RELATIONSHIP
Omaggio a Isidore Ducasse, Paul Nougè e Walter Benjamin
a cura di Rossana Macaluso
con il contributo di Rossana Macaluso, Alessandro De Vita, Silvia Calvarese, Marie Velardi, Giulia Grechi, Cecilia Guida, Valentina Fiore, Paola Bommarito, Enrico Pitozzi, Viviana Gravano

Al suo terzo anno di attività, il magazine roots§routes research on Visual Cultures continua a porsi come una piattaforma di riflessione e di ricerca, spazio di incontro e di intersezione aperto a contributi di ricercatori, teorici e artisti. La redazione sceglie di dedicare questo nuovo numero all’Arte Relazionale, omaggiando quella stretta relazione tra artista/autore e fruitore/spettatore che porta alla produzione di un “oggetto” che è un processo che crea una nuova forma condivisa di soggettività. L’editoriale non si sottrae a questa logica, e la redazione sceglie di confondere le proprie voci con quelle di alcuni studiosi esterni in un processo relazionale, materiale e immateriale, tangibile e intangibile allo stesso tempo.
Si è scelto di costruire un testo narrativo traendo ispirazione dal gioco del cadavre exquis. A differenza dell’originale dinamica relazionale surrealista (nella quale nessuno poteva conoscere l’intervento dell’altro) ciascuno ha potuto associare la propria citazione, in maniera del tutto discrezionale, a quelle precedentemente avviate.
Il risultato è una narrazione composita, che riposiziona citazioni di testi di grandi studiosi e scrittori del contemporaneo, da George Perec a José Saramago, da Joris-Karl Huysmans a Antonin Artaud.

