nodi che, prodotti dall’incontro di relazioni diverse (come linee tracciate su di un foglio), rivelano il piano e la struttura di “sistemi d’oggetti”.
Ogni oggetto è ascrivibile ad uno o più “sistemi” distinti, sovrapposti o correlati, al punto che indirizzarsi all’indagine di un sistema (o sistemi) di riferimento dell’ oggetto è il primo passo che miri alla comprensione del valore della presenza delle cose al mondo.
Che ne è della pentola senza cucina, della botte senza cantina, del camino senza casa, del ronchetto senza vigna? Cucina, cantina, casa, vigna, contengono corredi di oggetti funzionali all’uso e alla vita quotidiana di chi li pratica e vive, al punto che buona parte del valore/significato di un oggetto è nella relazione che questo pratica con altri oggetti del medesimo sistema.

Una proposta in forma di bandolo: G. Perec, La vita, istruzioni per l’uso, BUR, Milano, 1984.

G 08

© Fotografia di Mauro Davoli.

Contenitori esistenziali
Cose che contengono esistenze

Borse, valigie, borsette, bauli, armadi, cassetti, tasche, ma anche stanze, frigoriferi, garages e cosi via. Oggetti contenitori e spazi dedicati quali contenitori sintetici. Ognuno di questi diventa campo d’indagine per un’etnografia dei contenitori esistenziali, etnografia delle relazioni fra contenitore e mondo, fra contenuto e contenitore e fra gli oggetti e le cose contenute. Per contenitori esistenziali intendiamo tutti quei luoghi grandi o piccoli, ma definiti, riconoscibili, nei quali sono raccolte temporaneamente tracce esistenziali. Dalle borsette, alle valige, dalle camere, agli armadi, abitacoli, ecc. chiamati a contenere, raccogliere e conservare oggetti e cose, testimoni del quotidiano.
Nell’analisi narrativa, nel racconto dell’elenco e dei singoli elementi contenuti, rintracciano i piani di relazione del “sistema” che ogni singolo contenitore esistenziale inaugura. Un sistema che si compone di geografie del contenitore, cittadinanze e residenze del contenuto.
Geografie del contenitore: ambito della complessità di relazione fra possessore/fruitore e oggetto/spazio contenitore: scelta, dislocazione, frequenza, investimento, aspettative, attenzione, consapevolezza, ecc.
Cittadinanze e residenze del contenuto: persistenze, arrivi, partenze, oblio, dialoghi, serialità, solitudini, opportunismi, ecc.

Alcune vie intraprese o ipotizzate: etnografia della borsetta, etnografia del comodino (e dei relativi cassetti), etnografia del frigorifero, etnografia delle stanze degli studenti fuori sede, etnografia della valigia da vacanza, etnografia dei bagagli d’emigrazione, etnografia del garages (o del ripostiglio).

Una proposta in forma di bandolo: S. Calle, L’Hotel, Editions de l’Etoille, Paris, 1984.

G 09

© Fotografia di Mauro Davoli.

Scheda
Fil di ferro

Se il primo meccanico del mondo, come si dice nelle officine, è l’olio lubrificante, il fil di ferro è stato per i contadini il primo attrezzo, il più versatile, il rimedio unico e insostituibile per emergenze e ripieghi, in ogni occasione.
Come a fare da cerchio a secchi di legno e a botti, o da esser avvolto intorno al cerchio stesso per diminuire il diametro, a restringerlo senza schiodarlo, di modo che stringesse di più a tenere insieme le doghe. O da passare più volte fra un anello e l’altro di una catena, che trovi spezzata nella stalla, e non c’è “esse” di scorta.

Se il legno di una scala passa dal sole all’acqua più volte, da dilatarsi e restringersi, i pioli finiscono per ballare dentro ai fori e a sfilarsi: a tenerla insieme, e a farla durare ancora, è sempre il fil di ferro, stretto con un tornello. Per sostenere le pertiche dei salami, appese ai chiodi del soffitto a sgocciolare, al posto della corda si usava ancora il fil di ferro, salvo scoprire che eran meglio poi i filoni tolti dai muraglioni del Taro.

Quando una “gambla da viol”- che è poi uno dei due pezzi che formano il timone del carro di montagna – veniva una crepa, e non c’era pronta una vera di misura, a fare le sue funzioni era ancora il fil di ferro, quadruplicato più volte, e sempre stretto a tornello: non si muoveva più. Noi addirittura avevamo finito per chiamarlo “zinco” invece che “fil di zinco” o “filo zincato”, ed è una cosa a molti altri. “Dam un zingol”, “dammi uno zinco”, si dice ancora per farsi dare un pezzo di fil di ferro. (Ettore Guatelli, La coda della gatta, p. 159).

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Schede narrative di Ettore Guatelli

Consistenza

Cassetti di legno: ricavati da piccole assi di legno di risulta e muniti di una maniglia da cassetto.
Schede di cartoncino: ritagliate 13×13 cm. Cartoncino di risulta di scatole diverse, ritagli, ecc.
Argomenti: etnografia, cultura materiale e immateriale
Collocazione. Fondo documentario Museo Ettore Guatelli (Ozzano Taro, Collecchio, Parma)

Cassetto 1: inesistente.

Cassetto 2: 345 schede di cui circa un centinaio scritto a macchina, il restante è scritto a mano.

Cassetto 3: 265 schede di cui circa una cinquantina contengono solo il titolo o immagini applicate.

Cassetto 4: 346 schede di cui la maggior parte è scritto a mano.

Cassetto 5: 66 schede di cui circa 5 scritte a macchina.

Cassetto 6: 175 schede tutte scritte a mano.

Totale schede contenute nei cassetti: 1197

E. Guatelli, La coda della gatta. Scritti di Ettore Guatelli: il suo museo, i suoi racconti, Quaderni, IBC, Bologna, 2005.

G 10

© Fotografia di Mauro Davoli

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Mario Turci. Antropologo, Architetto e Museologo. Direttore del Museo Etnografico di Romagna (Santarcangelo di Romagna), del Museo Ettore Guatelli (Ozzano Taro – Parma) e della Fondazione “Culture” (Santarcangelo di Romagna – Rimini); docente di “Scenografia e allestimento museale” presso la scuola di specializzazione Beni DEA di Perugia e di “Expografia etnografica” presso la scuola di specializzazione Beni DEA di Roma-La Sapienza. E’ stato docente di “Storia delle cultura materiale” e di “Antropologia Museale”  presso l’ Università di Parma. Coordinatore del Sistema Museale della Provincia di Parma.