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Mi piace camminare per Parigi. A volte, per interi pomeriggi, senza meta precisa, né proprio a casaccio, né all’avventura, ma cercando di lasciarmi trasportare. A volte prendo il primo autobus che si ferma (non si possono più prendere i bus al volo). Oppure preparo accuratamente, sistematicamente, un itinerario. Se ne avessi il tempo, mi piacerebbe ideare e risolvere problemi analoghi a quello dei ponti di Koenigsberg, o, per esempio, trovare un itinerario che, attraverso tutta Parigi, passi soltanto per strade che cominciano con la lettera C.Non so bene dove accadesse… in una chiesa, in una bara, in una cripta? Forse… su di un autobus. E c’era,.. Cosa diavolo c’era? Spade, omenòni, inchiostro simpatico? Forse… scheletri?
Sí scheletri, ma ancora con la carne intorno, vivi e vegeti. Almeno, temo. Gente su di un autobus. Ma ce n’era uno (o erano due?) che si faceva notare, non vorrei dire per che cosa. Per la sua astuzia sorníona? Per la sua adipe sospetta? Per la sua melanconia? No, meglio – o più precisamente – a causa della sua imprecisa immaturità, ornata di un lungo naso.., mento… alluce? No: collo. E un cappello strano, strano, strano. Si mise a litigare (sí, è cosí) senza dubbio con un altro passeggero (uomo o donna? bambino o vegliardo?). Poi finí- perché finí pure, in qualche modo o maniera – probabilmente perché uno dei due era scomparso… Credo sia proprio lo stesso individuo quello che ho rivisto.., ma dove? Davanti a una chiesa, a una cripta, a una bara? Con un amico che doveva certo certo parlargli di qualcosa, ma di che, di che, di che?2 A ogni modo, se oggi ti imbatti per la strada in qualcuno che sembra una tua fantasia adolescenziale, probabilmente non è una tua fantasia, ma qualcuno che ha avuto la tua stessa fantasia e invece di diventare quello che fantasticava di essere ha deciso di assumerne l’aspetto: è andato in un negozio e si è comprato il look che piace anche a te. Meglio scordarsela quella fantasia.3 Tutto quello che posso dirvi è che, dal momento in cui qualcosa ci fu, e non essendoci altro, quel qualcosa fu l’universo, e non essendoci mai stato prima, ci fu un prima in cui non c’era e un dopo in cui c’era, da quel momento, dico, cominciò a esserci il tempo, e col tempo il ricordo, e col ricordo qualcuno che ricordava, ossia io o quel qualcosa che in seguito avrei capito d’essere io. Intendiamoci: non che mi ricordassi di com’ero al tempo del niente, perché allora non c’era il tempo e non c’ero io; ma adesso mi rendevo conto che, anche se non sapevo d’esserci, un posto dove avrei potuto essere ce l’avevo, cioè l’universo; mentre prima, anche volendo, non avrei saputo dove mettermi, e questo faceva già una bella differenza, ed era appunto questa differenza tra il prima e il poi che io ricordavo.4 Facevo il mio ingresso nel mondo, preoccupato di trovare un senso alle cose, con l’animo pieno di desiderio di essere all’origine del mondo, ed ecco che mi scoprivo oggetto in mezzo ad altri oggetti. […]  «Toh, un negro!» era uno stimolo esteriore che mi colpiva secco e leggero in mezzo alla fronte mentre passavo. Abbozzavo un sorriso. «Guarda, un negro!» era vero. Mi divertivo. «Guarda, un negro!» A poco a poco il cerchio si restringeva. Mi divertivo apertamente.
«Mamma, guarda il negro, ho paura!» Paura? Paura? Si mettevano ad avere paura di me. Volli divertirmi fino a soffocare, ma mi era diventato impossibile. […] Allora lo schema corporale, attaccato da più parti, crollò cedendo il posto ad uno schema parziale ed epidermico. In treno non si trattava più di conoscere il mio corpo in terza persona, ma in persona tripla. […] Ero insieme responsabile del mio corpo, della mia razza, dei miei antenati. Mi percorrevo con uno sguardo oggettivo, scoprivo la mia nerezza, i miei caratteri etnici, e avevo i timpani perforati dall’antropofagia, l’arretratezza mentale, il feticismo, le tare razziali, i negrieri, e soprattutto, soprattutto «Y-a-bon banania». Quel giorno, disorientato, incapace d’essere al di fuori con l’Altro, il Bianco, che m’incarcerava implacabile, me ne andai lontano da me stesso, lontanissimo, costituendomi oggetto. Cos’era per me se non uno scollamento, una lacerazione, una emorragia che mi coagulava sangue nero tutto addosso?5 Col pretesto della libertà e del progresso, la società aveva trovato il modo di rendere ancor più misera la miserabile condizione dell’uomo, strappandolo alla sua casa, infagottandolo in un costume ridicolo, distribuendogli particolari armi, abbrutendolo in una schiavitù identica a quella da cui erano stati un tempo liberati i negri, per compassione: e tutto questo con l’unico scopo di metterlo in condizioni di poter assassinare il suo prossimo senza rischiare il patibolo, come lo arrischiano gli assassini comuni che operano da soli, senza uniformi, con armi meno rumorose e meno rapide. «Che strana epoca, questa».6 La colpa è mia, piangeva, ed era vero, non si poteva negare, ma è pur certo, se può servirle di consolazione, che se prima di ogni nostro atto ci mettessimo a prevederne tutte le conseguenze, a considerarle seriamente, anzitutto quelle immediate, poi le probabili, poi le possibili, poi le immaginabili, non arriveremmo neanche a muoverci dal punto in cui ci avrebbe fatto fermare il primo pensiero. I buoni e i cattivi risultati delle nostre parole e delle nostre azioni si vanno distribuendo, presumibilmente in modo alquanto uniforme ed equilibrato, in tutti i giorni del futuro, compresi quelli, infiniti, in cui non saremo più qui per poterlo confermare, per congratularci o chiedere perdono.7 L’irreparabile è che le cose siano così come sono, in questo o quel modo, consegnate senza rimedio alla loro maniera di essere. Irreparabili sono gli stati delle cose, comunque essi siano: tristi o lievi, atroci o beati. Come tu sei, come il mondo è – questo è l’Irreparabile. L’Irreparabile non è né un’essenza né un’esistenza, né una sostanza né una qualità, né un possibile né un necessario. Esso non è propriamente una modalità dell’essere, ma è l’essere che già sempre si dà nelle modalità, è le sue modalità. Non è così, ma è il suo così.8 Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarla cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte come una danza infinita col dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia. Attraversarlo, un passo dopo l’altro. Non troverai sole né luna, nessuna direzione, e forse nemmeno il tempo.9 Tutto ciò che agisce è crudeltà.10

deupaperamento

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1 Georges Perec, Specie di Spazi, Bollati Boringhieri, pag. 76. (Rossana Macaluso)
2 Raymond Queneau, Esercizi di Stile, Einaudi. (Alessandro De Vita)
3 Andy Warhol, La filosofia di Andy Warhol. da A e B e viceversa, CARTE D’ARTISTI, Abscondita, 2009. Pag. 51. (Silvia Calvarese)
4 Italo Calvino, Il niente e il poco, in Tutte le cosmicomiche, pag. 363, A. Mondadori Ed. (Marie Velardi)
5 Frantz  Fanon, Pelle nera maschere bianche, Marco Tropea Editore, 1996, pag. 99, 100. (Giulia Grechi)
6 Joris-Karl Huysmans, A ritroso, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 1997, pag. 197. (Cecilia Guida)
7 José Saramago, Cecità, Einaudi, 1996, pag. 7. (Valentina Fiore)
8 Giorgio Agamben, La comunità che viene. Bollati Boringhieri, Torino 2008, pag. 73. (Paola Bommarito)
9 Murakami Haruki, Kafka sulla spiaggia, Einaudi, Torino 2008, p. 5. (Enrico Pitozzi)
10 Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 1978, p. 200. (Viviana Gravano)

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